Thriller Psicologici: I Film che Scavano nell’Abisso della Mente

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Ecco una selezione curata di film che incarnano perfettamente l’essenza del thriller psicologico: opere audaci e complesse che si avventurano nelle profondità della psiche umana, esplorando i territori più oscuri della mente. Ci sono i capolavori canonici che hanno reso famoso il genere – e li troverete qui – ma il vero cuore di questo cinema non si accontenta di spaventare; mira a turbare, a mettere in discussione le nostre certezze e a lasciare un’impronta indelebile.

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Il thriller psicologico non si basa solo su mostri esterni. Il suo campo di battaglia è l’anima, il suo orrore è quello esistenziale. È un cinema che si nutre di ambiguità, paranoia, traumi irrisolti e identità frammentate. Registi visionari come David Lynch, Darren Aronofsky, Roman Polanski e Park Chan-wook hanno usato la loro libertà per creare narrazioni non convenzionali, labirinti mentali in cui lo spettatore è invitato a perdersi. Queste non sono semplici “film che giocano con la mente”; sono esperienze immersive che ci costringono a confrontarci con le nostre paure più recondite.

L’ascesa di questo genere, in particolare grazie a studi come A24, non è un caso. In un’epoca segnata da incertezza, il cinema si è rivolto verso l’interno, scoprendo che l’orrore più grande non si nasconde nell’ombra, ma nella luce della nostra stessa coscienza. Questa guida definitiva è un percorso che unisce i pilastri fondamentali, dai film più famosi al cinema indipendente più sconosciuto. Preparatevi a guardare nell’abisso, perché questi film non solo vi guarderanno a loro volta, ma vi seguiranno a lungo dopo i titoli di coda.

Secondo il regista John Madden, i thriller psicologici si concentrano su racconto, crescita del personaggio, scelta e disputa etica; sia la paura che l’ansia guidano la tensione psicologica con mezzi imprevedibili. I thriller psicologici sono pieni di suspense sfruttando l’imprevedibilità sulle intenzioni, la sincerità e il modo in cui vedono il mondo dei personaggi.

James N. Frey definisce i thriller psicologici uno stile, piuttosto che un sottogenere; Frey afferma che i buoni thriller si concentrano sulla psicologia dei loro antagonisti e creano lentamente suspense attraverso l’ambiguità. I creatori e/o i distributori o gli editori di film che cercano di prendere le distanze dalle connotazioni negative dell’horror spesso classificano il loro lavoro come un thriller psicologico. La stessa situazione può verificarsi quando i critici etichettano un’opera come un thriller psicologico al fine di elevarne il valore letterario percepito.

Meccanismi del thriller psicologico

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Colpo di scena: film come Psycho hanno scommesso tutto sui colpi di scena e hanno anche chiesto al pubblico di astenersi dagli spoiler.

Il narratore inaffidabile: Andrew Taylor identifica il narratore inaffidabile come un comune strumento letterario utilizzato nei thriller psicologici e lo fa risalire all’impatto di Edgar Allan Poe sul genere.

MacGuffin: Alfred Hitchcock ha creato il principio del MacGuffin, un obiettivo o una cosa che avvia o fa avanzare in altro modo la storia. Il MacGuffin è spesso solo leggermente accennato e può essere utilizzato per aumentare la suspense.

Falsa pista: la falsa pista è stata usata da William Cobbett come un tipo di equivoco che è un argomento inutile introdotto per distogliere l’attenzione dal vero conflitto. Viene utilizzata una falsa pista per indurre il pubblico a fare supposizioni errate e ingannare la loro percezione della verità.

Stili del thriller psicologico

Negli ultimi anni sono emersi molti thriller psicologici, realizzati su numerosi media. Nonostante queste forme di rappresentazione davvero diverse, le mode generali sono effettivamente apparse in tutte le storie. Alcuni di questi stili regolari includono: fatalità, identificazione, mentalità, percezione, realtà.

Nei thriller psicologici, i personaggi spesso devono combattere una lotta interiore. I romanzi di sensazioni, esempi dei primi thriller psicologici, erano considerati irresponsabili a causa dei loro temi di sesso e violenza. Peter Hutchings definisce il giallo, un sottogenere italiano dei thriller psicologici, come violenti omicidi misteriosi che si concentrano sullo stile e sullo spettacolo piuttosto che sulla razionalità.

I capolavori del genere thriller psicologico

Vertigo (La donna che visse due volte) (1958)

Il detective di San Francisco John “Scottie” Ferguson, ritiratosi per una paralizzante paura dell’altezza (acrofobia), viene ingaggiato da un vecchio amico per sorvegliare la moglie, Madeleine. La donna sembra posseduta dallo spirito di un’antenata suicida. L’ossessione di Scottie per la misteriosa Madeleine lo trascina in un vortice di inganni, manipolazioni e tragedia.

Vertigo non è solo uno dei migliori film di Alfred Hitchcock; è l’archetipo del thriller psicologico moderno. La “vertigine” del titolo non è semplicemente la paura fisica di cadere; è una vertigine emotiva, romantica ed epistemologica. È la paura di Scottie di cadere nell’abisso dell’ossessione romantica, un abisso da cui, come vediamo, non riemergerà. Il celebre “dolly zoom” (o “effetto Vertigo”) che Hitchcock inventò per questo film non serve solo a mostrare il panico di Scottie guardando in basso, ma a visualizzare la distorsione della realtà che la sua mente sta subendo.

Inizialmente respinto dalla critica, il film è oggi considerato uno dei più grandi capolavori della storia del cinema proprio perché il pubblico e la critica del 1958 non erano pronti per un protagonista la cui psiche fosse così palesemente malata. Il vero “cattivo” del film non è l’assassino al centro della trama, ma l’ossessione perversa di Scottie. Nella seconda metà del film, il mistero è già stato svelato (almeno a noi spettatori), ma la tensione psicologica aumenta. La suspense non deriva più dal “chi l’ha fatto?”, ma dal “fino a che punto si spingerà?”. Assistiamo al tentativo di Scottie di ricreare letteralmente la donna che crede di aver amato, distruggendo metodicamente l’identità di un’altra. È la prima, grande esplorazione cinematografica della perversione psicologica e del feticismo come motori della narrazione.

Psycho (1960)

Marion Crane, una segretaria di Phoenix, ruba 40.000 dollari al suo datore di lavoro per iniziare una nuova vita con il suo amante. Durante la fuga, sotto un diluvio, si ferma al remoto Bates Motel. L’hotel è gestito dal timido e inquietante Norman Bates, un giovane apparentemente dominato da una madre opprimente e gelosa che vive nell’inquietante casa gotica sopra il motel.

Se Vertigo studia la psiche malata dell’osservatore, Psycho la fa letteralmente a pezzi. Questo film è la pietra miliare che sposta definitivamente il thriller dal giallo (trovare il colpevole) al psicologico (capire la mente del colpevole). Il genio di Hitchcock qui risiede nella manipolazione dell’identificazione del pubblico. Per 40 minuti, il film ci fa credere che Marion Crane sia la nostra protagonista. Seguiamo la sua ansia, la sua colpa, la sua speranza di redenzione. Poi, in una delle scene più traumatiche e celebri della storia del cinema, viene brutalmente uccisa.

A questo punto, lo spettatore è psicologicamente alla deriva. A chi dobbiamo aggrapparci ora? Hitchcock sposta con crudeltà il nostro punto di vista su Norman Bates, mentre pulisce meticolosamente la scena del crimine. Siamo costretti a sperare che lui non venga scoperto. Siamo costretti a entrare nella sua mente. Psycho è il primo film mainstream in cui il colpo di scena finale non è un evento, ma una diagnosi psicologica. La rivelazione che la madre è morta da anni e che Norman ne ha assorbito la personalità non è solo scioccante; è un atto di ridefinizione narrativa che ci costringe a rivalutare ogni singola azione e dialogo precedenti. Il mostro non è esterno; è una personalità dissociata. È la madre di tutti i thriller psicologici moderni.

Rosemary’s Baby (1968)

Una giovane coppia felice, Rosemary e Guy Woodhouse, si trasferisce in un prestigioso e antico appartamento di New York, il Bramford, nonostante gli avvertimenti di un amico sulla sua storia oscura. Stringono amicizia con gli anziani e invadenti vicini, Minnie e Roman Castevet. Dopo una misteriosa notte, Rosemary rimane incinta e viene travolta da un dolore lancinante e da una paranoia crescente, sospettando che i vicini facciano parte di una congrega satanista che ha mire sul suo bambino.

Questo è il capolavoro assoluto della paranoia. Roman Polanski crea un’atmosfera di terrore psicologico quasi insostenibile dove la minaccia più grande non è il diavolo, ma il dubbio. Il film è una magistrale, lenta e soffocante esecuzione di gaslighting. Il termine, oggi di uso comune, descrive una manipolazione psicologica in cui si presentano false informazioni alla vittima con l’intento di farla dubitare della propria memoria e percezione.

Ogni singola persona nella vita di Rosemary, inclusi quelli di cui dovrebbe fidarsi ciecamente, le dice che ciò che sta vivendo è solo “isteria femminile” o “fantasie da gravidanza”. Il suo ambizioso marito, Guy, la tradisce. Il suo medico di fiducia, il Dottor Sapirstein, la isola e la droga. I vicini la nutrono con strani intrugli. Polanski utilizza la gravidanza (l’esperienza più intima, fisica e corporea) come campo di battaglia psicologico. Rosemary perde il controllo non solo della sua mente, ma del suo stesso corpo. La suspense non deriva da mostri (che non si vedono mai), ma dalla domanda straziante: “Rosemary sta impazzendo o è l’unica persona sana di mente in un mondo impazzito?”. È il thriller psicologico definitivo sull’isolamento, il tradimento e l’orrore della perdita di autonomia.

Una visione curata da un regista, non da un algoritmo

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The Shining (1980)

Lo scrittore fallito Jack Torrance accetta un lavoro come custode invernale dell’isolato Overlook Hotel, sulle montagne del Colorado. Porta con sé la moglie Wendy e il figlio Danny, un bambino dotato di un potere psichico chiamato “lo shining. Mentre una tempesta di neve taglia fuori l’hotel dal resto del mondo, le forze sinistre che infestano l’edificio e il peso dell’isolamento spingono Jack in una spirale di follia omicida.

The Shining di Stanley Kubrick è un caso di studio affascinante che vive perennemente sul confine tra horror psicologico e thriller psicologico. Ci sono elementi innegabilmente soprannaturali: i fantasmi dell’hotel, i fiumi di sangue, lo “shining” di Danny. Eppure, il vero terrore del film è la disintegrazione lenta e metodica della psiche di Jack Torrance. Il film è ambiguo: è l’hotel a far impazzire Jack o l’hotel ha semplicemente scelto Jack perché era già incline alla violenza e alla follia?

Kubrick usa la geometria impossibile dell’Overlook Hotel (corridoi che non portano da nessuna parte, finestre in uffici dove non dovrebbero esserci) come una mappa fisica del labirinto della mente di Jack. L’isolamento e il blocco dello scrittore (eventi esterni “terrificanti nella vita quotidiana”) diventano i catalizzatori che permettono alla follia (interna) di emergere. La tensione psicologica è palpabile, costruita non su jump scares, ma su un senso di ineluttabile collasso mentale. La performance di Jack Nicholson è terrificante non quando brandisce l’ascia, ma nei momenti di quiete, nello sguardo perso, nella rabbia che cova sotto una finta cortesia. L’hotel non crea la follia di Jack; la rivela e le dà il permesso di agire.

Babycall

Babycall
Ora disponibile

Thriller, horror, di Pål Sletaune, Svezia, 2011.
Anna e suo figlio di 8 anni Anders fuggono da un tragico passato famigliare: il padre del bambino è un uomo violento e pericoloso. Si trasferiscono in una casa segreta e Anna compra un babycall per tenere sotto controllo Anders mentre dorme. Una notte Anna si sveglia di soprassalto: dalla camera di Anders provengono dei rumori, sembra stia avvenendo un omicidio. Ma quando la madre va dal bambino sembra non sia accaduto nulla. Anders però ha un problema: di notte riceve la visita di un misterioso bambino. Un giorno in un disegno di Anders trova del sangue. Anna inizia ad avere davvero paura.

Noomi Rapace interpreta con bravura un personaggio inquieto e ossessionato del controllo. Una donna che non sorride mai, ombrosa, che cerca di salvare il suo fragile equilibrio mentale. Storia d'amore, maternità e violenza, tra grigi esterni cittadini e interni claustrofobici, Babycall è un thriller-horror ambizioso che racconta la violenza domestica come un racconto del terrore, in cui allucinazioni e realtà si confondono. Bella la fotografia molto contrastata che supporta i momenti di tensione.

LINGUA: italiano

The Silence of the Lambs (Il silenzio degli innocenti) (1991)

Clarice Starling, una giovane e brillante apprendista dell’FBI, viene incaricata dal suo superiore Jack Crawford di intervistare il Dr. Hannibal Lecter. Lecter è un geniale ex psichiatra e un feroce cannibale, detenuto in un manicomio criminale di massima sicurezza. L’FBI spera che Lecter possa fornire un profilo psicologico per catturare un altro serial killer, “Buffalo Bill“, che rapisce e scuoia le sue vittime femminili.

Questo è il thriller psicologico che ha trasceso il genere. È uno dei soli tre film nella storia ad aver vinto i “Big Five” agli Oscar (Miglior Film, Regista, Sceneggiatura, Attore, Attrice) e ha portato il genere alla sua massima espressione intellettuale. Non è un film d’azione; è un film di conversazioni. Tutta la suspense, l’adrenalina e il terrore si basano quasi esclusivamente sui dialoghi tesi tra Clarice e Lecter, separati da una lastra di vetro.

L’analisi si concentra sul loro rapporto: uno scambio “quid pro quo”. Lecter non vuole fuggire (non ancora); vuole entrare nella testa di Clarice. È affascinato dalla sua ambizione, dalla sua vulnerabilità e dai suoi traumi passati. Il film contrappone due tipi di mostri: Buffalo Bill, il mostro “fisico” che agisce sul corpo, e Lecter, il mostro “mentale” che agisce sulla psiche. Lecter è il thriller psicologico incarnato: usa l’analisi, i ricordi e il trauma come armi affilate. La vera battaglia del film non è la caccia a Buffalo Bill, ma la sopravvivenza psicologica di Clarice all’autopsia che Lecter le sta infliggendo. “Tu non vuoi Hannibal Lecter dentro la tua testa”, la avverte Crawford. Ma è troppo tardi.

Seven (Se7en) (1995)

Due detective, il disilluso e colto veterano William Somerset, a una settimana dalla pensione, e l’impulsivo e idealista giovane David Mills, appena trasferito, si trovano a dare la caccia a un geniale e metodico serial killer. L’assassino, noto come John Doe, sta orchestrando una serie di omicidi grotteschi e teatrali, ognuno basato su uno dei sette peccati capitali.

Se Il Silenzio degli Innocenti è un duello intellettuale, Seven di David Fincher è un assalto morale e un’immersione nel nichilismo. È un film che sporca lo spettatore. L’atmosfera non è un semplice sfondo: la città senza nome, perennemente avvolta dalla pioggia e dal degrado morale, è un personaggio attivo che corrode la psiche dei protagonisti. Il killer, come Somerset capisce presto, non è un pazzo; è “metodico, preciso e, peggio di tutto, paziente”.

