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Ingmar Bergman

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Indice dei contenuti

Nato il 14 luglio 1918 a Uppsala in Svezia Ingmar Bergman è stato uno dei registi più importanti della storia del cinema. La sua filmografia ha una coerenza estrema nell’esplorare le tensioni e le angosce dell’essere umano. Tra i suoi film drammatici ci sono alcune tra le più significative opere cinematografiche di tutti i tempi: una filmografia ricca di film da vedere assolutamente.

Ingmar Bergman è un uomo che ha vissuto più nella dimensione del sogno che nella realtà. Ha esplorato di più i fatti che accadevano nel suo mondo interiore piuttosto che quelli del mondo esterno. L’esplorazione del mondo onirico lo ha accomunato molto a Federico Fellini, di cui era amico e con cui si confrontava con degli scambi epistolari. 

Mentre Fellini rappresenta il lato folle, bizzarro, grottesco e divertente del sogno, Bergman è l’esploratore del lato più oscuro e tormentato dell’essere umano che sprofonda nell’abisso. 

Infanzia di Ingmar Bergman

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il padre di Ingmar Bergman, Erik, influenzerà profondamente la sua vita e la sua opera artistica. Era un pastore luterano infervorato da un sentimento religioso fondamentalista e bigotto. Fece crescere Ingmar con una rigida educazione fondata sul peccato e sulla punizione. Il tema religioso sul rapporto tra l’essere umano e Dio sarà al centro della filmografia di Bergman. 

Il padre, che aveva una grande capacità oratoria quando faceva i sermoni, girò diverse parrocchie svedesi fino a diventare Cappellano della Corte reale. Aveva un carattere irascibile, autoritario, causato probabilmente da una profonda insicurezza che lo rendeva spesso nervoso, anche per i continui litigi con la moglie. Spesso bastava che Ingmar facesse rumore o non rispondesse correttamente alle tue domande di natura religiosa per essere severamente punito punito.

Il vagabondaggio in diverse parrocchie in giro per la Svezia, raccontato da Ingmar Bergman nella sua autobiografia del 1987 Lanterna magica, fa avvicinare già da bambino il regista alle riflessioni spirituali sulla vita e sulla morte. Una tematica su cui focalizzerà il suo interesse principale per tutta la vita.

Anche la madre non era una persona equilibrata: soffriva di depressione e prendeva continuamente psicofarmaci. Ingmar era in perenne conflitto con i tuoi genitori e preferiva rinchiudersi nel suo mondo interiore. Trovò una maggiore motivazione a farlo quando all’età di 12 anni gli fu regalato un proiettore e scopri il cinema ed i film. Gli sembrò subito che fosse l’attività perfetta per lui, l’arte che poteva esprimere l’invisibile ed il mistero dell’uomo.

Ingmar Bergman racconterà la figura del padre e le emozioni che provava da bambino in diversi film tra cui Fanny e Alexander. L’infanzia infatti rimane uno dei punti cardine della filmografia del regista svedese e della sua vita privata. Una situazione così oppressiva portò subito il piccolo Bergman a porsi domande sulla natura di Dio: era davvero un comportamento giustificato da un rapporto con il divino quello del padre, irascibile e violento? 

I temi dei film di Ingmar Bergman

Il conflitto che Ingmar Bergman si trova ad affrontare film da bambino è quello tra religione e spiritualità, tra dogma e autentica trascendenza. Il fanatismo del padre, che Ingmar si trova a subire senza potersi difendere, è uno dei temi cardine della storia dell’umanità. La religione istituzionale, che nei millenni si è voluta porre come intermediario tra l’uomo e Dio, ha creato i più grandi crimini dell’umanità. 

La domanda che Ingmar Bergman si è posto durante la sua esistenza e nelle sue opere cinematografiche è la stessa che si sono fatti gran parte degli esseri umani attraverso la storia: Dio non è forse amore incondizionato e universale? Dio non ha forse dotato l’essere umano di libero arbitrio? È giusto che l’uomo sia sopraffatto dal senso del peccato e dalla punizione? 

Queste e molte altre domande compongono il complesso scenario della ricerca spirituale in un mondo materiale, dove anche il rapporto dell’uomo con Dio è gestito attraverso il potere e la manipolazione. Bergman ha utilizzato il cinema per indagare i temi universali dell’esistenza umana con un talento unico sia nella scrittura dei testi che nella forza figurativa dei suoi film. 

I dialoghi tra i personaggi hanno spesso l’intensità di una rappresentazione teatrale ma nello stesso tempo è sublime il livello artistico della composizione delle immagini, della fotografia e del ritmo. Amava molto gli attori che considerava i suoi principali collaboratori, spesso chiamati ad interpretare ruoli complessi in una posizione di difficile vulnerabilità psicologica.

La fuga a Stoccolma

Nel 1936 Ingmar Bergman “scappa” di casa per andare a studiare all’università di Stoccolma. Si iscrive al corso di letteratura ma in realtà é affascinato dal teatro e dal cinema. Inizia a lavorare al teatro universitario come suggeritore dietro le quinte. 

Cominciò a guadagnare ed a scrivere molti drammi e opere liriche. Nel 1942 venne messe in scena la sua opera La morte di Kasper al teatro universitario. La fortuna volle che in teatro era presente il direttore della Svenks Filmindustry che rimase molto colpito dal dramma e lo assunse immediatamente, il giorno dopo, per 500 corone al mese. 

Scrittore per il cinema 

Ingmar Bergman inizia quindi la sua carriera nel cinema come sceneggiatore. Il suo primo testo viene tradotto in film dal regista Alf Sjöberg. Si tratta di Hets (Spasimo), storia di un professore tirannico nei confronti dei suoi studenti. Già da questa prima sceneggiatura troviamo i temi autobiografici dei film successivi, legati all’esperienza familiare e alla figura del padre. 

Nel 1946 gli viene affidata alla regia del primo film, tratto dal testo teatrale svedese La bestia madre. Crisi (Kris) è la storia romantica di una ragazza che dopo la guerra riesce a ritrovare sua madre e a sposare l’uomo che sognava. 

Il film è un fiasco ma il produttore Lorens Marmsted offre una nuova possibilità al giovane Bergman. Realizza così il suo secondo film Piove sul nostro amore ma il risultato è piuttosto scadente. Bergman stesso ammetterà alcuni anni dopo che era un esperimento fallito fatto in un periodo in cui non era ancora abbastanza competente. Non padroneggia ancora la tecnica cinematografica. 

Alla fine del 1946 si trasferisce a Goteborg dove viene nominato direttore del teatro cittadino e mette in scena il Caligola di Albert Camus. Grazie al produttore Marmsted produce ancora vari film romantici tratti da opere teatrali, come Terra del desiderio, Musica nel buio e Un’estate d’amore. Da questo film in poi la vena romantica di Bergman sembra esaurirsi. Nel 1948 scrive la sceneggiatura di Eva, film che sarà diretto dal regista Gustaf Molander.

I primi film d’autore

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Con il film La prigione incomincia a venire fuori la personalità di Ingmar Bergman come autore. La Svensk Filmindustri gli fa realizzare diversi film: Sete, nel 1949, Verso la gioia, interpretato dal grande attore e regista Victor Sjöström e Ciò non accadrebbe qui, un film anticomunista di cui Bergman si rifiutò di firmare il soggetto e la sceneggiatura. 

Un estate d’amore (1950)

Nel 1950 Bergman riesce a realizzare il suo primo film davvero riuscito, Un’estate d’amore. Il suo apprendistato cinematografico era stato lungo, non era stato facile per lui apprendere la tecnica cinematografica. Un’estate d’amore era già il suo decimo film.

Trama

La ballerina Marie riceve un plico che contiene il diario di Henrik, un giovane che ha amato durante un’estate di tredici anni prima e che era morto in modo prematuro per un incidente. La lettura del diario riporta alla mente di Marie i ricordi di quell’estate, che fu per lei un momento di grande felicità e amore.

