Nato il 14 luglio 1918 a Uppsala in Svezia Ingmar Bergman è stato uno dei registi più importanti della storia del cinema. La sua filmografia ha una coerenza estrema nell’esplorare le tensioni e le angosce dell’essere umano. Tra i suoi film drammatici ci sono alcune tra le più significative opere cinematografiche di tutti i tempi: una filmografia ricca di film da vedere assolutamente.
Ingmar Bergman è un uomo che ha vissuto più nella dimensione del sogno che nella realtà. Ha esplorato di più i fatti che accadevano nel suo mondo interiore piuttosto che quelli del mondo esterno. L’esplorazione del mondo onirico lo ha accomunato molto a Federico Fellini, di cui era amico e con cui si confrontava con degli scambi epistolari.
Mentre Fellini rappresenta il lato folle, bizzarro, grottesco e divertente del sogno, Bergman è l’esploratore del lato più oscuro e tormentato dell’essere umano che sprofonda nell’abisso.
Infanzia di Ingmar Bergman
il padre di Ingmar Bergman, Erik, influenzerà profondamente la sua vita e la sua opera artistica. Era un pastore luterano infervorato da un sentimento religioso fondamentalista e bigotto. Fece crescere Ingmar con una rigida educazione fondata sul peccato e sulla punizione. Il tema religioso sul rapporto tra l’essere umano e Dio sarà al centro della filmografia di Bergman.
Il padre, che aveva una grande capacità oratoria quando faceva i sermoni, girò diverse parrocchie svedesi fino a diventare Cappellano della Corte reale. Aveva un carattere irascibile, autoritario, causato probabilmente da una profonda insicurezza che lo rendeva spesso nervoso, anche per i continui litigi con la moglie. Spesso bastava che Ingmar facesse rumore o non rispondesse correttamente alle tue domande di natura religiosa per essere severamente punito punito.
Il vagabondaggio in diverse parrocchie in giro per la Svezia, raccontato da Ingmar Bergman nella sua autobiografia del 1987 Lanterna magica, fa avvicinare già da bambino il regista alle riflessioni spirituali sulla vita e sulla morte. Una tematica su cui focalizzerà il suo interesse principale per tutta la vita.
Anche la madre non era una persona equilibrata: soffriva di depressione e prendeva continuamente psicofarmaci. Ingmar era in perenne conflitto con i tuoi genitori e preferiva rinchiudersi nel suo mondo interiore. Trovò una maggiore motivazione a farlo quando all’età di 12 anni gli fu regalato un proiettore e scopri il cinema ed i film. Gli sembrò subito che fosse l’attività perfetta per lui, l’arte che poteva esprimere l’invisibile ed il mistero dell’uomo.
Ingmar Bergman racconterà la figura del padre e le emozioni che provava da bambino in diversi film tra cui Fanny e Alexander. L’infanzia infatti rimane uno dei punti cardine della filmografia del regista svedese e della sua vita privata. Una situazione così oppressiva portò subito il piccolo Bergman a porsi domande sulla natura di Dio: era davvero un comportamento giustificato da un rapporto con il divino quello del padre, irascibile e violento?
I temi dei film di Ingmar Bergman
Il conflitto che Ingmar Bergman si trova ad affrontare film da bambino è quello tra religione e spiritualità, tra dogma e autentica trascendenza. Il fanatismo del padre, che Ingmar si trova a subire senza potersi difendere, è uno dei temi cardine della storia dell’umanità. La religione istituzionale, che nei millenni si è voluta porre come intermediario tra l’uomo e Dio, ha creato i più grandi crimini dell’umanità.
La domanda che Ingmar Bergman si è posto durante la sua esistenza e nelle sue opere cinematografiche è la stessa che si sono fatti gran parte degli esseri umani attraverso la storia: Dio non è forse amore incondizionato e universale? Dio non ha forse dotato l’essere umano di libero arbitrio? È giusto che l’uomo sia sopraffatto dal senso del peccato e dalla punizione?
Queste e molte altre domande compongono il complesso scenario della ricerca spirituale in un mondo materiale, dove anche il rapporto dell’uomo con Dio è gestito attraverso il potere e la manipolazione. Bergman ha utilizzato il cinema per indagare i temi universali dell’esistenza umana con un talento unico sia nella scrittura dei testi che nella forza figurativa dei suoi film.
I dialoghi tra i personaggi hanno spesso l’intensità di una rappresentazione teatrale ma nello stesso tempo è sublime il livello artistico della composizione delle immagini, della fotografia e del ritmo. Amava molto gli attori che considerava i suoi principali collaboratori, spesso chiamati ad interpretare ruoli complessi in una posizione di difficile vulnerabilità psicologica.