John Doe non vuole semplicemente uccidere; vuole predicare. Vuole mostrare al mondo uno specchio del proprio marciume. Il suo “capolavoro” non sono i singoli omicidi, ma il finale. Il climax del film è il punto di non ritorno per il thriller psicologico. “Cosa c’è nella scatola?” è diventata una frase iconica, ma il suo potere non risiede nello shock, quanto nella sua diabolica conclusione psicologica. John Doe non vince uccidendo Mills o sua moglie. Vince costringendo Mills a diventare l’incarnazione dell’Ira, l’ultimo peccato. Ha distrutto la sua psiche, non solo il suo corpo. È la vittoria psicologica totale, un finale così cupo che lo studio cinematografico ha lottato con tutte le sue forze per cambiarlo, senza successo.

The Usual Suspects (I soliti sospetti) (1995)

A seguito di un’apparente sparatoria per droga finita in un massacro su una nave nel porto di Los Angeles, l’agente della dogana Dave Kujan interroga Roger “Verbal” Kint, un truffatore logorroico con una lieve paralisi. Attraverso un lungo e complesso flashback, Verbal racconta a Kujan la catena di eventi che ha portato lui e altri quattro criminali sotto il controllo del leggendario e temuto boss del crimine, il mitologico Keyser Söze.

Questo film non ha semplicemente uno dei colpi di scena più famosi della storia del cinema. Questo film è un’arma psicologica puntata contro il pubblico. L’intera opera è una lezione magistrale sull’uso del “narratore inaffidabile”. Per tutta la durata del film, noi spettatori siamo Kujan: siamo seduti di fronte a Verbal, ascoltiamo la sua storia intricata, cerchiamo di assemblare i pezzi, ci sentiamo più intelligenti di lui.

The Usual Suspects trasforma il thriller psicologico in un gioco di semiotica e narrazione. La suspense non deriva da ciò che accade, ma da ciò che ci viene detto. Il colpo di scena finale, quando Kujan (e noi con lui) realizza che l’intera, complessa mitologia raccontata da Verbal è stata inventata sul momento, leggendo i nomi e i luoghi da una bacheca disordinata nell’ufficio, non è solo un “gotcha”. È una dichiarazione profonda sulla natura della verità e del potere. La verità è semplicemente la storia migliore. Come dice Verbal, “Il più grande inganno che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste”. Keyser Söze non è un uomo; è un mito, una narrazione così potente da paralizzare la mente e permettere al colpevole di andarsene indisturbato.

Fight Club (1999)

Un impiegato di una casa automobilistica, anonimo, insonne e profondamente disilluso, è intrappolato nel vuoto del consumismo. La sua vita cambia quando incontra Tyler Durden, un carismatico e anarchico venditore di sapone. Insieme, fondano un “fight club” segreto, un luogo dove uomini alienati possono picchiarsi fino a tornare a “sentire” qualcosa. Questo club si evolve rapidamente in un movimento sovversivo e terroristico, il Progetto Mayhem.

Come Psycho per gli anni ’60, Fight Club è il thriller psicologico definitivo per la fine del millennio. È un attacco feroce, satirico e nichilista alla mascolinità tossica, al vuoto del consumismo e alla ricerca di un’identità in un mondo che ci vuole tutti uguali. “Siamo stati cresciuti dalla televisione per credere che un giorno saremmo diventati milionari, e dei film, e rock star. Ma non è così”, proclama Tyler.

Il film di David Fincher, con la sua estetica neo-noir e un montaggio frenetico che inserisce fotogrammi subliminali, ci immerge nella psiche frammentata del Narratore. Non sappiamo chi sia, e nemmeno lui. Il colpo di scena (Tyler Durden è un’allucinazione, un alter ego del Narratore stesso) non è solo un trucco. È il punto centrale del film. È la diagnosi di una schizofrenia sociale. Il protagonista ha dovuto letteralmente inventarsi un sé stesso più carismatico, violento e libero per poter sopravvivere in un mondo che lo ha reso insensibile e impotente. L’analisi del film ci rende complici della sua dissociazione, facendoci desiderare di essere Tyler, solo per rivelarci alla fine che Tyler è la malattia, non la cura.

Dementia

Dementia
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Horror, noir, di John Parker, Stati Uniti, 1955.
E' notte. Una donna si sveglia improvvisamente da un incubo in uno squallido hotel dei sobborghi di Los Angeles. Esce dalla stanza e vaga nel quartiere. Incontra un nano che vende giornali con il titolo "Misterioso accoltellamento". In un vicolo buio, un ubriacone la molesta e un poliziotto la salva. Poi incontra un uomo vestito elegantemente con baffi sottili. L'uomo le regala un fiore e la convince a salire sulla limousine con un tizio ricco e grasso. Mentre attraversano la città in automobile l'uomo ripensa ai suoi traumi infantili e al padre violento che lo pugnalò con un coltello dopo che aveva sparato alla madre infedele. Il ricco la porta a divertirsi in diversi locali notturni e poi nel suo appartamento. Prima ignora la donna mentre si ingozza con un pasto abbondante. Lei lo seduce, e lui si avvicina a lei eccitato.

Un incubo visionario ed allucinato, senza dialoghi, durante una notte di una donna sola a Los Angeles. Tra horror, film noir e film espressionista, concepito inizialmente come un cortometraggio da Parker basandosi su un sogno raccontatogli dalla sua segretaria, Barrett, che è diventata anche l'interprete del film. Il film è stato bloccato dal New York State Film Board prima di poter uscire nelle sale cinematografiche nel 1955. Successivamente Jack H. Harris lo ha acquistato e ne ha creato una nuova versione, con un diverso taglio di montaggio, aggiungendo anche una voce fuori campo e cambiando il titolo. Questa è la versione originale.

Senza dialoghi

The Sixth Sense (Il sesto senso) (1999)

Malcolm Crowe è uno stimato psicologo infantile di Philadelphia, la cui vita è segnata dal trauma di un ex paziente che non è riuscito a salvare. Un anno dopo, incontra Cole Sear, un bambino terrorizzato e socialmente isolato. Dopo un’iniziale diffidenza, Cole rivela a Malcolm il suo segreto: “Vedo la gente morta”. Malcolm, credendo di poter redimere sé stesso salvando Cole, cerca di aiutarlo a capire il suo “dono”.

M. Night Shyamalan ha costruito una carriera sul colpo di scena finale, ma con The Sixth Sense ha raggiunto un apice mai più eguagliato. Questo film è un thriller psicologico quasi perfetto che si traveste da film di fantasmi. La vera tensione psicologica non deriva dai fantasmi (che, come Cole impara, sono più tristi e confusi che spaventosi), ma dal profondo trauma emotivo e dall’incomunicabilità che affliggono i due protagonisti, Malcolm e Cole. Sono due anime perse che cercano disperatamente di comunicare.

Il film è un capolavoro di depistaggio visivo e narrativo, ma il suo vero genio risiede nel fatto che il colpo di scena finale (Malcolm è morto fin dalla prima scena) non è solo un trucco intellettuale; è una rivelazione emotiva. Riguardando il film, ogni scena assume un peso tragico e commovente: la freddezza della moglie di Malcolm, il suo silenzio, il fatto che Cole sia l’unica persona con cui interagisce. Il film non ci inganna per il gusto di farlo; ci inganna per farci sentire il dolore del lutto, dell’incomunicabilità e, infine, la liberazione catartica dell’accettazione.

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Memento (2000)

Leonard Shelby sta dando la caccia all’uomo che ha violentato e ucciso sua moglie. La sua missione è resa quasi impossibile da una forma rara di amnesia anterograda: a seguito dell’aggressione, non può più creare nuovi ricordi a lungo termine. Ricorda tutto della sua vita prima dell’incidente, ma dimentica cosa è successo pochi minuti prima. Per orientarsi, si affida a un sistema di tatuaggi, fotografie istantanee e note scritte.

Se I soliti sospetti weaponizza la narrazione, Memento di Christopher Nolan weaponizza la struttura stessa del film. È uno dei thriller psicologici più ambiziosi e strutturalmente complessi mai realizzati. Il film è diviso in due linee temporali: una a colori, che procede all’indietro (mostrando scene in ordine cronologico inverso), e una in bianco e nero, che procede in avanti (mostrando Leonard in una stanza di motel al telefono). Le due linee si incontrano nel finale.

Questa scelta non è un vezzo stilistico, ma un meccanismo geniale per costringere lo spettatore a vivere l’esperienza psicologica di Leonard. Come lui, noi spettatori non sappiamo mai cosa è successo prima della scena che stiamo vedendo. Siamo persi nel presente, incapaci di costruire un contesto affidabile. Questo crea una suspense epistemologica: non ci chiediamo “chi è il cattivo?”, ma “di chi posso fidarmi? Cosa ho fatto cinque minuti fa?”. Memento è un neo-noir che smantella l’idea stessa di identità. Se siamo solo la somma dei nostri ricordi, chi siamo quando non possiamo crearne di nuovi? Il vero orrore psicologico è la rivelazione che Leonard stesso si sta manipolando, intrappolato in un loop di vendetta che forse ha già completato più volte.

Oldboy (2003)

Oh Dae-su, un uomo d’affari coreano ubriacone e sgradevole, viene rapito il giorno del compleanno di sua figlia. Si risveglia in una stanza d’albergo squallida, dove rimane imprigionato per 15 anni, senza mai vedere il suo carceriere o conoscere il motivo della sua cattura. L’unica sua compagnia è una televisione, da cui apprende di essere stato incastrato per l’omicidio di sua moglie. Rilasciato improvvisamente, gli vengono dati cinque giorni per scoprire la verità e vendicarsi.

Il capolavoro di Park Chan-wook, parte della sua “Trilogia della Vendetta”, è una tragedia greca mascherata da thriller ultraviolento. È un film che esplora la psicologia della vendetta in un modo così viscerale e filosofico da lasciare senza fiato. Mentre Memento parla della perdita di memoria, Oldboy parla del peso della memoria e delle conseguenze di un singolo atto dimenticato.

Il cattivo del film, il ricco e glaciale Lee Woo-jin, non vuole semplicemente uccidere Dae-su; vuole che lui capisca perché la sua vita è stata distrutta. L’intero, elaboratissimo piano del cattivo è un esperimento psicologico. Ha imprigionato Dae-su per 15 anni non solo per punirlo, ma per trasformarlo in un mostro, per concentrare tutta la sua esistenza in un unico, puro desiderio di vendetta. Il colpo di scena finale è uno dei più devastanti e moralmente ripugnanti della storia del cinema, una rivelazione che non uccide il corpo, ma annienta l’anima, costringendo il protagonista a una punizione psicologica inimmaginabile. È un thriller che pone la domanda: la verità può essere peggiore della prigionia?

Black Swan (Il cigno nero) (2010)

Nina, una ballerina tecnicamente perfetta ma emotivamente repressa in una prestigiosa compagnia di New York, ottiene il ruolo della vita: la Regina dei Cigni ne “Il Lago dei Cigni”. La parte richiede di interpretare sia l’innocente e fragile Cigno Bianco che il sensuale e oscuro Cigno Nero. Sotto la pressione di una madre soffocante, di un regista manipolatore e di una nuova, disinibita rivale, Lily, Nina sprofonda in un abisso di paranoia, autolesionismo e allucinazioni.

Come anticipato, Black Swan è un esempio perfetto di horror psicologico, ma la sua inclusione qui è fondamentale per capire i confini del genere. A differenza di un thriller puro, dove la minaccia è esterna (un killer, un rapitore), le minacce in Black Swan sono quasi interamente internalizzate. Le sue ferite si muovono da sole, la sua rivale Lily sembra a tratti essere solo una proiezione della sua sessualità repressa, e la sua stessa pelle si trasforma. Sono le sue paure interiori e la sua repressione che si esteriorizzano in modo grottesco.

Il film di Darren Aronofsky utilizza magistralmente la struttura e il ritmo di un thriller psicologico (la suspense, la tensione della competizione, l’invidia, la rivale minacciosa) per raccontare una storia di body horror e disintegrazione mentale. La “pressione” per la perfezione artistica è l’evento esterno che scatena l’implosione. È un film sulla perdita dell’io nella ricerca della perfezione, un viaggio terrificante nella psiche di un’artista che deve distruggere sé stessa per poter creare.

Gangsters in agguato

Gangsters in agguato
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Thriller, noir, di Lewis Allen, Stati Uniti, 1955.
Una residenza si trova in cima a una collina che guarda in basso sul terminal dove è prevista la fermata del treno governativo nella città di Suddenly: è un ottimo punto da cui uccidere il presidente degli Stati Uniti quando il treno si ferma. Un gruppo di uomini si presenta in città fingendo di essere rappresentanti del governo ma in realtà sono assassini, guidati dall'insensibile John Baron, che si impadronisce della casa e tiene in ostaggio i membri della famiglia, con l'intenzione di sparare al presidente da una finestra che si affaccia sulla stazione ferroviaria. Lo sceriffo Tod Shaw arriva con Dan Carney, il rappresentante dei servizi segreti responsabile della protezione del capo di stato. Quando lo fa, Baron ed i suoi gangster sparano a Carney e un proiettile ferisce il braccio sinistro di Shaw.

Il senso di claustrofobia e disperazione scatenato dagli assassini è completamente amorale e totalmente opposto allo stile che si trova in film non noir che raccontano di redenzione. Non ci sono ragioni fornite riguardo all'assassinio: l'intero racconto funziona come un vero e proprio incubo che turba la serenità di una piccola città. La famiglia Benson non sarà più la stessa. Lo scrittore Richard Sale ha avuto la sua idea per la breve storia che è stata alla base del film da articoli sul giornale sui viaggi del presidente Dwight D. Eisenhower a Palm Springs, in California, in treno. Le scene esterne sono state girate a Saugus, in California, che attualmente fa parte della città di Santa Clarita. La stazione di Saugus è stata chiusa definitivamente nel 1978, tuttavia i residenti del quartiere hanno conservato l'edificio storico, dove ora c'è un museo.

LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano

Shutter Island (2010)

Nel 1954, l’agente federale Teddy Daniels e il suo nuovo partner, Chuck Aule, si recano all’Ashecliffe Hospital, un manicomio criminale situato su un’isola remota e battuta dalle tempeste, per indagare sulla misteriosa scomparsa di una paziente pluriomicida. Teddy, perseguitato dai ricordi della liberazione di Dachau e dalla morte della moglie, si trova a combattere non solo i medici sospetti e i pazienti reticenti, ma anche una realtà che inizia a sgretolarsi sotto i colpi di un uragano e dei suoi stessi traumi.

Il thriller psicologico di Martin Scorsese è un gotico moderno sontuoso e opprimente che esplora il tema del rifiuto. È un film costruito interamente sul trauma e sul meccanismo di difesa psicologico più potente: la negazione. L’intera indagine, la cospirazione sugli esperimenti di controllo mentale, l’uragano, il paziente misterioso: tutto è un costrutto elaborato. Scorsese dissemina il film di indizi visivi e narrativi (piccole incongruenze, sogni ad occhi aperti) che ci dicono costantemente che ciò che vediamo non è la realtà oggettiva.

Shutter Island è il Memento del trauma. Se il protagonista di Nolan non può costruire nuovi ricordi, quello di Scorsese ha costruito una realtà alternativa complessa per non dover affrontare un singolo ricordo intollerabile. Il colpo di scena non è semplicemente che lui è un paziente e che l’indagine è una messinscena terapeutica. Il vero, devastante colpo di scena psicologico è la sua scelta finale. La sua ultima frase: “Cosa sarebbe peggio? Vivere da mostro o morire da uomo perbene?”. È la rara volta in cui il protagonista comprende la sua psicosi e, trovando la verità insopportabile, sceglie consapevolmente l’oblio.

