Il cinema horror spagnolo è un’entità complessa e stratificata, un’anima oscura che pulsa al ritmo inquieto della storia della nazione. Per decenni, ha funzionato come uno specchio deformante, riflettendo le ansie, le repressioni e le violenze di un paese segnato da una dittatura opprimente e da una transizione tumultuosa verso la modernità. Andare oltre i titoli più noti, prodotti con il sostegno di grandi studi, significa intraprendere un viaggio nel cuore pulsante e ribelle di questa tradizione: il cinema indipendente e underground.
Ecco una selezione curata di 30 film che incarnano perfettamente questo spirito. Non si tratta di una semplice lista, ma di una mappa per navigare le correnti più profonde e disturbanti del terrore iberico. Qui, la creatività nasce dalla scarsità, l’orrore non ha bisogno di effetti speciali sfarzosi perché sgorga direttamente dalla psiche collettiva, dalle leggende rurali e dalle crepe nascoste nel tessuto sociale. Assisteremo a un’evoluzione affascinante: dai mostri allegorici del fantaterror, che davano corpo ai fantasmi del regime franchista, fino agli orrori psicologici e domestici del cinema contemporaneo, dove il mostro non è più un’entità esterna e politica, ma si annida all’interno della comunità, della famiglia, persino dentro di noi. Questo è un canone inesplorato, un percorso per cinefili esigenti alla ricerca dell’autentica e indomita essenza dell’horror spagnolo.
Cronos (1993)
Cronos è un film horror spagnolo che racconta la storia di un antiquario chiamato Gesù che si imbatte in un antico scarabeo meccanico che, quando si collega a lui, gli offre la fonte della giovinezza. Il suo vigore giovanile finisce per essere al centro dell’attenzione un vecchio affascinato dai trucchi dell’alchimia spagnola, il cui nipote non si fermerà davanti a nulla per trovare lo scarabeo e darglielo, tuttavia Gesù non rinuncerà all’immortalità così rapidamente.
Il primo vero film di Guillermo del Toro è completamente in spagnolo, i fan del regista devono capire che è imbevuto del misticismo e del macabro che sarebbe poi diventato il biglietto da visita della sua filmografia.
La madre muerta (The Dead Mother, 1993)
In questo film horror spagnolo del 1993 una rapina mal gestita provoca l’omicidio di una donna mentre suo figlia riesce a sopravvivere. Vent’anni dopo, il criminale, con un altro nome e lavorando ora in un bar, rivede la ragazza. Il suo sguardo vuoto manda brividi freddi lungo la colonna vertebrale dell’assassino. Lei lo riconosce? Lo denuncerà? L’assassino sconvolto, disperato, desidera coprire le sue tracce e risolvere alcune questioni in sospeso. Complotta per completare il compito che doveva aver svolto diversi anni fa. Avrà la capacità di farlo finalmente?
Los sin nombre (The Anonymous, 1999)
Il corpo di una bambina di sei anni gravemente mutilato viene ritrovato in una vasca profonda. Poi sua madre all’improvviso riceve una telefonata dove sente una voce familiare: è sua figlia! O almeno la voce dichiara di esserlo. Afferma che desiderava solo che tutti pensassero che fosse morta, e ora sta chiedendo a sua madre di venire a prenderla. Inizia così l’impressionante battaglia di una mamma per riavere sua figlia dalle grinfie di qualunque cosa abbia in lei. .
El espinazo del Diablo (The Devil’s Backbone, 2001)
El espinazo del diablo” di Guillermo del Toro è un film horror spagnolo ambientato nel 1939, quando la guerra civile spagnola sta per finire. Il giovane Carlos viene mandato in un orfanotrofio in mezzo al nulla. Ciò che è strano è che sente una voce che afferma: “Molti di voi moriranno”. Carlos scopre subito che la voce è di un ragazzino, Santi, un fantasma con una storia da raccontare. Se ti stai chiedendo cosa descriva “el espinazo del diablo”, è una bevanda fatta con il liquido utilizzato per proteggere i feti morti. E nel film puoi vedere un uomo di scienza consumarla.
Pan’s Labyrinth (2006)
In una fiaba, la principessa Moanna, il cui padre è il re degli inferi, controlla il mondo umano, dove il sole la acceca e le cancella la memoria. Finisce per essere mortale e alla fine muore. Il re pensa che alla fine il suo spirito tornerà negli inferi, quindi costruisce labirinti in tutto il mondo in preparazione al suo ritorno. Nella Spagna franchista del 1944, Ofelia, una bambina di dieci anni, fa un viaggio con la mamma incinta Carmen per incontrare il capitano Vidal, il suo nuovo patrigno. Vidal, il figlio di un famoso leader scomparso in Marocco, ha un’alta considerazione nel falangismo ed è stato effettivamente incaricato di perseguire i ribelli repubblicani.
Guillermo del Toro ha effettivamente preso Narnia o il Paese delle Meraviglie e le ha rese parti equivalenti ammalianti e orribili, in cui gli animali incontrati dalla giovane eroina sono sia alleati che desiderano assisterla, sia cattivi con funzioni più minacciose. Pan’s Labyrinth rimane tra i film spaventosi più eccezionali mai realizzati.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione
El orfanato (2007)
Laura torna nel vecchio orfanotrofio dove è cresciuta, insieme al marito e al figlio adottivo Simon. Non ci vuole molto prima che Simon inizi a parlare di vedere Tomás, un bambino della sua età che usa un vecchio sacco come maschera. Simon dichiara di parlare con Tomas, un orfano che lo ha avvertito che morirà. Il giorno dell’inaugurazione dell’orfanotrofio, dopo una piccola discussione, Simon si nasconde e scappa da Laura. Dov’è Simon? È ancora vivo?
Juan Antonio Bayona è tra i registi spagnoli più famosi e la sua opera in The Orphanage mostra perché i suoi film impressionano costantemente ai Goya Awards. Mescolando atmosfera e tensione mentale realizza un film spaventoso che è commovente, estremamente ricco di suspense e sbalorditivo da guardare.
REC (2007)
La tecnica del found footage di REC gli fornisce una credibilità viscerale istantanea. Il regista Jaume Balagueró mantiene il film saldamente concentrato su una giornalista e la sua troupe cinematografica che raccontano gli eventi di un appartamento invaso dai non morti, registrando qualsiasi cosa in modo perverso, ed ogni cruda scena che si svolge diventa parte della storia filmata.
Il film ha generato una serie di seguiti, tuttavia l’iniziale del 2007 girato a Barcellona, in Spagna, è rimasto il migliore fino ad ora. Ancora più importante, non compromette l’avanzamento della storia o del personaggio con salti di paura, ma piuttosto unisce tutti i componenti insieme per un film di zombi molto più efficiente.