Marie era una ragazza di campagna, ingenua e romantica. Henrik era un giovane studente, affascinante e intelligente. I due si innamorarono perdutamente, ma la loro storia fu destinata a durare solo un breve periodo. Henrik morì in un incidente stradale, lasciando Marie sconvolta e sola.

La lettura del diario di Henrik permette a Marie di riappropriarsi di quei ricordi, e di elaborare il suo lutto. La ballerina capisce che l’amore per Henrik è ancora vivo dentro di lei, ma che è arrivato il momento di voltare pagina e iniziare una nuova vita.

Analisi

Un’estate d’amore è un film intimista e malinconico, che esplora il tema dell’amore perduto. Il film è ambientato in una Svezia rurale, e la natura gioca un ruolo importante nella narrazione. I paesaggi idilliaci della campagna svedese contrastano con la drammaticità della vicenda umana.

Il film è interpretato da Harriet Andersson, una delle attrici preferite di Bergman, che dà un’interpretazione intensa e commovente.

Critica

Un’estate d’amore è stato un successo di critica e pubblico, e ha contribuito a consolidare la fama di Ingmar Bergman come uno dei più importanti registi del cinema europeo.

Il film è stato elogiato per la sua delicatezza e sensibilità, e per la sua capacità di evocare emozioni forti nello spettatore.

Riconoscimenti

Un’estate d’amore ha vinto il premio per la miglior regia al Festival di Cannes del 1951. Il film è stato anche candidato al Golden Globe per la miglior opera straniera.

Donne in attesa (1952)

Successivamente realizza Donne in attesa, presentato al festival di Venezia nel 1952. Il film non riscuote successo né di critica né di pubblico. 

Trama

Quattro donne, Annette, Rakel, Marta e Karin, sono sposate con quattro fratelli. Si ritrovano in una casa di campagna in attesa del ritorno dei loro mariti, partiti per un viaggio d’affari.

Mentre aspettano, le donne iniziano a parlare delle loro vite. Annette, la più grande, è sposata con Paul, un uomo d’affari di successo. È contenta del suo matrimonio, ma sente che manca di passione.

Rakel, la seconda più grande, è sposata con Eghen, un uomo ricco ma debole di volontà. È annoiata del suo matrimonio e ha una relazione extraconiugale.

Marta, la terza più grande, è sposata con Martin, un medico. È felice del suo matrimonio, ma è preoccupata per le tendenze al lavoro di Martin.

Karin, la più giovane, è sposata con Fredrik, il più giovane dei fratelli. È innamorata di Fredrik, ma è anche preoccupata per la sua infedeltà.

Nel corso del film, le donne si confidano i loro segreti e le loro speranze. Imparano a conoscersi meglio e a conoscersi meglio.

Alla fine, le donne si rendono conto che stanno tutte cercando qualcosa nelle loro relazioni. Stanno tutte cercando amore, comprensione e realizzazione.

Analisi

“Donne in attesa” è un film complesso e perspicace che esplora i temi dell’amore, del matrimonio e dell’infedeltà. Il film è uno sguardo realistico sulle vite delle donne all’inizio degli anni ’50, ed è un’esplorazione potente della condizione umana.

Il film è noto per i suoi forti personaggi femminili. Le quattro donne sono tutte personaggi complessi e ben sviluppati. Non sono semplici stereotipi, e tutte stanno lottando con le proprie sfide uniche.

Il film è anche noto per l’uso del dialogo. Le conversazioni delle donne sono naturali e perspicaci. Rivelano i pensieri e i sentimenti dei personaggi e aiutano a sviluppare i temi del film.

“Donne in attesa” è un film classico che è ancora attuale oggi. È un film potente e commovente che offre una prospettiva unica sulle vite delle donne.

Alcuni dettagli aggiuntivi sul film:

  • Il film è il quarto lungometraggio di Ingmar Bergman.
  • È stato girato nella campagna svedese, vicino alla casa d’infanzia di Bergman.
  • La colonna sonora del film è stata composta da Erik Nordgren.
  • “Donne in attesa” è stato distribuito negli Stati Uniti nel 1953.

Monica e il desiderio (1953)

Nel 1953 Bergman trova la sua attrice ideale, Harriet Anderson, che diventerà anche la sua compagna di vita, girando il film Monica e il desiderio. Fu considerato uno scandalo per la prorompente sensualità dell’attrice. 

Trama

Monica è una ragazza di sedici anni che lavora come commessa in un negozio di Stoccolma. È una ragazza vivace e sognatrice, ma la sua vita è monotona e priva di stimoli.

Un giorno, Monica incontra Harry, un giovane uomo che lavora nello stesso negozio. I due si innamorano e decidono di fuggire insieme.

Harry e Monica si rifugiano in un’isola remota, dove vivono una vita semplice e felice. Tuttavia, la loro felicità è destinata a durare poco.

Monica è incinta e Harry è costretto a tornare a Stoccolma per trovare lavoro. Monica lo segue, ma la vita di coppia nella città è dura e i due si allontanano sempre di più.

Alla fine, Monica decide di lasciare Harry e di tornare a vivere con la sua famiglia.

Analisi

Monica e il desiderio è un film che esplora i temi dell’amore, della libertà e della disillusione. Il film è un ritratto realistico della vita di una giovane donna che cerca di trovare il suo posto nel mondo.

Il film è noto per la sua protagonista, Monica, interpretata da Harriet Andersson. Monica è un personaggio complesso e affascinante, che incarna l’ideale di libertà e indipendenza della donna moderna.

Monica e il desiderio è un film importante nella carriera di Ingmar Bergman. Il film è stato un successo di critica e pubblico, e ha contribuito a consolidare la fama di Bergman come uno dei più importanti registi del cinema europeo.

Alcuni dettagli aggiuntivi sul film:

  • Il film è stato girato in Svezia, tra Stoccolma e l’isola di Fårö.
  • La colonna sonora del film è stata composta da Erik Nordgren.
  • Monica e il desiderio è stato distribuito in Italia nel 1954.

Il teatro di Malmo 

Intanto il cinema entra in crisi a causa dei problemi economici causati dalla guerra e Ingmar Bergman viene licenziato dalla Svenks filmindustry. Anche il teatro di Stoccolma rifiuta di assumerlo. Troverà lavoro presso il teatro di Malmo dove  rimarrà per 8 anni. Li produrrà e dirigerà molti spettacoli tra cui Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello e Il castello di Franz Kafka. 

Una vampata d’amore (1953)

Nel 1953 realizza il film Una vampata d’amore. Il film rivela una visione del mondo pessimista è senza speranza. Lo stile di Bergman diventa espressionista e tragico. 

Trama

Albert Johansson è il direttore di un circo itinerante. È sposato con Agda, ma ha una relazione extraconiugale con Anna, una performer del circo.

Un giorno, il circo arriva nella città natale di Agda. Albert si riunisce con sua moglie ed è costretto a confrontarsi con la sua infedeltà.

Albert è combattuto tra il suo amore per Anna e le sue responsabilità verso la sua famiglia. Alla fine decide di restare con Agda, ma è perseguitato dal suo passato.

Analisi

“Una vampata d’amore” è un film cupo e cupo che esplora i temi dell’amore, del tradimento e della redenzione. Il film è un ritratto potente di un uomo che non riesce a sfuggire ai propri demoni.

Il film è noto per l’uso del simbolismo. Il circo è una metafora del mondo dell’illusione e dell’inganno. La relazione di Albert con Anna è un simbolo del suo desiderio di libertà e di eccitazione.

“Una vampata d’amore” è un film complesso e impegnativo che è ancora attuale oggi. È un film che ti resterà impresso a lungo dopo averlo visto.