Gone Girl (L’amore bugiardo) (2014)

Nel giorno del loro quinto anniversario di matrimonio, Nick Dunne torna a casa e scopre che sua moglie, Amy, è scomparsa. La scena del crimine suggerisce una colluttazione. La scomparsa della “Fantastica Amy”, autrice di una celebre serie di libri per bambini, diventa un caso mediatico nazionale. Sotto la pressione della polizia e di un circo mediatico famelico, l’immagine della loro unione felice va in frantumi. Le bugie di Nick e il suo strano comportamento portano tutti a chiedersi: Nick Dunne ha ucciso sua moglie?

Il terzo film di David Fincher in questa lista dimostra la sua maestria nel genere. Gone Girl è una critica feroce, cinica e nerissima al matrimonio moderno e alla natura performativa dell’identità nell’era dei media. Il film è diviso in due parti. La prima è un thriller procedurale teso: il marito apatico è il sospettato numero uno? La seconda metà, dopo la scioccante rivelazione che Amy è viva e ha inscenato tutto, diventa un gioco psicologico perverso tra due sociopatici.

Il cuore pulsante del film è il monologo della “Cool Girl”. Amy non è solo una psicopatica; è una creazione sociale che si ribella nel modo più distruttivo possibile. Ha passato la vita a interpretare il ruolo della donna perfetta, disinvolta e accondiscendente per compiacere gli uomini, e ora usa quella stessa capacità di storytelling (come Keyser Söze) per distruggere il marito. L’analisi del film esplora come Amy manipoli la psicologia dei media e l’opinione pubblica per creare una narrazione che la rende intoccabile. È un thriller sulla guerra psicologica che si combatte dietro la facciata della vita domestica perfetta.

Get Out (Scappa) (2017)

Chris, un giovane e talentuoso fotografo afroamericano, si prepara per un weekend fuori porta per incontrare per la prima volta i genitori della sua ragazza bianca, Rose Armitage. Il weekend inizia con un’accoglienza fin troppo accomodante e “progressista” da parte dei genitori di lei, un neurochirurgo e una psichiatra. Ma una serie di scoperte inquietanti, l’ipnosi della madre e uno strano raduno di ospiti bianchi conducono Chris a una verità terrificante e inimmaginabile.

Con il suo film d’esordio, Jordan Peele ha ridefinito il genere, usando la struttura del thriller psicologico come veicolo per una potente critica sociale sul razzismo. Get Out è un capolavoro di gaslighting sociale. Il vero terrore che Chris sperimenta all’inizio non deriva da minacce esplicite, ma dalle micro-aggressioni quotidiane, dai commenti fuori luogo, dal liberalismo bianco performativo della famiglia, che lo fa sentire costantemente a disagio. Gli dicono che la sua paranoia è solo paranoia, finché non è troppo tardi.

Il “Sunken Place” (il “luogo sommerso”) in cui la madre di Rose lo imprigiona con l’ipnosi è forse la metafora visiva più potente della psicologia moderna apparsa al cinema. È la paralisi dell’impotenza; è essere urlanti e silenziati mentre qualcun altro controlla il tuo corpo e la tua identità. È l’esperienza storica della repressione afroamericana trasformata in un meccanismo di thriller. Get Out dimostra che il thriller psicologico più terrificante è quello che non ha bisogno di inventare mostri, perché i mostri sono già radicati nella nostra società.

M – Il mostro di Dusseldorf (1931)

A Berlino, un gruppo di bambini sta giocando nel cortile di un appartamento, qualcuno intona un canto riguardante un assassino di bambini. Una donna apparecchia la tavola per il pranzo, in attesa che la figlia torni a casa da scuola. Un manifesto avverte di una serie impressionante di bambini scomparsi, mentre mamme e papà ansiosi aspettano fuori da una scuola.

La piccola Elsie Beckmann lascia la scuola, facendo rimbalzare una palla mentre torna a casa. Un uomo si offre di comprarle un palloncino da un venditore ambulante cieco, poi parla e cammina con lei. Il posto di Elsie a tavola rimane vuoto, la sua palla viene mostrata rotolare via sull’erba e il suo palloncino si perde tra le linee telefoniche sospese nella città.

Beckert invia una lettera anonima ai giornali, prendendosi il merito degli omicidi dei bambini e promettendo che ne commetterà altri; la polizia estrae indizi dalla lettera, utilizzando le nuove tecniche di rilevamento delle impronte digitali e analisi della grafia. L’ispettore Karl Lohmann, capo della squadra omicidi, incarica i suoi uomini di intensificare la ricerca e di controllare i registri dei pazienti in terapia psichiatrica recentemente rilasciati, concentrandosi su quelli con una storia di violenza contro i bambini. Organizzano frequenti incursioni per interrogare noti criminali, interrompendo così gravemente gli affari della malavita. Der Schränker (Lo scassinatore) convoca una riunione dei signori del crimine della città.

Beckert vede una ragazza nel riflesso della vetrina di un negozio e inizia anche a seguirla, ma smette quando la bambina incontra sua madre. Si imbatte in un’altra bambina e fa amicizia con lei, tuttavia il venditore cieco riconosce i suoi fischi. Il venditore informa un suo amico, che trova Beckert e lo vede all’interno di un negozio. Mentre i due escono per strada, l’uomo segna una grande “M” (per Mörder, “assassino” in tedesco) sulla sua mano e si scontra con Beckert, segnando il retro del suo soprabito in modo che altri mendicanti possano rintracciarlo. La ragazza nota il gesso e provvede a pulirlo per lui, ma prima che lei lo completi, Beckert capisce di essere visto e scappa.

Il film è incentrato sulla caccia all’uomo del personaggio di Lorre, il mostro di Dusseldorf, eseguita sia dalla polizia che dalle gang criminali.

La sceneggiatura del film è stata scritta da Fritz Lang e sua moglie Thea von Harbour ed è stato il primo film sonoro del regista. Presenta diverse innovazioni cinematografiche strepitose, incluso l’uso di lunghe inquadrature fluide, e anche un leitmotiv musicale, “In the Hall of the Mountain King”, fischiato dal personaggio di Lorre. Considerato oggi un film cult da vedere assolutamente, il film è stato considerato da Lang la sua opera più importante. È ampiamente preso in considerazione uno dei migliori film di sempre, e anche un’opera indispensabile sul reato penale moderno e anche sulla narrativa thriller.

La casa rossa

La casa rossa
Ora disponibile

Thriller, noir, di Delmer Daves, Stati Uniti, 1947.
Una giovane ragazza di nome Meg vive con suo fratello adoptivo Pete e suo padre anziano in una fattoria isolata. La casa è circondata da un bosco e da un terreno apparentemente inaccessibile, noto come "The Red House" (La Casa Rossa). La casa è avvolta da mistero e leggende locali, e la sua presenza getta un'ombra minacciosa sulla vita di Meg e della sua famiglia. Quando Meg inizia a frequentare la scuola, si innamora di Nath, uno dei suoi compagni di classe. La tensione aumenta quando Nath decide di esplorare il terreno della Casa Rossa e cerca di scoprire i segreti celati al suo interno. Ciò provoca la reazione preoccupata e intimidatoria del padre di Meg e di Pete, che sembrano voler nascondere qualcosa di oscuro legato alla Casa Rossa.

La casa rossa è un thriller psicologico che esplora i segreti sepolti del passato della famiglia e il loro impatto sul presente. L'atmosfera cupa e claustrofobica del racconto crea una sensazione di suspense e mistero. Mentre la storia si dipana, emergono i segreti della Casa Rossa e le sue connessioni con la famiglia, portando a rivelazioni scioccanti e a un climax carico di tensione. Il film che mescola elementi di noir e suspense con elementi di dramma familiare. È noto per la sua fotografia suggestiva e per le performance intense del cast ed esplora temi come il senso di colpa, il segreto e la redenzione, con uno sguardo psicologico sulle dinamiche familiari complesse. E' un'opera meno nota del genere thriller psicologico diventato un cult movie nel corso degli anni per la sua trama avvincente e le sue interpretazioni intense.

LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano

I diabolici (1955)

Michel ha una relazione con Nicole Horner, un’insegnante della scuola. Piuttosto che antagonismo, le due donne hanno una relazione piuttosto stretta, basata principalmente sul loro apparente odio reciproco per Michel. È crudele con gli studenti, picchia Nicole e prende in giro Christina per le sue condizioni cardiache.

Minacciando un divorzio per attirare Michel nel condominio di Nicole a Niort, una città a diverse centinaia di chilometri di distanza, Christina lo seda. Le due donne poi lo annegano in una vasca da bagno e, tornando a scuola, scaricano il suo corpo nella piscina abbandonata. Lì l’uomo delle pulizie le dice che Michel aveva alloggiato nella stanza per un po’, ma che era stato visto raramente, se non mai, e non aveva conservato nulla lì.

Nicole vede sul giornale che la polizia ha trovato il cadavere. Quando Christina va all’obitorio, scopre che in realtà non è il corpo di Michel. Questo splendido thriller psicologico è basato sull’originale She Who Was No More (Celle qui n’était plus) di Pierre Boileau e Thomas Narcejac. Il film è stato il decimo film di maggior incasso dell’anno in Francia, ed ha anche ricevuto il Premio Louis Delluc nel 1954.

Clouzot, dopo aver completato The Wages of Fear, ha opzionato i diritti sulla sceneggiatura del film, evitando ad Alfred Hitchcock di realizzare il film. Questo film ha contribuito a motivare la realizzazione di Psycho di Hitchcock. Robert Bloch, autore di Psycho, ha menzionato in un incontro che il suo film horror preferito di tutti i tempi era Les Diaboliques.

Psycho (1960)

Marion Crane (Janet Leigh), un’impiegata di Phoenix, ruba quarantamila dollari e fugge per raggiungere il suo amante. Durante il viaggio, si ferma per la notte in un motel isolato, il Bates Motel, gestito dal timido e introverso Norman Bates (Anthony Perkins) e dalla sua dispotica madre. Regia di Alfred Hitchcock.

È il thriller psicologico per eccellenza e uno dei film più influenti di tutti i tempi. Hitchcock ha riscritto le regole del cinema, scioccando il pubblico con twist imprevedibili (la famosa scena della doccia) e esplorando le profondità della psiche disturbata. È imperdibile perché ha creato un nuovo linguaggio per la suspense, dimostrando che i mostri più terrificanti non sono creature fantastiche, ma si nascondono dietro l’ordinarietà.

Kiss Me Deadly (1955)

Kiss Me Deadly di Robert Aldrich è spesso visto come un cult del fantastico periodo del film noir iniziato nei primi anni Quaranta. Se è così, è anche un preambolo per una nuova generazione di eroi nevrotici che hanno dominato i film noir dei decenni successivi, come l’ex detenuto di Lee Marvin che cerca di trovare la sua sfuggente ricompensa in Point Blank (1967) di John Boorman, o Gene L’isterico detective di Hackman, che finisce per viaggiare letteralmente in tondo nel superbo Night Moves (1975) di Arthur Penn.

Come se anticipasse i futuri personaggi, Mike Hammer (Ralph Meeker), l’eroe del film di Aldrich, è un’incarnazione particolarmente odiosa del ruffiano, una variazione feroce e sgradevole di una tipologia di uomini che si vede in pericolo e sull’orlo dell’estinzione . Hammer è la creazione di Mickey Spillane, le cui storie pulp hanno assunto un tono particolarmente feroce della Guerra Fredda e della società maschilista del dopoguerra.

Hammer ride ad alta voce mentre mitraglia un branco di comunisti. Mike Hammer rappresentava perfettamente il suo creatore, un razzista e anche misogino. L’Uomo dell’Organizzazione definiva un nuovo modo di vivere per lo schiavo salariato del dopoguerra.

Hammer tortura un medico legale anziano che non svelerà informazioni e schiaffeggia un altro vecchio che non accetta una tangente. Colpisce un teppista senza senso sbattendo la sua testa contro un muro, poi, quando l’uomo stordito non si arrende, Hammer lo prende a pugni giù per una rampa interminabile di gradini di cemento. Fa parte di un gruppo di uomini viscidi e invadenti a cui piace umiliare le persone: nessuno si salva nella visione feroce del regista dell’America degli anni Cinquanta.

Repulsion (1965)

Basata su un racconto scritto da Polanski e Gérard Brach, la trama segue Carol, una ragazza alienata che è soggetta a una serie di esperienze orribili. Il film si concentra sul punto di vista di Carol e delle sue allucinazioni e mal di testa mentre entra in contatto con gli uomini. Ian Hendry, John Fraser, Patrick Wymark e Yvonne Furneaux appaiono in ruoli secondari.

Un uomo, Colin, è innamorato di Carol e fa ferventi tentativi di corteggiarla, ma Carol sembra disinteressata. Carol è turbata dalla relazione di Helen con un uomo di nome Michael, che a Carol sembra non piacere.

Carol è turbata da una crepa nel marciapiede quando torna a casa dal lavoro. Colin la incontra, la accompagna a casa e tenta di baciarla diverse volte, ma lei si rifiuta, correndo al piano di sopra e lavandosi forte i denti prima di piangere. Quella notte Helen interroga Carol per aver buttato lo spazzolino da denti di Michael e anche il rasoio elettrico nel water. Al salone di bellezza, Carol diventa sempre più distratta, parlando a malapena con i suoi clienti e colleghi.

Quella notte, Helen e Michael partono per l’Italia in vacanza, lasciando Carol da sola nell’appartamento. Dopo aver provato uno degli abiti di sua sorella, Carol vede una figura scura allo specchio. L’isolamento di Carol inizia a farsi sentire su di lei: manca da tre giorni al lavoro.

Girato a Londra, è il primo film in lingua inglese di Polanski, nonché la seconda produzione di un lungometraggio, dopo Knife in the Water (1962). Il film ha debuttato al Festival di Cannes del 1965 prima di ricevere uscite nelle sale a livello internazionale. Al momento della sua uscita, Repulsion ha ricevuto notevoli consensi dalla critica e attualmente è considerata una delle più grandi opere di Polanski. Il film è stato nominato per un BAFTA Award per la fotografia di Gilbert Taylor.

L'affido - una storia di violenza

L'affido - una storia di violenza
Ora disponibile

Drammatico, thriller, di Xavier Legrand, Francia, 2019.
Miriam Besson e Antoine Besson sono una coppia divorziata. Hanno una figlia che sta per compiere diciotto anni, Joséphine, e un figlio di undici anni, Julien. Miriam vuole tenere il figlio più piccolo lontano da suo padre, che lei accusa di essere un uomo violento. Chiede l'affidamento esclusivo di Julien: il bambino è traumatizzato non vuole più rivedere il padre. Nonostante le richieste di Miriam e le conferme dell'atteggiamento violento di Antoine, il giudice concede l'affidamento condiviso e costringe il bambino a trascorrere i fine settimana con suo padre. Julien vuole proteggere la madre dalla violenza fisica e psicologia di Antoine, ma non ci riesce: l'ossessione dell'uomo è più forte si trasforma di nuovo in violenza.