Los ojos de Julia (Julia’s Eyes, 2010)
Creato dallo scrittore-regista Guillem Morales, questo film horror del 2010 è così pieno di colpi di scena, svolte, tradimenti e scoperte che la tua testa continuerà a girare giorni dopo averla visto. La sorella gemella cieca di Julia, Sara, è morta apparentemente per suicidio. Julia, che ha una malattia degenerativa agli occhi, pensa che ci sia di più nella morte della sorella gemella di quanto appare. Sceglie di trovare chi o cosa ha veramente ucciso la sua gemella. La sua condizione aggravata non aiuta la sua causa ed è affidata a una cattiva vista e alla sensazione che qualcuno – un’esistenza inquietante nascosta nell’ombra – stia cercando di farle subire la stessa sorte di suo sorella.
Sleep Tight (2011)
Sleep Tight è un film horror psicologico spagnolo del 2011 diretto da Jaume Balagueró. César, portiere di un appartamento, non è in grado di raggiungere la felicità, qualunque cosa gli accada, e ha l’obiettivo di disturbare gli occupanti del condominio. Quando il suo partner Marcos le fa visita, Clara mostra a César che farla arrabbiare è più difficile di quanto si aspettasse e le cose si trasformano in un’occasione contorta. Sleep Tight è stato uno dei film più attesi in anteprima al 44° Sitges Film Festival. Sleep Tight stravolge le aspettative del pubblico mentre gli frigge i nervi, dimostrandosi un thriller estremo e interessante che si basa più su un frustrante senso di paura e anticipazione che su uno shock.
The Hidden Face (2011)
Adrián (Quim Gutierrez), un giovane direttore d’orchestra, sta vedendo un video registrato della sua amata Belén (Clara Lago) che lo informa di averlo lasciato. Mentre consuma il suo dolore in un bar, incontra Fabiana (Martina Garcia) e iniziano una relazione. Fabiana si trasferisce nella casa che Adrián stava mostrando a Belén. Cose strane iniziano ad accadere in bagno, con Fabiana che osserva strani suoni provenienti dal lavandino e dalla vasca da bagno e viene ustionata da una doccia. Adrián finisce per essere un sospettato della scomparsa di Belén. Tra gli investigatori della polizia, un precedente partner di Fabiana, avverte Adrián che se succede qualcosa a Fabiana eliminerà Adrián. The Hidden Face è esattamente ciò che il pubblico si aspetta e molto di più, fornendo una miriade di intrecci fino alla fine del film. Assolutamente niente è come appare in questo racconto teso sui rischi della gelosia e dell’inganno.
The Skin I Live In (2011)
Un chirurgo estetico che vive in una splendida proprietà in affitto nasconde un trucco oscuro e una donna adorabile in questo film horror psicologico vincitore del premio Goya. The Skin I Live In inizia con un medico che tenta di stabilire un metodo per preservare le vittime di ustioni dopo che sua moglie è morta in un terribile incendio, scegliendo una ragazza inconsapevole come cavia per una pelle artificiale nuova, e alla fine la vicenda degenera in un’odissea che sviluppa qualcosa di abominevole.
Molto più della storia di un ricercatore pazzo e della sua bestia, il film del famoso regista Pedro Almodovar va oltre i luoghi comuni e racconta la perdita, il dolore e il significato della vita attraverso il suo marchio di fabbrica di ambiguità sessuale. Un film composto di melodramma, moralità, segreti e omicidi.
Ahí va el diablo (Here Comes The Devil, 2013)
Una coppia perde il loro prezioso figlio adolescente tra le colline e le caverne di Tijuana, in Messico. Fortunatamente, i bambini vengono scoperti vivi e vegeti il giorno successivo. Ma davvero lo sono? Cominciano a mostrare abitudini estremamente insolite, sinistre e antisociali al loro ritorno. Questo fa pensare alla coppia che qualcosa di profondamente inquietante deve essere successo la notte in cui se ne sono andati, e pensano che qualche demone potrebbe innescare queste abitudini preoccupanti. In cerca di risposte, sentono storie sulle oscure leggende del luogo e delle grotte in cui si sono persi i bambini. La mamma trova una caverna, dove scopre alcune risposte.
La casa del fin de los tiempos (2013)
Immagina di essere agli arresti domiciliari all’interno di una casa infestata. Immagina di vivere le tue giornate nella casa dove tuo marito è stato ucciso e tuo figlio è scomparso, e tu sei quello che è stato ritenuto colpevole di questi crimini. Questo film si svolge in 2 linee temporali: una nel 1981 e un’altra nel 2011. Quando l’orologio segna le 11:11:11 l’11 novembre 2011, la casa è riportata indietro di trent’anni fino al 1981. Dulce, il personaggio principale, vede cose che le fanno comprendere tutte le catastrofi, le paure e le strane situazioni di trent’anni prima. Questo film, che è stato distribuito in tutto il mondo, è stata ben accolta dal pubblico ed è tra i film horror in lingua spagnola con il maggior incasso.
Gritos en la noche (1962)
Considerato da molti il punto zero del cinema horror spagnolo moderno, “Gritos en la noche” introduce la figura del Dottor Orloff, un chirurgo folle che rapisce giovani donne per trapiantare la loro pelle sul volto sfigurato della figlia. Le sue azioni attirano l’attenzione dell’ispettore Tanner, che si mette sulle sue tracce in una Parigi notturna e spettrale, ignaro che la sua stessa fidanzata diventerà l’esca perfetta per il mostro.
Questo film, una coproduzione ispano-francese, è il manifesto programmatico del suo regista, il prolifico e controverso Jesús “Jess” Franco. È qui che prende forma la sua estetica da B-movie, un amalgama febbrile di gotico europeo, orrore chirurgico e una nascente sensibilità sexploitation che diventerà il suo marchio di fabbrica. Il Dottor Orloff non è solo un cattivo; è l’archetipo del scienziato pazzo che popolerà decenni di fantaterror, un uomo la cui ossessione per la bellezza e la perfezione lo spinge a violare ogni tabù morale e fisico. Franco gira con un budget irrisorio, ma trasforma i limiti in punti di forza, creando un’atmosfera onirica e decadente attraverso un bianco e nero espressionista, fatto di ombre profonde e vicoli nebbiosi. L’orrore non è solo grafico, ma anche psicologico, radicato nella perversione di un amore paterno che si trasforma in mostruosità.