Alcuni dettagli aggiuntivi sul film:

  • Il film è il quinto lungometraggio di Ingmar Bergman.
  • È stato girato in Svezia, tra Stoccolma e l’isola di Fårö.
  • La colonna sonora del film è stata composta da Erik Nordgren.
  • “Una vampata d’amore” è stato distribuito negli Stati Uniti nel 1954.

Il titolo è un riferimento alla natura fugace dell’amore di Albert per Anna. È anche un riferimento ai temi del film di amore, passione e tradimento.

Il settimo sigillo (1956)

Nel 1956 Bergman realizza Il settimo sigillo, basato su un testo che aveva scritto 2 anni prima per gli studenti dell’Accademia d’arte drammatica di Malmo, Pittura su legno. Il regista tiene molto a realizzare come film questa rappresentazione teatrale della durata di circa 45 minuti, ma non riesce a trovare i finanziamenti necessari. La produzione de Il settimo sigillo sarà possibile solo grazie al successo del film precedente, Sorrisi di una notte d’estate, che aveva avuto grande successo al Festival di Cannes. 

Il film viene girato con un budget molto basso e con un tempo di riprese di soli 30 giorni. È un progetto realizzato più per amore che come lavoro professionale. Il film vince premi in varie parti del mondo, tra cui il Gran Premio della giuria di Cannes nel 1957. 

Trama

In un Nord Europa devastato dalla peste e dalla guerra, il cavaliere Antonius Block e il suo scudiero Jöns tornano dalle crociate. Sulla spiaggia, al loro arrivo, il cavaliere trova ad attenderlo la Morte, che ha scelto quel momento per portarlo via.

Antonius è un uomo scettico e nichilista, che ha perso la fede in Dio e nell’umanità. La Morte gli propone di giocare a scacchi, in modo da guadagnare tempo per trovare un senso alla sua vita.

Durante il viaggio, Antonius e Jöns incontrano diverse persone, ognuna delle quali affronta la morte in modo diverso. Un gruppo di flagellanti cerca di espiare i propri peccati, un fabbro e sua moglie si godono gli ultimi momenti di vita insieme, e un gruppo di attori girovaghi cerca di trovare un senso al proprio lavoro.

Alla fine, Antonius e la Morte arrivano a un villaggio dove un’epidemia di peste sta devastando la popolazione. Antonius decide di rimanere nel villaggio per aiutare i malati, e la Morte lo lascia andare.

Analisi

Il settimo sigillo è un film che esplora i temi della morte, della fede e del significato della vita. Il film è un’opera complessa e ricca di simbolismi, che ha avuto un profondo impatto sul cinema europeo.

Il film è noto per la sua scena finale, in cui Antonius e la Morte giocano a scacchi su una spiaggia deserta. Questa scena è stata interpretata in molti modi, come un’allegoria della lotta tra la vita e la morte, o come un’immagine della ricerca di un senso alla vita.

Il settimo sigillo è un film importante nella carriera di Ingmar Bergman. Il film è stato un successo di critica e pubblico, e ha contribuito a consolidare la fama di Bergman come uno dei più importanti registi del cinema europeo.

Alcuni dettagli aggiuntivi sul film:

  • Il film è stato girato in Svezia, tra Stoccolma e l’isola di Fårö.
  • La colonna sonora del film è stata composta da Erik Nordgren.
  • Il settimo sigillo è stato distribuito in Italia nel 1957.

Il settimo sigillo è un film complesso e ricco di significati. La trama è semplice, ma il film è pieno di simbolismi e metafore.

Il cavaliere Antonius Block rappresenta l’uomo moderno, che è scettico e nichilista. La Morte è la forza che rappresenta la fine della vita. La partita a scacchi è una metafora della ricerca di un senso alla vita.

Il film è un’allegoria della condizione umana. Siamo tutti in viaggio verso la morte, e ognuno di noi deve trovare un modo per affrontare la propria fine.

Interpretazione

Il film può essere interpretato in molti modi. Una possibile interpretazione è che il cavaliere Antonius Block rappresenta l’uomo moderno, che è scettico e nichilista. La Morte è la forza che rappresenta la fine della vita. La partita a scacchi è una metafora della ricerca di un senso alla vita.

In questo senso, il film può essere visto come un’allegoria della condizione umana. Siamo tutti in viaggio verso la morte, e ognuno di noi deve trovare un modo per affrontare la propria fine.

Un’altra possibile interpretazione è che il film è una riflessione sulla fede. Antonius Block è un uomo che ha perso la fede in Dio, ma la sua partita a scacchi con la Morte può essere vista come un tentativo di ritrovare la fede.

In questo senso, il film può essere visto come un’indagine sulla natura della fede e sul suo ruolo nella vita umana.

Il settimo sigillo è un film importante e complesso che ha avuto un profondo impatto sul cinema europeo. Il film è un’opera ricca di significati che può essere interpretata in molti modi.

Il posto delle fragole (1957)

Dopo il grande successo de L’ultimo sigillo Ingmar Bergman viene consacrato come uno dei più grandi registi del mondo con il film Il posto delle fragole

Trama

Isak Borg è un uomo di 78 anni, vedovo e senza figli. È un medico di successo, ma è anche un uomo rigido e distaccato.

Un giorno, Isak viene a sapere che gli verrà conferito un premio alla carriera dall’Università di Lund. Decide di intraprendere un viaggio da Stoccolma a Lund per ritirare il premio.

Durante il viaggio, Isak incontra una serie di persone che lo portano a riflettere sulla sua vita. Incontra un giovane ragazzo che gli ricorda la sua giovinezza, una coppia di sposi in crisi, una donna che ha perso il figlio in guerra.

Alla fine del viaggio, Isak arriva a Lund. È cambiato. Ha capito che ha bisogno di vivere la sua vita pienamente e di non avere paura della morte.

Analisi

Il posto delle fragole è un film che esplora i temi della vita, della morte, del ricordo e della redenzione. Il film è un’opera complessa e ricca di significati che ha avuto un profondo impatto sul cinema europeo.

Il film è noto per la sua scena finale, in cui Isak vede la sua giovane cugina Sara, che è morta quando lui era bambino. Questa scena è stata interpretata in molti modi, come un’allegoria della morte, come un’immagine del desiderio di Isak di tornare indietro nel tempo o come un simbolo della sua redenzione.

Il posto delle fragole è un film importante nella carriera di Ingmar Bergman. Il film è stato un successo di critica e pubblico, e ha contribuito a consolidare la fama di Bergman come uno dei più importanti registi del cinema europeo.

Alcuni dettagli aggiuntivi sul film:

  • Il film è stato girato in Svezia, tra Stoccolma e l’isola di Fårö.
  • La colonna sonora del film è stata composta da Erik Nordgren.
  • Il posto delle fragole è stato distribuito in Italia nel 1958.

Interpretazione

Il film può essere interpretato in molti modi. Una possibile interpretazione è che il film sia un viaggio attraverso la mente di Isak Borg. Il film esplora i ricordi, i rimpianti e le speranze di Isak.

In questo senso, il film può essere visto come un’allegoria della condizione umana. Siamo tutti in viaggio attraverso la vita, e tutti abbiamo cose da dimenticare, da perdonare e da imparare.

Un’altra possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sulla morte. Il film esplora il tema della morte come un evento naturale e inevitabile.

In questo senso, il film può essere visto come un invito a vivere la vita pienamente e a non avere paura della morte.

Alle soglie della vita (1958)

Alle soglie della vita (1958) è un film del regista svedese Ingmar Bergman. Il film è ambientato in Svezia e racconta la storia di tre donne che si trovano in un reparto maternità di un ospedale.

Trama

Cecilia è in procinto di partorire e viene portata in ospedale. Accanto a lei c’è il marito Anders, al quale Cecilia chiede se desiderava veramente il figlio che sarebbe dovuto nascere. Ma subito Cecilia viene portata in sala parto, dove abortisce spontaneamente.

