La commedia è, paradossalmente, il genere più complesso e spietato della settima arte. Molto più del dramma, richiede un tempismo perfetto, una scrittura chirurgica e la capacità di cogliere le contraddizioni della natura umana. Il grande cinema comico non serve solo a evadere dalla realtà, ma spesso a smascherarla, usando l’arma dell’ironia per rivelare verità che altrimenti rimarrebbero indicibili.
Questa guida nasce per esplorare le infinite sfumature dell’umorismo: dalla satira sociale che ha reso grande il cinema italiano al graffio surreale e scorretto delle produzioni indipendenti, fino all’eleganza della commedia sofisticata. Che si tratti di una risata liberatoria o di un sorriso amaro, qui troverai le opere che hanno saputo trasformare l’intrattenimento in una forma d’arte.
🆕 Le Migliori Commedie Recenti
A Real Pain (2025)
Due cugini ebrei americani, David (Jesse Eisenberg) e Benji (Kieran Culkin), decidono di fare un tour in Polonia per onorare la nonna sopravvissuta all’Olocausto. David è un padre di famiglia nevrotico e controllato, Benji è un’anima libera, carismatica ma profondamente instabile. Quello che inizia come un pellegrinaggio rispettoso si trasforma in un road movie goffo e dolorosamente divertente, dove i traumi storici si scontrano con le nevrosi moderne.
Vincitore per la sceneggiatura al Sundance, questo film è il manifesto della “Dramedy” moderna. Jesse Eisenberg dirige e recita un’opera che riesce nel miracolo di far ridere in un contesto tragico (i campi di concentramento) senza mai essere irrispettosa. È una commedia sul dolore, sulla famiglia e su come ogni generazione elabora il lutto in modo diverso (o non lo elabora affatto).
Nightbitch (2025)
Una donna senza nome, ex artista e curatrice, si ritrova intrappolata nella routine domestica dopo la nascita del figlio, mentre il marito è sempre via per lavoro. Esausta, isolata e arrabbiata, inizia a notare cambiamenti fisici inquietanti: le cresce il pelo, i denti si affilano e sente un bisogno irrefrenabile di carne cruda. Convinta di starsi trasformando in un cane, abbraccia la sua nuova natura ferina per ribellarsi alle aspettative della “madre perfetta”.
Amy Adams è scatenata in questa commedia horror femminista e surreale. Marielle Heller adatta il romanzo culto creando una satira graffiante sulla maternità contemporanea. Non è un film dell’orrore classico, ma una commedia grottesca e liberatoria che urla (e abbaia) contro la perdita di identità che molte donne vivono. Divertente, sporco e assolutamente originale.
Anora (2024)
Anora è una giovane spogliarellista di Brooklyn che crede di vivere una favola moderna quando sposa impulsivamente il figlio viziato di un oligarca russo. La luna di miele finisce bruscamente quando i genitori di lui, dalla Russia, inviano i loro scagnozzi armeni a New York per annullare il matrimonio con la forza. Ne nasce una fuga rocambolesca e caotica attraverso la città, dove Anora combatte con le unghie e con i denti per difendere il suo status di “moglie”.
Vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2024, Sean Baker firma una commedia screwball ad altissima energia che ricorda il cinema dei fratelli Safdie ma con più cuore. È un film frenetico, urlato e divertentissimo, che però nasconde una critica amara alle classi sociali e al potere del denaro. Si ride molto, ma si tifa disperatamente per la dignità della protagonista in un mondo che la vede solo come merce.
The Holdovers – Lezioni di vita (2023)
Natale, 1970. In un prestigioso collegio del New England, un professore di storia antica odiato da tutti (Paul Giamatti), rigido e pomposo, è costretto a rimanere nel campus durante le vacanze per sorvegliare un pugno di studenti che non possono tornare a casa. Tra questi c’è Angus, un ragazzo intelligente ma problematico. Insieme alla cuoca della scuola, che ha appena perso il figlio in Vietnam, i tre formano un’improbabile famiglia di emarginati bloccati dalla neve e dalla solitudine.