El extraño viaje (1964)
In un sonnolento e soffocante villaggio di provincia, i fratelli Paquita e Venancio Vidal vivono reclusi in casa, dominati dalla sorella maggiore Ignacia, bigotta e tirannica. La loro esistenza stagnante viene scossa dall’arrivo di Fernando, un giovane e affascinante musicista di Madrid che sembra mostrare un interesse per Paquita. Questa intrusione nel loro mondo chiuso scatenerà una spirale di sospetti, gelosie e violenza latente, portando a galla i segreti più oscuri della famiglia.
Diretto da Fernando Fernán Gómez su un’idea di Luis García Berlanga, “El extraño viaje” è il perfetto esempio di “cinema maledetto” spagnolo. Ignorato e ostacolato dalla censura franchista alla sua uscita, è stato riscoperto anni dopo come un capolavoro assoluto. Il film è un’opera profondamente radicata nella tradizione dell’ esperpento, uno stile grottesco e tragicomico che deforma la realtà per rivelarne la crudele assurdità. L’orrore qui non è soprannaturale, ma squisitamente sociale e psicologico. Emerge dalla noia, dalla repressione sessuale e dall’ipocrisia di una società provinciale che nasconde una ferocia primordiale sotto una patina di perbenismo. La casa dei Vidal non è infestata da fantasmi, ma dalla patologia delle loro relazioni, un microcosmo della Spagna franchista, un paese pieno di paura di sé stesso. È un precursore fondamentale dell’horror rurale, dove la vera minaccia non viene dall’ignoto, ma dalla porta accanto.
Pánico en el Transiberiano (1972)
Nel 1906, a bordo del treno Transiberiano in viaggio da Pechino a Mosca, l’antropologo britannico Professor Saxton trasporta una cassa contenente i resti congelati di un ominide primitivo. La creatura, tuttavia, non è morta. Si risveglia e si rivela essere un’entità aliena capace di assorbire i ricordi e le conoscenze delle sue vittime, lasciandole con cervelli lisci e occhi bianchi e opachi. Saxton, insieme al suo rivale scientifico Dr. Wells, deve fermare la creatura prima che uccida tutti i passeggeri e fugga per conquistare il mondo.
Questa coproduzione ispano-britannica, che riunisce le icone della Hammer Christopher Lee e Peter Cushing, è un gioiello del cinema di genere europeo. Sebbene l’ambientazione e il cast internazionale possano suggerire un prodotto più convenzionale, lo spirito del film è puramente fantaterror. Il regista Eugenio Martín sfrutta magistralmente l’ambiente claustrofobico del treno, trasformandolo in una prigione su rotaie, un microcosmo isolato dove la razionalità scientifica, incarnata dai due protagonisti, si scontra con un orrore cosmico e incomprensibile. Il film è un’efficace fusione di fantascienza alla “La cosa da un altro mondo” e di un classico mistero whodunit, con l’entità che salta da un corpo all’altro, generando un’atmosfera di paranoia e sospetto che non lascia scampo.
La noche del terror ciego (1972)
Una giovane donna, nel tentativo di sfuggire a un’amica assillante e al suo compagno, salta da un treno in corsa in aperta campagna. Si rifugia nelle rovine di un’abbazia medievale, senza sapere che quel luogo è maledetto. Di notte, dalle loro tombe, risorgono i Cavalieri Templari, giustiziati secoli prima per satanismo e sacrifici umani. Ciechi, i cui occhi furono divorati dai corvi, i cavalieri cacciano le loro prede affidandosi unicamente al suono, muovendosi al rallentatore in una processione inesorabile e terrificante.
Con questo film, il regista Amando de Ossorio non si limita a creare un’icona del cinema horror spagnolo, ma forgia una potente allegoria politica. I Templari non sono semplici zombie; sono i cadaveri rianimati di un ordine religioso militante e fanatico, punito per la sua sete di vita eterna. La loro resurrezione rappresenta il ritorno spettrale di un passato repressivo e violento che si rifiuta di morire, un’eco diretta dello spirito del cattolicesimo militante del regime franchista. La loro cecità e la loro caccia basata sull’udito introducono una dimensione sensoriale unica e angosciante: il silenzio diventa l’unica speranza di salvezza, e ogni minimo rumore una condanna a morte. L’atmosfera del film, polverosa e desolata, e la lentezza spettrale dei Templari a cavallo creano immagini di una potenza poetica e terrificante che si sono impresse a fuoco nell’immaginario collettivo.
El espanto surge de la tumba (1973)
Nel XV secolo, il cavaliere satanista Alaric de Marnac e la sua amante Mabille de Lancré vengono giustiziati per stregoneria e omicidio. Secoli dopo, i loro discendenti, ignari della maledizione che grava sulle loro famiglie, decidono per gioco di cercare i resti del loro antenato. Trovano la sua testa decapitata, che si rivela essere ancora viva e capace di esercitare un potere ipnotico, dando inizio a un bagno di sangue per resuscitare il suo corpo e quello della sua consorte.
Scritto in un giorno e mezzo sotto l’effetto di anfetamine dalla sua star, l’icona Paul Naschy, questo film è la quintessenza del fantaterror più sfrenato e viscerale. Diretto da Carlos Aured, “El espanto surge de la tumba” è un’opera febbrile e caotica che getta nel calderone ogni singolo elemento del genere: sedute spiritiche, decapitazioni, zombie, stregoneria, vampirismo e abbondante nudità (nella versione destinata all’esportazione, ovviamente). La struttura episodica e il ritmo frenetico riflettono la sua produzione fulminea, ma è proprio questa energia grezza a renderlo così irresistibile. Naschy crea qui un altro dei suoi mostri memorabili, Alaric de Marnac, un essere di pura malvagità la cui influenza maligna trascende i secoli. Il film è un’esplosione di creatività a basso costo, un’ode all’eccesso che incarna perfettamente lo spirito massimalista e senza compromessi del cinema di genere spagnolo dell’epoca.
El gran amor del conde Drácula (1973)
Dopo un incidente in carrozza nei Carpazi, un gruppo di cinque viaggiatori trova rifugio in un sanatorio isolato, gestito dall’enigmatico Dottor Wendell Marlow. Presto scoprono che il loro ospite non è altri che il Conte Dracula, che inizia a sedurre e vampirizzare le donne del gruppo. Tuttavia, il suo vero obiettivo è Karen, una delle giovani donne, che egli crede essere la reincarnazione del suo unico, vero amore perduto, la cui unione volontaria potrebbe finalmente porre fine alla sua maledizione.