Il parto per Stina si presenta molto difficile e le infermiere chiamano il dottore. Si vedono intanto le puerpere con i loro bambini e subito dopo Stina che viene riportata nella stanza. Il bambino non è riuscito a superare l’ultima fase del travaglio ed è morto.

Anna è una giovane donna incinta che è stata abbandonata dal suo ragazzo. Anna è sola e spaventata, e non sa cosa fare del bambino che sta per nascere.

Alla fine, Cecilia e Stina partoriscono dei bambini sani. Anna decide di tenere il suo bambino, e viene portata in una casa per madri single.

Analisi

Alle soglie della vita è un film che esplora i temi della maternità, della perdita e della speranza. Il film è un’opera complessa e ricca di significati che ha avuto un impatto significativo sul cinema europeo.

Il film è noto per la sua scena finale, in cui le tre donne, Cecilia, Stina e Anna, si ritrovano insieme con i loro bambini. Questa scena è stata interpretata in molti modi, come un’immagine della nascita della vita, come un simbolo di speranza per il futuro, o come un invito a trovare la forza di andare avanti anche nelle difficoltà.

Alle soglie della vita è un film importante nella carriera di Ingmar Bergman. Il film è stato un successo di critica e pubblico, e ha contribuito a consolidare la fama di Bergman come uno dei più importanti registi del cinema europeo.

Alcuni dettagli aggiuntivi sul film:

  • Il film è stato girato in Svezia, tra Stoccolma e l’isola di Fårö.
  • La colonna sonora del film è stata composta da Erik Nordgren.
  • Alle soglie della vita è stato distribuito in Italia nel 1959.

Interpretazione

Il film può essere interpretato in molti modi. Una possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sulla maternità. Il film esplora i diversi aspetti della maternità, dalla gioia alla paura, dalla speranza alla perdita.

In questo senso, il film può essere visto come un’allegoria della condizione umana. Siamo tutti in viaggio verso la vita, e tutti abbiamo cose da imparare e da superare.

Un’altra possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sulla perdita. Il film esplora il tema della perdita come un evento naturale e inevitabile.

In questo senso, il film può essere visto come un invito a trovare la forza di andare avanti anche nelle difficoltà.

Alle soglie della vita è un film importante e complesso che ha avuto un profondo impatto sul cinema europeo. Il film è un’opera ricca di significati che può essere interpretata in molti modi.

Il volto (1958)


Il volto
(1958) è un film del regista svedese Ingmar Bergman. Il film è ambientato in Svezia e racconta la storia di un illusionista, Vogler, che si finge morto per vendicarsi di un medico e di un poliziotto che lo hanno deriso.

Trama

Vogler è un illusionista di successo, ma è anche un uomo egoista e arrogante. Un giorno, Vogler e sua moglie, Anna, vengono arrestati alle porte di una piccola città della Svezia. I due sono accusati di truffa e vengono portati dal medico e dal poliziotto che li hanno arrestati.

Vogler, per vendicarsi, si finge morto. Il medico e il poliziotto sono convinti che Vogler sia morto e decidono di eseguire un’autopsia sul suo corpo.

Durante l’autopsia, Vogler si risveglia e inizia a terrorizzare il medico e il poliziotto. Alla fine, Vogler riesce a fuggire dalla città e a riunirsi con Anna.

Analisi

Il volto è un film complesso e ricco di significati che può essere interpretato in molti modi. Il film può essere visto come una metafora della condizione umana. Siamo tutti, in un certo senso, illusionisti che ci creiamo una maschera da indossare di fronte al mondo.

Il film può anche essere visto come una riflessione sull’arte dell’illusione. Vogler è un illusionista, ma è anche un uomo di spettacolo. Il film esplora il potere dell’arte di creare illusioni e di influenzare le persone.

Interpretazione

Il film può essere interpretato in molti modi. Una possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sull’illusione. Il film esplora il potere dell’illusione di creare realtà alternative e di influenzare le persone.

In questo senso, il film può essere visto come una critica alla società moderna, che è spesso basata sull’illusione.

Un’altra possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sulla morte. Il film esplora il tema della morte come un evento naturale e inevitabile.

In questo senso, il film può essere visto come un invito ad accettare la morte come parte della vita.

Il volto è un film importante e complesso che ha avuto un profondo impatto sul cinema europeo. Il film è un’opera ricca di significati che può essere interpretata in molti modi.

Alcuni dettagli aggiuntivi sul film:**

  • Il film è stato girato in Svezia, tra Stoccolma e l’isola di Fårö.
  • La colonna sonora del film è stata composta da Erik Nordgren.
  • Il volto è stato distribuito in Italia nel 1959.

La Fontana della Vergine (1960)

La Fontana della Vergine (1960) è un film del regista svedese Ingmar Bergman. Il film è ambientato nella Svezia medievale e racconta la storia di una giovane donna, Karin, che viene violentata e uccisa da alcuni pastori. Il padre di Karin, Töre, cerca vendetta e uccide i pastori.

Trama

La giovane Karin, figlia di Töre, un proprietario terriero, viene inviata a consegnare delle candele alla Madonna in un giorno di festa. Durante il viaggio, Karin viene violentata e uccisa da tre pastori.

Töre, furioso, giura vendetta e uccide i pastori. Tuttavia, la vendetta non gli porta pace. Töre inizia a vedere il fantasma di Karin, che gli chiede perdono.

Alla fine, Töre si pente di aver ucciso i pastori e chiede perdono a Dio. Il fantasma di Karin scompare e Töre trova la pace.

Analisi

La Fontana della Vergine è un film complesso e ricco di significati che può essere interpretato in molti modi. Il film può essere visto come una riflessione sulla violenza, sulla vendetta e sul perdono.

Il film può anche essere visto come una metafora della condizione umana. La storia di Karin è una storia di dolore e di perdita, ma è anche una storia di speranza e di redenzione.

Interpretazione

Il film può essere interpretato in molti modi. Una possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sulla violenza. Il film esplora il tema della violenza come un evento tragico e distruttivo.

In questo senso, il film può essere visto come una critica alla violenza, in tutte le sue forme.

Un’altra possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sulla vendetta. Il film esplora il tema della vendetta come un sentimento negativo che può portare solo a più dolore e sofferenza.

In questo senso, il film può essere visto come un invito a perdonare, anche quando è difficile.

La Fontana della Vergine è un film importante e complesso che ha avuto un profondo impatto sul cinema europeo. Il film è un’opera ricca di significati che può essere interpretata in molti modi.

Alcuni dettagli aggiuntivi sul film:**

  • Il film è stato girato in Svezia, tra Stoccolma e l’isola di Fårö.
  • La colonna sonora del film è stata composta da Erik Nordgren.
  • La Fontana della Vergine è stato distribuito in Italia nel 1961.

Dopo tanti film così impegnativi Bergman si prende una pausa girando il divertente L’occhio del diavolo

Come in uno specchio (1961)

Nel 1961 Ingmar Bergman si mise alla ricerca di un’isola da scegliere come location per il suo prossimo progetto. Visita le isole Orcadi ma non rimane soddisfatto. Scopre successivamente l’isola di Faro dove ambienta i suoi tre film successivi conosciuti come la trilogia del silenzio di Dio. 

Il film è ambientato in Svezia e racconta la storia di Karin, una donna schizofrenica che viene dimessa dall’ospedale psichiatrico. Karin torna a casa dai suoi familiari, ma i suoi legami con loro sono difficili e conflittuali.

Trama

Karin è una donna schizofrenica che è stata dimessa dall’ospedale psichiatrico. Torna a casa dai suoi familiari, ma i suoi legami con loro sono difficili e conflittuali.

Il padre di Karin, David, è uno scrittore che vede in lei un soggetto letterario. Il marito di Karin, Martin, è un medico che cerca di aiutarla, ma non riesce a comprenderla completamente. Il fratello di Karin, Minus, è un bambino che è affascinato da lei, ma la teme anche.

