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René Clair, dalle avanguardie al realismo

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René Clair è nato a Parigi nel 1898. A livello mondiale è considerato uno dei più importanti registi del cinema francese, di cui interpreta e riassume la parte più elevata della storia, ruolo poi assunto da François Truffaut

Chi è René Clair?

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René Clair è molto conosciuto nei paesi anglosassoni e in Italia. Nella sua ricerca di una comicità umana universale al di là della storia e dell’evoluzione tecnica, è l’artista che congiunge Charlie Chaplin a De Sica, molto prima dei giovani arrabbiati della Nouvelle Vague

Il cinema è l’interesse fondamentale dell’intera vita di René Clair. Pratica con entusiasmo sia la critica che la creazione dei film. Uno dei suoi articoli sul cinema s’intitola infatti Il figlio del secolo in attesa di un film. Nello stesso tempo si identifica con gli sviluppi futuri della settima arte quindi sin dall’inizio sceglie uno pseudonimo eloquente che coniuga rinascita e chiarezza. 

Tuttavia non è molto diverso sul piano intellettuale dai compagni dell’avanguardia. Nato e cresciuto nell’ambiente della borghesia commerciale parigina, conosce il fascino ormai declinante della Belle Epoque, le raffinatezze di un simbolismo in declino. Il suo primo scritto pubblicato nel 1916 è un addio a Emile Verhaeren. C’ è anche il dramma della grande guerra che spinge la letteratura a una certa sterilità. 

L’idea di cinema di René Clair

In questa grande disillusione si avvicina a Delluc, Abel Gance e a personaggi come L’Herbier, che intraprendono la carriera cinematografica prima di lui. D’altra parte è altrettanto vicino al Dadaismo ed a un surrealismo che privilegia il cinema in quanto controcultura, espressione pura dell’inconscio. È appunto questo a rendere singolare la sua situazione. 

A partire dalle cronache del 1922 dal titolo Intransigeant, oppure alla rivista Films, di cui è caporedattore, pur lodando e apprezzando la forza visiva rappresentata dai grandi autori nordamericani come Douglas Fairbanks o Charles Ray, Charlie Chaplin e Stroheim, Claire inizia come un predecessore di Truffaut ad attaccare il cinema francese, una produzione di film inquinata di riferimenti letterari e di velleità artistiche che si nascondono dietro le ricerche plastiche dell’avanguardia. 

René Clair è probabilmente il primo regista-attore cinefilo della storia del cinema. Secondo Clair bisogna tornare all’ispirazione del cinema delle origini, alla tradizione del 1900, occultata dalle pretese del film d’arte. Secondo Clair bisogna andare oltre il linguaggio dall’avanguardia, alla quale conferisce nello stesso tempo una strada dimensione retrospettiva. 

Come se la settima arte potesse rigenerarsi unicamente risalendo alle sue origini, dimenticando tutto quanto appreso e andando alla ricerca della propria maturità per tentativi. Da questa concezione del cinema traggono origine i malintesi relativi ai suoi primi film: essi sembrano l’apice della modernità cinematografica dalla quale invece prendono le distanze. 

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I film di René Clair

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Paris qui dort ed Entr’acte

Paris qui dort, girato in condizioni estreme grazie al mecenate Henry Diamant Berger, è un film sperimentale che si fa beffe degli eccessi dell’espressionismo e del Gabinetto del dottor Caligari, e ricorre ai trucchi di montaggio più ingenui del cinema delle origini per ravvivare una meraviglia primitiva.

Entr’acte, il soggetto del quale fu buttato giù in poche righe da Francis Picabia, riunisce il clima culturale parigino degli anni folli, da Marcel Duchamp a Marcel Achard, ed i tic della scrittura automatica per ritrovare il ritmo implacabile degli insegnamenti al vecchio stile. 

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Entr’acte

Il giovane cineasta si impegna in una sepoltura delle avanguardie, in una decomposizione dei principi fondanti del movimento cinematografico. Fin dall’inizio giustifica la ammirevole definizione che André Bazin fornisce della sua arte “La stilizzazione dei personaggi e delle situazioni, la riduzione del mondo a congiuntura morali, coincide splendidamente in René Clair con l’essenza stessa del cinema, che è immagine e movimento”. 

La sua opera è quella di un moralista, perché ha saputo ritrovare la morale del cinema. È da moralista che Clair svela nel romanzo Adams, del 1926, gli artifici incantatori di Hollywood, e in una conferenza del 1927 rivendica Il Cinematografo contro lo spirito

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Paris qui dort

Dopo alcuni film di transizione di cui il più riuscito è probabilmente quello meno ambizioso, La proie du vent, conferma il suo status di autore in negativo con due adattamenti da Labiche: Un chapeau de paille d’Italie e Les deux timide. In essi dimostra le risorse autosufficienti dell’immaginario mentale a cui affida il compito di risuscitare una retorica del vaudeville ormai in frantumi, ossia la fantasia delle vecchie pellicole Pathé. 

Con il successo di questi film René Clair diventa il portavoce di un cinema francese in piena crisi d’identità, ripiegato su un’età dell’oro da sogno anteriore al 1914. Da allora, con Feyder negli Stati Uniti, e Gremillon ed Epstein emarginati, Clair è l’unico a garantire la continuità di una seconda avanguardia riconciliata con il realismo ma intenta a perseguire al di là del sonoro la componente onirica associata all’arte cinematografica del muto. 