Paul Naschy offre qui un’interpretazione di Dracula profondamente diversa da quella resa celebre da Christopher Lee per la Hammer. Il suo Conte non è un predatore aristocratico e crudele, ma una figura tragica, malinconica e intrinsecamente romantica. Scritto dallo stesso Naschy, il film esplora il lato più passionale del vampiro, trasformandolo in un’anima tormentata alla ricerca della redenzione attraverso l’amore. Questa umanizzazione del mostro è una caratteristica distintiva del fantaterror spagnolo, che tende a infondere nelle sue creature classiche un’intensità emotiva e una vulnerabilità che le rendono uniche. Il film di Javier Aguirre è un gotico sontuoso e decadente, intriso di un erotismo funereo e di una tristezza palpabile, che si distingue per la sua capacità di trovare la bellezza nella dannazione.
No profanar el sueño de los muertos (1974)
George, un antiquario londinese in viaggio per la campagna inglese, si imbatte in Edna, una giovane donna il cui veicolo è stato danneggiato dal suo. Insieme, si ritrovano in un piccolo villaggio dove una nuova macchina a ultrasuoni, progettata per eliminare gli insetti dai campi, sta avendo un effetto collaterale imprevisto: risveglia i morti. Mentre i cadaveri rianimati iniziano a seminare il panico, un ispettore di polizia bigotto e autoritario si convince che i due giovani “hippie” siano i veri responsabili degli omicidi.
Questa coproduzione italo-spagnola, diretta da Jorge Grau, è la risposta europea a “La notte dei morti viventi” di George A. Romero, ma con una svolta distintiva. Ambientando l’azione in Inghilterra per eludere la censura spagnola, Grau infonde nel film un potente messaggio ecologista e contro-culturale. I morti non risorgono per una causa soprannaturale, ma a causa dell’arroganza scientifica dell’uomo, che interferisce con la natura senza comprenderne le conseguenze. Il conflitto centrale non è solo tra vivi e morti, ma tra due generazioni: i giovani protagonisti, aperti e progressisti, e l’establishment conservatore, rappresentato dal poliziotto reazionario interpretato da Arthur Kennedy. Il film è un’opera cruda, violenta e sorprendentemente moderna, che utilizza il genere zombie per criticare l’inquinamento, l’autoritarismo e il conformismo sociale.
¿Quién puede matar a un niño? (1976)
Una coppia di turisti inglesi, Tom ed Evelyn, in attesa del loro terzo figlio, cerca una vacanza tranquilla su una piccola e remota isola spagnola. Al loro arrivo, trovano il luogo stranamente silenzioso, popolato solo da bambini. Presto scoprono una verità agghiacciante: i bambini dell’isola, contagiati da una misteriosa forza collettiva, hanno massacrato tutti gli adulti. Per Tom ed Evelyn inizia una disperata lotta per la sopravvivenza, intrappolati in un incubo dove le vittime sono diventate i carnefici.
Il secondo e ultimo lungometraggio di Narciso Ibáñez Serrador è un capolavoro assoluto di terrore psicologico, un film che scava nelle paure più profonde della condizione adulta. La sua potenza devastante risiede nella totale sovversione dell’innocenza infantile. L’ agghiacciante prologo, un montaggio di reali filmati di repertorio che mostrano bambini vittime di guerre e carestie, suggerisce che l’orrore che seguirà sia una sorta di vendetta cosmica, una ribellione della generazione più vulnerabile contro un mondo adulto che l’ha tradita. Serrador costruisce la tensione magistralmente, utilizzando l’ambientazione assolata e quasi abbagliante dell’isola per creare un contrasto insopportabile con la violenza che si scatena. Non ci sono mostri o fantasmi, solo il sorriso enigmatico di un bambino che impugna una falce. Il titolo stesso è una domanda morale che tormenta i protagonisti e lo spettatore: di fronte all’orrore puro, cosa resta dell’umanità?
Arrebato (1979)
José Sirgado, un regista di film horror di serie B in piena crisi creativa e dipendente dall’eroina, riceve un misterioso pacco da Pedro, un conoscente eccentrico ossessionato dal cinema in Super 8. Il pacco contiene una bobina, una cassetta audio e la chiave dell’appartamento di Pedro. Attraverso il racconto registrato, José viene risucchiato in un vortice di ricordi e allucinazioni, scoprendo la ricerca di Pedro per raggiungere l'”arrebato” (il rapimento, l’estasi), uno stato che crede di poter ottenere solo venendo letteralmente consumato dalla sua cinepresa.
Scritto e diretto da un Iván Zulueta tormentato dalla tossicodipendenza, “Arrebato” è un’opera unica, un film di culto emerso dalle ceneri della controcultura madrilena post-franchista, La Movida Madrileña. È un film horror sul cinema stesso, visto come un’entità vampirica, una droga che crea dipendenza e alla fine divora i suoi adepti. La narrazione frammentata, lo stile visivo allucinato e l’atmosfera febbrile riflettono lo stato mentale dei suoi personaggi e del suo stesso autore. “Arrebato” trascende ogni classificazione di genere, diventando un saggio metacinematografico sulla natura dell’immagine, sulla creazione artistica come atto di autodistruzione e sulla ricerca disperata di un’esperienza trascendente in un mondo alienato. È un film difficile, a tratti impenetrabile, ma di una potenza visiva e concettuale che non ha eguali.
Tras el cristal (1986)
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Klaus, un ex medico nazista colpevole di torture e abusi su bambini, tenta il suicidio ma sopravvive, rimanendo paralizzato e confinato in un polmone d’acciaio. Anni dopo, un giovane di nome Angelo si presenta alla sua villa isolata per diventare il suo nuovo infermiere. Klaus non sa che Angelo è una delle sue ex vittime, tornato non per prendersi cura di lui, ma per inscenare una vendetta sadica, costringendolo ad assistere impotente alla replica dei suoi stessi crimini.
Il film d’esordio di Agustí Villaronga è una delle opere più estreme e disturbanti del cinema spagnolo, un’esplorazione senza filtri della natura del male e della sua capacità di perpetuarsi. La “gabbia di vetro” del polmone d’acciaio è una potente metafora della prigionia, sia fisica che psicologica, in cui sono intrappolati entrambi i protagonisti. L’orrore del film non risiede tanto nella violenza esplicita, quanto nella sua agghiacciante tesi di fondo: il male non viene semplicemente punito, ma si trasmette come un virus. Angelo, la vittima, diventa a sua volta carnefice, intrappolato in un ciclo di abuso dal quale non c’è via d’uscita. Affrontando temi tabù come nazismo, pedofilia e tortura con uno stile visivo elegante e glaciale, Villaronga crea un’opera controversa e indimenticabile, che costringe lo spettatore a confrontarsi con l’idea terrificante che la violenza non si esaurisce, ma si trasforma e si replica all’infinito.
