Parla la cineasta russa, autrice del mediometraggio La Speranza, uno dei film in concorso destinati a far più scalpore e a commuovere anche.
Tra i lavori più attesi di Indiecinema Film Festival seconda edizione vi è senz’altro Hope – La speranza di Alicia Maksimova, non solo per i suoi meritici artistici, ma anche per gli altissimi valori etici di cui si fa portavoce. Incontreremo la giovane cineasta russa (che ama molto l’Italia) venerdì 16 dicembre a Roma, presso il Circolo Arcobaleno alla Garbatella, nel corso di una serata in cui verranno proiettati altri cortometraggi e documentari di provenienza russa o ucraina, selezionati per il nostro festival. Ma nel frattempo abbiamo scambiato volentieri qualche parola con lei…
Una necessità etica, all’origine del film
Alicia, in quale momento hai pensato che era necessario realizzare un “instant movie” sulla follia pandemica che stava attraversando non solo l’Inghilterra, ma aree del pianeta piuttosto ampie, creando i presupposti per l’affermazione di governi sempre più autoritari?
L’idea del film è nata dalla vita. Avevo già previsto le riprese del sequel del mio lungometraggio, girato in Italia e in parte in Inghilterra, Was Shakespeare English?. Ma quando l’Italia ha stabilito regole covid impensabili, ho rimandato questo progetto a tempo indeterminato, perché non ho mai indossato mascherine diverse da quelle di Carnevale, non sono mai stata oggetto di test arbitrari e non voglio esserlo neanche in futuro.
A quel tempo, la Russia era relativamente libera da restrizioni e ho ideato un nuovo progetto: un film documentario sulla ferrovia Transiberiana. Non tanto riguardo alla ferrovia e alla sua storia, ma alle persone interessanti e sincere, che ero sicura di incontrare in questo viaggio.
Ma presto la Russia stabilì quasi le stesse regole dell’Europa.
A quel tempo, stavo partecipando alle grandi marce di protesta a Londra, realizzando anche reportage fotografici su di esse. Sono stati visti da migliaia di persone provenienti da diversi paesi. A queste marce venivano sempre parecchi russi che vivevano in Inghilterra, soprattutto donne. Poi è nata l’idea di fare un film su coloro che sono andati alle marce, sulle loro convinzioni, sulla fermezza, prontezza a difendere i propri diritti. Allo stesso tempo, “Nadezhda” (La Speranza) non è giornalismo fatto sull’argomento del giorno. Al centro del film tre personaggi femminili, tre vite, tre percezioni non assolutamente identiche, ma accomunate dalla forza d’animo e dall’autostima.
Tre splendide eroine
Come hai conosciuto, appunto, le tre splendide donne, che nelle interviste raccolte in Hope – La speranza raccontano la loro storia, prima e dopo le restrizioni Covid? C’è poi qualche elemento del loro racconto che, per ragioni di sintesi, non è potuto entrare nel montaggio finale del film, ma che secondo te sarebbe interessante per i nostri lettori/spettatori sapere?
Ho incontrato le eroine del film – Nadezhda, Inara e Layla – in un gruppo di resistenza al regime di misure pandemiche, creato nel marzo 2021. All’inizio pubblicavano solo i percorsi delle marce di protesta, poi i membri del gruppo hanno cominciato a scambiarsi ogni giorno opinioni, video e pubblicazioni. C’era la sensazione di avere interlocutori costanti e persone che la pensano allo stesso modo, e questa comunicazione non si è fermata per un solo giorno. Hanno condiviso tutto: pensieri sulla politica, la società, i problemi della vita personale, le previsioni per il futuro e le paure. E anche consigli di sopravvivenza, nel caso in cui si dovesse diventare emarginati e vivere al di fuori della società.
Nessuno nel gruppo voleva compromettere i propri principi, molti, se non tutti, hanno perso amici e persone care a causa di differenza di opinioni su ciò che stava accadendo, alcuni hanno perso il lavoro a causa del loro rifiuto di indossare mascherine, essere soggetti a test o vaccinati.
Ho riconosciuto subito le mie eroine. Per me, fin dall’inizio, sono state associate ai tre elementi: aria, acqua e fuoco. Si adatta al loro temperamento. Incarnano tre diverse ipostasi di donne dal carattere forte, con un nucleo interiore inflessibile – nonostante la leggerezza dell’aria, la fluidità dell’acqua e la natura momentanea del fuoco.
Quanto alla loro percezione, è tipica dell’intero movimento di resistenza inglese. Alcune persone si sono rese conto che la storia della pandemia non è così pulita, il primo giorno dopo il suo annuncio. Altri ci sono arrivati dopo, grazie al pensiero critico e logico, hanno messo insieme il puzzle.
Quale elemento del racconto delle mie eroine non è entrato nel montaggio? Alcuni dettagli tragici delle vite della seconda e terza eroina, che potrebbero essere il materiale per un’altra storia… ma credo non pesi il fatto che non siano espressi nel film, contribuiscono comunque alla costruzione drammaturgica dei caratteri.