Alexander Payne realizza un “classico istantaneo” che sembra girato davvero negli anni ’70. È una commedia umanista perfetta, che bilancia cinismo e tenerezza senza mai cadere nel sentimentalismo facile. Paul Giamatti offre una performance monumentale nel ruolo del misantropo che impara a connettersi. È un film caldo, divertente e malinconico, scritto con una grazia che oggi è rarissima.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione
Hundreds of Beavers (2024)
In questo film muto e in bianco e nero, un venditore di sidro di mele perde tutto a causa dei castori e deve trasformarsi nel più grande cacciatore di pellicce del Nord America per sopravvivere all’inverno e conquistare la figlia del mercante locale. Quello che segue è una battaglia epica e progressivamente più assurda contro centinaia di castori (che sono palesemente persone in costumi di peluche economici), tra trappole, inseguimenti e logiche da videogioco.
Questo è il vero cult indie dell’anno. Realizzato con un budget inesistente, è un capolavoro di creatività visiva che mescola l’estetica dei Looney Tunes, la comicità fisica di Buster Keaton e la logica di Super Mario. È cinema purissimo, fatto solo di azione e gag visive a raffica (più di 1500 inquadrature). Un’esperienza esilarante e anarchica che non assomiglia a nulla di ciò che avete visto.
2 Sotto zero

Commedia, di Tim Cash, Stai Uniti, 2019.
Rusty è un poeta che ha venduto tutto quello che possedeva nella sua città, ha comprato una roulotte e si è trasferito in mezzo ad una landa deserta e innevata in un piccolo paesino della provincia americana. Egli in realtà vive una profonda crisi interiore e rifiuta di accettare che Alice sia uscita dalla sua vita, tenendola ancora vicino a sé sotto forma di manichino femminile. Rusty conosce 3 donne che sostano sempre all'ingresso dell'unico negozio della zona: Babs, Fran e Ruth-Ann. Rusty risveglia i loro desideri e ambizioni: una delle donne è anche un'aspirante scrittrice e crede che lo scrittore possa fargli pubblicare il suo primo romanzo. Ma sembra che l'uomo abbia una fidanzata e le 3 donne decidono di indagare, mentre la temperatura scende a '2 sotto zero'.
Una divertente commedia ambientata in mezzo alla neve, con colori sgargianti che bucano continuamente il bianco del paesaggio. Tim Cash racconta in modo comico e grottesco una vicenda in cui, nascosto in profondità, si consuma il dramma dell'abbandono del protagonista Rusty da parte della sua fidanzata Alice. Un modo di raccontare che già avevamo apprezzato in un altro suo film, "The Astronot", il cui finale trasformava improvvisamente una commedia in una tragedia. Ricco di spunti surreali e scene al rallentatore, questo film ribolle di vitalità rock e di una regia capace di valorizzare al massimo tutti gli elementi a disposizione. Un plauso particolare va all'attore e compositore Pennan Brae, perfetto ed empatico nel ruolo di Rusty.
LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano
Daaaaaalí! (2023)
Una giovane giornalista francese cerca disperatamente di intervistare il celebre pittore Salvador Dalí per un documentario. Tuttavia, l’artista è così egocentrico, capriccioso e sfuggente che l’intervista viene continuamente rimandata, interrotta o sabotata da eventi surreali. Il film entra in un loop onirico dove il tempo e lo spazio non hanno senso, e dove Dalí è interpretato da cinque attori diversi nella stessa scena, in un omaggio alla follia del genio.
Quentin Dupieux, il re dell’assurdo francese, firma una “non-biografia” che è un labirinto comico. Non cerca di spiegare l’artista, ma di replicare il suo mondo interiore. È una commedia breve (77 minuti), densa di gag non-sense e visivamente raffinata. Una presa in giro intelligente del culto della personalità e della pretesa di “capire” l’arte. Per chi ama l’umorismo di Buñuel o dei Monty Python.