In L'affido - una storia di violenza Xavier Legrand racconta i personaggi con grande umanità. Una vicenda drammatica in cui il piccolo Julien è destinato a perdere l'ingenuità della sua fanciullezza in una battaglia di sopravvivenza. Il film, girato con una stile sobrio ed intimista, mette in luce una visione amara e senza speranza della natura umana, con gli uomini che pur di sfuggire alla solitudine ed al fallimento, diventano persecutori violenti e assassini. Amore distrutto dalla possessività, odio, rabbia, e distruzione di sé e dell'altro come unica via di uscita. La sofferenza silenziosa di Julien è la testimonianza della violenza contro i più vulnerabili, quella forma intollerabile di violenza che quando diventa evidente è già troppo tardi. A interpretare il padre Antoine è Denis Ménochet, corpo massiccio che minaccia la fragile figura della moglie e del figlio, interpretato con grande naturalezza da Thomas Gioria. Il film nasce come espansione di un cortometraggio realizzato quattro anni prima, Avant que de tout perdre, arricchendo il film con un atmosfera thriller. Le riprese sono effettuate quasi sempre all'altezza del bambino, che scopre lentamente intorno a lui il vuoto e la miseria umana.

LINGUA: italiano

Persona (1966)

Persona, anche se non è esplicitamente un thriller psicologico, potrebbe essere visto e interpretato come tale da molti spettatori. La storia è incentrata su una giovane infermiera di nome Alma (Andersson) e sulla sua paziente, la famosa attrice teatrale Elisabet Vogler (Ullmann), che ha smesso di parlare. Si trasferiscono in un cottage, dove Alma si prende cura di Elisabet, si confida con lei e inizia ad avere difficoltà a distinguersi dalla sua personalità.

Un proiettore inizia a proiettare una raccolta di foto, composta da una crocifissione, un ragno e l’omicidio di un agnello, e un ragazzino si alza in ospedale. Vede un grande schermo con un’immagine sfocata di due donne. Tra le donne potrebbe esserci Alma, una giovane infermiera nominata da un medico per prendersi cura di Elisabet Vogler.

Elisabet è una star del palcoscenico che all’improvviso ha smesso di parlare e anche di muoversi, i medici hanno stabilito che è il risultato della malattia psicologica. Nella struttura medica, Elisabet è angosciata dalle immagini televisive dell’auto-immolazione di un uomo durante la guerra del Vietnam. Alma le legge una lettera del marito di Elisabet che contiene una foto del loro bambino. Il medico ipotizza che Elisabet possa recuperare molto meglio in una casa al mare e la manda lì con Alma.

Al cottage, Alma dice a Elisabet che nessuno le ha mai prestato attenzione in passato. Discute del suo fidanzato, Karl-Henrik. Alma racconta la storia di come, mentre aveva già una relazione con Karl-Henrik, ha preso il sole nuda con Katarina, una donna che aveva incontrato. Apparvero due ragazzi e Katarina iniziò un’orgia. Alma è rimasta incinta, ha abortito e iniziò a sentirsi davvero in colpa.

Alma si reca in comunità per spedire le loro lettere e nota che quella di Elisabet non è sigillata. La legge. La lettera afferma che Elisabet sta “studiando” Alma e discute anche dell’orgia e dell’aborto dell’infermiera. Arrabbiata, Alma accusa Elisabet di usarla. Nella battaglia che ne risulta, minaccia di scottare Elisabet con acqua bollente e si ferma quando Elisabet la implora di non farlo. Questa è la prima volta in assoluto che Alma parla, anche se pensava che Elisabet le avesse mormorato qualcosa in precedenza quando Alma era mezza addormentata. Alma la informa che sa che Elisabet è una persona spregevole; quando Elisabet scappa, Alma la insegue e chiede pietà. Più tardi, Elisabet dà un’occhiata alla famosa fotografia di ebrei arrestati nel ghetto di Varsavia dal Rapporto Stroop.

L’esplorazione del film della dualità, della follia e dell’identità personale è stata interpretata come un riflesso della teoria junghiana della persona e che affronta questioni relative al cinema, al vampirismo, all’omosessualità, alla maternità, all’aborto e ad altri argomenti. È stato anche apprezzato lo stile sperimentale del suo prologo e della narrazione. L’enigmatico film è stato chiamato il Monte Everest dell’analisi psicologica cinematografica; secondo lo storico del cinema Peter Cowie, “Tutto ciò che si dice su Persona può essere contraddetto; sarà anche vero il contrario.

Ingmar Bergman ha realizzato Persona con in mente Ullmann e Andersson per i ruoli principali e l’intenzione di scoprire le le attrici le loro identità. Ha girato il film a Stoccolma e Fårö nel 1965. Nella produzione, i tecnici realizzano effetti facendo uso di fumo e uno specchio per montare una scena e combinare i volti dei protagonisti in post-produzione in una sola inquadratura. Andersson ha voluto inserire un monologo sessualmente esplicito nella sceneggiatura del film e ha riscritto parti di esso.

Blow-up (1966)

Film d’autore esistenzialista e fuori dagli schemi del linguaggio cinematografico fino a quel momento conosciuto, è anche un thriller psicologico con un omicidio, indagini e suspense. È stato il primo film interamente in lingua inglese di Antonioni e vede come protagonista David Hemmings nei panni di un fotografo di moda londinese che crede di aver involontariamente fotografato un omicidio.

Dopo aver trascorso la notte in un dormitorio per senzatetto, dove ha scattato foto per una pubblicazione di immagini d’arte, il fotografo Thomas è in ritardo per un servizio fotografico con la modella Veruschka nel suo laboratorio, il che di conseguenza lo fa ritardare per uno shooting con varie altre modelle più tardi. Annoiato, se ne va, lasciando le modelle e lo staff di produzione. Mentre lascia il laboratorio, due ragazze, aspiranti modelle, chiedono di consultarsi con lui, ma Thomas le evita e va in un negozio di antiquariato.

Una donna, Jane, è furiosa per essere stata fotografata e insegue Thomas, chiede la sua pellicola e alla fine cerca di strappargli la macchina fotografica. Lo raggiunge di nuovo nel suo studio chiedendo disperatamente il film. Lei e Thomas hanno una conversazione e flirtano, ma lui le passa deliberatamente un rullino diverso.

Thomas, interessato al contenuto del rullino, realizza diversi zoom dei fotogrammi in bianco e nero di Jane e del suo amante. Una terza persona si nasconde tra gli alberi con una pistola. Thomas chiama Ron con entusiasmo, affermando che il suo servizio fotografico improvvisato potrebbe aver salvato la vita di un uomo. Thomas viene interrotto da qualcuno che bussa alla porta: sono ancora una volta le due ragazze, con le quali fa delle capriole nel suo studio e flirta.

Al risveglio, scopre che vorrebbero essere fotografate, ma capisce che potrebbero esserci altri indizi nel parco. Un ulteriore esame di una figura in ombra sotto un arbusto fa presumere a Thomas che l’uomo nel parco possa essere stato ucciso, mentre Thomas stava parlando con la donna dietro l’angolo.

Il film è interpretato anche da Vanessa Redgrave, Sarah Miles, John Castle, Jane Birkin, Tsai Chin, Peter Bowles e Gillian Hills, oltre alla modella degli anni ’60 Veruschka. La musica non diegetica del film è stata scritta dal pianista jazz Herbie Hancock, mentre sono presenti anche il gruppo rock degli Yardbirds.

Nella sezione principale della competizione del Festival di Cannes, Blowup ha vinto la Palma d’Oro, la più alta onorificenza del festival. Grande successo di critica e di botteghino, Blowup avrebbe ispirato grandi film successivi, tra cui L’uccello dalle piume di cristallo (1970) di Dario Argento, La conversazione di Francis Ford Coppola (1974) e Blow Out (1981) di Brian De Palma. Nel 2012, Blowup si è classificato al 144° posto nel sondaggio dei critici di Sight & Sound sui più grandi film della storia del cinema.

Il conformista (1970)

Nella Parigi del 1938, Marcello Clerici si prepara ad uccidere il suo ex professore universitario, Luca Quadri, lasciando la sua futura moglie Giulia nella loro stanza di soggiorno. Utilizza spesso un’automobile guidata da Manganiello poiché entrambi inseguono l’insegnante.

Una raccolta di ricordi ritrae Marcello mentre discute con il suo amico cieco Italo dei suoi piani per sposarsi, dei suoi sforzi alquanto scomodi per entrare a far parte della polizia segreta fascista e anche delle sue visite ai suoi genitori: una mamma dipendente dalla morfina nella casa di vacanza in decomposizione della famiglia, così come come suo padre ricoverato in un manicomio.

In un ulteriore flashback, Marcello è visto come un bambino che viene umiliato dai suoi compagni di scuola finché non viene salvato da Lino, un autista. Lino si offre di dargli una pistola e in seguito fa proposte sessuali a Marcello, a cui reagisce prendendo in mano la pistola e sparando su Lino, quindi scappa dalla scena di quello che pensa sia un omicidio.

Marcello, in confessione, ammette al sacerdote di aver commesso molti peccati gravi, tra cui il rapporto omosessuale e il successivo omicidio di Lino, il sesso prematrimoniale e la sua assenza di colpa per questi peccati. Il prete è scioccato, ma assolve rapidamente Marcello quando viene a sapere che attualmente lavora per la polizia segreta fascista, chiamata Organizzazione per la vigilanza e la repressione dell’antifascismo.

Il film è interpretato da Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Gastone Moschin, Enzo Tarascio, Fosco Giachetti, José Quaglio, Dominique Sanda e Pierre Clémenti. Il film è stato una coproduzione di società cinematografiche italiane, francesi e anche della Germania occidentale. Bertolucci ambienta il film negli anni ’30 nello stile legato all’era fascista: le sale attraenti della borghesia così come i grandi saloni dell’élite dominante.

The Shining (1980)

Jack Torrance (Jack Nicholson), scrittore in crisi e con un passato di alcolismo, accetta il lavoro di custode invernale all’Overlook Hotel, un albergo isolato sulle montagne del Colorado. Insieme alla moglie Wendy (Shelley Duvall) e al figlio Danny (Danny Lloyd), dotato di poteri psichici, Jack si ritrova presto ad affrontare le forze maligne del luogo, che lo spingono lentamente alla follia. Regia di Stanley Kubrick.

Tratto dal romanzo di Stephen King, è un capolavoro del thriller psicologico e dell’horror. Kubrick costruisce una tensione claustrofobica e una paranoia crescente attraverso la fotografia, il montaggio e la performance iconica di Jack Nicholson. È un film imperdibile perché scava nel lato oscuro della paternità, della follia e del trauma, dimostrando come un ambiente isolato possa amplificare i demoni interiori.

La strada scarlatta

La strada scarlatta
Ora disponibile

Thriller, di Fritz Lang, Stati Uniti, 1945.
Lang riprende il cast e il triangolo ambiguo di "La donna del ritratto" e realizza uno dei suoi migliori film, raccontando una storia di colpa e degradazione. Un anziano impiegato di banca, Christopher Cross, ha una moglie insopportabile ed un solo passatempo: la pittura. Un giorno incontra una donna, Kitty, che comincia a sfruttarlo scoprendo che i quadri che il cassiere dipinge possono essere venduti a buon prezzo.

LINGUA: italiano
SOTTOTITOLI: inglese

Vestito per uccidere (Dressed to Kill) (1980)

Kate Miller (Angie Dickinson), una casalinga frustrata, ha un’avventura con uno sconosciuto ma viene brutalmente assassinata in un ascensore. Il figlio Peter (Keith Gordon), una prostituta (Nancy Allen) testimone del delitto, e il suo psichiatra (Michael Caine) si ritrovano coinvolti in un labirinto di inganni e identità ambigue, in cui un killer misterioso li perseguita. Regia di Brian De Palma.

È un omaggio esplicito ad Alfred Hitchcock (in particolare a Psycho) ma con una sensibilità più esplicita e barocca tipica di De Palma. È un thriller psicologico elegante, sensuale e ad alta tensione, famoso per le sue sequenze di suspense magistrali e per i suoi colpi di scena. È da non perdere per la sua audacia stilistica, l’erotismo e per come gioca con i temi del voyeurismo e dell’identità sessuale.

Blow Out (1981)

Jack Terry (John Travolta), un tecnico del suono che lavora per film a basso costo, registra per caso il rumore di uno sparo e di un incidente d’auto. Salva la donna a bordo, Sally (Nancy Allen), e scopre che l’incidente, in cui muore un candidato presidenziale, potrebbe non essere stato accidentale. Inizia così a indagare. Regia di Brian De Palma.

È un capolavoro di Brian De Palma, un thriller paranoico e visivamente brillante, fortemente influenzato da Blow-Up di Antonioni e dal Watergate. È un film imperdibile per la sua suspense crescente, il montaggio virtuoso e per come esplora i temi della verità, della manipolazione e dell’impotenza di fronte a una cospirazione. Il finale è uno dei più struggenti e indimenticabili del cinema.

Velluto blu (1986)

Il film riguarda un giovane studente universitario che, tornando a casa per visitare il padre malato, scopre un orecchio umano mozzato in un campo che lo porta a scoprire una vasta cospirazione criminale e ad entrare in una relazione romantica con un cantante in difficoltà.

Jeffrey trova un orecchio umano e lo consegna al detective della polizia John Williams. La figlia di Williams, Sandy, che gli dice che l’orecchio appartiene a una cantante di nome Dorothy Vallens. Incuriosito, Jeffrey entra nell’appartamento di Dorothy fingendosi uno ladro e ruba una chiave di riserva mentre è distratta da un uomo con un caratteristico cappotto sportivo giallo, che Jeffrey soprannomina “l’uomo giallo”.

Jeffrey e Sandy assistono allo spettacolo di Dorothy, in cui canta “Blue Velvet”, e se ne vanno presto in modo che Jeffrey possa infiltrarsi nel suo appartamento. Dopo che Frank se ne va, Jeffrey sgattaiola via e cerca conforto da Sandy.

Dopo aver scoperto che Frank ha rapito il marito di Dorothy, Don, e la piccola Donnie, per costringerla alla schiavitù sessuale, Jeffrey crede che Frank abbia tagliato l’orecchio a Don per intimidirla fino alla sottomissione. Jeffrey inizia una relazione sessuale sadomasochistica in cui Dorothy lo spinge a picchiarla. Jeffrey vede Frank andare allo spettacolo di Dorothy e in seguito lo osserva mentre commercializza farmaci e una conferenza con l’Uomo Giallo.

Dopo il fallimento del suo film Dune del 1984, David Lynch tentò di sviluppare una “storia personale”, in qualche modo caratteristica dello stile surrealista mostrato nel suo primo film Eraserhead (1977). Lo studio indipendente De Laurentiis Entertainment Group, all’epoca di proprietà del produttore cinematografico italiano Dino De Laurentiis, accettò di finanziare e produrre il film.

Il film è valso a Lynch la sua seconda nomination all’Oscar come miglior regista e ha raggiunto lo status di film cult. Pubblicazioni tra cui Sight & Sound, Time, Entertainment Weekly e BBC Magazine lo hanno classificato tra i più grandi film americani di sempre. Nel 2008 è stato scelto dall’American Film Institute come uno dei più grandi film gialli mai realizzati.

Seven (Se7en) (1995)

Due detective, il cinico veterano William Somerset (Morgan Freeman) e il giovane e impulsivo David Mills (Brad Pitt), indagano su una serie di efferati omicidi. Scoprono presto che il serial killer (Kevin Spacey) agisce seguendo il tema dei Sette Peccati Capitali, trasformando ogni delitto in un’orribile lezione morale. Regia di David Fincher.