La fuga a Stoccolma
Nel 1936 Ingmar Bergman “scappa” di casa per andare a studiare all’università di Stoccolma. Si iscrive al corso di letteratura ma in realtà é affascinato dal teatro e dal cinema. Inizia a lavorare al teatro universitario come suggeritore dietro le quinte.
Cominciò a guadagnare ed a scrivere molti drammi e opere liriche. Nel 1942 venne messe in scena la sua opera La morte di Kasper al teatro universitario. La fortuna volle che in teatro era presente il direttore della Svenks Filmindustry che rimase molto colpito dal dramma e lo assunse immediatamente, il giorno dopo, per 500 corone al mese.
Scrittore per il cinema
Ingmar Bergman inizia quindi la sua carriera nel cinema come sceneggiatore. Il suo primo testo viene tradotto in film dal regista Alf Sjöberg. Si tratta di Hets (Spasimo), storia di un professore tirannico nei confronti dei suoi studenti. Già da questa prima sceneggiatura troviamo i temi autobiografici dei film successivi, legati all’esperienza familiare e alla figura del padre.
Nel 1946 gli viene affidata alla regia del primo film, tratto dal testo teatrale svedese La bestia madre. Crisi (Kris) è la storia romantica di una ragazza che dopo la guerra riesce a ritrovare sua madre e a sposare l’uomo che sognava.
Il film è un fiasco ma il produttore Lorens Marmsted offre una nuova possibilità al giovane Bergman. Realizza così il suo secondo film Piove sul nostro amore ma il risultato è piuttosto scadente. Bergman stesso ammetterà alcuni anni dopo che era un esperimento fallito fatto in un periodo in cui non era ancora abbastanza competente. Non padroneggia ancora la tecnica cinematografica.
Alla fine del 1946 si trasferisce a Goteborg dove viene nominato direttore del teatro cittadino e mette in scena il Caligola di Albert Camus. Grazie al produttore Marmsted produce ancora vari film romantici tratti da opere teatrali, come Terra del desiderio, Musica nel buio e Un’estate d’amore. Da questo film in poi la vena romantica di Bergman sembra esaurirsi. Nel 1948 scrive la sceneggiatura di Eva, film che sarà diretto dal regista Gustaf Molander.
I primi film d’autore
Con il film La prigione incomincia a venire fuori la personalità di Ingmar Bergman come autore. La Svensk Filmindustri gli fa realizzare diversi film: Sete, nel 1949, Verso la gioia, interpretato dal grande attore e regista Victor Sjöström e Ciò non accadrebbe qui, un film anticomunista di cui Bergman si rifiutò di firmare il soggetto e la sceneggiatura.
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Un estate d’amore
Nel 1950 Bergman riesce a realizzare il suo primo film davvero riuscito, Un’estate d’amore. Il suo apprendistato cinematografico era stato lungo, non era stato facile per lui apprendere la tecnica cinematografica. Un’estate d’amore era già il suo decimo film.
E il racconto dei tormenti sentimentali della ballerina Marie, che riceve un plico che contiene il diario di Henrik, un giovane amato anni prima e poi morto in un incidente. In realtà il diario è un inganno dello zio di Marie, che vorrebbe avere una relazione con lei. Marie conosce un altro giovane uomo ma non riesce ad abbandonarsi alla relazione a causa delle sue esperienze precedenti.
Donne in attesa
Successivamente realizza Donne in attesa, presentato al festival di Venezia nel 1952. Il film non riscuote successo né di critica né di pubblico.
4 donne chiuse in casa in attesa dei loro mariti, che sono fratelli tra di loro. Si raccontano segreti, tradimenti e desideri inconfessabili. Durante l’attesa la giovane Maj, stanca di ascoltare le confessioni delle quattro donne, decide di scappare con il fidanzato Henrik in Italia.
Monica e il desiderio
Nel 1953 Bergman trova la sua attrice ideale, Harriet Anderson, che diventerà anche la sua compagna di vita, girando il film Monica e il desiderio. Fu considerato uno scandalo per la prorompente sensualità dell’attrice.
Storia drammatica di un rapporto di coppia che sboccia e appassisce. Monica e Harry sono due ragazzi che vivono in famiglie problematiche. I genitori di Harry hanno gravi problemi di salute mentre il padre di Monica è un alcolizzato violento. I due ragazzi trovano il modo di licenziarsi dai rispettivi lavori e di scappare su un’isola dell’arcipelago svedese.
