I molteplici interessi dell’autore di Metamorphosis, corto al bivio tra la visionarietà del linguaggio filmico e i riverberi di una peculiare ricerca musicale
Nel ricco e variegato Concorso Cortometraggi di Indiecinema Film Festival non potevano certo mancare lavori d’impronta sperimentale, tesi a esplorare frontiere più recondite e appartate dell’immaginario. Tale è senz’altro il corto di Stefano Zait Oliva. Introdotto da una citazione di Strindberg, accompagnato da musiche ipnotiche, costellato di simboli, Metamorphosis seduce lo sguardo illustrando, in forma rapsodica, la possibile liberazione di alcuni personaggi tenuti segregati in una gabbia fisica e mentale. Ma parliamone direttamente con l’autore!
Tra passioni musicali e spinta verso il Surrealismo
In Metamorphosis, Stefano, sembrano convergere sia il tuo interesse per il cinema sperimentale che la passione, anche da compositore stando a quanto abbiamo potuto constatare, per la musica. Come è nata e come si è sviluppata, quindi, l’ispirazione per questo tuo lavoro?
Ho iniziato come musicista esplorando molti generi musicali, dal punk noise adolescenziale passando attraverso metal, cantautorato ed elettronica. Attualmente sto lavorando ad alcuni singoli noir. Ho realizzato il videoclip della canzone “Porta Inferi” di Dianadea, un interessante progetto one man band che miscela doom e tematiche pagane.
Per il commento musicale di Metamorphosis mi sono ispirato al compositore tedesco Hermann Kopp. Amo le sue colonne sonore nei film underground Der Todensking e Nekromantik di Jörg Buttgereit, dove melodie minimaliste ma raffinate si sposano su immagini crude e cupe.
Commentando il cortometraggio, uno dei selezionatori del festival ha riscontrato “qualche eco del primo Dreyer e di Maya Deren”. Anche tu nella presentazione fai esplicito riferimento al Surrealismo. Quali sono allora i tuoi principali punti di riferimento in ambito cinematografico e più in generale a livello estetico?
Sicuramente di Maya Deren potrei citare il corto Witch’s Cradle che realizzò con l’artista Duchamp. Amo molto il surrealismo per il fatto di aver aperto con l’arte un portale verso l’inconscio inesplorato. Una sorta di oltre lo specchio dove l’umanità non è soggiogata dalle regole della normalità e della realtà. Alice nel suo paese delle meraviglie. Tutto può crearsi e distruggersi contemporaneamente. Così si permette la magia. Una corrente artistica che amo è stato l’azionismo viennese, i video delle performance di Günter Brus nel suo tentativo simulato (e non) di autodistruggersi per rigenerarsi sono catartici. Direi che mi sento molto più attratto dal concetto di videoarte, ma da punto di vista cinematografico vorrei citare Jan Svankmajer, Alejandro Jodorowsky, Derek Jarman (fondamentale per me fu Wittgenstein). Per la scena della mela che cade nella neve ho invece voluto omaggiare il capolavoro di animazione sovietico Tale of Tales di Yuriy Norstein.
A caccia di simboli e archetipi
Simbologie religiose, carte dei tarocchi, altri elementi di possibile derivazione esoterica o iniziatica, iconografie di vario genere e riferimenti allegorici degni di una natura morta fiamminga, sembrano fare capolino in Metamorphosis, suggerendo a tratti uno studio preesistente di tali materie. Cosa puoi dirci a riguardo?
Per me lo scopo di fare arte è quello di mettermi in contatto con il subconscio, con la parte “magica” dell’essere umano. Entrare nel forno alchemico e trasformare. Ecco perché Metamorphosis è quasi completamente buio. Non sono veri personaggi, sono archetipi che vivono nella mente di ognuno. La metamorfosi è sempre in atto, è sempre possibile. L’uso dei tarocchi come forma di comunicazione l’ho presa dal già citato Jodorowsky, le simbologie religiose fanno parte del nostro tessuto culturale, sono impronte su cui si muove il nostro inconscio collettivo.
Da Strindberg ai miti greci, lo stesso sostrato letterario, mitologico e teatrale del film è di un certo spessore. Come mai questo genere di contrappunti, ben evidenziato dal contenuto delle didascalie?
Ho voluto dare a Metamorphosis una dimensione teatrale. Non solo per l’estetica nera, ma anche per il fatto che il teatro è una delle forme di rito esoterico e trasformativo più antiche. Assistere a una performance teatrale di cambia, è un rituale. Dai miti greci ho voluto prendere il senso di ribellione ai tiranni, la protagonista Alice è una sorta di Antigone che trova la forza di uscire dalla sua prigionia e uccidere il padre tiranno, ispirata dalle gesta di Giove/Zeus che uccide il titano despota Saturno/Cronos.
La scelta degli interpreti e il cammino intrapreso dai personaggi
Come hai scelto invece gli interpreti del cortometraggio?
Il padre tiranno è interpretato da Sergio Danzi, un attore e insegnante di recitazione di grandissimo carisma. Con la sua compagnia “L’Arcoscenico Casa del Teatro 3” di Asti mi ha aiutato tantissimo per la realizzazione del progetto.
Martina Colombo, Simone Marchisio e la piccola Siria Colombo sono attori teatrali della compagnia mentre Alexia D’Onofrio è una artista visuale con cui ho collaborato numerose volte.
Cosa ti senti di aggiungere, relativamente alla trasformazione interiore cercata e almeno in un caso raggiunta, da parte dei personaggi più giovani, soggetti almeno all’inizio a una stretta forma di controllo?
Probabilmente il personaggio del fratello di Alice è quello che rimane più criptico. Disperatamente cerca di assorbire l’energia distruttiva di Godzilla, vuole diventare un mostro per dimenticare le mostruosità subite. Troverà nella sua sorella un patetico feticcio di emulazione. Devo ammettere che la prima bozza di Metamorphosis fosse interamente dedicata a lui.
Molto probabilmente avrà un suo seguito e comparirà nei prossimi lavori perché ha ancora qualcosa da dire, deve ancora mutare.
Di nuovo al lavoro, la ricerca continua
Per finire, ci potresti raccontare qualcosa in più sul tuo percorso di formazione e su quali lavori va orientandosi ora la tua ricerca?
Dopo due saggi sull’esoterismo (“Creatori si nasce” e “Magia Freestyle“) ora sto lavorando ad un primo romanzo di narrativa. Attualmente sto raccogliendo idee per un prossimo film, vorrei raccontare qualcosa di antico ma senza tempo, ispirarmi ai testi sacri sia dei Vangeli che delle Tradizioni orientali. Un aspetto che vorrei indagare è trovare forme di comunicazione, linguaggi. Vorrei sperimentare sulla assenza di dialoghi nel prossimo lavoro, fare in modo che siano le atmosfere a parlare al posto dei personaggi.
Grazie per l’intervista e per la l’opportunità di partecipare.
Stefano Coccia