Angustia (1987)
John è un oculista oppresso da una madre possessiva e telepatica che lo spinge a uccidere per collezionare bulbi oculari. Le sue gesta sono seguite con terrore da due amiche, Patty e Linda, sedute in una sala cinematografica. Ma mentre la tensione per le ragazze nel cinema sale, uno degli spettatori intorno a loro inizia a comportarsi in modo strano, imitando le azioni dell’assassino sullo schermo. La finzione e la realtà iniziano a confondersi pericolosamente.
“Angustia” di Bigas Luna è un geniale e vertiginoso gioco metacinematografico, un horror che riflette sulla natura stessa della visione. Attraverso la sua audace struttura a “film nel film”, Luna non si limita a raccontare una storia di terrore, ma analizza e decostruisce i meccanismi della paura cinematografica. Il vero orrore non è quello che accade sullo schermo del cinema fittizio, ma la dissoluzione del confine tra spettatore e spettacolo. Il film suggerisce che l’atto di guardare un film horror sia un’esperienza ipnotica e potenzialmente pericolosa, capace di scatenare gli istinti più oscuri e di far tracimare la violenza dalla pellicola alla realtà della sala. È un’opera intelligente e stratificata, che trasforma lo spettatore da osservatore passivo a potenziale vittima, o peggio, a potenziale complice.
La madre muerta (1993)
Durante una rapina, Ismael uccide una donna di fronte alla sua bambina. Anni dopo, ossessionato dal ricordo di quegli occhi che lo hanno visto, rapisce la ragazza, Leire, ora cresciuta ma rimasta mentalmente menomata a causa del trauma. La porta a casa sua, dove vive con la sua compagna, e instaura con lei un rapporto contorto e patologico, a metà tra il tentativo di espiazione e la ripetizione dell’abuso, in un crescendo di tensione psicologica che sfocerà inevitabilmente nella tragedia.
Il secondo film di Juanma Bajo Ulloa è un dramma psicologico oscuro e morboso che si muove costantemente sui confini del genere horror. L’opera esplora le conseguenze a lungo termine della violenza, concentrandosi sulla relazione tossica che si crea tra un carnefice e la sua vittima. Il film analizza la psiche disturbata di Ismael, un uomo incapace di elaborare la propria colpa, che cerca in Leire una sorta di assoluzione impossibile, proiettando su di lei un misto di desiderio sessuale e bisogno di calore materno. La figura di Leire, silenziosa e spettrale, diventa un fantasma vivente, l’incarnazione di un trauma che continua a perseguitare il suo aguzzino. Con uno stile visivo crudo e un’atmosfera opprimente, Bajo Ulloa crea un’opera inquietante e senza speranza sul dolore e sulla colpa.
El día de la bestia (1995)
Un prete basco, Ángel Berriatúa, dopo anni di studio dell’Apocalisse, scopre la data esatta della nascita dell’Anticristo: il 25 dicembre 1995, a Madrid. Per fermare l’evento, decide che l’unico modo per avvicinarsi al Maligno è commettere lui stesso più peccati possibili. Si allea così con José María, un giovane metallaro satanista, e con il Professor Cavan, un cialtrone presentatore di un programma televisivo sull’occulto. Insieme, i tre si lanceranno in una folle e disperata corsa contro il tempo per le strade di una Madrid pre-natalizia.
Sebbene sia una commedia, l’inclusione di “El día de la bestia” in questa lista è fondamentale per comprendere l’evoluzione dell’horror spagnolo. Il film di Álex de la Iglesia è un’esplosione di energia punk-rock, una satira dissacrante e intelligente che utilizza l’iconografia dell’horror satanico per commentare le ansie di una Spagna in piena modernizzazione. La Madrid del film è un inferno urbano caotico e grottesco, un paesaggio di consumismo sfrenato e alienazione. La ricerca dell’Anticristo diventa un pretesto per un tour de force attraverso i bassifondi della città, mescolando umorismo nero, azione e un’inaspettata dose di tenerezza. De la Iglesia dimostra come il genere horror possa essere uno strumento potentissimo per la critica sociale, anche quando fa ridere a crepapelle.
Tesis (1996)
Ángela, una studentessa di cinema, sta preparando la sua tesi sulla violenza audiovisiva. La sua ricerca la porta a scoprire l’esistenza di un mercato clandestino di “snuff movies”, film che mostrano omicidi reali. Quando il suo professore muore misteriosamente mentre visionava una di queste videocassette, Ángela, con l’aiuto di Chema, un compagno di corso ossessionato dal gore, si ritrova in possesso del nastro. La vittima è una studentessa della loro stessa facoltà, scomparsa anni prima. La loro indagine li trascinerà in un mondo oscuro e pericoloso.
Il folgorante esordio di Alejandro Amenábar segna un punto di svolta per l’horror spagnolo, traghettandolo verso un’estetica più moderna, elegante e internazionale. Ispirato in parte a un tragico fatto di cronaca nera spagnola, il caso delle “ragazze di Alcàsser”, “Tesis” è un thriller hitchcockiano teso e intelligente che va oltre il semplice mistero. Il film è una profonda riflessione sulla fascinazione morbosa della società per la violenza e sul ruolo dei media nel mercificarla. La ricerca degli assassini diventa un pretesto per un’indagine metacinematografica sul voyeurismo dello spettatore. Amenábar ci rende complici, costringendoci a interrogarci sul nostro stesso desiderio di guardare l’orrore, sfumando il confine tra chi osserva e chi compie l’atto violento. È un’opera che ha definito un’intera generazione di thriller spagnoli.
Los sin nombre (1999)
Cinque anni dopo la brutale uccisione di sua figlia Angela, la cui identità è stata confermata solo da un braccialetto, la madre Claudia riceve una telefonata. Una voce infantile, che sostiene di essere Angela, la implora di venire a prenderla. Questa chiamata sconvolgente riapre una ferita mai guarita e spinge Claudia, con l’aiuto di un ex poliziotto e di un giornalista esperto di occulto, a indagare sulla verità. La sua ricerca la condurrà nei recessi più oscuri della società, sulle tracce di una setta nichilista conosciuta come “I senza nome”.
