Ecco la nostra interessante conversazione con l’artista tedesco, autore di “Into the Realm of the Night“
Tra i cortometraggi selezionati per la seconda edizione di Indiecinema Film Festival, Into the Realm of the Night è quello che ci ha colpito per la straordinaria cura formale, per il fascino notturno in cui buio e luce intrecciano geometrie sorprendenti, per come la musica stessa si fonde con tale partitura. Era quasi inevitabile che cercassimo di saperne di più su quest’opera, contattando direttamente l’autore. E così il cineasta tedesco Patrick Müller, che può già contare su svariate esperienze nel campo del cinema sperimentale, ci ha concesso un’interessante intervista.
La straordinaria vitalità del cinema sperimentale e d’avanguardia
In fase di selezione, abbiamo molto apprezzato il tuo lavoro, Patrick, anche perché assieme a “Metamorphosis” del regista italiano Stefano “Zait“ Oliva e a “October Eleventh” dagli Stati Uniti, è uno dei rari cortometraggi di natura sperimentale con cui ci siamo confrontati. “Into the Realm of the Night” rappresenta il tuo modo abituale di fare cinema o fino ad ora avevi provato strade differenti?
Into the Realm of the Night ha rappresentato per me qualcosa di nuovo. La maggior parte delle mie opere cinematografiche negli ultimi anni sono state concepite attraverso la narrazione, mentre questa ne risulta completamente svincolata. Inoltre, volevo spingermi il più lontano possibile con le doppie esposizioni, in questo lavoro: sapevo solo molto vagamente come sarebbe stato il risultato, quando l’altro lato della pellicola sarebbe stato impressionato, dovendo pensare in termini di forma e di movimento. Con le doppie esposizioni, esponi prima un lato della pellicola e poi la fai scorrere di nuovo. Nel mezzo del film, ad esempio, puoi vedere una libellula artificiale che vola attraverso un regno magico. In realtà, era saldamente attaccata allo stand di una fiera. Ma dacché ho filmato per la prima volta una panoramica lungo la siepe, pare che stia volando.
Il già citato Stefano “Zait” Oliva, che è stato anche nostro ospite a Roma, parlando del suo film ha spesso sottolineato l’ispirazione venuta dalle avanguardie, in particolare dal Surrealismo. Quali sono state le principali correnti artistiche ispiratrici del passato, per il tuo lavoro? Nella ricerca di certe forme, di certi contrasti e forse anche della tua origine, vedendo “Into the Realm of the Night” ci è venuto naturale ricordare Hans Richter…
Oh, sì, siamo tutti sulle spalle di giganti, come dice il proverbio. Conosco il lavoro di Hans Richter, in particolare i film della serie Rhythmus, che ho visto 20 anni fa. Amo anche il surrealismo, in particolare Luis Buñuel, e il surrealismo americano di David Lynch. Il surrealismo ci costringe a riadattare la nostra percezione, vuole provocare, in modo che si impari a vedere le cose in un modo nuovo. Ma quello che mi ha influenzato di più è stato il Cinema Noir, che continuando a mostrare le luci e le strade delle grandi città vi fa riflettere in modo strano e meraviglioso la vita interiore dei protagonisti. Il mio film è stato realizzato per un motivo ben preciso. Nel novembre 2021 sono stato invitato a Copenaghen per presentare il mio adattamento di Emily Brontë intitolato Spellbound a un festival cinematografico. Mentre in Germania c’era un lockdown severo, Copenaghen aveva appena revocato quasi tutte le restrizioni. L’ho vissuta come una situazione completamente irreale e surreale e ho cercato di trasformare il mio stato d’animo in immagini, durante la mia prima, magica passeggiata per la città.
A proposito di tecnica e di questioni stilistiche
Leggendo la dettagliatissima scheda tecnica del tuo film, abbiamo visto che è stato girato in 8mm con una Bauer 88F. Cosa ti affascina di più del fare ancora cinema, come lo si faceva una volta?
Fino al 2013 ho girato interamente con fotocamere digitali, dopodiché ho girato solo in analogico su pellicola: Super 8, 8mm, 16mm e anche 35mm. La maggior parte delle volte sviluppo personalmente le pellicole nella mia camera oscura. La pellicola autentica è magica: quando giri non hai un display, hai un mirino attraverso cui guardare. Devi sapere cosa stai facendo e confrontarti col girato solo dopo che è stato sviluppato. Ma poi vedi in un modo completamente nuovo le immagini che sono state impresse, come se fosse la prima volta. Mi piacciono anche i limiti: visto che ogni metro di pellicola costa denaro, pensi molto attentamente a cosa vuoi filmare. Ciò semplifica la post-produzione e ti costringe a lavorare ancora più duramente con il materiale. Vai incontro anche ad imprevisti totalmente imprevedibili, che risultano assai graditi. Ad esempio, in Into the Realm of the Night la macchina da presa si è fermata alcune volte e ho dovuto aprirla. Di conseguenza, le perforazioni sulla pellicola sono state esposte in alcuni punti e nel film c’erano figure geometriche erranti, che poi ho usato consapevolmente nel montaggio.