La Commedia Indie e d’Autore
La commedia indipendente non deve sottostare alle regole del mercato di massa: è libera di essere strana, grottesca, sottile. Qui troverai storie originali, personaggi fuori dagli schemi e un umorismo che nasce dalle imperfezioni della vita reale. È il cinema per chi vuole ridere, ma anche pensare.
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Black Comedy e Commedia Nera
Per chi ama ridere a denti stretti. La Black Comedy trova l’umorismo dove non dovrebbe esserci: nella morte, nella tragedia, nel tabù. È un genere che osa sfidare il buon gusto e la morale per rivelare le ipocrisie della società. Perfetto per chi ha un senso dell’umorismo cinico e tagliente.
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La Commedia Drammatica (Dramedy)
La vita non è mai solo bianca o nera. La Dramedy è il punto d’incontro perfetto tra il sorriso e la lacrima. Qui i personaggi sono reali, complessi, e le situazioni comiche nascono dal disagio o dalla malinconia. È il genere ideale per chi vuole emozionarsi e riflettere, mantenendo però un tono leggero e speranzoso.
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La Commedia all’Italiana (I Maestri)
Non è solo un genere, è un pezzo di storia del nostro Paese. Tra la fine degli anni ’50 e i ’70, registi come Monicelli, Risi e Scola hanno inventato un modo unico di fare cinema: trattare temi drammatici con toni umoristici. Qui si ride, ma spesso il retrogusto è amaro. È il cinema dei “Mostri”, la satira feroce dei vizi e delle miserie dell’italiano medio. Capolavori indispensabili per capire chi siamo.
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Film Comici Italiani e le “Maschere”
Qui l’obiettivo è uno solo: la risata pura. Questo filone si basa sulla forza dei grandi attori e delle loro “maschere”. Dalla comicità lunare di Totò alla critica sociale grottesca di Fantozzi, fino ai mattatori moderni. Sono i film che abbiamo citato mille volte, entrati nel linguaggio comune, che offrono un intrattenimento più diretto, popolare e liberatorio.
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Commedia Romantica
L’amore fa ridere, soprattutto quando le cose vanno storte. Dimenticate le storie smielate: le migliori Rom-Com sono quelle che raccontano l’imbarazzo, gli equivoci e la follia dell’innamoramento con ritmo e intelligenza. Per chi cerca il lieto fine, ma vuole divertirsi lungo il percorso.
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Commedia Francese
L’eleganza della battuta. Che sia la Screwball Comedy americana classica o la brillante commedia francese fatta di dialoghi veloci e situazioni piccanti, questo è il cinema per chi cerca un umorismo di testa, raffinato e mai volgare. Qui si ride di gusto, ma con classe.
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Action Comedy
Quando le risate incontrano le esplosioni. Il genere perfetto per una serata di puro intrattenimento “popcorn”. Buddy movie, poliziotti pasticcioni e inseguimenti rocamboleschi: qui il ritmo non cala mai e l’adrenalina si mescola alla gag fisica.
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Commedie degli anni 20 e 30
Questa è la genesi della risata moderna. Negli anni ’20, la commedia era un linguaggio universale scritto con il corpo: la poesia visiva di Chaplin e l’impassibile temerarietà di Buster Keaton sfidavano le leggi della fisica senza pronunciare una sola parola. L’avvento del sonoro negli anni ’30 innescò una rivoluzione, dando vita alla Screwball Comedy. Il campo di battaglia si spostò dall’acrobazia fisica al dialogo a raffica. Fu un’epoca di anarchia ed eleganza, dove la guerra tra i sessi veniva combattuta a colpi di parole a velocità vertiginosa, stabilendo uno standard di ritmo comico che rimane ancora oggi ineguagliato.