È un neo-noir teso, claustrofobico e brutalmente efficace, che ha ridefinito il genere del thriller investigativo. La suspense non deriva solo dall’identità del killer, ma dalla sua macabra intelligenza e dalla sua visione distorta del mondo. È un film imperdibile per la sua atmosfera cupa, il finale scioccante e la sua capacità di scavare nelle profondità più nere della psiche umana, lasciando un’impressione duratura.

Le mani dell'altro

Le mani dell'altro
Ora disponibile

Orrore, poliziesco, di Robert Wiene, Austria 1925.
Orlac, pianista famoso, è su un treno che deraglia e perde le sue preziose mani nell'incidente. Si tenta un rimedio estremo: un trapianto di due mani nuove. Sfortunatamente esse appartengono ad un assassino. Una volta venuto a conoscenza di chi erano le sue nuove mani Orlac inizia con loro un rapporto conflittuale e si rifiuta di usarle. A complicare la situazione c'è l'assassinio del padre, a cui sua moglie si era rivolta per un prestito di denaro. Le mani dell'altro è uno degli ultimi capolavori del cinema espressionista di cui Robert Wiene aveva realizzato il film manifesto, Il gabinetto del dottor Caligari. Film sulla doppia personalità, interpretato dal volto spettrale di Conrad Veidt, ebbe un ottimo successo di pubblico alla sua uscita.

Spunto di riflessione
Se non usi la tua energia in modo creativo quella stessa energia diventerà dannosa e distruttiva. Un uomo che ha una grande energia e non la può esprimere in modo creativo crea distruzione. Se non permetti al tuo lato più prezioso di crescere precipita nell'oscurità. Adolf Hitler voleva fare il pittore ma gli fu rifiutato l'ingresso alla scuola d'arte.

LINGUA: inglese (didascalie)
SOTTOTITOLI: italiano

Il Sesto Senso (The Sixth Sense) (1999)

Malcolm Crowe (Bruce Willis), un famoso psicologo infantile, cerca di aiutare Cole Sear (Haley Joel Osment), un bambino disturbato che afferma di vedere e parlare con i morti. Mentre Malcolm tenta di capire la natura del dono o della malattia di Cole, i due sviluppano un legame profondo. Regia di M. Night Shyamalan.

È il thriller psicologico per eccellenza per l’elemento soprannaturale e per il suo leggendario colpo di scena finale, che ha sconvolto e fatto riconsiderare l’intero film a milioni di spettatori. È un film imperdibile perché, al di là del twist, è una storia toccante sul trauma infantile, la perdita e la comunicazione, costruita con una suspense sottile e un’atmosfera inquietante.

Mulholland Drive (2001)

Il film racconta la storia di un’ambiziosa attrice di nome Betty Elms (Watts), da poco tempo arrivata a Los Angeles, che incontra una donna (Harring) che si sta riprendendo da un incidente. La storia racconta numerose altre situazioni e personaggi, incluso un regista di Hollywood.

Una donna dai capelli scuri è l’unica sopravvissuta a un incidente automobilistico a Mulholland Drive, una strada tortuosa sulle colline di Hollywood. Ferita e sotto shock, arriva a Los Angeles e si infila in un appartamento. Più tardi, la mattina presto, un’ambiziosa attrice di nome Betty Elms raggiunge la casa, che è abitata da sua zia Ruth. Betty è sorpresa di trovare la donna, che ha una perdita di memoria e si fa chiamare “Rita” dopo aver visto un poster del film Gilda con Rita Hayworth. Per aiutare la donna a ricordare la sua identità, Betty cerca nella borsa di Rita, dove trova una grande quantità di denaro e un’insolita chiave blu.

In un ristorante chiamato Winkie’s, un uomo racconta a un altro di un problema in cui immaginava di incontrare una figura orribile dietro la tavola calda. Quando esplorano il luogo, il mostro appare improvvisamente, facendo crollare scioccato l’uomo che ha avuto l’incubo. Altrove, il regista Adam Kesher fa requisire il suo film dai mafiosi, che insistono sul fatto che abbia scelto un’attrice non identificata di nome Camilla Rhodes come protagonista. Adam ritorna a casa per scoprire che la sua partner Lorraine lo tradisce con Gene. Quando i mafiosi bloccano la sua linea di credito, Adam si organizza per incontrare uno strano cowboy, che lo esorta in modo criptico a scegliere Camilla per il suo film. Nel frattempo, un sicario pasticcione tenta di sgraffignare un libro pieno di numeri di telefono e lascia anche tre persone morte.

Un agente di casting porta Betty in un teatro di posa in cui viene scelto il film The Sylvia North Story, diretto da Adam. Betty e Rita vanno all’appartamento di Diane Selwyn, dove una vicina dice loro che ha cambiato appartamento con Diane. Preoccupati, tornano all’appartamento di Betty, dove Rita si traveste con una parrucca bionda.

La coproduzione franco-americana è stata originariamente concepita come un pilota televisivo e gran parte del film è stata girata nel 1999 con il piano di David Lynch di mantenerla aperto per una potenziale serie. Lynch ha quindi fornito un finale al progetto, rendendolo un lungometraggio. Il risultato per metà pilota e per metà lungometraggio, insieme al caratteristico stile surrealista di Lynch, ha lasciato aperto all’interpretazione il significato generale degli eventi del film.

Classificato come thriller psicologico, Mulholland Drive è valso a Lynch il Prix de la mise en scène (Premio per il miglior regista) al Festival di Cannes 2001, condividendo il premio con Joel Coen per L’uomo che non c’era. Lynch ha anche ottenuto un’elezione all’Oscar come miglior regista. Il film ha rafforzato in modo significativo la fama della Watts ed è stato anche l’ultimo lungometraggio della star di Hollywood Ann Miller.

Mulholland Drive è generalmente considerato tra le migliori opere di Lynch; è stato classificato 28 ° nel sondaggio 2012 dei critici cinematografici di Sight & Sound sui migliori film mai realizzati, oltre a classificarsi in un sondaggio della BBC del 2016 sui migliori film del 2000.

Il cigno nero (2010)

La storia si concentra su una produzione del balletto Il lago dei cigni di Tchaikovsky da parte della compagnia del New York City Ballet. Lo spettacolo prevede che una ballerina interpreti l’innocente e delicato White Swan, per il quale la ballerina professionista Nina Sayers (Portman) si adatta perfettamente, oltre all’oscuro e anche sensuale Black Swan, che sono qualità meglio incarnate dalla rivale Lily (Kunis). Nina è sconcertata da una sensazione di immenso stress quando scopre di portare a termine il proprio dovere, facendole perdere il senso della realtà e cadere nella follia.

Nina Sayers è una giovane donna che vive con la madre iperprotettiva, Erica, un’ex ballerina, e balla con una compagnia di New York City. Nina fa un’audizione per i ruoli e fa una prova impeccabile nei panni di Odette, ma non riesce a interpretare Odile. Nina chiede a Thomas di rivalutare il suo ruolo. Quando lui la bacia con la forza, lei lo morde e scappa dal suo posto di lavoro.

Più tardi quel giorno, Nina vede la lista di controllo del cast e scopre con sopresa di aver ricevuto i ruoli principali. A un gala che celebra il nuovo spettacolo, una Beth ubriaca l’accusa di aver fornito favori sessuali a Thomas in cambio del ruolo. Thomas crede che Beth stesse tentando il suicidio. Nina vede Beth dopo un incidente in ospedale e vede anche che le sue gambe sono state gravemente ferite, il che implica che sicuramente non avrà più la capacità di esibirsi come ballerina.

La sceneggiatura è stata scritta da Mark Heyman, John McLaughlin e Andres Heinz, basata su una storia iniziale di Heinz. Il film è interpretato da Natalie Portman, Vincent Cassel, Mila Kunis, Barbara Hershey e anche Winona Ryder.

Il regista ha considerato Black Swan un pezzo da accompagnamento al suo film del 2008 The Wrestler, con entrambi i film che raccontano di performance impegnative per diversi tipi di arte. Portman e Kunis si sono formati in danza classica per diversi mesi prima dell’inizio delle riprese.

Shutter Island (2010)

Nel 1954, il maresciallo federale Teddy Daniels (Leonardo DiCaprio) e il suo partner Chuck Aule (Mark Ruffalo) vengono inviati a Shutter Island, un remoto manicomio criminale su un’isola isolata, per indagare sulla misteriosa scomparsa di una paziente. Ma sull’isola nulla è come sembra e Teddy si ritrova a confrontarsi con i suoi demoni personali. Regia di Martin Scorsese.

È un thriller psicologico labirintico e claustrofobico, un omaggio al film noir e all’horror gotico. Scorsese crea un’atmosfera di paranoia e disorientamento visivamente sbalorditiva, guidando lo spettatore in un viaggio tortuoso nella mente del protagonista. È un film imperdibile per la sua costruzione impeccabile della suspense e per il suo finale ambiguo che sfida la percezione della realtà.

Lo straniero

Lo straniero
Ora disponibile

Thriller, di Orson Welles, Stati Uniti, 1946.
Orson Welles, autore da sempre contro il sistema Hollywoodiano, non amava questo suo film realizzato all'interno degli Studios, ma stranamente è riuscito a realizzare un prodotto commerciale oltre le sue stesse aspettative, riuscendo ad inserire in esso anche il suo stile inconfondibile, lasciandoci un film stupefacente. Nel piccolo paese di Harper, vive Charles Rankin, che sta per sposare la figlia di un importante giudice. Ma Charles Rankin è in realtà Frank Kindle, un criminale del Terzo Reich che si è creato una nuova identità. L’ispettore Wilson è però sulle sue tracce.

Spunto di riflessione
Lascia perdere le falsità. Per un po’ potrai sentire una certa noia, paura o mancanza di motivazione: mentre ciò che è falso scompare ci vuole tempo prima che ciò che è reale si affermi. Ci sarà un periodo di passaggio. Lascia che accada, e resisti. Prima o poi le tue maschere cadranno, le falsità si dissolveranno, e apparirà il tuo vero volto.

LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano

Parasite (2019)

Il film, interpretato da Song Kang-ho, Lee Sun-kyun, Cho Yeo-jeong, Choi Woo-shik, Park So-dam, Jang Hye-jin e Lee Jung-eun, segue una famiglia povera che ha intenzione di essere utilizzata dai membri di una famiglia benestante e penetrare nella loro casa fingendosi individui competenti ed estremamente qualificati.

La famiglia Kim, il padre Ki-taek , la madre Chung-sook, la figlia Ki-jung e il figlio Ki-woo, vive in un piccolo appartamento seminterrato a Seoul, hanno un lavoro temporaneo a bassa retribuzione nel piegare scatole della pizza e lottano per sbarcare il lunario. Partendo per studiare all’estero e sapendo che il suo amico ha bisogno di soldi, un amico suggerisce a Ki-woo di fingere di essere uno studente universitario per assumere il suo lavoro di tutor di inglese per la figlia della ricca famiglia Park, Da-hye.

La famiglia Kim progetta di trovare un lavoro a ciascun membro della famiglia fingendosi lavoratori indipendenti e altamente qualificati per diventare servitori dei Park. Ki-jung finge di essere “Jessica” e, usando Ki-Woo come riferimento, diventa un’arte-terapeuta del giovane figlio dei Park, Da-song.

Quando i Park partono per una gita in campeggio, i Kim si divertono nei lussi della residenza prima che Moon-gwang appaia bruscamente alla porta, dicendo a Chung-sook di aver lasciato qualcosa nel seminterrato. Moon-gwang li filma sul suo telefono e minaccia di esporre il loro stratagemma ai Park.

Un temporale estremo porta presto a casa i Parks, così i Kim si affrettano a riordinare la casa e imprigionare Moon-gwang e Geun-sae prima del loro ritorno. I Kim nascondono Geun-sae e Moon-gwang nel seminterrato. La signora Park espone a Chung-sook che Da-song ha avuto un’esperienza traumatica che gli ha provocato convulsioni in una precedente festa di compleanno, quando ha visto un “fantasma” – in realtà Geun-sae – emergere dal seminterrato durante la notte. Prima che i Kim decidano di uscire allo scoperto, sentono i commenti sbrigativi del signor Park sull’odore di Ki-taek. I Kim trovano la loro casa allagata dall’acqua del sistema fognario a causa del forte temporale e sono costretti a rifugiarsi in una palestra con vari altri sfollati.

Parasite è stato presentato in anteprima al Festival di Cannes 2019 il 21 maggio 2019, dove è stato il primo film sudcoreano a vincere la Palma d’Oro. Il film è considerato da molti critici come il miglior film del 2019 e anche tra i migliori film del 21° secolo. Ha guadagnato oltre $ 263 milioni in tutto il mondo con un budget di $ 15,5 milioni. Tra i suoi numerosi riconoscimenti, Parasite ha vinto ben 4 premi alla 92a edizione degli Academy Awards: miglior film, miglior regista, miglior sceneggiatura originale e miglior film internazionale, diventando il primo film in lingua non inglese a vincere l’Oscar per il miglior film.

Parasite è il primo film sudcoreano a ottenere il riconoscimento dell’Oscar e uno dei 3 film a vincere sia la Palma d’Oro che l’Oscar per il miglior film. Ha vinto il Golden Globe Award per il miglior film in lingua straniera e anche il BAFTA Award per il miglior film non in lingua inglese, ed è anche diventato il primo film in lingua non inglese a vincere lo Screen Actors Guild Award per la performance eccezionale di un cast in un film.

Enemy

Adam Bell è un professore di storia dalla vita monotona e ripetitiva. Un giorno, guardando un film, nota un attore che è il suo perfetto sosia. Ossessionato da questa scoperta, Adam rintraccia il suo doppio, un attore di nome Anthony Claire, e la sua vita precipita in un vortice di paranoia e confusione. L’incontro tra i due uomini innesca una pericolosa battaglia psicologica che coinvolge anche le loro rispettive compagne, minacciando di distruggere le loro esistenze.

Denis Villeneuve, adattando il romanzo “L’uomo duplicato” di José Saramago, crea un thriller psicologico opprimente, avvolto in una fotografia color seppia che riflette lo stato d’animo alienato del protagonista. Enemy non è semplicemente la storia di due sosia; è un’immersione nel subconscio di un uomo in guerra con se stesso. Adam e Anthony non sono due persone distinte, ma le due metà scisse della stessa psiche: il professore represso e insoddisfatto contro l’attore sicuro di sé e infedele.

Il film è disseminato di un simbolismo potente e ambiguo, in particolare l’immagine ricorrente del ragno, che può essere interpretata come una metafora della femminilità opprimente, del controllo o della trappola della vita coniugale da cui il protagonista cerca di fuggire. La celebre e scioccante scena finale non è un colpo di scena fine a se stesso, ma la chiave di volta dell’intero film: rappresenta il ciclo ininterrotto della tentazione e della colpa, la consapevolezza che, nonostante la lotta interiore, la sua natura fedifraga ha vinto di nuovo. Enemy è un’opera che richiede allo spettatore di abbandonare la logica convenzionale per abbracciare un’esplorazione allegorica della dualità, della colpa e dell’identità.

Possession

Mark, una spia, torna a casa nella Berlino Ovest divisa dal Muro e scopre che sua moglie Anna vuole il divorzio. La sua richiesta è inspiegabile e violenta, e la donna inizia a manifestare comportamenti sempre più erratici e terrificanti. Mark, ossessionato, assume un investigatore privato per seguirla, scoprendo che Anna si rifugia in un appartamento fatiscente dove nasconde un segreto mostruoso: una creatura tentacolare con cui ha una relazione simbiotica e sessuale.