Si godono l’estate e la totale libertà, nell’amore e nel godimento dei sensi. Poi Monica rimane incinta, l’estate finisce e tornano in città. Quando il bambino nasce iniziano i problemi, Monica non vuole più tornare a lavorare.
Il teatro di Malmo
Intanto il cinema entra in crisi a causa dei problemi economici causati dalla guerra e Ingmar Bergman viene licenziato dalla Svenks filmindustry. Anche il teatro di Stoccolma rifiuta di assumerlo. Troverà lavoro presso il teatro di Malmo dove rimarrà per 8 anni. Li produrrà e dirigerà molti spettacoli tra cui Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello e Il castello di Franz Kafka.
Una vampata d’amore
Nel 1953 realizza il film Una vampata d’amore. É la storia della relazione tra Alberto e Anne, il direttore di un circo e la sua amante, avvelenata dalla gelosia e dalle frustrazioni. Alberto Infatti vorrebbe riconquistare Agda, la sua ex moglie e Anne lo tradisce con un attore di teatro, Frans. Il film rivela una visione del mondo pessimista è senza speranza. Lo stile di Bergman diventa espressionista e tragico.
Il settimo sigillo (1956)
Nel 1956 Bergman realizza Il settimo sigillo, basato su un testo che aveva scritto 2 anni prima per gli studenti dell’Accademia d’arte drammatica di Malmo, Pittura su legno. Il regista tiene molto a realizzare come film questa rappresentazione teatrale della durata di circa 45 minuti, ma non riesce a trovare i finanziamenti necessari. La produzione de Il settimo sigillo sarà possibile solo grazie al successo del film precedente, Sorrisi di una notte d’estate, che aveva avuto grande successo al Festival di Cannes.
Il film viene girato con un budget molto basso e con un tempo di riprese di soli 30 giorni. È un progetto realizzato più per amore che come lavoro professionale. Il film vince premi in varie parti del mondo, tra cui il Gran Premio della giuria di Cannes nel 1957.
Antonius Block e il suo scudiero Jöns tornano delle Crociate in Guerra Santa e attraversano un nord Europa dove imperversa la peste nera. Arrivato sulla spiaggia Block incontra la morte che è venuto a prenderlo. Il cavaliere le propone una sfida a scacchi per avere una proroga. La morte acconsente e il cavaliero e il suo scudiero proseguono il loto viaggio incontrando una serie di personaggi: alcuni scelgono di dedicarsi ai piaceri dei sensi e al godimento attendendo la fine, altri scelgono l’espiazione dei propri peccati.
Il posto delle fragole
Dopo il grande successo de L’ultimo sigillo Ingmar Bergman viene consacrato come uno dei più grandi registi del mondo con il film Il posto delle fragole.
Isak Borg, vecchio e illustre professore deve andare a ritirare un premio accademico a Lund. Il suo viaggio diventa un amaro bilancio esistenziale in cui prende coscienza di essere un uomo arido che non ha saputo instaurare relazioni autentiche, succube del suo egoismo.
Splendida interpretazione di Victor Sjöström, che dà vita al personaggio dentro al quale Ingmar Bergman si specchia. I detonatori del doloroso processo di presa di coscienza del professore sono le sequenze oniriche, tra le scene più belle della storia del cinema, che sono state di ispirazione anche per Federico Fellini. La lavorazione di Il posto delle fragole coinvolge talmente Bergman a livello emotivo che, finito il film, dovrà ricoverarsi in una clinica per esaurimento nervoso.
Alle soglie della vita (1958)
Cecilia sta per partorire e viene portata in ospedale. Accanto a lei c’è il marito Anders. Ma subito Cecilia viene portata in sala parto, dove abortisce spontaneamente. Cecilia chiede ad Anders se desiderava veramente il figlio che sarebbe dovuto nascere.
Film importante ma non recepito bene né dalla critica né dal pubblico, passato in secondo piano rispetto ai capolavori precedenti. È un lavoro in effetti in cui Ingmar Bergman si concentra più sull’aspetto tecnico che sul raggiungere alti significati esistenziali, che ormai erano diventati il marchio di fabbrica del regista.
Il volto (1958)
Ambientato nel 1846 a Stoccolma, Il volto si svolge nel freddo dell’inverno, Il volto è la storia di un gruppo di girovaghi guidati dall’illusionista Vogler, praticante di magia occulta e mesmerismo. I girovaghi vengono fermati dalla polizia e portati ad un palazzo dove li aspettano un console ed un medico interessati alla magia.