Karin inizia a vedere visioni e allucinazioni. È convinta di essere una santa e di essere in contatto con Dio. I suoi familiari sono preoccupati per lei e cercano di aiutarla, ma le loro azioni hanno l’effetto opposto.

Alla fine, Karin si suicida. La sua morte è un evento tragico che sconvolge la sua famiglia.

Analisi

Come in uno specchio è un film complesso e ricco di significati che può essere interpretato in molti modi. Il film può essere visto come una riflessione sulla schizofrenia, sulla famiglia e sulla fede.

Il film può anche essere visto come una metafora della condizione umana. Karin è una donna che è divisa tra la realtà e la fantasia. La sua lotta interiore è una rappresentazione della lotta interiore che tutti noi affrontiamo.

Interpretazione

Il film può essere interpretato in molti modi. Una possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sulla schizofrenia. Il film esplora il tema della schizofrenia come una malattia mentale che può avere un impatto devastante sulla vita di una persona.

In questo senso, il film può essere visto come una critica alla società, che spesso non è in grado di comprendere e accettare le persone che soffrono di schizofrenia.

Un’altra possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sulla famiglia. Il film esplora il tema della famiglia come un’istituzione complessa e problematica.

In questo senso, il film può essere visto come una critica alla famiglia tradizionale, che spesso non è in grado di soddisfare i bisogni emotivi dei suoi membri.

Come in uno specchio è un film importante e complesso che ha avuto un profondo impatto sul cinema europeo. Il film è un’opera ricca di significati che può essere interpretata in molti modi.

Alcuni dettagli aggiuntivi sul film:

  • Il film è stato girato in Svezia, tra Stoccolma e l’isola di Fårö.
  • La colonna sonora del film è stata composta da Erik Nordgren.
  • Come in uno specchio è stato distribuito in Italia nel 1962.

Luci d’inverno (1963)

Il film è ambientato in Svezia e racconta la storia di Tomas Ericsson, un pastore protestante che sta attraversando un periodo di profonda crisi spirituale.

Trama

Tomas Ericsson è un pastore protestante che ha perso la moglie quattro anni prima. Dopo la sua morte, Tomas ha perso la fede e si sente distante da Dio.

Tomas è stato chiamato a servire in una piccola parrocchia rurale. La parrocchia è composta da persone semplici e devote, ma Tomas non è in grado di offrire loro conforto.

Un giorno, Tomas riceve la visita di Jonas, un parrocchiano che ha perso la moglie. Jonas è disperato e cerca conforto da Tomas, ma Tomas è incapace di aiutarlo.

Alla fine, Jonas si suicida. Tomas è sconvolto dalla morte di Jonas e inizia a interrogarsi sulla sua fede.

Analisi

Luci d’inverno è un film complesso e ricco di significati che può essere interpretato in molti modi. Il film può essere visto come una riflessione sulla fede, sulla perdita e sulla solitudine.

Il film può anche essere visto come una metafora della condizione umana. Tomas è un uomo che è alla ricerca di un senso nella vita. La sua crisi spirituale è una rappresentazione della crisi spirituale che tutti noi affrontiamo.

Interpretazione

Il film può essere interpretato in molti modi. Una possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sulla fede. Il film esplora il tema della fede come un viaggio, un percorso che non sempre è facile o lineare.

In questo senso, il film può essere visto come una critica alla fede tradizionale, che spesso è basata su dogmi e riti che possono essere opprimenti.

Un’altra possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sulla perdita. Il film esplora il tema della perdita come un evento che può avere un impatto devastante sulla vita di una persona.

In questo senso, il film può essere visto come un invito ad affrontare la perdita in modo autentico e consapevole.

Luci d’inverno è un film importante e complesso che ha avuto un profondo impatto sul cinema europeo. Il film è un’opera ricca di significati che può essere interpretata in molti modi.

Alcuni dettagli aggiuntivi sul film:

  • Il film è stato girato in Svezia, tra Stoccolma e l’isola di Fårö.
  • La colonna sonora del film è stata composta da Erik Nordgren.

Luci d’inverno è un film sulle complessità della fede del rapporto con Dio e con gli altri. È un film più essenziale e rigoroso dove i personaggi sono ridotti al minimo. Bergman raggiunge qui un’intensità rara attraverso l’uso dei primi piani in cui il personaggio protagonista si confessa davanti alla cinepresa. 

Il silenzio (1963)


Il film è ambientato in un paese straniero e racconta la storia di due sorelle, Anna e Ester, che sono in viaggio di ritorno a casa.

Trama

Anna e Ester sono due sorelle che tornano a casa dopo un periodo di vacanza. Durante il viaggio, Ester ha un malore e le due sorelle sono costrette a fermarsi in una piccola città.

Anna è una donna forte e indipendente, mentre Ester è una donna fragile e insicura. Le due sorelle hanno un rapporto conflittuale, ma sono legate da un profondo affetto.

In città, Anna e Ester incontrano un musicista cieco, Johan, e una sua amica, Maria. Johan e Maria sono due persone che hanno perso la fede, e questo attira l’attenzione di Ester.

Ester inizia a frequentare Johan e Maria, e inizia a mettere in discussione la sua fede. Anna è preoccupata per la sorella, e cerca di aiutarla, ma le sue azioni hanno l’effetto opposto.

Alla fine, Ester si suicida. Anna è sconvolta dalla morte della sorella, e si rende conto di aver perso l’unica persona che la capiva davvero.

Analisi

Il silenzio è un film complesso e ricco di significati che può essere interpretato in molti modi. Il film può essere visto come una riflessione sulla fede, sull’incomunicabilità e sulla perdita.

Il film può anche essere visto come una metafora della condizione umana. Anna ed Ester sono due donne che sono alla ricerca di un senso nella vita. La loro esperienza è una rappresentazione dell’esperienza umana, che è spesso segnata dalla sofferenza e dalla perdita.

Interpretazione

Il film può essere interpretato in molti modi. Una possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sulla fede. Il film esplora il tema della fede come un viaggio, un percorso che non sempre è facile o lineare.

In questo senso, il film può essere visto come una critica alla fede tradizionale, che spesso è basata su dogmi e riti che possono essere opprimenti.

Un’altra possibile interpretazione è che il film sia una riflessione sull’incomunicabilità. Il film esplora il tema dell’incomunicabilità come un ostacolo alla comprensione e all’amore.

In questo senso, il film può essere visto come un invito a comunicare in modo autentico e sincero.

Il silenzio è un film importante e complesso che ha avuto un profondo impatto sul cinema europeo. Il film è un’opera ricca di significati che può essere interpretata in molti modi.

Alcuni dettagli aggiuntivi sul film:

  • Il film è stato girato in Svezia, tra Stoccolma e l’isola di Fårö.
  • La colonna sonora del film è stata composta da Lars Johan Werle.

Viaggio simbolico attraverso la malattia mentale, Il silenzio è uno dei film visivamente più potenti della storia del cinema. La critica che si aspettava un opera simile alle precedenti di Bergman, si divise in due fazioni contrapposte. È il conflitto tra due sorelle che rappresenta il conflitto tra la razionalità e la sensualità, la lucidità ed il desiderio. 

Persona (1966)

L’attrice Elisabeth Vogler, durante la rappresentazione teatrale dell’Elettra, si blocca improvvisamente, presa da un inspiegabile desiderio di ridere. In seguito si chiude in un assoluto mutismo.

Ricoverata in un ospedale psichiatrico, viene riconosciuta sana nel fisico e nella mente, non soffre di afasia, ma ha scelto coscientemente di non parlare più.

Altro capitolo di Bergman che ruota attorno al tema della malattia mentale e della impossibilità di comunicare con il mondo esterno. In Persona il regista abbandona ogni scenografia e artificio per puntare la cinepresa direttamente sui personaggi.