Possession di Andrzej Żuławski è un’opera estrema, un’esperienza cinematografica che trascende i generi per diventare un urlo primordiale sul dolore della separazione. Il film è la metafora più viscerale e terrificante mai realizzata sulla fine di un matrimonio. La Berlino divisa dal Muro non è solo uno sfondo, ma lo specchio della frattura insanabile tra i due protagonisti. La performance di Isabelle Adjani è leggendaria, un tour de force fisico ed emotivo che culmina nella famigerata scena dell’aborto spontaneo nel sottopassaggio della metropolitana, un momento di body horror puro che rappresenta la nascita fisica del trauma psicologico.

La creatura che Anna nutre e accudisce è la materializzazione del suo dolore, della sua rabbia e del suo desiderio di creare un partner “perfetto”, un doppelgänger del marito che la possa soddisfare completamente. Il film esplora la dualità in modo radicale: non solo Anna ha una sosia, l’insegnante Helen, ma la creatura stessa si evolve fino a diventare un doppio perfetto di Mark. Possession è un film che non offre alcuna consolazione; è un’immersione totale nel caos emotivo, un horror psicologico che usa l’eccesso e il grottesco per raccontare la disintegrazione dell’amore e dell’identità in modo indimenticabile e straziante.

Pi

Max Cohen è un genio della matematica solitario e paranoico, convinto che tutto in natura possa essere compreso attraverso i numeri. Utilizzando un supercomputer autocostruito, Euclid, cerca di individuare uno schema matematico nel mercato azionario. La sua ricerca lo porta a scoprire un misterioso numero di 216 cifre che sembra essere la chiave dell’universo. Questa scoperta attira l’attenzione sia di un’aggressiva società di Wall Street che di un gruppo di ebrei cabalisti convinti che il numero rappresenti il vero nome di Dio.

Girato in un bianco e nero sgranato e a basso budget, l’esordio di Darren Aronofsky è un thriller intellettuale febbrile e martellante. Pi è un’esplorazione dell’ossessione nella sua forma più pura: la ricerca della conoscenza come via verso la follia. La paranoia di Max non è solo un tratto del suo carattere, ma diventa contagiosa, trasmessa allo spettatore attraverso un montaggio frenetico, una colonna sonora techno-industriale e una regia che ci immerge completamente nella sua mente frammentata.

Il film mette in scena il conflitto tra ordine e caos, razionalità e misticismo. La ricerca di Max di un pattern universale è una metafora della ricerca umana di un senso in un universo apparentemente casuale. Tuttavia, la conoscenza che cerca si rivela proibita, non perché divina, ma perché la mente umana non è in grado di contenerla senza autodistruggersi. L’ossessione di Max non porta all’illuminazione, ma a un dolore fisico e mentale insopportabile. Il finale, in cui Max si trapanerà il cervello per liberarsi del numero e dell’ossessione, è un atto disperato e tragico: l’unica via per la pace è l’oblio, la rinuncia alla conoscenza assoluta. Un’opera prima potente che anticipa tutti i temi cari ad Aronofsky, dalla ricerca della perfezione alla distruzione del corpo.

Mio figlio

Mio figlio
Ora disponibile

Thriller, dramma, di Christian Carion, Francia, 2017.
Julien è sempre in viaggio per lavoro. Le sue continue assenze da casa e l'incapacità di occuparsi di suo figlio Mathys hanno distrutto il suo matrimonio con Marie. Mentre si trova in Francia riceve un'inquietante chiamata dalla sua ex moglie: il loro bambino, che ora ha sette anni, è scomparso mentre faceva un campeggio sulle Alpi. Julien raggiunge subito il luogo della scomparsa e inizia con grande tenacia e determinazione a cercare suo figlio, indagando personalmente.

Partendo da uno spunto narrativo ben consolidato nel genere thriller, Mio figlio del regista francese Christian Carion è un film da non perdere soprattutto per lo stile con cui è stato girato. Concepito fin dall'inizio come un progetto da realizzare quasi in tempo reale, nell'arco di 6 giorni di riprese, il regista utilizza con il suo attore protagonista Guillaume Canet un metodo di improvvisazione radicale: non gli fa leggere nessuna sceneggiatura e gli chiede di vivere la tensione, la suspense e gli imprevisti della finzione come fossero avvenimenti reali, momento dopo momento. L'attore non sa cosa accadrà in ogni scena, reagisce istintivamente agli ostacoli, indaga e ragiona sugli indizi che trova senza conoscere il finale della storia. Il risultato è un film essenziale, immerso in un ambiente poco illuminato, che si regge soprattutto sulla sorprendente autenticità della performance di Canet. Mio figlio non segue lo stereotipo dell'uomo qualunque che è costretto a farsi giustizia da solo: piuttosto è un incubo ad occhi aperti nelle peggiori paure di un genitore.

LINGUA: italiano

Memento

Leonard Shelby soffre di amnesia anterograda: non è in grado di creare nuovi ricordi. L’ultima cosa che ricorda è l’omicidio di sua moglie. Per superare la sua condizione e dare la caccia all’assassino, Leonard si affida a un sistema di polaroid, appunti e tatuaggi sul corpo. La sua indagine lo porta a interagire con personaggi ambigui come Teddy e Natalie, ma la sua memoria frammentata rende impossibile distinguere la verità dalla menzogna e gli amici dai nemici.

Christopher Nolan costruisce un capolavoro di narrazione non lineare che non è un semplice vezzo stilistico, ma la forma stessa del film. Memento si svolge su due linee temporali: una a colori, che procede a ritroso, e una in bianco e nero, che avanza cronologicamente. Le due si incontrano nel finale, svelando una verità sconvolgente. Questa struttura geniale costringe lo spettatore a vivere la stessa disorientante esperienza del protagonista, costretto a ricostruire il puzzle della sua esistenza senza la certezza del passato recente.

Il film è una profonda riflessione sulla natura della memoria, dell’identità e della verità. Nolan ci mostra come la memoria non sia un registro oggettivo degli eventi, ma una narrazione soggettiva che costruiamo per dare un senso alle nostre vite. L’ossessione di Leonard per la vendetta non è una ricerca di giustizia, ma un meccanismo di autoinganno, un loop che lui stesso crea per dare uno scopo a un’esistenza altrimenti vuota. Il vero colpo di scena non è l’identità dell’assassino, ma la rivelazione che Leonard manipola il suo stesso sistema di ricordi per continuare la sua caccia all’infinito. È un thriller psicologico che ci interroga sulla nostra stessa capacità di fidarci di ciò che ricordiamo e, in definitiva, di chi siamo.

Caché (Niente da nascondere)

Georges e Anne Laurent, una coppia borghese parigina, iniziano a ricevere delle videocassette anonime. I nastri mostrano lunghe riprese della loro casa, filmate da un punto di osservazione fisso dall’altra parte della strada. Presto, ai video si aggiungono dei disegni infantili e inquietanti. La sorveglianza si fa sempre più personale, costringendo Georges a confrontarsi con un rimosso della sua infanzia legato a un ragazzo algerino di nome Majid, e minacciando di far crollare la facciata della sua vita perfetta.

Michael Haneke è un maestro nel dissezionare il malessere della borghesia europea, e Caché è una delle sue opere più potenti e ambigue. Il film utilizza il meccanismo del thriller paranoico per esplorare temi molto più profondi: la colpa, la memoria e la rimozione, sia a livello individuale che collettivo. La paranoia di Georges non è solo la paura di essere osservato, ma la paura che il suo passato, e la colpa che ne deriva, torni a galla.

Haneke gioca con lo spettatore, confondendo costantemente il punto di vista della telecamera del film con quello della telecamera anonima, rendendoci complici della sorveglianza. Il film non rivela mai chi manda i nastri, perché non è questo il punto. Le videocassette sono un MacGuffin, un catalizzatore che costringe Georges a fare i conti con un atto di crudeltà infantile legato alla storia coloniale francese e al massacro di Parigi del 1961. La scena del suicidio di Majid è uno dei momenti più scioccanti e indimenticabili del cinema moderno, un’esplosione di violenza che squarcia la superficie controllata del film. L’enigmatico finale, un lungo piano sequenza in cui i figli di Georges e Majid si incontrano, suggerisce che la colpa e le sue conseguenze si trasmettono di generazione in generazione, lasciando lo spettatore con un senso di profondo e irrisolto disagio.

The Vanishing (Spoorloos)

Una giovane coppia olandese, Rex e Saskia, è in vacanza in Francia. Durante una sosta in un’area di servizio, Saskia scompare senza lasciare traccia. Tre anni dopo, Rex è ancora ossessionato dalla sua scomparsa, incapace di andare avanti con la sua vita. La sua ricerca disperata attira l’attenzione del rapitore, un uomo apparentemente normale di nome Raymond, che contatta Rex e gli offre una terribile scelta: potrà scoprire cosa è successo a Saskia solo se accetterà di subire la sua stessa sorte.

The Vanishing di George Sluizer è un anti-thriller, un’opera che sovverte ogni convenzione del genere per creare un’esperienza di terrore esistenziale unica. Il film rivela l’identità del rapitore a metà della narrazione, spostando il focus dal “chi” al “perché”. La vera suspense non risiede nel mistero della scomparsa, ma nella psicologia disturbante di Raymond, un uomo che commette il male non per passione o follia, ma come un esperimento filosofico per testare i confini della propria natura.

Il cuore del film è l’ossessione di Rex. Il suo bisogno di conoscere la verità diventa più forte del suo istinto di sopravvivenza. È questa disperata necessità di chiusura che Raymond sfrutta come arma. Il finale è uno dei più agghiaccianti e nichilisti della storia del cinema. Non c’è catarsi, non c’è giustizia, solo la terribile e soffocante realizzazione della scelta di Rex. The Vanishing non è un film sulla violenza, ma sull’orrore della conoscenza, dimostrando che a volte l’ignoto è preferibile a una verità insostenibile. Un capolavoro che esplora l’abisso della psiche umana con una lucidità terrificante.

Berberian Sound Studio

Gilderoy, un timido e meticoloso ingegnere del suono inglese, viene ingaggiato per lavorare in Italia al missaggio di un film dell’orrore intitolato “Il Vortice Equestre”. Abituato a documentari sulla natura, Gilderoy si trova a disagio nel mondo viscerale e violento del cinema giallo italiano. Mentre è costretto a creare suoni di torture e omicidi utilizzando ortaggi e strumenti di fortuna, la sua sanità mentale inizia a vacillare, e il confine tra la finzione del film e la sua realtà si fa sempre più labile.

Berberian Sound Studio è un omaggio meta-cinematografico e un’immersione sensoriale nel mondo del giallo anni ’70. Il regista Peter Strickland compie una scelta radicale e geniale: non mostrare mai una singola immagine del film su cui Gilderoy sta lavorando. L’orrore è interamente evocato attraverso il suono. Sentiamo urla strazianti, accoltellamenti, annegamenti, ma vediamo solo Gilderoy che pugnala cavoli, spacca cocomeri e fa bollire verdure. Questa dissociazione tra immagine e suono crea un’esperienza profondamente inquietante, che esplora la nostra stessa complicità nel creare e consumare violenza.

Il film è un viaggio nella disintegrazione psicologica. L’isolamento culturale e linguistico di Gilderoy, unito alla natura disturbante del suo lavoro, lo porta a una vera e propria crisi di identità. La paranoia si insinua, le lettere della madre diventano sempre più strane, e la realtà dello studio di registrazione inizia a fondersi con la narrazione del film dell’orrore. Il finale, in cui Gilderoy stesso sembra essere assorbito dal film, con la sua voce doppiata in italiano, è un’affascinante e terrificante riflessione sul potere del cinema di plasmare e distruggere la nostra percezione della realtà. Un thriller cerebrale e unico nel suo genere.

Notte silenziosa, notte di sangue

Notte silenziosa, notte di sangue
Ora disponibile

Horror, di Theodore Gershuny, Stati Uniti, 1972.
Slasher americano del 1972 inedito in Italia, è un horror cult precursore del genere diversi anni prima di Halloween di Carpenter, con una sceneggiatura complessa e le riprese in soggettiva del killer, che hanno ispirato molti film successivi. La sua originalità e la sua narrazione sono ciò che riescono a renderlo una piccola e poco conosciuta perla del genere. Una serie di omicidi in una piccola città del New England alla vigilia di Natale dopo che un uomo eredita una tenuta di famiglia che una volta era un manicomio. Molti dei membri del cast e della troupe erano ex superstar di Warhol: Mary Woronov, Ondine, Candy Darling, Kristen Steen, Tally Brown, Lewis Love, il regista Jack Smith e la laureata Susan Rothenberg.

LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano, francese, spagnolo

Compliance

In un fast food dell’Ohio, la manager Sandra riceve una telefonata da un uomo che si presenta come l’agente Daniels. L’uomo la informa che una giovane impiegata, Becky, è accusata di aver rubato dei soldi a un cliente. Seguendo le istruzioni del presunto poliziotto, Sandra trattiene Becky in ufficio. Quella che inizia come un’indagine di routine si trasforma in un incubo di umiliazioni e abusi psicologici e fisici, mentre Sandra e altri dipendenti obbediscono a ordini sempre più degradanti impartiti per telefono.

Ispirato a una serie di eventi reali, Compliance è un film quasi insopportabile da guardare, ma essenziale nella sua esplorazione della psicologia dell’obbedienza e dell’abuso di potere. Il regista Craig Zobel non crea un thriller convenzionale, ma un dramma claustrofobico che mette a nudo la fragilità dei nostri meccanismi di difesa di fronte a una figura autoritaria, anche quando questa è solo una voce al telefono.

L’orrore del film non risiede nella violenza esplicita, ma nella sua spaventosa plausibilità. Zobel ci mostra come persone comuni, sotto pressione e desiderose di “fare la cosa giusta”, possano diventare complici di atti terribili. Il film è una potente dimostrazione del concetto della “banalità del male” e richiama esperimenti psicologici come quello di Milgram. La passività di Becky e la cieca obbedienza di Sandra non sono segni di stupidità, ma il risultato di una complessa dinamica di potere, manipolazione e paura di sfidare l’autorità. Compliance è un’opera profondamente disturbante che ci costringe a chiederci: cosa avremmo fatto noi al loro posto? La risposta è molto meno rassicurante di quanto vorremmo credere.

Hereditary

Dopo la morte della sua enigmatica madre, l’artista Annie Graham cerca di elaborare un lutto complicato. La sua famiglia, già fragile, viene sconvolta da una seconda, terribile tragedia che colpisce la figlia minore, Charlie. Mentre il dolore consuma la famiglia dall’interno, Annie inizia a scoprire oscuri segreti sul passato di sua madre e sulla sua discendenza, svelando un destino terrificante e ineluttabile che minaccia di distruggere tutti loro.

L’esordio di Ari Aster è un capolavoro del cinema horror contemporaneo, un film che trascende il genere per diventare un devastante dramma familiare mascherato da racconto del soprannaturale. Hereditary è prima di tutto un’esplorazione straziante del lutto e del trauma ereditario. Il soprannaturale non è una forza esterna che invade la famiglia, ma una metafora della malattia mentale, dei segreti e delle disfunzioni che si tramandano di generazione in generazione, come un’eredità maledetta.