Il film d’esordio di Jaume Balagueró, basato su un romanzo di Ramsey Campbell, è un’opera che segna il passaggio del cinema horror spagnolo verso atmosfere più cupe, disperate e filosoficamente desolanti. “Los sin nombre” è un thriller investigativo a combustione lenta, che costruisce la tensione attraverso un senso pervasivo di angoscia esistenziale. Balagueró definisce qui il suo stile inconfondibile: ambientazioni urbane degradate, interni fatiscenti che sembrano specchi dell’anima dei personaggi e una fotografia fredda e desaturata che soffoca ogni speranza. L’orrore non è tanto negli atti di violenza, quanto nell’idea di un male puro e assoluto, una filosofia della sofferenza praticata da un culto che ha rinunciato a ogni identità e significato. È un film che lascia lo spettatore con un profondo senso di disagio e nichilismo.
Fausto 5.0 (2001)
Il dottor Fausto, un medico specializzato in malati terminali, si reca a una convention in una città che non visitava da anni. Qui incontra Santos Vella, un suo ex paziente che aveva dato per morto otto anni prima. Santos, figura Mefistofelica e carismatica, gli offre di esaudire ogni suo desiderio, trascinandolo in un viaggio surreale e allucinato attraverso i bassifondi della città, in un labirinto di sesso, violenza e ricordi repressi. Fausto dovrà confrontarsi con il suo passato e con la natura stessa del male.
Diretto a sei mani dai membri del collettivo teatrale d’avanguardia La Fura dels Baus, “Fausto 5.0” è un’opera di horror d’autore ostica e affascinante. Si tratta di una rilettura contemporanea e radicale del mito di Faust, che abbandona l’iconografia classica per un’estetica frammentata, digitale e quasi industriale. Il film utilizza uno stile visivo febbrile e a tratti incomprensibile per esplorare temi come la colpa, la memoria e la dannazione in un contesto urbano moderno e alienante. L’influenza teatrale del gruppo è evidente nella messa in scena altamente stilizzata e nella performance fisica degli attori. “Fausto 5.0” non è un film per tutti: è un’esperienza sensoriale che sfida lo spettatore, un incubo a occhi aperti che rifiuta le convenzioni narrative per offrire una visione unica e disturbante del patto con il diavolo.
Los cronocrímenes (2007)
Héctor, un uomo di mezza età, si sta rilassando nel giardino della sua nuova casa di campagna quando, spiando con un binocolo, nota una ragazza nuda nel bosco vicino. Incuriosito, va a indagare ma viene attaccato da una misteriosa figura con il volto coperto da bende rosa. Fuggendo, si rifugia in un laboratorio scientifico su una collina, dove uno scienziato lo convince a nascondersi in una strana macchina. Ne emerge pochi istanti dopo, solo per scoprire di aver viaggiato indietro nel tempo di un’ora, dando il via a una catena di eventi paradossali e terrificanti.
Scritto e diretto da Nacho Vigalondo con un budget irrisorio, “Los cronocrímenes” è un brillante esempio di come il cinema indipendente possa trasformare i limiti in un’incredibile forza creativa. È un thriller fantascientifico minimalista che genera un orrore di natura puramente esistenziale. La sua trama, costruita come un perfetto e ineluttabile meccanismo a orologeria, mostra come ogni tentativo del protagonista di correggere la linea temporale non faccia altro che rafforzare il loop e garantire che l’incubo si ripeta. La vera paura non deriva dal mostro con le bende, ma dalla scoperta che il protagonista è destinato a diventare lui stesso quel mostro. È un film sulla perdita del libero arbitrio, sulla causalità e sulla terrificante inevitabilità del destino, un rompicapo intelligente e angosciante.
Secuestrados (2010)
Una famiglia si è appena trasferita nella sua nuova, lussuosa casa in un quartiere residenziale. La prima sera, mentre si preparano a festeggiare, tre uomini incappucciati e armati fanno irruzione. Quella che inizia come una rapina si trasforma rapidamente in un’escalation di violenza psicologica e fisica. La famiglia viene tenuta in ostaggio, torturata e umiliata in una notte di terrore senza fine, dove ogni speranza di salvezza sembra svanire di fronte alla brutalità insensata dei loro aggressori.
“Secuestrados” di Miguel Ángel Vivas è un’esperienza cinematografica estrema e punitiva. La sua caratteristica più notevole è l’audacia formale: il film è costruito interamente con soli dodici piani sequenza. Questa scelta stilistica non è un mero virtuosismo, ma uno strumento potentissimo per generare tensione. L’assenza di montaggio tradizionale costringe lo spettatore a vivere l’orrore in un tempo percepito come reale, senza stacchi che possano offrire un momento di tregua o distacco emotivo. Il risultato è un’immersione totale e angosciante nell’incubo della famiglia. È un film nichilista e spietato, un esempio del cinema home invasion portato alle sue estreme conseguenze, che esplora la fragilità della sicurezza domestica e la violenza casuale che può distruggere una vita in un istante.
Atrocious (2010)
Due fratelli adolescenti, Cristian e July, passano le vacanze di Pasqua nella vecchia casa di campagna della loro famiglia. Appassionati di video e investigazione del paranormale, decidono di indagare su una leggenda locale: la storia di Melinda, una ragazza scomparsa anni prima nel labirinto di siepi della tenuta, il cui fantasma si dice infesti ancora il bosco. Armati delle loro videocamere, iniziano a documentare eventi sempre più strani e inquietanti, senza rendersi conto che l’orrore che stanno cercando è molto più vicino e reale di quanto possano immaginare.
Diretto da Fernando Barreda Luna, “Atrocious” è un altro notevole esempio di found footage spagnolo che, pur seguendo le convenzioni del genere, riesce a creare un’atmosfera di terrore genuina e un finale devastante. A differenza dell’azione frenetica di “”, il film costruisce la paura lentamente, attraverso un’atmosfera di mistero e un senso di presagio crescente. La sua forza risiede nel modo in cui utilizza la leggenda urbana come un depistaggio. Mentre i protagonisti (e lo spettatore) si concentrano sulla minaccia soprannaturale del fantasma nel bosco, il film sta segretamente svelando un orrore molto più intimo e psicologico, radicato nei segreti e nei traumi della famiglia stessa. Il colpo di scena finale è brutale e inaspettato, e ricolora l’intera narrazione di una luce tragica e, appunto, atroce.
La cueva (2014)
Cinque amici in vacanza sull’isola di Formentera decidono di esplorare una grotta remota. Quella che doveva essere una breve avventura si trasforma in un incubo quando si perdono nel labirinto di cunicoli bui e stretti. Senza cibo, senza acqua e senza alcuna speranza di essere trovati, il gruppo inizia a disintegrarsi psicologicamente e fisicamente. La lotta per la sopravvivenza li spingerà a compiere scelte estreme e disumane, rivelando la bestia che si nasconde sotto la superficie della civiltà.