Una galleria di personaggi interessantissimi, mostrata da Bergman con occhio da antropologo, che si scontra sul conflitto tra scienza e magia, positivismo e occulto.
La Fontana della Vergine (1960)
Racconto ambientato in un oscuro paesaggio medievale Nord europeo, con La Fontana della Vergine Bergman torna al cinema con questo capolavoro, dopo una lunga pausa di teatro e altri ruoli istituzionali.
Töre vuole che sua figlia Karin porti due ceri alla Madonna in un giorno di festa. Come da tradizione a farlo deve essere una giovane ragazza vergine. Karin viene accompagnata dalla serva Ingeri, peccatrice e pagana. Nel tragitto viene violentata da alcuni briganti che poi, per ironia del destino, cercano rifugio nella casa di Töre.
Dopo tanti film così impegnativi Bergman si prende una pausa girando il divertente L’occhio del diavolo.
Come in uno specchio (1961)
Nel 1961 Ingmar Bergman si mise alla ricerca di un’isola da scegliere come location per il suo prossimo progetto. Visita le isole Orcadi ma non rimane soddisfatto. Scopre successivamente l’isola di Faro dove ambienta i suoi tre film successivi conosciuti come la trilogia del silenzio di Dio.
In vacanza sull’isola di Fårö, Martin e Karin, due giovani sposi, insieme a Minus, fratello di Karin, e del padre David, scrittore, si prendono un periodo di pausa dalle difficili situazioni che hanno dovuto affrontare. La ragazza è è stata ricoverata in un ospedale psichiatrico, e il padre ha preso spunto dalla sua malattia per scrivere un libro. Il marito di Karin è un medico dallo spirito razionale, e non si accorge del desiderio della moglie per Minus, al cui la donna confida le proprie allucinazioni.
Film arcano e inquietante che si addentra nei meandri della psiche umana e nel rapporto dell’uomo con i mondi invisibili. Un’ambientazione molto semplice, un piccolo gruppo di attori straordinari, e la luce usata per suggerire la dimensione trascendente che circonda ogni cosa.
Luci d’inverno (1963)
Mentre ogni cosa fuori è coperta di neve, il pastore protestante Tomas Ericsson sta celebrando il culto nella chiesa parrocchiale di Mittsunda. Al termine della funzione il collaboratore Algot chiede al pastore di potergli parlare. Arrivano intanto i coniugi Persson, che hanno tre bambini e un quarto in arrivo, molto turbati. L’uomo, che soffre di mania di persecuzione, è ossessionato dai cinesi che possiedono la bomba atomica.
Luci d’inverno è un film sulle complessità della fede del rapporto con Dio e con gli altri. È un film più essenziale e rigoroso dove i personaggi sono ridotti al minimo. Bergman raggiunge qui un’intensità rara attraverso l’uso dei primi piani in cui il personaggio protagonista si confessa davanti alla cinepresa.
Il silenzio (1963)
Due sorelle, Anna e Ester, stanno tornando a casa viaggiando su un treno in un paese che non conoscono, insieme a Johan, il figlio di Anna. Ester si sente male ed i 3 sono costretti a sostare in una città mai sentita prima, Timoka. Gli abitanti del paese parlano una lingua incomprensibile e sconosciuta. Alloggiano in un albergo immerso in un’atmosfera surreale e claustrofobia. Il ragazzo girovaga per i corridoi osservando quadri e scoprendo un gruppo di artisti nani. Sembra impossibile comunicare perfino con il cameriere.
Viaggio simbolico attraverso la malattia mentale, Il silenzio è uno dei film visivamente più potenti della storia del cinema. La critica che si aspettava un opera simile alle precedenti di Bergman, si divise in due fazioni contrapposte. È il conflitto tra due sorelle che rappresenta il conflitto tra la razionalità e la sensualità, la lucidità ed il desiderio.
Persona (1966)
L’attrice Elisabeth Vogler, durante la rappresentazione teatrale dell’Elettra, si blocca improvvisamente, presa da un inspiegabile desiderio di ridere. In seguito si chiude in un assoluto mutismo. Ricoverata in un ospedale psichiatrico, viene riconosciuta sana nel fisico e nella mente, non soffre di afasia, ma ha scelto coscientemente di non parlare più.
Altro capitolo di Bergman che ruota attorno al tema della malattia mentale e della impossibilità di comunicare con il mondo esterno. In Persona il regista abbandona ogni scenografia e artificio per puntare la cinepresa direttamente sui personaggi. Racconto pieno di messaggi subliminali di un amore omosessuale non corrisposto tra personaggi di estrazione sociale diversa, il film raggiunge l’apice nelle scene di dialogo, dove domina un’atmosfera misteriosa e metafisica.