La fotografia in bianco e nero è senza dubbio una delle scelte più raffinate del film: il continuo alternarsi di buio notturno e luci crea una partitura assai interessante, come hai lavorato su questo aspetto? E che dire del montaggio, con le sovrimpressioni, un certo tipo di stacchi e altre opzioni ugualmente ricercate, che hanno rappresentato senz’altro una sfida?
Sapevo fin dall’inizio che volevo filmare in bianco e nero perché il colore avrebbe creato un’atmosfera troppo serena. Inoltre, il materiale raccolto evoca esperienze cinematografiche che possono essere diverse per ciascun spettatore. Durante la mia partecipazione a molti festival, ho sentito le associazioni mentali più svariate, che il film ha saputo suscitare negli spettatori: dall’espressionismo a William Klein. Dal momento che tutte le doppie esposizioni nel film sono state create nella fotocamera, non sono stato quasi in grado di modificare nulla in post-produzione. Ho tagliato e riorganizzato le scene solo in pochissimi punti. La giusta preparazione era tutta qui, in modo tale che il passaggio dalla vita quotidiana al regno della notte fosse il più efficace possibile.
Il ruolo della musica, la scelta delle “location”
Molto potente, suggestiva e strettamente legata alle immagini è la musica. Cosa puoi dirci a riguardo?
La musica è stata composta da Uwe Rottluff, un musicista di Chemnitz in Sassonia, Germania, con il quale ho lavorato spesso. Uwe fa esperimenti con vecchi strumenti e crea musica completamente nuova ma organica come suono. Ad esempio, nella colonna sonora del mio film del 2019 intitolato The Garden, ha usato il Trautonium, uno strumento utilizzato anche ne Gli Uccelli di Alfred Hitchcock, per creare le voci dei bellicosi volatili. Per Into the Realm of the Night, Uwe Rottluff ha utilizzato principalmente un sistema modulare Moog, così da trovare i suoni giusti per il magico regno notturno.
Sappiamo che il film è stato girato a Copenaghen, in Danimarca. Abbiamo anche noi ricordi della città e ci è sembrato di riconoscere alcuni luoghi, che potrebbero essere a Tivoli Gardens, un parco divertimenti… quindi, quali sono stati i luoghi principali delle riprese?
Poiché la fotocamera era molto piccola, potevo portarla con me ovunque. L’inizio del film è stato girato vicino alla sede del festival, Kulturhuset Islands Brygge, puoi persino vedere la scritta del cinema “Salen“. Ho trovato notevole anche una stazione di ricarica per autobus elettrici. In due scene puoi vedere la metropolitana senza conducente, che ha permesso di filmare direttamente le luci. Ma la maggior parte del film lo girata proprio a Tivoli Gardens, uno dei parchi divertimenti più antichi. Tuttavia, a causa della doppia esposizione e della ridotta velocità della pellicola, si percepisce nel film in modo completamente nuovo, diventa una sorta di affascinante reame dei sogni.
Infine, che spazi ci sono per il cinema indipendente e in particolare per quello ancora più underground, sperimentale, in Germania?
Il cinema sperimentale ha sempre incontrato difficoltà, in tutto il mondo. Tuttavia, c’è un pubblico fedele, molto aperto e affamato di nuove opere. I posti migliori per questa arte sono i festival cinematografici, dove il pubblico può anche parlare con i registi. In Canada, ad esempio, c’è l’Artifact Film Festival, negli Stati Uniti c’è l’Engauge Film Festival. Nel sud della Francia, Un Festival C’est Trop Court a Nizza mostra film sperimentali, ma lo fa anche Tous Court ad Aix-en-Provence. Sono stato poi completamente sorpreso dall’entusiasmo per il cinema sperimentale in Sud America, dove il mio film è stato proiettato, ad esempio, al Museo di Arte Moderna di Rio de Janeiro. Uno dei festival più belli per il cinema analogico è Schmalfilmtage a Dresda, in Germania. Lì Into the Realm of the Night ha vinto l’ambito Premio della Giuria nel 2022, il che mi ha reso molto felice e colmo di gratitudine.