Madame DuBarry (1919)
Madame DuBarry (distribuito in Germania come Passion) è un film muto storico tedesco del 1919 diretto da Ernst Lubitsch. Questa sontuosa produzione UFA, girata nei vasti studi di Babelsberg, segnò la consacrazione internazionale sia per il regista che per la sua protagonista, Pola Negri. Il film narra l’ascesa e la caduta di Jeanne Vaubernier (Negri), una giovane e ambiziosa modista parigina. In cerca di una vita migliore, Jeanne abbandona il suo giovane amore, Armand de Foix, e diventa l’amante del corrotto nobile Jean Du Barry, che la usa per ingraziarsi il re Luigi XV (Emil Jannings). Jeanne affascina immediatamente il re, che la porta a Versailles e la rende la sua favorita ufficiale, Madame Du Barry.
Il film contrappone la vita di lusso e opulenza di Jeanne alla corte di Versailles con la crescente miseria e rabbia del popolo francese, che culminerà nella Rivoluzione. Madame DuBarry fu un enorme successo commerciale e di critica in tutto il mondo, elogiato per la regia innovativa di Lubitsch, l’uso di cinepresa e montaggio, e la performance carismatica e sensuale di Pola Negri. Tuttavia, la sua uscita generò anche significative polemiche, specialmente nella Francia del primo dopoguerra, dove fu visto come una propaganda anti-francese per la sua rappresentazione di una monarchia decadente e di una rivoluzione spietata, realizzata da una nazione avversaria.
La febbre dell’oro (1925)
Il Vagabondo (Charlie Chaplin), nei panni di un cercatore d’oro solitario, si reca in Alaska durante la leggendaria corsa all’oro. Isolato in una capanna sperduta, deve affrontare la fame estrema, un clima spietato e un amore non corrisposto per la ballerina Georgia. La fame lo porterà a compiere gesti surreali, come mangiare la propria scarpa e sognare la celebre “danza dei panini”.
La febbre dell’oro rappresenta il momento in cui Charlie Chaplin ha perfezionato la sua formula alchemica, trovando l’equilibrio perfetto tra la comicità slapstick più pura e un patetismo straziante. Ispirato ironicamente a un fatto di cronaca tragico su episodi di cannibalismo tra i cercatori, Chaplin trasforma l’orrore della disperazione in una farsa sublime e indimenticabile.
Il film contiene due delle sequenze più iconiche dell’intera storia del cinema. La prima, la cena del Giorno del Ringraziamento, dove il Vagabondo cuoce e mangia la sua scarpa come se fosse un piatto prelibato, è il manifesto della sua arte: la capacità di trasformare la miseria assoluta in una gag visiva meticolosa, quasi rituale, e profondamente commovente.
La seconda, la celebre “danza dei panini” che il Vagabondo esegue in sogno per intrattenere la ragazza che ama, è pura poesia surreale. Entrambe le scene funzionano perché Chaplin non cerca mai solo la risata facile; cerca l’empatia. Il suo Vagabondo non è un automa comico come molti suoi contemporanei; è un essere umano completo, con desideri, paure e un cuore disperatamente romantico. È questo umanesimo che lo distingue dal suo grande rivale, Buster Keaton, e che definisce il primo, fondamentale pilastro della commedia cinematografica.
Adorabili amiche

Commedia, di Benoît Pétré, Francia, 2012.
Tre amiche cinquantenni vengono invitate al matrimonio di Philippe, un loro comune amico di gioventù, che dopo molte avventure sentimentali sembra aver trovato la donna giusta, Tasha. Chantal è sola, la sua relazione con suo marito è in crisi ed il bizzarro lavoro di promotrice di cioccolata amara è un disastro. Gabrielle è una sua amica disinibita e libertina, convinta che fare sesso è l'unico modo per non invecchiare. E poi c'è Nelly, depressa e frigida, almeno così sembra. Tutte e tre hanno avuto in passato un flirt con Philippe, vorrebbero evitare di rivederlo, ma la curiosità vince e partono. Il viaggio è anche un pretesto per fare un bilancio di trent'anni di vita sulle ambizioni giovanili, i rapporti con gli uomini che hanno amato, le amarezze che hanno dovuto affrontare nella vita quotidiana, le delusioni sul posto di lavoro. Un'occasione per dare un taglio al passato e cambiare vita. Le tre donne scopriranno di avere tutte qualcosa in comune con Philippe. Una serie di rivelazioni, tra cui l'identità della misteriosa Tasha, le porterà a scoprire la vera natura dei loro rapporti amorosi. Una commedia amara, un road-movie con tre donne cinquantenni, tra gioia, rabbia, tristezza, divertimento e malinconia.