L’ora del lupo (1968)
Johan, pittore famoso, vive con la moglie Alma isolato dal mondo: la sua immaginazione sta prendendo completamente il sopravvento sulla realtà, non riesce a capire più cosa è reale e cosa è fantasia. La moglie cerca di aiutarlo, ma il mondo interiore del marito la risucchia in un vortice.
L’ora del lupo, come spiega personaggio protagonista del film, è quell’ora tra la notte e l’alba in cui tanta gente muore e nasce, in cui il sonno è più profondo e gli incubi più vividi. Le immagini del film sono particolarmente violente, in un bianco e nero molto contrastato.
Johan non è un uomo adatto a vivere nella realtà, ma non riesce a vivere neanche nel suo mondo interiore, pieno di demoni e di fantasmi. L’unico film di Bergman che potremmo definire quasi un horror.
Altri film minori
negli anni successivi Ingmar Bergman allestisce i suoi studi di produzione sull’isola di Faro dove vive e da cui si sposta raramente. Realizza una serie di film minori che riscuotono scarso successo. La vergogna è un film sulla guerra in Vietnam del 1967 che non prende una posizione ben definita.
Passione è un film dove i protagonisti sono 4 attori che criticano e commentano gli stessi personaggi che interpretano. Nel 1969 realizza il primo film per la televisione, Il rito, un’opera dall’impianto teatrale realizzata tutta in interni. Poi realizza un documentario sull’isola di Faro intitolato Fårödokument, dove i protagonisti sono gli abitanti dell’isola. Nel 1971 realizza quello che viene ritenuto uno dei suoi peggiori film L’adultera, che è anche un clamoroso fiasco commerciale.
Sussurri e grida (1972)
Ingmar Bergman ha problemi economici dovuti agli insuccessi degli ultimi film, ma riesce a risollevarsi grazie ad un ennesimo capolavoro, Sussurri e grida.
Agnese sta morendo di un male incurabile, ed è assistita dalle sue due sorelle, Karin e Maria, e dalla serva Anna. La malattia di Agnese farà da catalizzatore per far emergere i problemi familiari nascosti.
Un film che è una splendida analisi del mondo femminile fatta da un uomo. Ancora una volta si ripropone il conflitto tra due donne completamente diverse, una superficiale ed emotiva, l’altra fredda e insensibile. La fotografia di Sven Nykvist e l’uso del colore per suggerire i diversi stati emotivi raggiungono un risultato visivo di grande impatto.
Scene da un matrimonio (1974)
Film televisivo a puntate trasformato poi in un film cinematografico di 3 ore. Ritenuto dai critici cinematografici americani il miglior film del 1974. E’ un racconto che affronta i problemi relazionali delle coppie, in un contesto dove, in Svezia, i divorzi stanno aumentando vertiginosamente.
Marianne e Johan sono sposati da dieci anni, hanno due bambine e apparentemente sono una coppia felice, ma sembrano essere inconsapevoli che molte cose nel loro matrimonio non funzionano. Johan ha quarantadue anni ed è un professore universitario, mentre Marianne ha trentacinque anni e lavora in uno studio legale. Lui sa di essere un egoista, mentre lei crede nell’amore. i due coniugi litigano spesso e poi si riappacificano. Stanno decidendo se andare al pranzo domenicale dai genitori, mentre Johan preferisce far leggere le sue poesie ad una collega piuttosto che alla moglie. I malumori nella coppia sono destinata ad aumentare.
Altri film per la TV
Realizza poi nel 1976 un film ispirato all’opera musicale Il flauto magico intitolata Il ballo delle ingrate. Successivamente gira il dramma psicologico L’immagine allo specchio, sempre nel 1976, diviso in quattro episodi di 50 minuti e trasformato poi in un film della durata complessiva di 135 minuti, presentato il Festival di Cannes. E’ un’opera che risente della stanchezza artistica di Bergman.
Il 30 gennaio del 1976, mentre il regista era impegnato nella scrittura della sceneggiatura del film L’uovo del serpente, che sarebbe stata prodotta da Dino De Laurentiis, arrivarono a prelevarlo due poliziotti. L’accusa era di frode fiscale. Le peripezie legali continuarono per quasi 10 anni e si risolsero con il pagamento di 180000 corone, Ma la vicenda influì negativamente su Bergman che cadde in depressione e fu costretto a ricoverarsi in un ospedale psichiatrico.