Emozioni che giungono dalla colonna sonora e dalle “location”
Nei tuoi documentari, persino in questo nato da circostanze talmente oppressive, vi è sempre una nota poetica, accentuata dalle musiche e dal modo di riprendere le persone e la Natura. Cosa puoi dirci a riguardo? Due parole, se possibile, le ascolteremmo volentieri anche sulla scelta di inserire nella colonna sonora una bellissima versione dell’Ave Maria cantata dal nostro Robertino, un tempo così popolare in Unione Sovietica…
Il mio genere preferito è un docu-film, che non si concentri solo sulle idee, ma mostri in esso la vita e le persone.
Ho chiesto al compositore inglese Mark Leventhall, con cui collaboro regolarmente, di interpretare il tema di Bach in tre modi diversi, a seconda dei personaggi delle mie eroine: Aria, Acqua e Fuoco. La prima volta questo preludio viene suonato con la chitarra acustica, che dà alla musica molto spazio, leggerezza ed aria.
La seconda volta ci sono molti strumenti, compreso il coro, per accentuare la profondità dell’acqua, che, pur riflettendo il carattere della seconda eroina, è anche ovunque intorno a lei sull’isola scozzese dove sono avvenute le riprese.
La terza volta è una chitarra rock elettrica, grezza, ad accentuare il temperamento focoso della terza eroina.
La quintessenza del tema musicale nel finale del film, l’ “Ave Maria” di Schubert, è quella di una preghiera che esprime la Speranza nel modo più profondo possibile. Accompagna le immagini che ho scattato durtante le numerose proteste di massa contro il regime covid a Londra – in alcune di esse c’erano oltre un milione di partecipanti di tutti i gruppi sociali ed età, c’erano intere famiglie che si riunivano, portando con sé anche bambini.
Ho scelto l’interpretazione dell’Ave Maria di Robertino Loreti perché ritengo sia la migliore e la più pura, nell’emozione espressa dalla sua voce angelica. E naturalmente la sua voce è ancora immediatamente riconoscibile dal popolo russo, grazie all’immensa popolarità che dura anche oltre il tempo dell’URSS.
Abbiamo visto che gli incontri con le protagoniste sono avvenuti in località diverse, situate tra l’Inghilterra e la Scozia. Cosa puoi dirci di questi luoghi e di come il tuo sguardo si è relazionato ad essi?
Ho filmato la prima eroina Nadezhda (il suo nome significa appunto “Speranza”) a Londra, in viaggio su un battello lungo il Tamigi e nel Bishop’s Park e nella cappella del palazzo vescovile sulla riva del Tamigi – la zona in cui Nadezhda vive con la sua famiglia. Ho anche vissuto lì fino a poco tempo fa e spesso facevamo passeggiate in questo parco e giocavamo con i suoi figli.
Anche per la seconda eroina, Inara, ho girato dove viveva, sulla bellissima isola di Skye in Scozia. I paesaggi scozzesi non sono meno belli di quelli della Grecia o dell’Italia. Devo ammettere, però, che quando ho dovuto immergermi fino alle ginocchia nel mare, tenendo in mano la mia macchina fotografica per filmare, quell’acqua dolce e trasparente era gelida!!!
La scelta della location per la terza eroina è stata un’eccezione: l’ho filmata sul palco del Canal Theatre di Londra, per accentuare la drammaticità del suo personaggio. Ho anche reso completamente nero lo sfondo del palco, amplificando l’effetto del suo vestito rosso fuoco.
E ovviamente la prima eroina (Aria) indossava un abito bianco, e la seconda (Acqua) blu.
Casualmente o no, questi colori in ordine di apparizione: bianco, blu, rosso, corrispondono ai colori della bandiera russa!
Tra Regno Unito, Italia e Russia
Visto che ti trovavi in Inghilterra ma hai molti amici in Italia, mentre giravi il film che impressione ti sei fatta delle misure restrittive attuate da noi rispetto a quelle attuate nel Regno Unito, pur essendo state causa in entrambi i casi di autentici disastri sociali?
Penso che le misure covid differissero nella loro gravità nei diversi paesi, perché le forze che le hanno imposte stavano conducendo una sorta di esperimento, testando le reazioni delle persone. E, probabilmente, il fatto che cose appropriate in Australia e persino in Italia possano sembrare indecenti in Inghilterra ha avuto un ruolo. “Mauvais ton”, per così dire. In effetti, non ho seguito nessuna delle regole covid e ho potuto utilizzare tutti i mezzi di trasporto pubblico.
La mascherina non fa per me. Quando vedevo persone che indossavano mascherine per strada, andavo da loro e dicevo con voce chiara e forte, essendo stranieri: “In questo paese, non siete obbligati a indossare mascherine. Respirate profondamente!” A volte l’ho detto anche alle persone in metropolitana, nonostante le regole covid nei trasporti.
Ma le regole non sono ancora leggi.
All’inizio delle nostre proteste ci sono stati parecchi scontri con la polizia e arresti. Successivamente la situazione è cambiata.