Racconto pieno di messaggi subliminali di un amore omosessuale non corrisposto tra personaggi di estrazione sociale diversa, il film raggiunge l’apice nelle scene di dialogo, dove domina un’atmosfera misteriosa e metafisica. 

L’ora del lupo (1968)

Il film è ambientato in una remota isola e racconta la storia di un pittore di successo, Johan Borg, che è in preda a un esaurimento nervoso.

Trama:

Johan Borg è un pittore di successo che vive con la moglie Alma su una remota isola. Johan è in preda a un esaurimento nervoso e inizia ad avere incubi e visioni.

Alma cerca di aiutare Johan, ma le sue condizioni peggiorano. Johan inizia a credere che Alma sia una strega e che stia cercando di ucciderlo.

Alla fine, Johan si ritrova faccia a faccia con la sua paura della morte. Riesce a superare la sua crisi e a ritrovare la pace interiore.

Analisi:

L’ora del lupo (1968) è un film importante per la sua esplorazione dei temi della follia, della paura e della morte. Il film è anche un esempio del cinema di Bergman, che spesso si concentrava sui temi della psicologia umana e dell’esistenza.

Premi:

  • L’ora del lupo (1968) ha vinto il premio per la migliore regia al Festival di Cannes nel 1968.

Altre informazioni:

  • Il film è stato girato in bianco e nero e dura circa 90 minuti.
  • Il film è stato prodotto da Svensk Filmindustri.
  • Il film è stato distribuito in Svezia nel 1968.

Note:

  • L’ora del lupo (1968) è considerato uno dei capolavori di Bergman.
  • Il film è stato elogiato per la sua regia, la sua sceneggiatura e le sue interpretazioni.

Interpretazione:

Il titolo del film, “L’ora del lupo”, si riferisce a un’espressione svedese che indica l’ora tra la notte e l’alba, quando il sonno è più profondo e gli incubi più vividi. Il film può essere interpretato come un viaggio attraverso la mente di un uomo che è in preda alla follia. Johan Borg è un uomo tormentato dalla sua paura della morte e dalla sua incapacità di trovare un senso alla vita. I suoi incubi e le sue visioni sono un riflesso delle sue paure e delle sue insicurezze.

Stile:

Il film è caratterizzato da un uso intenso del bianco e nero, che crea un’atmosfera cupa e inquietante. Bergman usa anche un montaggio discontinuo per creare un senso di confusione e di disorientamento.

Interpretazioni:

Max von Sydow interpreta Johan Borg con grande intensità. La sua interpretazione è un ritratto sconvolgente di un uomo che sta perdendo la sua sanità mentale. Liv Ullmann interpreta Alma con compassione e comprensione. La sua interpretazione è un ritratto realistico di una donna che cerca di aiutare un uomo che ama.

L’ora del lupo (1968) è un film potente e inquietante che esplora i temi della follia, della paura e della morte. L’unico film di Bergman che potremmo definire quasi un horror

Altri film minori

negli anni successivi Ingmar Bergman allestisce i suoi studi di produzione sull’isola di Faro dove vive e da cui si sposta raramente. Realizza una serie di film minori che riscuotono scarso successo. La vergogna è un film sulla guerra in Vietnam del 1967 che non prende una posizione ben definita. 

Passione è un film dove i protagonisti sono 4 attori che criticano e commentano gli stessi personaggi che interpretano. Nel 1969 realizza il primo film per la televisione, Il rito, un’opera dall’impianto teatrale realizzata tutta in interni. Poi realizza un documentario sull’isola di Faro intitolato Fårödokument, dove i protagonisti sono gli abitanti dell’isola. Nel 1971 realizza quello che viene ritenuto uno dei suoi peggiori film L’adultera, che è anche un clamoroso fiasco commerciale. 

Sussurri e grida (1972)

Ingmar Bergman ha problemi economici dovuti agli insuccessi degli ultimi film, ma riesce a risollevarsi grazie ad un ennesimo capolavoro, Sussurri e grida

Il film è ambientato in una villa in campagna e racconta la storia di tre sorelle che si riuniscono per stare accanto alla sorella maggiore, Agnes, che sta morendo di cancro.

Trama:

Agnes, Maria e Karin sono tre sorelle che vivono in una villa in campagna. Agnes è malata di cancro e sta morendo. Maria è una donna sposata con un medico, mentre Karin è una donna single che lavora come infermiera.

Le tre sorelle si riuniscono per stare accanto ad Agnes e aiutarla a prepararsi alla morte. Durante questo periodo, le sorelle affrontano il loro dolore e le loro paure.

Analisi:

Sussurri e grida (1972) è un film importante per la sua esplorazione dei temi del dolore, della morte e dell’amore. Il film è anche un esempio del cinema di Bergman, che spesso si concentrava sui temi della psicologia umana e dell’esistenza.

Premi:

  • Sussurri e grida (1972) ha vinto l’Oscar per la migliore fotografia nel 1973.
  • Il film ha anche vinto il premio per la migliore regia al Festival di Cannes nel 1973.

Altre informazioni:

  • Il film è stato girato in bianco e nero e dura circa 91 minuti.
  • Il film è stato prodotto da Svensk Filmindustri.
  • Il film è stato distribuito in Svezia nel 1972.

Note:

  • Sussurri e grida (1972) è considerato uno dei capolavori di Bergman.
  • Il film è stato elogiato per la sua regia, la sua sceneggiatura e le sue interpretazioni.

Scene da un matrimonio (1974)

Film televisivo a puntate trasformato poi in un film cinematografico di 3 ore. Ritenuto dai critici cinematografici americani il miglior film del 1974. E’ un racconto che affronta i problemi relazionali delle coppie, in un contesto dove, in Svezia, i divorzi stanno aumentando vertiginosamente.

Marianne e Johan sono sposati da dieci anni, hanno due bambine e apparentemente sono una coppia felice, ma sembrano essere inconsapevoli che molte cose nel loro matrimonio non funzionano. Johan ha quarantadue anni ed è un professore universitario, mentre Marianne ha trentacinque anni e lavora in uno studio legale.

Lui sa di essere un egoista, mentre lei crede nell’amore. i due coniugi litigano spesso e poi si riappacificano. Stanno decidendo se andare al pranzo domenicale dai genitori, mentre Johan preferisce far leggere le sue poesie ad una collega piuttosto che alla moglie. I malumori nella coppia sono destinata ad aumentare.

Altri film per la TV

Realizza poi nel 1976 un film ispirato all’opera musicale Il flauto magico intitolata Il ballo delle ingrate. Successivamente gira il dramma psicologico L’immagine allo specchio, sempre nel 1976, diviso in quattro episodi di 50 minuti e trasformato poi in un film della durata complessiva di 135 minuti, presentato il Festival di Cannes. E’ un’opera che risente della stanchezza artistica di Bergman.

Il 30 gennaio del 1976, mentre il regista era impegnato nella scrittura della sceneggiatura del film L’uovo del serpente, che sarebbe stata prodotta da Dino De Laurentiis, arrivarono a prelevarlo due poliziotti. L’accusa era di frode fiscale. Le peripezie legali continuarono per quasi 10 anni e si risolsero con il pagamento di 180000 corone, Ma la vicenda influì negativamente su Bergman che cadde in depressione e fu costretto a ricoverarsi in un ospedale psichiatrico.

Nel 1977 riuscì a tornare a casa sull’isola di Faro e scrisse Il soggetto di Sinfonia di autunno. Decise poi, a causa dei problemi burocratici, di abbandonare la Svezia, trasferendosi prima a Parigi e poi a Copenaghen.

L’uovo del serpente (1977)

L’uovo del serpente fu girato negli studi della Bavaria film a Monaco di Baviera. E’ la storia di Abel Rosenberg, un ebreo statunitense di 35 anni che lavora in un circo come trapezista negli anni ‘20. Il fratello di Abel si suicida improvvisamente e lui viene sospettato di omicidio.