Nel 1977 riuscì a tornare a casa sull’isola di Faro e scrisse Il soggetto di Sinfonia di autunno. Decise poi, a causa dei problemi burocratici, di abbandonare la Svezia, trasferendosi prima a Parigi e poi a Copenaghen.
L’uovo del serpente (1977)
L’uovo del serpente fu girato negli studi della Bavaria film a Monaco di Baviera. E’ la storia di Abel Rosenberg, un ebreo statunitense di 35 anni che lavora in un circo come trapezista negli anni ‘20. Il fratello di Abel si suicida improvvisamente e lui viene sospettato di omicidio. L’ispettore della polizia lo interroga mentre nel frattempo sui giornali vengono raccontati intrighi politici. Max, prima di spararsi, ha lasciato una lettera con sopra scritto “Un flagello sta per abbattersi su di noi”.
Il film ha uno stile espressionista ed un’atmosfera molto cupa. Bergman sceglie colori scuri, raccontando la vicenda con uno stile che si avvicina molto ad un film dell’orrore. Bergman stesso dichiarò: “Quasi un film dell’orrore e certamente il film più forte che abbia mai fatto”. E’ un racconto autobiografico che il regista realizza per liberarsi delle sue angosce.
Sinfonia d’autunno (1978)
Sinfonia d’autunno è un film girato nel 1978, tratto da un testo teatrale dello stesso Bergman. E’ l’unica collaborazione con l’attrice Ingrid Bergman. Nel cast ci sono altre attrici che collaborano con lui da tempo, come Liv Ullmann.
Victor è un pastore protestante che vive con la moglie Eva in un piccolo paese tra i fiordi della Norvegia. La donna ha perduto anni prima un bambino ed ora si prende cura della figlia disabile Helena, ricoverata precedentemente in una casa di cura. Eva invita la madre Charlotte a trascorrere una vacanza a casa sua. La donna è una famosa pianista che è rimasta vedova da poco tempo e che Eva non vede da 7 anni.
Il titolo originale del film era Sonata. Esso fa capire meglio lo stile che Ingmar Bergman voleva dare al suo film. Successivamente è stato modificato in Sinfonia. Ma mentre una sinfonia viene composta per un’orchestra una sonata è un brano per strumenti. I personaggi del film infatti sono delle anime solitarie che si confrontano tra di loro. In questo lavoro il regista lascia completamente spazio al dramma riducendo ogni distrazione tipica del mezzo cinematografico, con un rigore totale. si tratta di una dolorosa analisi sul sentimento dell’amore per i figli.
Un mondo di marionette (1980)
Il film successivo è Un mondo di marionette, realizzato ancora a Monaco di Baviera negli studi della Bavaria film. con attori tedeschi. Peter Egerman flirta con una donna e poi improvvisamente, preso da un raptus, la aggredisce e la strangola. Lo psichiatra Jansen racconta la polizia di essere stato contattato telefonicamente da un suo paziente, Peter Egerman, che gli ha dato l’indirizzo dell’appartamento dove è stato trovato il cadavere sul letto. Egerman confessa di essere l’assassino e di aver abusato del corpo della donna anche dopo il decesso. lo psichiatra dice all’ispettore della polizia di non aver mai pensato che il suo paziente potesse fare qualcosa del genere.
Fanny e Alexander (1982)
In questa opera Bergman distrugge il metodo cinematografico della suspense di Alfred Hitchcock e racconta la vicenda di un crimine sessuale in modo completamente diverso, con un frequente utilizzo di flashback e flash forward.
Negli anni 80 il regista riesce a tornare nella sua amata isola di Faro e prosegue il progetto documentaristico iniziato anni prima intitolato Farodokument. Successivamente, nel 1982, realizza quello che sarebbe dovuto essere suo ultimo film: Fanny e Alexander.
in una città della provincia svedese una famiglia borghese festeggia il Natale in casa della nonna. I protagonisti sono due bambini, Fanny e Alexander, figli del direttore del teatro locale. I bambini osservano la realtà intorno a loro con ingenuità. Alla festa ci sono anche gli zii con le rispettive mogli. A causa di una grave malattia Oscar muore e la madre di Fanny e Alexander cerca conforto nella religione e sposa il pastore protestante Vergerus. La vita di Fanny e Alexander cambierà in modo drastico: dalla lussuosa casa piena di giochi andranno a vivere in una austera casa canonica.
