La nostra piacevolissima chiacchierata con l’autore de “Il Metodo Orfeo”, trionfatore della seconda edizione di Indiecinema Film Festival
Una scommessa vinta. Riesumare dopo anni di letargo un titolo come Il Metodo Orfeo, autarchico thriller che tanto interesse aveva riscosso in Italia circa un decennio fa, per lo staff di Indiecinema era quasi doveroso. Ma ulteriori soddisfazioni sono arrivate dalla Giuria di esperti capitanata da M. Deborah Farina e composta assieme a lei da Alessio Gradogna, Lucilla Colonna, Elio Crifò ed Elisabetta Cavallotti, una qualificatissima giuria tecnica che ci ha tenuto a premiare il film di Filippo Sozzi quale Miglior Lungometraggio di Finzione della seconda edizione del festival, con la seguente Motivazione: “Per aver ripercorso con originalità il genere giallo-thriller in un importante contesto produttivo indipendente, riportando in scena i topos del filone, con maestria e creatività”.
La prima replica del film avverrà mercoledì 3 maggio al Circolo ARCI Arcobaleno di Roma, intorno alle 21, intanto però eravamo riusciti a contattare il trionfatore di questa seconda edizione di Indiecinema Film Festival, Filippo Sozzi, per rievocare con lui questa singolare esperienza sul set!
Un set tutto da scoprire
E’ una storia di diversi anni fa, ormai, ma ci piace molto sentirla ripetere: come è nata l’idea di girare un film come Il Metodo Orfeo, in “location” tanto particolari, riprendendo una “pista di genere” ma anche lì in modo piuttosto originale?
Fin da bambino scrivevo sceneggiature o soggetti cinematografici, perlopiù horror, ispirati o scopiazzati dai film che vedevo sulle prime videocassette vhs.
Finalmente superati i trent’anni, intorno al 2016 ho deciso, supportato dalla mia compagna Sabrina e da mio cugino Alessandro, di passare dalla teoria ai fatti. Ho comprato una telecamera digitale, ho studiato un po’ di teoria e tecnica cinematografica (molto utile e di ispirazione il libro “Rebel without a crew” di Robert Rodriguez) e abbiamo iniziato a lavorare alla sceneggiatura del Metodo Orfeo. La location un po’ particolare, ossia l’Isola d’Elba, è nata dal fatto che lì vive mio padre in una bella casa di campagna. Per cui siamo partiti da lì, scrivendo una storia horror ambientata nei luoghi che conoscevo e che avevo a disposizione (l’Isola d’Elba e la casa in campagna di famiglia).
Nel film vi è uno “storytelling” decisamente articolato: come avete lavorato sulla sceneggiatura?
La sceneggiatura è stata scritta da me, insieme alla mia compagna Sabrina Sappa e a mio cugino Alessandro Gentini. Abbiamo lavorato in maniera un po’ inusuale. Non avevamo un soggetto preciso, se non qualche idea di base ispirata a diversi classici del genere: casa isolata, scrittore che va lì in cerca di ispirazione, fatti o leggende antiche avvenute in quei luoghi, l’ospedale psichiatrico…. Siamo partiti a scrivere senza sapere bene dove saremmo arrivati, la storia è venuta fuori via via che procedevamo nella stesura delle pagine. Oltretutto mio cugino (elbano di origine) viveva a Pisa. Ci mandavamo la sceneggiatura via email e, a turno, aggiungevamo dei pezzi. Sabrina, che è psicologa, interveniva soprattutto nei dialoghi cercando, nei limiti del possibile, di renderli credibili e verosimili.
L’amore per il cinema di genere
Da critici e quindi da “spettatori privilegiati” di ciò che approda sul grande schermo, in particolare le produzioni di genere, avevamo apprezzato già all’epoca sia la scelta di per sé insolita d’ambientare un racconto cinematografico tenebroso in una cornice “vacanziera”, così solare, sia certi richiami al J-Horror tanto in voga, specie allora. Quali sono state perciò le vostre principali fonti di ispirazione? E i modelli cinematografici maggiormente sentiti?
Ci è però piaciuta da subito l’idea di un horror mediterraneo, ambientato in una zona di provincia, con molti personaggi con accento regionale. Quest’aspetto dell’ambientazione provinciale, ovviamente può subito richiamare La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati, uno dei film horror italiani che preferisco e che mi colpì e spaventò molto fin da bambino.
Le fonti di ispirazione sono state molte e spaziano da film cosiddetti B-movies a opere artisticamente più blasonate. Alcune riprese o idee utilizzate nel film richiamano proprio numerosi classici. Lo scrittore che va in un luogo isolato maledetto riporta subito a Shining. La casa isolata e alcune inquadrature vengono da La Casa di Raimi. Le bambine nel bosco che corrono via sono un omaggio a Picnic ad Hanging Rock. Poi certamente ci sono gli horror giapponesi (Ring e Ju-On, giusto per citare quelli più noti che hanno prodotto remake statunitensi), che mi hanno sempre colpito per la capacità di spaventare senza mostrare quasi nulla. Spesso sono incentrati su fantasmi, perlopiù femminili, vestiti di bianco, gli Yūrei, che sono incapaci di lasciare il mondo dei vivi e raggiungere in pace l’aldilà, tenuti sulla terra dal desiderio di vendetta. Direi che le connessioni al Metodo Orfeo sono palesi…
Chi sono invece, Filippo, gli interpreti che hai chiamato a condividere questa avventura?