La performance di Toni Collette nel ruolo di Annie è monumentale, un ritratto crudo e senza filtri del dolore di una madre che si trasforma in rabbia, colpa e, infine, in follia. Aster costruisce la tensione con una precisione chirurgica, utilizzando le miniature di Annie come un simbolo del controllo e della mancanza di libero arbitrio dei personaggi, intrappolati in un diorama infernale orchestrato da forze più grandi di loro. Il film è un incubo a lenta combustione che esplode in un finale apocalittico e blasfemo, dimostrando che la vera casa infestata non è fatta di mattoni, ma di legami di sangue. L’orrore più profondo non è quello di un demone, ma la consapevolezza di non poter sfuggire al proprio destino familiare.

The Babadook

Amelia, una vedova ancora traumatizzata dalla morte violenta del marito, avvenuta mentre la portava in ospedale per partorire, lotta per crescere da sola il suo difficile figlio di sei anni, Samuel. Una notte, Samuel trova un inquietante libro pop-up intitolato “Mister Babadook” e chiede alla madre di leggerglielo. La storia parla di una creatura mostruosa che, una volta che si è consapevoli della sua esistenza, non può più essere scacciata. Presto, una presenza sinistra inizia a manifestarsi in casa.

Jennifer Kent, al suo esordio alla regia, crea uno dei più intelligenti e toccanti horror psicologici degli ultimi anni. The Babadook non è la storia di un mostro che infesta una casa, ma una potente e terrificante allegoria del lutto represso, della depressione e delle ansie della maternità. Il Babadook non è un’entità esterna, ma la personificazione del dolore e del risentimento che Amelia non ha mai elaborato. È il “mostro” che vive nel seminterrato della sua psiche.

Il film esplora con coraggio il lato oscuro della genitorialità, un argomento spesso tabù. Mostra come il dolore non elaborato possa trasformarsi in una forza distruttiva che minaccia di consumare non solo se stessi, ma anche le persone che amiamo. La lotta di Amelia contro il Babadook è la sua lotta contro i propri demoni interiori. Il finale è emblematico e commovente: il mostro non può essere sconfitto o eliminato, ma può essere affrontato, riconosciuto e confinato. Il lutto, ci dice il film, non scompare, ma si può imparare a conviverci, nutrendolo nel buio per impedirgli di prendere il sopravvento.

Midsommar

Dani, una giovane studentessa, è devastata da una terribile tragedia familiare. Per cercare di superare il trauma, si unisce al suo fidanzato Christian e ai suoi amici in un viaggio in Svezia per partecipare a un leggendario festival di mezza estate in una comune isolata. Quella che inizia come una vacanza idilliaca in una terra di luce solare perenne si trasforma lentamente in un incubo sempre più inquietante e violento, mentre i rituali pagani della comunità si rivelano sinistri.

Dopo Hereditary, Ari Aster si conferma un maestro del “dramma horror” con Midsommar, un film che si svolge quasi interamente alla luce accecante del sole, dimostrando che l’orrore non ha bisogno del buio per prosperare. Il film è una favola folk-horror sulla fine di una relazione tossica e sull’elaborazione del lutto attraverso un’esperienza catartica e terrificante. La comune di Hårga, con i suoi sorrisi, i suoi canti e i suoi fiori, è una metafora di una famiglia disfunzionale che offre a Dani ciò che il suo fidanzato anaffettivo non può darle: un senso di appartenenza e di empatia condivisa.

Il viaggio di Dani è un percorso di emancipazione perverso. Inizialmente vittima del suo dolore e della negligenza emotiva di Christian, trova nella comune una comunità che non solo riconosce la sua sofferenza, ma la condivide fisicamente, urlando e piangendo con lei. Questa empatia radicale, sebbene proveniente da una setta omicida, le offre una forma di liberazione. Il finale, con Dani che sorride mentre il suo ex fidanzato brucia vivo, è tanto disturbante quanto catartico. Midsommar è un’opera visivamente sontuosa e psicologicamente complessa che esplora come il bisogno di una famiglia e di un sostegno emotivo possa portare ad abbracciare l’orrore.

Una vita migliore

Una vita migliore
Ora disponibile

Film drammatico, thriller, di Fabio Del Greco, Italia, 2007.
Roma: Andrea Casadei è un giovane investigatore specializzato in audio intercettazioni che fa indagini commissionate da mariti traditi dalle mogli, o da genitori preoccupati da cosa fanno i propri figli fuori casa. Ma quello che lo interessa di più è comprendere l'animo umano, ascoltare conversazioni casuali nelle strade, conoscere cosa pensa la gente. Si incontra spesso a piazza Navona col suo amico Gigi, artista di strada frustrato e ossessionato dal successo a tutti i costi, con il quale condivide la passione per le intercettazioni. Sconvolto dal mistero della scomparsa di Ciccio Simpatia, un altro artista di strada amico comune, Andrea decide di abbandonare i lavori su commissione per cercare una vita migliore e riflettere sulla propria e altrui esistenza. Incontrerà l’attrice Marina e con una microspia entrerà lentamente nella sua vita fino a scoprirne i segreti più impensabili. Il film tratta un tema importante della società contemporanea occidentale: la mancanza di amore. La figura misteriosa e tormentata di Marina si riflette in una Roma cupa e senza anima. 

Il regista Fabio Del Greco ha dichiarato a proposito di questo suo film: "Forse questo film è una riflessione sull'arte di osservare, di ascoltare, insomma di quello che si fa quando si esce dal mondo reale per raccontarlo. Forse vuole parlare della sottile relazione tra i miraggi di successo propagandati dalla società di oggi, il potere e i rapporti umani più autentici. Uno 'scuro nuvolone' incombe sulla città: sta inglobando tutti in una specie di massa indistinta, uniforme, dove tutti pensano le stesse cose, dove tutti sono più soli. Dov'è finita la parte più vera che ci rende unici? Forse si può provare a intercettarla solo di nascosto."

LINGUA: italiano
SOTTOTITOLI: inglese, spagnolo, francese, tedesco, portoghese

The Killing of a Sacred Deer

Steven Murphy è un brillante chirurgo cardiotoracico con una vita apparentemente perfetta: una moglie oftalmologa, Anna, e due figli adolescenti, Kim e Bob. La sua esistenza ordinata viene sconvolta quando prende sotto la sua ala Martin, un ragazzo strano e insistente il cui padre è morto anni prima sotto i ferri di Steven. Martin lancia una maledizione sulla famiglia del chirurgo: se Steven non ucciderà uno dei suoi familiari per “ristabilire l’equilibrio”, tutti moriranno di una misteriosa malattia che li paralizzerà progressivamente.

Yorgos Lanthimos, maestro del “Greek Weird Wave”, traspone la tragedia greca di Ifigenia in un sobborgo americano asettico e alienante. The Killing of a Sacred Deer è un thriller psicologico gelido e spietato, una parabola sulla colpa, la giustizia e la vendetta. Il film è caratterizzato dallo stile inconfondibile di Lanthimos: dialoghi surreali e monocordi, recitazione straniata e una regia che utilizza grandangoli e inquadrature dall’alto per creare un senso di oppressione e distacco clinico.

Il film esplora il conflitto tra la razionalità della scienza, rappresentata da Steven, e l’irrazionalità di una giustizia arcaica e soprannaturale, incarnata da Martin. Steven, un uomo che gioca a fare Dio in sala operatoria, si rifiuta di accettare la propria fallibilità e la propria colpa (aver bevuto prima dell’operazione fatale). La maledizione di Martin lo costringe a confrontarsi con le conseguenze delle sue azioni in un modo terribile e impossibile. Il climax, in cui Steven è costretto a compiere una scelta atroce, è un momento di puro orrore esistenziale che mette in discussione ogni nozione di moralità e giustizia, lasciando lo spettatore in uno stato di shock e profondo turbamento.

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Dogtooth (Kynodontas)

Una coppia greca tiene i propri tre figli, ormai adolescenti, completamente isolati dal mondo esterno in una villa recintata. I ragazzi non hanno mai lasciato la proprietà e sono stati educati attraverso un sistema di regole bizzarre e un linguaggio distorto, dove parole come “mare” indicano una poltrona e “zombie” un piccolo fiore giallo. L’equilibrio precario di questo mondo chiuso viene minacciato quando il padre introduce una persona esterna, Christina, per soddisfare i bisogni sessuali del figlio.

Con Dogtooth, Yorgos Lanthimos ha dato il via alla “Greek Weird Wave”, un cinema surreale, disturbante e allegorico. Il film è una satira feroce e agghiacciante sulla famiglia, il controllo e l’autorità. La casa non è un rifugio, ma una prigione psicologica dove i genitori, figure patriarcali e oppressive, plasmano la realtà a loro piacimento per proteggere i figli da una presunta corruzione esterna. Il risultato è un esperimento sociale terrificante che genera mostri di innocenza e ignoranza.

L’orrore del film non è soprannaturale, ma profondamente umano e psicologico. Deriva dall’assurdità delle regole, dalla violenza improvvisa e impassibile e dalla totale confusione morale dei ragazzi, che compiono atti di autolesionismo o incesto con la stessa apatia con cui giocano. L’introduzione di Christina, e con lei di elementi della cultura pop come i film di Hollywood, agisce come un virus che infetta il sistema chiuso, innescando un desiderio di fuga. Il finale, in cui la figlia maggiore si mutila per poter uscire, è un’immagine potente e ambigua della disperata e dolorosa ricerca della libertà.

Goodnight Mommy (Ich seh, Ich seh)

In una casa moderna e isolata in campagna, due gemelli di dieci anni, Elias e Lukas, attendono il ritorno della madre. Quando la donna rientra a casa, il suo volto è completamente coperto da bende a seguito di un’operazione di chirurgia estetica. Il suo comportamento è freddo, distante e severo, e i bambini iniziano a dubitare che quella donna sia la loro vera madre. La loro paranoia cresce, spingendoli a legarla e a torturarla per costringerla a rivelare la verità.

Il film austriaco di Veronika Franz e Severin Fiala è un thriller psicologico glaciale e crudele che gioca con la percezione dello spettatore e il tema dell’identità. L’atmosfera è asettica e opprimente, e la casa, con le sue grandi finestre e il suo design minimalista, diventa una prigione di vetro dove la fiducia familiare si disintegra. La maschera di bende della madre è un potente simbolo dell’ignoto che si insinua nel cuore del familiare, trasformando la figura più rassicurante in una fonte di terrore.

Goodnight Mommy è un film che si basa su un colpo di scena devastante, ma la sua forza non risiede solo in esso. È un’esplorazione del lutto e del trauma dal punto di vista distorto di un bambino. La paranoia di Elias non è solo frutto della sua immaginazione, ma un meccanismo di difesa psicologico per affrontare una verità troppo dolorosa da accettare. Il film ci costringe a mettere in discussione ciò che vediamo, confondendo la realtà con l’allucinazione, fino a una rivelazione finale che ridefinisce retroattivamente l’intera narrazione in una chiave ancora più tragica e terrificante. Un’opera che dimostra come l’orrore più profondo possa nascere dal dolore e dall’incapacità di comunicare.

Funny Games

Una famiglia borghese arriva nella sua casa di vacanza sul lago. La loro tranquillità viene interrotta da due giovani, Paul e Peter, vestiti di bianco e dai modi impeccabilmente educati, che si presentano alla porta per chiedere delle uova. Quella che sembra una banale richiesta si trasforma in un incubo sadico, quando i due ragazzi prendono in ostaggio la famiglia e la costringono a partecipare a una serie di “giochi divertenti” per la loro stessa sopravvivenza.

Michael Haneke firma un’opera agghiacciante e provocatoria, un anti-thriller che non mira a intrattenere, ma a criticare la nostra stessa fruizione della violenza mediatica. Funny Games è un film profondamente meta-cinematografico. Paul, uno dei due aguzzini, rompe costantemente la quarta parete, rivolgendosi direttamente allo spettatore, commentando le convenzioni del genere thriller e rendendoci suoi complici. Non c’è una motivazione per la loro violenza; la loro crudeltà è gratuita, fine a se stessa, un riflesso del nostro desiderio di spettacolo.

Il momento più emblematico e radicale del film è quando, dopo che la madre riesce a sparare a uno dei ragazzi, Paul prende un telecomando e “riavvolge” la scena, annullando l’unico momento di catarsi offerto allo spettatore. Haneke ci nega qualsiasi soddisfazione, ci sbatte in faccia la nostra sete di violenza e ci costringe a interrogarci sul perché troviamo divertenti questi “giochi”. Funny Games è un’esperienza cinematografica brutale e intellettualmente onesta, un pugno nello stomaco che ci lascia con un senso di colpa e un profondo disagio, costringendoci a riflettere sul nostro ruolo di spettatori.

Kill List

Jay, un ex soldato diventato sicario, è tormentato da un lavoro fallito a Kiev che lo ha lasciato con cicatrici fisiche e psicologiche. Sotto la pressione della moglie e del suo partner, Gal, accetta un nuovo incarico: una “lista di uccisioni” con tre obiettivi. Man mano che portano a termine i contratti, il lavoro si rivela sempre più strano e inquietante, e la paranoia di Jay lo trascina in una spirale di violenza brutale e in un oscuro mondo di rituali pagani.

Ben Wheatley mescola generi diversi – dal dramma familiare al crime thriller, fino al folk horror – per creare un’opera unica, imprevedibile e profondamente disturbante. Kill List inizia come un ritratto realistico e teso della vita di un uomo che lotta con il disturbo da stress post-traumatico e le difficoltà economiche, per poi trasformarsi lentamente in un incubo lovecraftiano. La violenza nel film è improvvisa, cruda e difficile da guardare, ma non è mai gratuita; è l’espressione della psiche fratturata di Jay.

Il film costruisce un senso di terrore strisciante, suggerendo che c’è qualcosa di molto più grande e sinistro in gioco, un puzzle di cui i protagonisti conoscono solo pochi, sanguinosi pezzi. Le vittime sembrano quasi accogliere la loro morte, ringraziando Jay, un dettaglio che alimenta il mistero e la paranoia. Il finale è un’esplosione di orrore pagano che richiama The Wicker Man, un colpo di scena brutale e nichilista che rivela come Jay non sia mai stato un cacciatore, ma una preda, manipolato fin dall’inizio per diventare una figura sacrificale in un rituale terrificante. Un viaggio senza ritorno nel cuore di tenebra.

The Invitation

Will accetta con riluttanza l’invito a una cena a casa della sua ex moglie, Eden, e del suo nuovo marito. La casa è la stessa in cui vivevano insieme, un luogo infestato dal ricordo della tragica morte del loro figlio. Durante la serata, Will percepisce un’atmosfera strana: gli ospiti sono eccessivamente allegri, e Eden e il suo nuovo compagno parlano con entusiasmo di un gruppo spirituale chiamato “L’Invito”, che li ha aiutati a superare il dolore. La paranoia di Will cresce, ma non riesce a capire se il pericolo sia reale o solo un frutto del suo trauma irrisolto.

Karyn Kusama dirige un thriller psicologico da camera magistrale, un’opera a lenta combustione che costruisce la tensione in modo quasi insopportabile. The Invitation si svolge quasi interamente in un unico ambiente, trasformando una lussuosa villa sulle colline di Hollywood in una trappola claustrofobica. Il film è un’esplorazione acuta del lutto, della negazione e della difficoltà di fidarsi del proprio istinto quando si è emotivamente vulnerabili.

