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Jean Vigo: storia di anarchia e cinema

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Negli anni 30 la Francia era la capitale mondiale del cinema, il luogo dove il cinema era nato e dove si erano maggiormente sviluppate le avanguardie cinematografiche ed artistiche che influenzarono tutto il mondo. Dopo René Clair, Antonin Artaud e Jacques Feyder.

La Francia fu costretta a confrontarsi con la guerra e la miseria della condizione umana. Nel cinema emerse un nuovo stile, una nuova visione del mondo: il realismo poetico, chiamato anche verismo pessimista. Lavorarono con lo stile del realismo poetico registi come Jean Renoir, con film come la grande illusione e La regola del gioco. Julien Duvivier con Il bandito della casbah e Marcel Carné con Il porto delle nebbie e Amanti perduti. A metà strada tra queste due correnti artistiche, avanguardia e realismo, si colloca l’opera di Jean Vigo, uno dei più influenti registi della storia del cinema.

Jean Vigo ha girato i suoi due unici film in uno stato febbricitante al principio della malattia che lo avrebbe portato alla morte. Alcune volte sul set era costretto a restare su un letto da ospedale da campo. Gli amici e colleghi si stupivano che volesse continuare la lavorazione e gli consigliavano di fermarsi per un periodo di riposo. 

Ma Jean Vigo non voleva saperne, per lui portare a termine le riprese del film era una vera e propria missione esistenziale. Sapeva che era malato e sapeva che il suo tempo stava volgendo al termine. Forse è questa pressione, questa urgenza che gli hanno consentito di realizzare due capolavori? 

La produzione del film degli anni 30

Il mestiere del cinema, al contrario di altre discipline artistiche, ha molti difetti. È un lavoro collettivo con molte limitazioni tecniche. Non si tratta di stare davanti ad una macchina da scrivere o davanti ad una tela ed affidarsi esclusivamente al flusso della propria creatività, che può diventare travolgente. La lavorazione di un film avanza molto lentamente, in mezzo a mille problemi, specialmente al tempo in cui Jean Vigo realizza i suoi film. 

Oggi i nuovi registi indipendenti degli anni 2000 lavorano con macchine fotografiche leggerissime e con sistemi di editing digitale con cui, lavorando da soli davanti a un computer, è possibile fare qualsiasi cosa. Ma nel 1930 c’era bisogno di un apparato produttivo pesante, c’era bisogno di una casa di produzione come la Gaumont. 

Jean Vigo, l’anarchico di famiglia

Vigo nasce a Parigi il 26 aprile del 1905. Suo padre è Eugène Bonaventure de Vigo, conosciuto con lo pseudonimo di Miguel Almereyda, collaboratore e fondatore di importanti giornali anarchici quali Le Libertarie, “La Guerre Sociale” e “Le Bonnet Rouge”. Miguel iniziò a frequentare i circoli anarchici di Parigi e finì nel mirino della polizia nella primavera del 1900. Venne arrestato ingiustamente con l’accusa di furto e scontò 2 mesi di prigione. 

Uscito di prigione iniziò a lavorare come fotografo e come giornalista scrivendo su riviste anarchiche come Le libertaire. In un articolo descrisse perfino nei dettagli un piano su come uccidere un giudice corrotto. La polizia continuò a tenerlo sotto controllo e nel 1901 trovò degli esplosivi nella sua casa e lo arrestò nuovamente. 

Quando uscì intensificò la sua attività di scrittore anarchico diventando ma nel 1905 ci fu una dura repressione e 28 militanti furono arrestati e condannati. Miguel venne punito con 3 anni di prigione e fu scarcerato solo nel 1906 grazie ad un amnistia. Nel 1908 fu nuovamente condannato a 2 anni di reclusione per ammutinamento e rimase in prigione fino alla metà del 1909. 

Il padre di Jean continuerà ad entrare e ad uscire di prigione, organizzando circoli e riviste anarchiche, ideando sabotaggi e manifestazioni politiche. Fino all’ultimo arresto avvenuto al ritorno da un viaggio in Svizzera. Fu trovato in possesso di un assegno su un conto bancario straniero di centomila franchi. 

Il suicidio del padre

Durante la prima guerra mondiale nel 1917 il padre di Jean viene accusato di essere un collaboratore della Germania e viene incarcerato. La mattina del 14 agosto 1917 viene trovato morto strangolato con i lacci delle scarpe legate alle sbarre del letto. Il caso viene archiviato come suicidio, ipotesi soretta dal peggioramento di salute ormai irreversibile, ma probabilmente si trattò di omicidio.

Era un uomo troppo scomodo per il contesto politico dell’epoca ed era diventato uno degli anarchici più popolari del paese, capace di influenzare molte persone. Il tragico evento è destinato a segnare la vita del figlio. Subito dopo il suicidio Jean Vigo nasconderà la propria identità per non essere etichettato come il figlio del traditore della patria. 

Esperienza in collegio

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Successivamente frequenta diversi istituti scolastici ma rimane sempre emarginato e non riesce a socializzare con gli altri ragazzi. Verrà allontanato dalla madre e sarà costretto a passare una buona parte della sua infanzia e adolescenza in collegio, esperienza che racconterà il film Zero in condotta. In collegio incomincerà a sviluppare i segni della malattia ai polmoni che non lo abbandonerà più fino alla morte. Probabilmente le esperienze negative che lo avevano colpito a livello spirituale, si erano somatizzate anche a livello fisico. 