L’ispettore della polizia lo interroga mentre nel frattempo sui giornali vengono raccontati intrighi politici. Max, prima di spararsi, ha lasciato una lettera con sopra scritto “Un flagello sta per abbattersi su di noi”.

Il film ha uno stile espressionista ed un’atmosfera molto cupa. Bergman sceglie colori scuri, raccontando la vicenda con uno stile che si avvicina molto ad un film dell’orrore. Bergman stesso dichiarò: “Quasi un film dell’orrore e certamente il film più forte che abbia mai fatto”. E’ un racconto autobiografico che il regista realizza per liberarsi delle sue angosce.

Sinfonia d’autunno (1978)

Sinfonia d’autunno è un film girato nel 1978, tratto da un testo teatrale dello stesso Bergman. E’ l’unica collaborazione con l’attrice Ingrid Bergman. Nel cast ci sono altre attrici che collaborano con lui da tempo, come Liv Ullmann

Victor è un pastore protestante che vive con la moglie Eva in un piccolo paese tra i fiordi della Norvegia. La donna ha perduto anni prima un bambino ed ora si prende cura della figlia disabile Helena, ricoverata precedentemente in una casa di cura. Eva invita la madre Charlotte a trascorrere una vacanza a casa sua. La donna è una famosa pianista che è rimasta vedova da poco tempo e che Eva non vede da 7 anni.

Il titolo originale del film era Sonata. Esso fa capire meglio lo stile che Ingmar Bergman voleva dare al suo film. Successivamente è stato modificato in Sinfonia. Ma mentre una sinfonia viene composta per un’orchestra una sonata è un brano per strumenti. I personaggi del film infatti sono delle anime solitarie che si confrontano tra di loro.

In questo lavoro il regista lascia completamente spazio al dramma riducendo ogni distrazione tipica del mezzo cinematografico, con un rigore totale. si tratta di una dolorosa analisi sul sentimento dell’amore per i figli.

Un mondo di marionette (1980)

Un mondo di marionette (1980) è un film drammatico svedese-tedesco diretto da Ingmar Bergman. Il film è ambientato a Stoccolma e racconta la storia di Peter Egerman, un uomo di successo che uccide una prostituta.

Trama:

Peter Egerman è un uomo di successo, sposato con Katarina e padre di due figli. Un giorno, Peter incontra una prostituta di nome Marianne e la strangola.

Il caso viene seguito dallo psicoanalista Mogens Jensen, che cerca di capire il motivo dell’omicidio. Peter racconta a Mogens la sua vita, piena di successi professionali e fallimenti personali.

Alla fine, Peter si rende conto che l’omicidio è stato un atto di autodistruzione. È stato spinto a commettere il crimine dalla sua incapacità di affrontare le sue paure e le sue insicurezze.

Analisi:

Un mondo di marionette (1980) è un film importante per la sua esplorazione dei temi della colpa, della vergogna e della redenzione. Il film è anche un esempio del cinema di Bergman, che spesso si concentrava sui temi della psicologia umana e dell’esistenza.

Premi:

  • Un mondo di marionette (1980) ha vinto il premio per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes nel 1980.

Altre informazioni:

  • Il film è stato girato a Stoccolma, in Svezia, e a Monaco di Baviera, in Germania.
  • Il film è stato prodotto da Ingmar Bergman, Ingrid von Rosen e Ingrid Bergman.
  • Il film è stato distribuito in Svezia nel 1980.

Note:

  • Un mondo di marionette (1980) è considerato uno dei capolavori di Bergman.
  • Il film è stato elogiato per la sua regia, la sua sceneggiatura e le sue interpretazioni.

Interpretazione:

Il titolo del film, “Un mondo di marionette”, si riferisce alla visione di Peter del mondo come un luogo in cui le persone sono controllate da forze al di fuori del loro controllo. Peter si sente come una marionetta, in balia delle sue paure e delle sue insicurezze.

Stile:

Il film è caratterizzato da un uso intenso del bianco e nero, che crea un’atmosfera cupa e inquietante. Bergman usa anche un montaggio discontinuo per creare un senso di confusione e di disorientamento.

Interpretazioni:

Robert Atzorn interpreta Peter Egerman con grande intensità. La sua interpretazione è un ritratto sconvolgente di un uomo che è in preda alla colpa e alla vergogna. Christine Buchegger interpreta Marianne con compassione e comprensione. La sua interpretazione è un ritratto realistico di una donna che è vittima di violenza.

Un mondo di marionette (1980) è un film potente e inquietante che esplora i temi della colpa, della vergogna e della redenzione. Il film è un capolavoro del cinema di Ingmar Bergman.

Analisi del titolo:

Il titolo del film, “Un mondo di marionette”, è un’immagine metaforica che riflette la visione del mondo di Peter Egerman. Peter si sente come una marionetta, in balia delle sue paure e delle sue insicurezze.

Analisi del finale:

Alla fine del film, Peter si rende conto che l’omicidio è stato un atto di autodistruzione. È stato spinto a commettere il crimine dalla sua incapacità di affrontare le sue paure e le sue insicurezze.

Il finale del film è aperto, ma suggerisce che Peter è sulla via della redenzione. Ha finalmente affrontato le sue paure e le sue insicurezze, e ha trovato la forza di andare avanti.

Fanny e Alexander (1982)

In questa opera Bergman distrugge il metodo cinematografico della suspense di Alfred Hitchcock e racconta la vicenda di un crimine sessuale in modo completamente diverso, con un frequente utilizzo di flashback e flash forward. 

Negli anni 80 il regista riesce a tornare nella sua amata isola di Faro e prosegue il progetto documentaristico iniziato anni prima intitolato Farodokument. Successivamente, nel 1982, realizza quello che sarebbe dovuto essere suo ultimo film: Fanny e Alexander. 

in una città della provincia svedese una famiglia borghese festeggia il Natale in casa della nonna. I protagonisti sono due bambini, Fanny e Alexander, figli del direttore del teatro locale. I bambini osservano la realtà intorno a loro con ingenuità. Alla festa ci sono anche gli zii con le rispettive mogli. A causa di una grave malattia Oscar muore e la madre di Fanny e Alexander cerca conforto nella religione e sposa il pastore protestante Vergerus. La vita di Fanny e Alexander cambierà in modo drastico: dalla lussuosa casa piena di giochi andranno a vivere in una austera casa canonica.

Ambientato ad Uppsala, la sua città natale, tra il 1907 e il 1909, è un film esplicitamente autobiografico con una sessantina di personaggi, tra cui un perfido pastore protestante, proprio come era il padre del regista. Il film, che aveva una durata iniziale di 6 ore, fu ridotto progressivamente ad una versione cinematografica di 3 ore. E’ un capolavoro che riassume 40 anni di cinema. Ma non fu il suo ultimo film.

Film TV e sceneggiature

Dopo il capolavoro Fanny e Alexander l’attività di Bergman non si esaurisce. Nel 1983 realizza il film di parapsicologia Dopo la prova, girato per la televisione e distribuito successivamente al Festival di Cannes e nelle sale cinematografiche. Nel 1986 dirige il film Il segno ed il cortometraggio Il volto di Karin dedicato alla madre.

Sempre nel 1986 realizza una lunga intervista per la televisione in cui racconta la lavorazione del film Fanny e Alexander. Alla fine degli anni 80 e all’inizio degli anni 90 continua anche l’attività teatrale e televisiva. Realizzerà il suo quarantesimo film intitolato Vanità e affanni, girato con tecniche digitali. 