Il film di Alfredo Montero è la risposta spagnola a classici del terrore claustrofobico come “The Descent”. Girato in stile found footage, “La cueva” sfrutta la sua estetica a basso costo per creare un’esperienza incredibilmente immersiva e angosciante. L’orrore qui è primordiale: la paura del buio, degli spazi chiusi e della morte per fame e sete. Il film è un’analisi spietata della debolezza umana di fronte a una situazione estrema. Montero non si concentra su mostri esterni, ma sul mostro che emerge dall’interno quando ogni regola sociale viene meno. La discesa fisica nella grotta diventa una metafora della discesa morale dei personaggi, costretti a confrontarsi con la domanda più terrificante di tutte: fino a che punto siamo disposti a spingerci per sopravvivere?
Musarañas (2014)
Nella Madrid degli anni ’50, Montse vive reclusa nel suo appartamento, affetta da una grave forma di agorafobia che le impedisce di uscire. Si prende cura della sorella minore, ormai diciottenne, con un affetto soffocante e un fervore religioso quasi patologico. La loro routine viene sconvolta quando Carlos, un giovane vicino di casa, cade dalle scale e bussa alla loro porta in cerca di aiuto. Montse lo accoglie e lo cura, ma presto sviluppa per lui un’ossessione che farà emergere i traumi repressi e la follia latente che si celano nel loro passato.
Prodotto da Álex de la Iglesia, “Musarañas” è un thriller psicologico gotico che utilizza la sua ambientazione storica per amplificare i temi della repressione e del trauma. La Spagna degli anni ’50, ancora sotto il giogo del nazionalcattolicesimo, diventa lo sfondo perfetto per una storia di prigionia fisica e mentale. L’appartamento non è solo un luogo, ma una proiezione della psiche di Montse: un “nido di toporagni” pieno di segreti oscuri, ricordi dolorosi e una fede distorta. Il film esplora magistralmente l’eredità di un’educazione patriarcale e violenta, mostrando come il trauma si trasmetta e si manifesti in forme mostruose. È un’opera claustrofobica e tesa, sorretta da una straordinaria interpretazione di Macarena Gómez.
Asmodexia (2014)
Eloy, un anziano esorcista, viaggia per le zone più remote della Spagna insieme alla sua giovane nipote Alba. La loro missione è liberare le persone possedute da “Il Maligno”, un’oscura entità la cui influenza sembra diffondersi come un’epidemia. Ogni esorcismo è più pericoloso del precedente e, attraverso questi scontri con il soprannaturale, Alba inizia a recuperare frammenti di un passato dimenticato. Lentamente, emerge una verità sconvolgente sul loro legame e sul vero scopo del loro viaggio, un segreto che potrebbe cambiare il destino del mondo.
L’esordio alla regia di Marc Carreté è un interessante tentativo di fondere il film di esorcismo con la struttura di un road movie. “Asmodexia” si distingue per la sua ambizione nel costruire una mitologia complessa e originale attorno al tema della possessione demoniaca. Invece di concentrarsi su un singolo caso, il film presenta il male come una forza contagiosa che si sta diffondendo in tutto il paese, creando un’atmosfera da apocalisse imminente. Il viaggio dei due protagonisti attraverso paesaggi rurali e desolati conferisce al film un tono quasi da western soprannaturale. Sebbene a tratti la narrazione possa risultare enigmatica, il film è sorretto da un’atmosfera inquietante e culmina in un audace colpo di scena finale che riconsidera l’intera storia sotto una luce nuova e inaspettata.
El cadáver de Anna Fritz (2015)
Pau, un inserviente di un obitorio, riceve il corpo della famosa e bellissima attrice Anna Fritz, morta improvvisamente. In un atto di morbosa eccitazione, scatta una foto al cadavere e la invia a due suoi amici, Ivan e Javi. I due si precipitano all’obitorio per vedere il corpo. Spinto da Ivan, il gruppo decide di commettere un atto di necrofilia. Ma durante l’abuso, accade l’impensabile: Anna Fritz si sveglia. Intrappolata, nuda e terrorizzata, dovrà lottare per la sua vita contro i tre uomini che ora devono decidere se salvarla o ucciderla per coprire il loro crimine.
“El cadáver de Anna Fritz” è un thriller da camera teso, provocatorio e profondamente disturbante. Girato quasi interamente all’interno di un unico ambiente, l’obitorio, il film di Hèctor Hernández Vicens crea un’atmosfera di claustrofobia insopportabile. L’orrore non è soprannaturale, ma radicato nella violenza della mascolinità tossica, nell’oggettivazione del corpo femminile e nel crollo di ogni barriera morale. Il film esplora con agghiacciante lucidità le dinamiche di potere che si scatenano tra i tre uomini, divisi tra il panico, la colpa e il desiderio di auto-preservazione. È una discesa negli abissi della depravazione umana, un’opera che costringe lo spettatore a confrontarsi con una situazione estrema e a interrogarsi sulla natura del consenso e della violenza.
Sweet Home (2015)
Alicia, un’agente immobiliare, decide di organizzare una sorpresa di compleanno per il suo ragazzo, Simon, passando una notte romantica in un vecchio e affascinante edificio del centro che sta per essere ristrutturato. La coppia scopre però di non essere sola. Un gruppo di sicari incappucciati è stato ingaggiato per “sgomberare” l’ultimo inquilino rimasto, un anziano signore. Quando Alicia e Simon diventano testimoni involontari dell’omicidio, si trasformano nelle prossime prede, dando inizio a una disperata lotta per la sopravvivenza all’interno del palazzo.
Pur rientrando nei canoni del genere slasher e home invasion, “Sweet Home” di Rafa Martinez si distingue per il suo sottotesto sociale. Il film utilizza la violenza del genere per mettere in scena una critica feroce alla gentrificazione e alla speculazione edilizia. L’edificio semi-abbandonato non è solo una location spaventosa, ma il simbolo di un tessuto urbano in trasformazione, dove le vite umane vengono letteralmente eliminate in nome del profitto. I killer incappucciati non sono mostri soprannaturali, ma gli esecutori materiali di un sistema economico brutale. In questo contesto, la lotta per la sopravvivenza della coppia assume una valenza più ampia, diventando una metafora della resistenza contro forze economiche disumanizzanti. È un horror che ancora saldamente le sue paure a una realtà sociale contemporanea.
Errementari (2017)
In un piccolo villaggio basco del XIX secolo, un commissario governativo indaga sulla scomparsa di una bambina. I sospetti ricadono su Patxi, un fabbro solitario e temuto da tutti, che vive recluso nella sua fucina e che si dice abbia fatto un patto con il diavolo. Una bambina orfana di nome Usue, incuriosita e non spaventata dalle leggende, si intrufola nella sua proprietà e scopre il suo terribile segreto: Patxi tiene prigioniero un vero demone, Sartael, che tortura da anni. L’arrivo della bambina sconvolgerà gli equilibri, scatenando le forze dell’Inferno.