Durante uno dei numerosi ricoveri ospedalieri conosce la sua futura moglie, Elisabeth Lozinska detta Lydu, con la quale condivide la passione per il cinema. Riesce ad entrare nel mondo del cinema a Nizza grazie all’aiuto dell’amica Germain Dulac, una delle prime registe donne francesi di avanguardia, che lo introduce negli ambienti della casa di produzione Franco film. 

I film di Jean Vigo

Jean Vigo riesce a realizzare il suo primo lavoro un documentario intitolato A proposito di Nizza. Si tratta di una sinfonia delle città, un genere che in quel periodo era stato riconosciuto di grande valore artistico in tutto il mondo grazie ai film di Dziga Vertov come l’uomo con la macchina da presa, e Berlino, sinfonia di una città. Il film è uno sguardo sulla realtà sociale di Nizza durante l’arco di una giornata. 

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Jean Taris o del nuoto

Sempre a Nizza Insieme ad i suoi amici, Jean Vigo, fonda il cineclub Les amis du cinema, che rimane in attività per qualche anno. Successivamente riceve un lavoro su commissione sul campione di nuoto Jean Taris. Si tratta di un film promozionale ma Vigo riesce a trasformarlo in un opera di sperimentazioni multiple, fatta di improvvisi ralenty, intensi primi piani e sguardi nella macchina da presa, inquadrature subacquee che assumono valore simbolico, stacchi sonori ritmici che alternano silenzio e rumore assordante. 

Nonostante la giovane età Jean Vigò realizza cose mai viste fino a quel momento e rivela una totale padronanza del mezzo cinematografico, con la capacità di inventare cose nuove e personali. 

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Zero in condotta

Pur affascinato da Nizza Vigo non riesce più a realizzare film e decide di trasferirsi a Parigi dove entra in contatto con il produttore Jacques-Louis Nounez. Realizza con lui il film autobiografico sull’ esperienza in collegio Zero in condotta. Il film avrà una lavorazione travagliata sia dal punto di vista produttivo che dal punto di vista distributivo. 

Sarà infatti bloccato dalla censura fino al 1945 e Jean Vigò non vedrà mai la sua opera nelle sale cinematografiche. Il governo francese lo accusò di essere un’opera diffamatoria del sistema educativo francese. 

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L’Atalante

La passione per l’arte cinematografica del giovane Jean Vigo però è tale da consentirgli di superare la delusione e dedicarsi subito alla realizzazione del suo unico lungometraggio di finzione, L’Atalante, realizzato tra il 1933 è il 1934. 

È la storia di due sposi che vanno a vivere subito dopo il matrimonio sulla chiatta L’Atalante, dove devono affrontare le prime situazioni conflittuali della convivenza, la routine della vita sulla chiatta lungo il fiume e le tentazioni di una grande città come Parigi. Film romantico sulla gelosia e sull’amore, restato invisibile fino al 1945, quando è stato distribuito anche a New York con il montaggio originale del regista. 

Il successo del film

Riscoperto e reso popolare successivamente dai registi e dagli intellettuali della Nouvelle vague negli anni 60, l’Atalante è considerato uno dei massimi capolavori del cinema francese e mondiale. Un’opera di realismo poetico con sequenze surrealiste che riesce ad emozionare il pubblico di tutto il mondo. Francois truffaut dichiara diverse volte che gianvico fu uno dei principali ispiratori del suo lavoro: i 400 colpi non è altro che la sua versione personale di Zero in condotta. 

Il film sarà esaltato da critici cinematografici di diversi paesi. James Agee, in Francia, definì Vigo “uno dei rarissimi registi veramente originali che abbiano mai lavorato nel cinema”. In Gran Bretagna, Roger Manvell chiamò Vigo “forse il più originale e promettente dei grandi registi francesi“. 

In Italia, Luigi Comencini ottenne una copia personale de L’Atalante e la proiettava spesso agli amici in privato, definendo il film “un capolavoro in grado di scuotere ogni nozione consolidata sul cinema che uno spettatore smaliziato possa avere”. Il critico Georges Sadoul lodò “la qualità sorprendente della poesia scaturita da un mondo superficialmente ordinario e grigio”.

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Jean Vigo nella storia del cinema

François Truffaut si innamorò del film quando lo vide per la prima volta all’età di quattordici anni nel 1946: «Quando entrai in sala al cinema, non sapevo nemmeno chi fosse Jean Vigo. Fui immediatamente sopraffatto da un entusiasmo selvaggio per il suo lavoro». Emir Kusturica confessò di essere un grande ammiratore di Vigo e lo definì un “poeta”. 

Tale ammirazione è riscontrabile nelle scene sott’acqua del film Underground che citano esplicitamente quelle de L’Atalante. Altri film che contengono omaggi a L’Atalante includono Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, Gli amanti del Pont-Neuf di Leos Carax, Éloge de l’amour di Jean-Luc Godard.

La morte prematura di Jean Vigo

Durante le riprese del film la setticemia di Jean Vigo aumenta fino a impedirgli di completare il montaggio. Il film viene completato dai produttori della Gaumont e gli viene perfino cambiato il titolo con Le Chaland qui passe. Intanto la salute di Vigo si aggrava e muore 5 ottobre 1934. 

Una parte della critica basandosi sulla sua esperienza di vita ha affibbiato a Vigo l’etichetta di maledetto, alla stregua di Rambaud e Ferdinand Céline. In realtà nei suoi film c’è la leggerezza dell’ironia e di una visione del mondo ottimista, che si potrebbe definire felliniana. Non era un poeta maledetto che scriveva poesie maledette ma casomai un uomo che è stato costretto a subire dall’esterno le pressioni dei condizionamenti sociali e culturali dell’epoca. 

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