Aggira l’ostacolo della pesantezza e del budget necessario della registrazione sonora in presa diretta utilizzando la traccia audio in maniera totalmente diversa: l’immagine non coincide con il suono, gli attori dialogano attraverso una porta a vetri o nell’oscurità, il sonoro di un incontro di rugby fa da sfondo alla contesa per una giacca. Egli ricorre alla musica come filo conduttore del racconto, ma anche creando un piccolo mondo dove sopravvivono i microcosmi del sogno dei suoi primi film. Con l’associazione di figure simpatiche ed anacronistiche coltiva l’utopia di una comunità di compagni ai margini della storia

Il realismo poetico

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Per le vie di Parigi

Con una squadra di collaboratori come George Perinal, Lazar Meerson e Maurice Jabert, ricostruisce negli studi Tobys di Epinay la quintessenza della Francia, dominata da luce benevola e astrazione senza asprezze. Il tono del film Sotto i tetti di Parigi è precisato fin dall’inizio: con una carrellata spettacolare che passa in rassegna tutti gli abitanti di un caseggiato, accompagnata da un ritornello che sale dalla strada, René Clair inaugura con qualche anno di anticipo il Realismo poetico, reso in seguito popolare dai suoi assistenti Marcel Carné e Lacombe, prolungando però la finzione di una società ancora omogenea. 

Questo spiega il dialogo sommerso dalla musica o della metafora visiva ed il successo formidabile del film all’estero. Poi superato nel 1931 da quello di Il Milione, un nuovo adattamento di un vaudeville, un inseguimento in cui René Clair sostituisce al testo un soggetto improvvisato e modellato su strofe poetiche che si integrano nella scena. 

Trasferisce nel film sonoro la formula di Un chapeau de paille d’Italie e inventa una commedia musicale alla francese destinata a restare un successo senza futuro anche nella sua opera: A me la libertà e l’ultimo miliardario rivelano un divario crescente tra questa poesia da operetta e l’incupimento dell’orizzonte sociale e politico. L’irruzione di macchinismo e totalitarismo sono oggetto di un gioco anarchico sulle rappresentazioni. 

Dopo questo periodo realizza il suo capolavoro assoluto, Per le vie di Parigi. Evocazione minimalista di una Parigi che è una specie di Paradiso Perduto, nel quale René Clair racconta con estremo rigore un mondo sparito per sempre. Il successo di L’ultimo miliardario lo induce ad accettare l’invito di Alexander Korda a lavorare in Gran Bretagna. Lì realizza due godibili satire del macabro anglosassone Il fantasma galante e Vogliamo la celebrità, nelle quale ricompare il suo gusto per i racconti di fantasmi.

René Clair a Hollywood

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Dieci piccoli indiani

Ma quando gli viene in mente l’idea di un improbabile Neorealismo con Air pur del 1939, tentativo interrotto come 10 anni prima il progetto di Un’inchiesta è aperta, la guerra Lo costringe ad un altro esilio a Hollywood, dove utilizza con notevole efficacia quello che verrà definito dagli americani il Clair’s touch. Si confronta con gli stereotipi del cinema di genere statunitense: la commedia sentimentale in L’ammaliatrice, l’apologo fantastico in Ho sposato una strega e Avvenne domani, il mystery in Dieci piccoli indiani

Il suo stile rimane quello dell’ironia francese ma il prezzo da pagare è un severo controllo della sua indipendenza creatrice, un’ossessione sempre più radicata per la meccanica, la pianificazione del processo creativo e la sceneggiatura. I film francesi del dopoguerra affascinano soprattutto per la meticolosa qualità della costruzione: la sua creatività e ormai totalmente dedicata a variare le tematiche affrontate in passato perfezionando il proprio stile. 

La fedeltà degli artigiani del cinema primitivo come in Il silenzio è d’oro, Il fantasma faustiano come metafora frustrata del cinema in La bellezza del diavolo, in cui evoca i pericoli del nucleare. La risalita nel tempo e gli stereotipi dell’inconscio in La bella di notte, il racconto a ritroso anteriore alla guerra nel 1914 in Grandi manovre

Pur ricostituendo una troupe di attori con i quali esiste una certa complicità come Gerard Philippe, René Clair sembra voler rientrare nell’ambito del cinema di qualità dominato dalla nostalgia del 1900 e ben presto oggetto di denigrazione da parte dei colleghi più giovani. Paradosso crudele perché Clair è il primo autore a pieno titolo del cinema francese in grado di imporre il comando di un unico individuo in tutte le fasi creative. 

Ma questo essere autore totale non si manifesta tanto nella valorizzazione della regia o nella direzione degli attori, ma nella preparazione scrupolosa della sceneggiatura che gli consente di cautelarsi dalle incognite del montaggio. Succede spesso che nel dopoguerra René Clair affidi la realizzazione di una sequenza agli assistenti alla regia. 

La sua autorialità si fonde con un’idea molto letteraria della pratica cinematografica, concepita sempre di più come un passaggio necessario per incarnare con gli attori ed il mondo reale un sogno sempre sfuggente, quello di un film. il fatto che sia il primo cineasta eletto all’Accademia Francese, come il ritorno ai lavori da uomo di lettere con adattamenti teatrali, raccolte di racconti, evocazioni della propria carriera in un testo intitolato Il cinema di ieri, il cinema di oggi, tracciano un divario profondo con le nuove generazioni. 

È la coerenza di una visione troppo idealistica della settimana arte che la storia ed i fatti reali bocceranno completamente. Si afferma invece un cinema codificato dai generi e da un linguaggio standardizzato, dove a causa della pubblicità e delle esigenze di business, non è neanche più possibile fare una distinzione tra film d’essai e film commerciali. 

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