Non credo che le proteste siano state solo uno sfogo. Alle nostre proteste, soprattutto negli ultimi sei mesi, compreso marzo 2022, hanno partecipato molti militari e reduci di varie guerre. Ho incontrato il leader di un gruppo molto serio che ha formato i cosiddetti poliziotti del popolo – persone che sono in grado di proteggere professionalmente se stessi e gli altri, dall’arbitrarietà dei decreti covid a livello legale. Quest’uomo nel recente passato ha prestato servizio in un gruppo d’élite dell’esercito britannico. Mi ha assicurato che il governo presta molta attenzione a ogni marcia di protesta. Forse è per questo che non c’erano quasi restrizioni in Inghilterra, anche se le cose andavano peggio in Scozia e Galles.
Nel Regno Unito, come in altri paesi europei, molte medie e piccole imprese sono state distrutte. Molti di loro vengono acquistati da società globaliste come ASOS, che ha acquistato il mio Topshop preferito, Miss Selfridge e altri negozi. Ma non puoi più andare lì: tutti gli acquisti possono essere effettuati solo online. Caffè e ristoranti sono scomparsi, sostituiti da altri, solitamente parti di grandi conglomerati.
In Italia, bellissimi hotel che si sono rivelati a lungo vuoti sono stati venduti a basso prezzo. C’è stato un enorme trasferimento di ricchezza e risorse in una sola mano.
Molti londinesi e visitatori non possono più permettersi di viaggiare per Londra in auto a causa della tassa di ingresso nel centro della città, l’area a pedaggio si sta allargando. Anche la tassa sulla benzina “sbagliata” interferisce, a tutti viene offerto di acquistare auto elettriche. I prezzi per tutto, compreso il cibo, aumentano ogni settimana. Nei due anni di lotta al virus è aumentato il numero dei disoccupati e che vivono di welfare. Ma alcune persone (anche se non molte) indossano ancora mascherine sui mezzi pubblici.
Puoi dirci qualcosa sul finale del film, con la carrellata di foto scattate durante quelle vibranti proteste di piazza contro il tetro regime sanitario affermatosi anche in Gran Bretagna, che hai potuto così testimoniare di persona?
Fin dall’inizio, ho preso parte a tutte le principali marce di protesta anti-COVID di Londra e ho realizzato reportage fotografici su di loro. Il mio obiettivo non era mostrare la folla, ma realizzare ritratti di persone di età diverse e catturare le emozioni sui loro volti. Per la prima volta ho visto che gli inglesi possono essere espressivi quanto gli italiani, anche se quando ho iniziato a fare film in Sicilia, non ci avrei mai creduto!
Volevo che il mio film La Speranza fosse anche il mio contributo al movimento di resistenza. Successivamente, non solo le donne, ma anche gli uomini mi hanno detto che alla fine del film hanno pianto per le emozioni travolgenti.
Altri viaggi e nuove opere cinematografiche all’orizzonte
Come è stato accolto finora dal pubblico il tuo Hope – La speranza?
La reazione del pubblico, come ho già accennato, è stata emozionante e positiva. Quelle persone che non condividevano le opinioni delle mie eroine, tuttavia, hanno percepito il film come una storia di tre personaggi femminili e hanno potuto apprezzarne la bellezza, sia delle eroine che dello spazio filmico. E, naturalmente, la scelta della musica, di cui ero incredibilmente felice.
Per finire, ci sembra che anche il film che presentasti alla scorsa edizione di Indiecinema Film Festival, Was Shakespeare English?, continui a destare interesse nonostante siano passati anni dalla sua realizzazione. Ce lo puoi testimoniare anche tu?
Was Shakespeare English? continua il suo viaggio. Inoltre, il film stesso è un viaggio in cui la verità viene rivelata passo dopo passo, per quanto incredibile possa sembrare.
Vorrei fare una continuazione del film – la seconda serie, in cui mi muoverei mantenendo un’alleanza col geniale ricercatore italiano di Shakespeare (non lo nomino, nel caso ci siano agenti inglesi in quella parte d’Italia dove vive). Questo non è un compito facile, richiederà fondi seri. O sacrifici. Certo, vorrei fare a meno dei sacrifici, ma, come ha scritto Boris Pasternak nella poesia Amleto, ne “Il Dottor Zivago”:
“Ma sono state decise le azioni,
E finirà il cammino, non c’è scampo.
Sono solo, tutto è nell’ipocrisia.
Vivere non è attraversare un campo”.
(Traduzione: Paolo Statuti)
PS. Adesso mi concentro però sul nuovo legato al tema della Russia. I miei personaggi sono della vita reale, e, non dipende in che parte dell’Unione Sovietica siano nati, sentono la loro appartenenza al Mondo Russo, alla cultura e filosofia unitaria. Li ho incontrati durante il mio viaggio in Russia in settembre. Già ho cominciato le riprese con un episodio in Lituania, da dove viene uno degli eroi del film. Per ora il titolo del film è “Non c’è bisogno del paradiso” – una riga della poesia che Sergej Esenin ha scritto all’età di 19 anni, nel 1914. Che significa? La risposta è in questa poesia, ma anche in questo momento storico che vivono il popolo russo e noi tutti. Spero di esprimerlo con i mezzi del cinema.
Stefano Coccia