Ambientato ad Uppsala, la sua città natale, tra il 1907 e il 1909, è un film esplicitamente autobiografico con una sessantina di personaggi, tra cui un perfido pastore protestante, proprio come era il padre del regista. Il film, che aveva una durata iniziale di 6 ore, fu ridotto progressivamente ad una versione cinematografica di 3 ore. E’ un capolavoro che riassume 40 anni di cinema. Ma non fu il suo ultimo film.
Film TV e sceneggiature
Dopo il capolavoro Fanny e Alexander l’attività di Bergman non si esaurisce. Nel 1983 realizza il film di parapsicologia Dopo la prova, girato per la televisione e distribuito successivamente al Festival di Cannes e nelle sale cinematografiche. Nel 1986 dirige il film Il segno ed il cortometraggio Il volto di Karin dedicato alla madre.
Sempre nel 1986 realizza una lunga intervista per la televisione in cui racconta la lavorazione del film Fanny e Alexander. Alla fine degli anni 80 e all’inizio degli anni 90 continua anche l’attività teatrale e televisiva. Realizzerà il suo quarantesimo film intitolato Vanità e affanni, girato con tecniche digitali.
Successivamente si dedica alla scrittura di sceneggiature con titoli come Con le migliori intenzioni, una produzione televisiva affidata al regista Bille August, che aveva vinto un premio Oscar nel 1989. nel 1991 si dedica al teatro portando in Italia un’opera giapponese di Yukio Mishima intitolata Madame de Sade, rappresentata al teatro di Parma. Poi cura la regia di Peer Gynt di Ibsen a Stoccolma con Bibi andersson, e subito dopo Le baccanti di Euripide all’Opera di Stoccolma, con un grande successo di pubblico. Scrive poi la sceneggiatura del film Il figlio della domenica che verrà realizzata dal figlio Daniel, e poi si dedica alla produzione di alcuni film televisivi senza riscontrare grande successo.
Il lavoro del regista secondo Ingmar Bergman
Un regista ha detto che un regista di cinema è persona che ha il tempo solo di pensare ai suoi problemi. Mi pare la definizione più esatta. Evidentemente si possono trovare anche moltissime altre spiegazioni. Si possono trovare, a cose fatte, una serie di definizioni razionali. Si può dire per esempio che la regia cinematografica consiste nel trasformare le visioni, le idee e i sogni, le stesse speranze, in immagini capaci di trasmettere poi questi sentimenti agli spettatori nel modo più efficace possibile.
Si crea una sorta di veicolo: questa lunga striscia di pellicola che, tramite un complesso di macchine, trasmette dei sogni personali. Delle immagini indirizzate ad altre coscienze, ad altri individui. Non lo so. Alla regia cinematografica si può anche dare una definizione tecnica. Con l’aiuto di un numero enorme di persone, artisti e tecnici, e di un numero colossale di macchine, si fabbrica un prodotto.
Può essere un prodotto di consumo, una merce, un’opera d’arte, questo è da vedersi. Ma sebbene io giri film da quando avevo ventisette anni, non posso garantire di cosa si tratti in fin dei conti: se sia tutte queste cose assieme, o se non sia nessuna di esse.
Il futuro del cinema?
Noi registi utilizziamo una minuscola parte di un potere straordinario, ci limitiamo a far muovere il dito mignolo di un gigante che può anche diventare pericoloso. Ma io posso anche sbagliarmi. Può anche darsi che il film abbia raggiunto il punto massimo della sua evoluzione, che questo strumento, per la sua stessa natura, non possa conquistare nuove terre, che noi ci troviamo schiacciati contro un muro, che la nostra strada non sia ormai che un vicolo cieco.
Molti sono di questo parere ed è indubitabile che noi continuiamo a segnare il passo in una sorte di palude, paralizzati dalle preoccupazioni economiche, dalle convenzioni, dal timore, dall’incertezza e dal disordine. Qual è il suo rapporto con il pubblico? Io mi sono dato tre regole fondamentali, cui ho cercato di non venire mai meno. La prima: essere interessante.
Di conseguenza, il pubblico che viene a vedere un mio film ha il diritto di pretendere di trovarvi delle emozioni, delle sensazioni, una gioia vitale; e io ho il dovere di dargli quello che domanda. Questo però non significa che io abbia il diritto di prostituirmi; la mia seconda regola, infatti, mi impone di agire sempre in armonia con la mia coscienza artistica.
E la terza regola, facendomi considerare ogni film il mio ultimo film, mi difende dai rischi in cui potrebbe farmi cadere la seconda regola, qualora volessi sacrificare troppe cose alla mia concezione dell’arte.