Lo spettatore è intrappolato nella mente di Will, costretto a dubitare della sua percezione. I suoi amici lo accusano di essere paranoico, di non aver superato il suo dolore, e per gran parte del film ci chiediamo se abbiano ragione. Kusama è bravissima a giocare con questa ambiguità, disseminando piccoli indizi inquietanti che potrebbero essere interpretati sia come segnali di un pericolo reale sia come proiezioni della mente traumatizzata di Will. Il finale è un’esplosione di violenza che conferma i peggiori timori del protagonista, ma il vero colpo di genio è l’ultima inquadratura: le lanterne rosse che si accendono in tutta la città, rivelando che l’orrore non era un evento isolato, ma parte di un piano molto più vasto e terrificante.

Get Out

Chris, un giovane fotografo afroamericano, si prepara a incontrare per la prima volta i genitori della sua fidanzata bianca, Rose. Nonostante le sue ansie, la famiglia Armitage si dimostra accogliente e fin troppo progressista. Tuttavia, Chris nota presto strani comportamenti nel personale di servizio nero e negli altri ospiti, che sembrano intrappolati in uno stato di trance. Quello che inizia come un weekend imbarazzante si trasforma in un incubo quando Chris scopre il terrificante segreto che si nasconde dietro i sorrisi della famiglia.

L’esordio alla regia di Jordan Peele è un fenomeno culturale, un thriller psicologico che è al contempo un’acuta e brillante satira sociale sul razzismo liberale e “post-razziale” nell’America contemporanea. Get Out utilizza gli strumenti del genere horror per esplorare l’esperienza afroamericana in una società che, dietro una facciata di tolleranza, nasconde pregiudizi e sfruttamento. La paranoia di Chris non è una malattia, ma un meccanismo di sopravvivenza perfettamente razionale.

Il film è un capolavoro di scrittura e regia, pieno di simbolismi e dettagli premonitori. Il “luogo sommerso” (the sunken place) è una potente metafora della marginalizzazione e della perdita di autonomia, la sensazione di urlare senza essere sentiti. Peele sovverte i cliché dell’horror, trasformando i tranquilli sobborghi bianchi in un luogo di terrore e l’apparente normalità in una minaccia mortale. Get Out è un film che riesce a essere spaventoso, divertente e politicamente rilevante, dimostrando come il cinema di genere possa essere uno strumento potentissimo per la critica sociale.

Martha Marcy May Marlene

Una giovane donna, Martha, fugge da una setta abusiva nelle Catskill Mountains e cerca rifugio presso sua sorella maggiore Lucy e il cognato Ted, con cui non ha contatti da due anni. Mentre cerca di riadattarsi a una vita “normale”, Martha è tormentata da ricordi dolorosi e da una crescente paranoia. Incapace di comunicare il suo trauma, il suo comportamento diventa sempre più strano e imprevedibile, e il confine tra passato e presente si dissolve, lasciandola nel terrore che la setta possa tornare a prenderla.

L’esordio di Sean Durkin è un ritratto psicologico devastante e sottile del disturbo da stress post-traumatico. Il film si muove fluidamente tra il presente nella lussuosa casa sul lago e i flashback della vita nella comune, utilizzando transizioni quasi impercettibili che ci immergono completamente nella mente frammentata della protagonista. Non sappiamo cosa sia reale e cosa sia un’allucinazione, e la paranoia di Martha diventa la nostra. Il titolo stesso, con i suoi quattro nomi, riflette la sua identità frantumata: Martha è il suo nome di nascita, Marcy May quello datole dal leader della setta, Marlene il nome usato per rispondere al telefono.

Elizabeth Olsen offre una performance straordinaria, catturando la vulnerabilità, la confusione e la rabbia repressa di una donna la cui percezione della realtà è stata completamente distorta. Il leader della setta, interpretato da un magnetico John Hawkes, è un manipolatore carismatico che offre un senso di appartenenza in cambio di una sottomissione totale. Il finale aperto è perfetto nella sua ambiguità, lasciandoci sospesi nel dubbio e nel terrore, proprio come la protagonista. Un’opera che esplora con grande sensibilità il lungo e difficile processo di guarigione dal trauma.

Session 9

Una squadra di operai specializzati nella rimozione dell’amianto accetta un lavoro apparentemente semplice: bonificare un enorme manicomio abbandonato, il Danvers State Hospital, in una sola settimana. Mentre lavorano, le tensioni personali all’interno del gruppo iniziano a emergere. Uno di loro, Mike, trova una serie di vecchie registrazioni delle sessioni di terapia di una paziente con disturbo di personalità multipla. L’ascolto di questi nastri e l’atmosfera opprimente dell’ospedale scatenano una discesa nella follia.

Session 9 è un capolavoro del terrore psicologico a basso budget, un film che dimostra come l’atmosfera e l’ambientazione possano essere più spaventose di qualsiasi mostro. Il vero protagonista del film è il Danvers State Hospital, un luogo reale e carico di una storia di sofferenza. Il regista Brad Anderson non ha bisogno di fantasmi o salti sulla sedia; il decadimento fisico dell’edificio diventa lo specchio del decadimento psicologico dei personaggi.

Il film intreccia magistralmente due narrazioni: la crescente paranoia e disintegrazione del gruppo di operai e la storia di Mary Hobbes, la paziente dei nastri. Le due storie si rispecchiano e si fondono, suggerendo che il male non è una presenza soprannaturale, ma un’energia latente, una debolezza insita nella psiche umana che l’ospedale risveglia e amplifica. Il finale, con la rivelazione che la fonte dell’orrore non è esterna ma interna al gruppo, è un colpo di scena agghiacciante che ridefinisce l’intero film. “Io vivo nei deboli e nei feriti”, dice la voce sul nastro, e questa frase racchiude l’essenza terrificante di Session 9.

Primer

Quattro ingegneri lavorano nel garage di uno di loro a progetti tecnologici, sperando di creare un’invenzione rivoluzionaria. Due di loro, Aaron e Abe, scoprono accidentalmente un effetto collaterale inaspettato di una delle loro macchine: la capacità di creare un loop temporale. Costruiscono una versione della macchina abbastanza grande da contenere un essere umano e iniziano a usarla per tornare indietro nel tempo di poche ore, principalmente per guadagnare sul mercato azionario. Presto, però, perdono il controllo della loro invenzione, e la realtà si frattura in un labirinto di paradossi e doppi.

Realizzato con un budget irrisorio di soli 7.000 dollari, Primer è uno dei film di fantascienza più complessi e intellettualmente rigorosi mai realizzati. Scritto, diretto, prodotto e interpretato da Shane Carruth, un ex ingegnere, il film non fa alcuna concessione allo spettatore. Il dialogo è denso di gergo tecnico, la trama è un puzzle intricato di linee temporali sovrapposte e la narrazione è volutamente oscura.

Il terrore in Primer non è fisico, ma concettuale. È l’orrore di perdere il controllo sulla realtà, di non sapere più quale versione di te stesso o dei tuoi amici sia quella “originale”. Il film esplora la paranoia che nasce dalla conoscenza proibita. L’invenzione non porta a un’avventura, ma alla disintegrazione di un’amicizia e alla perdita dell’identità. La sua complessità non è un difetto, ma la sua più grande forza: costringe lo spettatore a vivere la stessa confusione e disorientamento dei protagonisti. Primer è un thriller cerebrale che richiede più visioni per essere compreso, ma che premia lo sforzo con una profonda e inquietante riflessione sulla natura del tempo e sulle conseguenze morali del potere.

Coherence

Otto amici si riuniscono per una cena la sera in cui una cometa passa molto vicino alla Terra. Dopo un’improvvisa interruzione di corrente, scoprono che l’unica casa illuminata nel quartiere è identica alla loro. Quando alcuni di loro decidono di andare a investigare, innescano una serie di eventi bizzarri e paradossali. Presto si rendono conto che il passaggio della cometa ha fratturato la realtà, creando un numero infinito di universi paralleli che si sovrappongono, e che in ogni casa ci sono versioni diverse di loro stessi.

Girato in cinque notti con un budget minimo e basato in gran parte sull’improvvisazione degli attori, Coherence è un thriller fantascientifico geniale nella sua semplicità. Il regista James Ward Byrkit trasforma una normale cena tra amici in un incubo esistenziale, utilizzando i principi della fisica quantistica (in particolare il paradosso del gatto di Schrödinger) come motore narrativo. La tensione non deriva da una minaccia esterna, ma dalla paranoia e dalla sfiducia che si insinuano nel gruppo quando le identità diventano instabili.

Il film è un’esplorazione brillante di come le relazioni umane, con i loro segreti e le loro bugie, possano crollare di fronte all’ignoto. Ogni personaggio è costretto a confrontarsi con le scelte che ha fatto e con le versioni alternative della propria vita. La protagonista, Em, si trova di fronte a una domanda terrificante: se potessi trovare una versione migliore della tua vita in un’altra realtà, saresti disposta a rubarla? Coherence è un puzzle intellettuale avvincente e un thriller psicologico che dimostra come le idee più spaventose siano quelle che mettono in discussione le fondamenta della nostra stessa esistenza.

Donnie Darko

Donnie Darko è un adolescente problematico che soffre di sonnambulismo e allucinazioni. Una notte, viene svegliato da una voce che lo attira fuori casa. Poco dopo, un motore di aereo si schianta nella sua camera da letto. La voce appartiene a Frank, una figura inquietante in un costume da coniglio, che informa Donnie che il mondo finirà in 28 giorni. Guidato da Frank, Donnie compie una serie di atti di vandalismo che sconvolgono la sua tranquilla cittadina suburbana, mentre cerca di svelare il mistero del viaggio nel tempo e del suo destino.

Film di culto per eccellenza, l’opera prima di Richard Kelly è un’amalgama inclassificabile di dramma adolescenziale, fantascienza, satira sociale e thriller psicologico. Donnie Darko è un film profondamente ambiguo, che può essere interpretato sia come la storia di un ragazzo con schizofrenia paranoide, sia come un complesso racconto su un universo tangente e un eroe destinato a sacrificarsi per salvare il mondo. Questa dualità è la sua più grande forza, poiché ci immerge completamente nella mente confusa e alienata del protagonista.

Il film cattura perfettamente l’angoscia dell’adolescenza e la critica alla superficialità della società suburbana americana degli anni ’80. Al di là della sua trama intricata, Donnie Darko è una meditazione malinconica sulla solitudine, l’amore e la ricerca di un senso in un mondo che sembra assurdo. La sua atmosfera onirica, la colonna sonora iconica e le immagini indimenticabili (su tutte, quella di Frank il coniglio) lo hanno reso un’opera generazionale. Un film che, come il suo protagonista, sfida ogni etichetta e continua a far discutere e affascinare a distanza di anni.

The Lighthouse

Alla fine del XIX secolo, due guardiani del faro, il veterano Thomas Wake e il novellino Ephraim Winslow, iniziano un turno di quattro settimane su un’isola remota e inospitale del New England. L’isolamento, il duro lavoro, l’alcol e i segreti che entrambi nascondono li spingono in una spirale di paranoia, allucinazioni e violenza. Mentre una tempesta infinita li intrappola sull’isola, il confine tra realtà e follia si dissolve completamente.

Dopo The Witch, Robert Eggers si conferma un autore unico con The Lighthouse, un’opera visivamente sbalorditiva e psicologicamente opprimente. Girato in un bianco e nero espressionista e con un formato quasi quadrato, il film è un’immersione totale nella psiche di due uomini che si disintegrano. La recitazione di Willem Dafoe e Robert Pattinson è titanica, un duello attoriale che oscilla tra il grottesco e il tragico.

Il film è un calderone di mitologia greca (Prometeo, Proteo), folklore marinaresco, simbolismo freudiano e letteratura gotica. Il faro stesso diventa un simbolo fallico, e la sua luce una conoscenza proibita che Wake custodisce gelosamente e che Winslow desidera ardentemente. È impossibile distinguere cosa sia reale e cosa sia il frutto delle loro menti ubriache e isolate. La follia è contagiosa, e lo spettatore viene trascinato insieme ai protagonisti in un abisso di flatulenze, canti marinareschi, sirene e violenza primordiale. The Lighthouse non è un film facile, ma è un’esperienza cinematografica potente e indimenticabile, un incubo febbrile che esplora i recessi più oscuri della mascolinità e della sanità mentale.

Under the Skin

Un’entità aliena assume le sembianze di una donna attraente e percorre le strade della Scozia a bordo di un furgone. Il suo scopo è sedurre uomini soli e attirarli in una trappola, un vuoto nero dove vengono consumati e ridotti alla loro essenza. Durante la sua caccia, però, l’aliena inizia a provare un’inaspettata curiosità per l’umanità e per il corpo che abita, un’esperienza che la porterà a mettere in discussione la sua stessa natura e la sua missione.

Il capolavoro di Jonathan Glazer è un film di fantascienza esistenziale, un’opera ipnotica e profondamente inquietante che utilizza la prospettiva di un’aliena per esplorare cosa significhi essere umani. Under the Skin è un’esperienza più sensoriale che narrativa. La regia di Glazer è distaccata e quasi documentaristica quando l’aliena osserva il mondo (molte delle scene di adescamento sono state girate con telecamere nascoste e uomini comuni, non attori), per poi diventare astratta e surreale nelle sequenze della “trappola”.

Il viaggio della protagonista, interpretata da una straordinaria Scarlett Johansson, è un percorso di scoperta e alienazione. Inizialmente un predatore freddo e spietato, inizia a sviluppare una forma di empatia, una consapevolezza della vulnerabilità umana che la rende a sua volta vulnerabile. Il film riflette sulla solitudine, sull’oggettivazione del corpo femminile e sulla crudeltà e la compassione di cui l’umanità è capace. La scena finale, in cui la sua “pelle” umana viene strappata via, rivelando la sua vera forma, è un’immagine potente e tragica dell’impossibilità di appartenere. Un’opera d’arte visiva e sonora che si insinua sotto la pelle e ci rimane a lungo.

Oldboy

Oh Dae-su, un uomo comune, viene rapito e imprigionato in una stanza d’albergo per quindici anni, senza alcuna spiegazione. Durante la sua prigionia, scopre dalla televisione di essere stato incastrato per l’omicidio di sua moglie. Rilasciato improvvisamente, Dae-su ha cinque giorni per scoprire l’identità del suo carceriere e il motivo della sua lunga reclusione. La sua ricerca di vendetta lo trascina in una rete di cospirazione e violenza, conducendolo a una verità più sconvolgente di quanto potesse immaginare.

Secondo capitolo della “trilogia della vendetta” di Park Chan-wook, Oldboy è un’opera barocca, eccessiva e indimenticabile, un thriller psicologico che si trasforma in una tragedia greca moderna. Il film è un pugno nello stomaco, un viaggio viscerale nella psiche di un uomo consumato dal desiderio di vendetta. La regia di Park è virtuosistica, culminando nel celebre piano sequenza del combattimento nel corridoio, una scena di violenza cruda e disperata che è entrata nella storia del cinema.

Ma al di là della sua stilizzazione, il cuore di Oldboy è una riflessione devastante sulla natura della vendetta, della memoria e del peccato. Il film dimostra che la vendetta non è un atto liberatorio, ma un ciclo di distruzione che consuma sia la vittima che il carnefice. Il colpo di scena finale è uno dei più audaci e tabù della storia del cinema, una rivelazione che non solo ridefinisce l’intero film, ma pone una domanda terribile: è meglio vivere con una verità insopportabile o dimenticare? La scelta di Dae-su di farsi ipnotizzare per cancellare il suo ricordo più atroce è un finale ambiguo e straziante, che ci lascia a interrogarci sulla natura della colpa e sulla possibilità del perdono.

Una visione curata da un regista, non da un algoritmo

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Immagine di Fabio Del Greco

Fabio Del Greco