Prodotto da Álex de la Iglesia e diretto da Paul Urkijo, “Errementari” è un magnifico esempio della rinascita del folk horror spagnolo. Basato su un’antica fiaba popolare basca, il film è un’opera visivamente straordinaria, che fa un uso superbo di effetti pratici e di un design delle creature che omaggia le illustrazioni classiche. La rappresentazione dell’Inferno e dei suoi abitanti è tradizionale ma allo stesso tempo originale e fantasiosa, creando un mondo che è contemporaneamente affascinante e genuinamente demoniaco. Il film è una favola nera gotica, ricca di umorismo e di un profondo rispetto per il folklore regionale. Parlato quasi interamente in lingua basca, “Errementari” non è solo un grande film horror, ma anche un importante atto di conservazione culturale.
La abuela (2021)
Susana, una giovane modella spagnola che vive a Parigi, è costretta a tornare a Madrid quando sua nonna Pilar, che l’ha cresciuta, viene colpita da un ictus. Quella che doveva essere una breve visita per assistere l’anziana parente si trasforma in un incubo. L’appartamento della nonna, un tempo familiare, diventa un luogo opprimente e sinistro. Il corpo di Pilar, inerte e decadente, sembra nascondere una presenza maligna, e Susana inizia a sospettare che dietro la malattia della nonna si celi un antico e terribile segreto legato alla stregoneria.
Diretto da Paco Plaza, uno dei maestri dell’horror spagnolo contemporaneo, e scritto dal talentuoso Carlos Vermut, “La abuela” è un’opera sofisticata e agghiacciante che esplora il terrore della vecchiaia e della perdita di sé. Il film utilizza il corpo horror per rappresentare la decadenza fisica in modo crudo e inquietante. L’orrore non è solo soprannaturale, legato a un patto demoniaco e allo scambio di corpi, ma è profondamente psicologico. Plaza costruisce un’atmosfera di terrore claustrofobico, dove la paura più grande è quella di perdere la propria giovinezza, la propria identità e il controllo sul proprio corpo. È una riflessione amara e spaventosa sulla mortalità e sul desiderio disperato di aggrapparsi alla vita, a qualunque costo.
Cerdita (Piggy) (2022)
Sara è un’adolescente sovrappeso che vive in un piccolo e soffocante villaggio dell’Estremadura, costantemente tormentata da un gruppo di ragazze. Un giorno, dopo un’umiliazione particolarmente crudele in piscina, Sara assiste impotente al rapimento delle sue aguzzine da parte di un misterioso sconosciuto. L’uomo la vede, ma la lascia andare, creando tra loro un tacito legame di complicità. Sara si trova così di fronte a un dilemma morale devastante: denunciare il rapitore e salvare le ragazze che le hanno reso la vita un inferno, o tacere e lasciare che la sua vendetta si compia?
“Cerdita” di Carlota Pereda è un’opera fondamentale per il cinema horror rurale spagnolo, un film brutale e potente che utilizza il genere per sferrare una critica sociale durissima contro il bullismo e il body-shaming. L’ambientazione rurale, assolata e polverosa, non è un luogo idilliaco, ma una pentola a pressione di crudeltà sociale e conformismo. Il film sovverte brillantemente i tropi dell’horror: il corpo “non conforme” non appartiene al mostro, ma all’eroina. La vera mostruosità non è quella del serial killer, che agisce quasi come un catalizzatore della rabbia repressa di Sara, ma quella della comunità che la emargina. Il film rappresenta la piena maturazione dell’horror allegorico spagnolo: il mostro da combattere non è più il fantasma di un regime politico, ma la violenza insidiosa dell’esclusione sociale.
Venus (2022)
Lucía, una ballerina di un locale notturno, ruba una borsa piena di droga dal suo capo e fugge, rifugiandosi nell’appartamento della sorella in un fatiscente condominio alla periferia di Madrid, l’Edificio Venus. Scopre che la sorella è scomparsa, lasciando sola la sua nipotina. Mentre i gangster la cercano, Lucía si rende conto che l’edificio è maledetto. I residenti sono membri di un culto che si prepara a un rituale cosmico legato a un’eclissi imminente, e una forza antica e malvagia che dimora nel palazzo ha scelto lei per un ruolo centrale nel suo terrificante piano.
Prodotto da Álex de la Iglesia per la sua etichetta “The Fear Collection” e diretto dal veterano Jaume Balagueró, “Venus” è un’efficace fusione di thriller criminale urbano e horror cosmico. Ispirato liberamente al racconto “I sogni nella casa stregata” di H.P. Lovecraft, il film segna il ritorno di Balagueró al suo territorio d’elezione: il condominio come microcosmo infernale. I corridoi di cemento e gli appartamenti angusti diventano il portale per un orrore antico e incomprensibile. Il film dimostra la capacità del cinema horror spagnolo di adattare le fonti letterarie classiche del terrore a un contesto locale e contemporaneo, mescolando la tensione di una caccia all’uomo con il terrore metafisico di forze che sfuggono a ogni logica umana.
La mesita del comedor (2022)
Jesús e María sono una coppia in crisi, appena diventati genitori. Durante una visita a un negozio di mobili, Jesús, contro il parere esplicito di María, insiste per acquistare un tavolino da caffè kitsch e di pessimo gusto, convinto dal venditore che porterà felicità nella loro casa. Una volta a casa, un singolo, terribile incidente domestico legato a quel tavolino trasforma la loro vita in un incubo insopportabile. Jesús si ritrova a dover nascondere una verità atroce a sua moglie e agli ospiti in arrivo per una cena.
Il film di Caye Casas è un’esperienza estrema, un capolavoro di crudeltà psicologica che ha guadagnato la fama di essere uno dei film più angoscianti e devastanti degli ultimi anni. È l’esempio definitivo di horror minimalista, dove il terrore non nasce dal soprannaturale, ma da una situazione tragicamente e assurdamente reale. Il film arma la suspense e l’umorismo nero per intrappolare lo spettatore nel tormento psicologico del protagonista, costringendolo a vivere in tempo reale l’orrore di dover gestire una catastrofe indicibile. “La mesita del comedor” è l’horror ridotto al suo nucleo più insopportabile: l’irrimediabilità di un errore e la tortura di dover convivere con le sue conseguenze. È un film che non si dimentica, un pugno nello stomaco che lascia senza fiato.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
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