Il montaggio
Il montaggio avviene già al momento della ripresa, il ritmo viene creato nella sceneggiatura. So che molti registi procedono nel modo contrario. Il ritmo dei miei film viene concepito nella sceneggiatura a tavolino, e viene generato dinanzi alla cinepresa. Ogni forma di improvvisazione mi è estranea. Se qualche volta sono costretto a prendere una decisione senza averci riflettuto sopra, comincio a sudare, mi irrigidisco per la paura.
Il cinema è per me un’illusione progettata fin nei minimi dettagli, lo specchio di una realtà che quanto più vivo tanto più mi appare illusoria.
Che ne pensa della televisione?
La sera, quando guardo la televisione, mi coglie improvvisa la sensazione che il cinema sia superato, invecchiato, un’arte della quale si potrebbe fare a meno, e che meriterebbe di essere gettata via.
I film e i drammi che noi costruiamo non potranno mai attingere il livello drammatico della televisione, il suo potere di suggestione, la sua immediatezza. Il cinema non può stimolare l’immaginazione come la televisione.
Ma qual è la differenza tra il cinema e la televisione?
Le differenze tra cinema e televisione, almeno dal punto di vista della creazione artistica, sono del tutto artificiose o, comunque, non sono necessarie né fondamentali. La televisione mi ha sempre affascinato; la guardo spesso, la studio e se proprio dovessi vederci una differenza con il cinema la indicherei, nonostante il piccolo schermo, o forse proprio per questo, in una sua maggiore possibilità espressiva, di comunicazione, di penetrazione.
Comunque, anche senza questa differenza di risultati, c’è, esterna, la sua differenza formale, di mezzo. Ed è questo uno dei motivi per cui mi ci rivolgo. Mi piace fare esperimenti con forme diverse, con mezzi nuovi. Avendo la prova, oltre a tutto, che non si creano grandi scissioni fra il mio lavoro in Tv e quello per il cinema dato che, regolarmente, quello che realizzo per il piccolo schermo riesce poi a essere accolto senza difficoltà anche dal grande.
E il teatro?
Per qualche anno potrò ancora fare del cinema e poi la mia energia fisica comincerà a declinare. Ma continuerò a lavorare con il teatro finché saranno obbligati a farmi uscire con i piedi davanti e la testa dietro, perché a teatro si tratta di partecipare a esperienze assieme ad altre persone e di dare suggerimenti e di aprire degli orizzonti.
Lei ha detto una volta che né il cinema, né il teatro possono cambiare il mondo. Ma allora perché continuare?
Secondo me si deve continuare comunque, perché credo che una persona, finché vive, deve continuare a fare quello che gli piace. In fondo quello che uno fa lo fa prima di tutto per se stesso, il fine ultimo è sempre quello di mettersi in contatto con gli altri, si cerca sempre di dire: «Ascolta un momento: vieni qua e forse imparerai qualcosa di nuovo»; oppure: «secondo me questo dovrebbe essere così»; oppure: «dà un’occhiata qua, guarda quanto è bello».
Oppure si può sezionare la vita intellettuale e spirituale di un individuo e dire: «Osserva, questo fenomeno consiste in questo, questo e quest’altro, eccetera…». E da tutto questo la gente può ricevere un’esperienza emotiva, o uno shock, oppure può scoprire improvvisamente che si tratta di cose bellissime o magari buffissime. E io non pretendo più di questo, le mie pretese non vanno oltre.
C’è un regista europeo a cui si sente vicino?
Forse Federico Fellini. Anzi, certamente. Lo ammiro molto: come artisti, credo, abbiamo lo stesso sangue. Da tempo eravamo in corrispondenza, ci scrivevamo lettere ogni tanto. Finalmente ci siamo conosciuti. Per la prima volta ho avuto l’impressione di incontrare un fratello nel mestiere. È stata un’esperienza bellissima. Nei suoi film i personaggi più positivi sono sempre quelli femminili…
Ho la sensazione che siamo all’inizio di una incredibile rivoluzione. Le donne stanno finalmente cominciando ad assumersi le loro responsabilità. Naturalmente hanno ancora tante difficoltà che è impossibile sapere cosa accadrà. Da una parte l’avanguardia fa sentire la sua voce, dall’altra una grande massa di donne rimangono dietro le quinte.
Eppure quasi ogni donna, anche nell’avanguardia, ha un po’ del guastatore. Come se avessero tutte una cattiva coscienza. Capiscono che c’è qualcosa di sbagliato, ma non sanno come affrontarlo. Hanno dato vita a un movimento che non va fermato anche se non sappiamo fino a dove arriverà e che cosa porterà.