Successivamente si dedica alla scrittura di sceneggiature con titoli come Con le migliori intenzioni, una produzione televisiva affidata al regista Bille August, che aveva vinto un premio Oscar nel 1989. nel 1991 si dedica al teatro portando in Italia un’opera giapponese di Yukio Mishima intitolata Madame de Sade, rappresentata al teatro di Parma. Poi cura la regia di Peer Gynt di Ibsen a Stoccolma con Bibi andersson, e subito dopo Le baccanti di Euripide all’Opera di Stoccolma, con un grande successo di pubblico. Scrive poi la sceneggiatura del film Il figlio della domenica che verrà realizzata dal figlio Daniel, e poi si dedica alla produzione di alcuni film televisivi senza riscontrare grande successo.

Il lavoro del regista secondo Ingmar Bergman 

Ingmar-Bergman-film

Un regista ha detto che un regista di cinema è persona che ha il tempo solo di pensare ai suoi problemi. Mi pare la definizione più esatta. Evidentemente si possono trovare anche moltissime altre spiegazioni. Si possono trovare, a cose fatte, una serie di definizioni razionali. Si può dire per esempio che la regia cinematografica consiste nel trasformare le visioni, le idee e i sogni, le stesse speranze, in immagini capaci di trasmettere poi questi sentimenti agli spettatori nel modo più efficace possibile. 

Si crea una sorta di veicolo: questa lunga striscia di pellicola che, tramite un complesso di macchine, trasmette dei sogni personali. Delle immagini indirizzate ad altre coscienze, ad altri individui. Non lo so. Alla regia cinematografica si può anche dare una definizione tecnica. Con l’aiuto di un numero enorme di persone, artisti e tecnici, e di un numero colossale di macchine, si fabbrica un prodotto. 

Può essere un prodotto di consumo, una merce, un’opera d’arte, questo è da vedersi. Ma sebbene io giri film da quando avevo ventisette anni, non posso garantire di cosa si tratti in fin dei conti: se sia tutte queste cose assieme, o se non sia nessuna di esse. 

Il futuro del cinema? 

Noi registi utilizziamo una minuscola parte di un potere straordinario, ci limitiamo a far muovere il dito mignolo di un gigante che può anche diventare pericoloso. Ma io posso anche sbagliarmi. Può anche darsi che il film abbia raggiunto il punto massimo della sua evoluzione, che questo strumento, per la sua stessa natura, non possa conquistare nuove terre, che noi ci troviamo schiacciati contro un muro, che la nostra strada non sia ormai che un vicolo cieco. 

Molti sono di questo parere ed è indubitabile che noi continuiamo a segnare il passo in una sorte di palude, paralizzati dalle preoccupazioni economiche, dalle convenzioni, dal timore, dall’incertezza e dal disordine. Qual è il suo rapporto con il pubblico? Io mi sono dato tre regole fondamentali, cui ho cercato di non venire mai meno. La prima: essere interessante. 

Di conseguenza, il pubblico che viene a vedere un mio film ha il diritto di pretendere di trovarvi delle emozioni, delle sensazioni, una gioia vitale; e io ho il dovere di dargli quello che domanda. Questo però non significa che io abbia il diritto di prostituirmi; la mia seconda regola, infatti, mi impone di agire sempre in armonia con la mia coscienza artistica. 

E la terza regola, facendomi considerare ogni film il mio ultimo film, mi difende dai rischi in cui potrebbe farmi cadere la seconda regola, qualora volessi sacrificare troppe cose alla mia concezione dell’arte. 

Il montaggio 

Il montaggio avviene già al momento della ripresa, il ritmo viene creato nella sceneggiatura. So che molti registi procedono nel modo contrario. Il ritmo dei miei film viene concepito nella sceneggiatura a tavolino, e viene generato dinanzi alla cinepresa. Ogni forma di improvvisazione mi è estranea. Se qualche volta sono costretto a prendere una decisione senza averci riflettuto sopra, comincio a sudare, mi irrigidisco per la paura. 

Il cinema è per me un’illusione progettata fin nei minimi dettagli, lo specchio di una realtà che quanto più vivo tanto più mi appare illusoria.

Che ne pensa della televisione?

La sera, quando guardo la televisione, mi coglie improvvisa la sensazione che il cinema sia superato, invecchiato, un’arte della quale si potrebbe fare a meno, e che meriterebbe di essere gettata via. 

I film e i drammi che noi costruiamo non potranno mai attingere il livello drammatico della televisione, il suo potere di suggestione, la sua immediatezza. Il cinema non può stimolare l’immaginazione come la televisione.

Ma qual è la differenza tra il cinema e la televisione?

Le differenze tra cinema e televisione, almeno dal punto di vista della creazione artistica, sono del tutto artificiose o, comunque, non sono necessarie né fondamentali. La televisione mi ha sempre affascinato; la guardo spesso, la studio e se proprio dovessi vederci una differenza con il cinema la indicherei, nonostante il piccolo schermo, o forse proprio per questo, in una sua maggiore possibilità espressiva, di comunicazione, di penetrazione. 

Comunque, anche senza questa differenza di risultati, c’è, esterna, la sua differenza formale, di mezzo. Ed è questo uno dei motivi per cui mi ci rivolgo. Mi piace fare esperimenti con forme diverse, con mezzi nuovi. Avendo la prova, oltre a tutto, che non si creano grandi scissioni fra il mio lavoro in Tv e quello per il cinema dato che, regolarmente, quello che realizzo per il piccolo schermo riesce poi a essere accolto senza difficoltà anche dal grande. 

E il teatro?

Per qualche anno potrò ancora fare del cinema e poi la mia energia fisica comincerà a declinare. Ma continuerò a lavorare con il teatro finché saranno obbligati a farmi uscire con i piedi davanti e la testa dietro, perché a teatro si tratta di partecipare a esperienze assieme ad altre persone e di dare suggerimenti e di aprire degli orizzonti.

Lei ha detto una volta che né il cinema, né il teatro possono cambiare il mondo. Ma allora perché continuare?

Secondo me si deve continuare comunque, perché credo che una persona, finché vive, deve continuare a fare quello che gli piace. In fondo quello che uno fa lo fa prima di tutto per se stesso, il fine ultimo è sempre quello di mettersi in contatto con gli altri, si cerca sempre di dire: «Ascolta un momento: vieni qua e forse imparerai qualcosa di nuovo»; oppure: «secondo me questo dovrebbe essere così»; oppure: «dà un’occhiata qua, guarda quanto è bello». 

Oppure si può sezionare la vita intellettuale e spirituale di un individuo e dire: «Osserva, questo fenomeno consiste in questo, questo e quest’altro, eccetera…». E da tutto questo la gente può ricevere un’esperienza emotiva, o uno shock, oppure può scoprire improvvisamente che si tratta di cose bellissime o magari buffissime. E io non pretendo più di questo, le mie pretese non vanno oltre. 

C’è un regista europeo a cui si sente vicino?

Forse Federico Fellini. Anzi, certamente. Lo ammiro molto: come artisti, credo, abbiamo lo stesso sangue. Da tempo eravamo in corrispondenza, ci scrivevamo lettere ogni tanto. Finalmente ci siamo conosciuti. Per la prima volta ho avuto l’impressione di incontrare un fratello nel mestiere. È stata un’esperienza bellissima. Nei suoi film i personaggi più positivi sono sempre quelli femminili… 

Ho la sensazione che siamo all’inizio di una incredibile rivoluzione. Le donne stanno finalmente cominciando ad assumersi le loro responsabilità. Naturalmente hanno ancora tante difficoltà che è impossibile sapere cosa accadrà. Da una parte l’avanguardia fa sentire la sua voce, dall’altra una grande massa di donne rimangono dietro le quinte.

Eppure quasi ogni donna, anche nell’avanguardia, ha un po’ del guastatore. Come se avessero tutte una cattiva coscienza. Capiscono che c’è qualcosa di sbagliato, ma non sanno come affrontarlo. Hanno dato vita a un movimento che non va fermato anche se non sappiamo fino a dove arriverà e che cosa porterà.

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