Nel film compaiono amici, parenti, attori professionisti e semiprofessionisti.
I protagonisti sono Cecilia Nesti e Riccardo Traverso, entrambi con esperienze teatrali o di cortometraggi alle spalle. Alberto Bergamini, un noto attore di teatro genovese, interpreta un bizzarro parapsicologo in una parte a mio avviso molto ben riuscita. Il regista psicopatico Joe Porn è interpretato da Andrea Fiorentini, attore molto bravo proveniente dal Teatro per la Ricerca e la Sperimentazione Teatrale di Pontedera. Nel film compare anche Chiara Pavoni, nota attrice romana piuttosto famosa nel settore dell’horror indipendente, che ci ha regalato un bellissimo cameo. Sabrina Sappa, oltre che sceneggiatrice, ha interpretato la psicologa, in pratica se stessa, poiché fa quello di lavoro. Giovanna Gandus interpreta la bambina fantasma, mentre Giampaolo Campanella compare nel ruolo di un prete risolutivo per la risoluzione del mistero che sta alla base del film. Inoltre mi fa molto piacere ricordare mia nonna Tiziana Tovoli, che compare in una piccola scena. Anche io mi sono concesso un piccolo cameo: compaio in una fotografia nei panni del Dottor Kapoupillos, una figura misteriosa ma molto importante nella trama generale del film, che viene spesso citata dai protagonisti.
Accoglienza nei festival e nuovi progetti
All’epoca Il Metodo Orfeo circolò in diversi festival cinematografici, di genere e non, in Liguria e fuori dalla regione, ricevendo generalmente commenti lusinghieri. Capitò anche a Roma dove veniste invitati al festival del DAMS di Roma 3, quindi persino in un “contesto accademico”. Cosa ricordi di questo piccolo tour e più in generale dell’accoglienza ricevuta dal film?
In generale l’accoglienza è stata molto buona e il film partecipò a diversi festival e venne proiettato in alcuni cinema. Sono passati già un po’ di anni, forse ne dimentico qualcuno, comunque oltre al DAMS di Roma 3 da te citato mi fa piacere ricordare la prima del film, che è avvenuta al Genova Film Festival. Mi ricordo un sacco di gente, molti amici ma anche appassionati venuti apposta. C’erano così tante persone che gli organizzatori allestirono in fretta e furia un’altra proiezione contemporanea in una seconda sala, poiché in quella principale non ci stavano tutti.
Ricordo con enorme piacere il Kimera film Festival di Campobasso, dove il film venne presentato in concorso e vinse il premio per la miglior regia.
Bella esperienza è stata anche il Pesaro Horror Fest. Qui ricordo un commento negativo di uno spettatore, che però mi ha molto divertito. Evidentemente annoiato dal film disse, o forse scrisse in qualche recensione, che il titolo più giusto avrebbe dovuto essere “Il Metodo Morfeo”.
Ci saremmo aspettati dopo Il Metodo Orfeo un “bis” a breve. E invece siamo rimasti a bocca asciutta. Come mai, Filippo, non sei tornato sul set per qualche progetto simile? E quindi come vedi la situazione per chi intende fare cinema indipendente in Italia, oggi come oggi?
Appena finito il film e il tour per i festival e i cinema iniziai a scrivere una sceneggiatura per un film di fantascienza. I mesi però sono volati e presto sono diventati anni. Quella sceneggiatura è ancora lì in un cassetto, incompiuta. Il progetto però era un po’ troppo ambizioso per una produzione indipendente, totalmente autofinanziata come Il Metodo Orfeo. Però la voglia di tornare su un set c’è sempre. Non escludo che, rinvigorito da questa partecipazione all’Indiecinema Film Festival, potrei tornare a fare un mistery-horror. Da un po’ rimugino su una storia ambientata in un paesino di montagna sulle Alpi Marittime del basso Piemonte…
Per chi vuole fare cinema indipendente oggi non ho certo consigli da dare. Sicuramente le nuove macchine digitali in HD o 4K consentono una qualità dell’immagine con dei costi relativamente bassi che credo possano facilitare la realizzazione di un film indipendente. Il problema poi sarà distribuirlo o farlo girare nei festival. So che molti festival hanno grosse difficoltà perché i finanziamenti scarseggiano e certamente il periodo del COVID non ha aiutato.
D’altra parte ci sono molte piattaforme per la visione in streaming e questo credo possa invece essere un canale molto utile per dare visibilità ai film.