LINGUA: italiano
Come vinsi la guerra (1926)
Johnnie Gray (Buster Keaton), un macchinista della Georgia, ha due grandi amori nella sua vita: la sua fidanzata, Annabelle Lee, e la sua locomotiva, “The General. Quando scoppia la Guerra Civile, viene respinto dall’esercito sudista perché ritenuto più utile come macchinista. Ma quando le spie nordiste rubano “The General” con Annabelle a bordo, Johnnie si lancia in un inseguimento solitario e rocambolesco per recuperare entrambi.
Se Charlie Chaplin è stato il “poeta” della commedia, Buster Keaton ne è stato l’ “architetto”. Come vinsi la guerra (titolo originale: The General) è il suo capolavoro, un’impresa di ingegneria comica e narrativa di una modernità sbalorditiva. A differenza del patetismo esibito da Chaplin, Keaton, “The Great Stone Face”, l’uomo che non sorride mai, non chiede mai la nostra compassione. La sua comicità è oggettiva, quasi matematica, basata sull’interazione surreale tra un individuo impassibile e un universo meccanico e caotico.
Il film è leggendario per la sua “struttura narrativa quasi perfettamente bilanciata”. È letteralmente un film diviso in due parti speculari: la prima metà è un inseguimento (Johnnie che insegue il treno rubato verso Nord), la seconda è l’inseguimento opposto (Johnnie che fugge verso Sud con il treno e la ragazza, inseguito dai nordisti).
L’autenticità e la scala delle gag sono leggendarie. Keaton ha usato locomotive e cannoni veri, girando acrobazie pericolosissime senza controfigure, inclusa la scena in cui siede sulla biella della locomotiva in movimento. Il risultato è un’epica su larga scala che fonde commedia, film di guerra e avventura. L’influenza di Keaton è visibile in tutto, da Mad Max: Fury Road al lavoro di Jackie Chan. Con questo film, Keaton ha dimostrato che la comicità slapstick poteva essere non solo divertente, ma anche epica, mozzafiato e immortale.
City Lights (Luci della città) (1931)
Il Vagabondo di Charlie Chaplin si innamora di una fioraia cieca, che per un equivoco lo crede un milionario. Per aiutarla a pagare l’affitto e a sottoporsi a un’operazione che potrebbe ridarle la vista, il Vagabondo si imbarca in una serie di avventure, tra cui un’amicizia altalenante con un vero milionario alcolizzato e un disastroso incontro di boxe. Il suo amore puro lo spinge a sacrificare tutto per lei.
Includere Luci della città in questa lista è un atto dovuto. È forse il film “indipendente” per eccellenza: prodotto, diretto, scritto, musicato e finanziato da Chaplin stesso, in un’epoca in cui il cinema sonoro aveva già preso il sopravvento. La sua decisione di realizzare un film muto nel 1931 fu un atto di sfida artistica senza precedenti. La pellicola è una miscela perfetta di commedia slapstick e pathos straziante. La scena finale, in cui la ragazza, non più cieca, riconosce il suo benefattore, è uno dei momenti più potenti e commoventi della storia del cinema, la dimostrazione definitiva di come la commedia possa raggiungere vette di profondità emotiva ineguagliabili.
Il coro di Tokyo (1931)
Tokyo Chorus (東京の合唱, Tōkyō no kōrasu) è un film muto giapponese del 1931 diretto da Yasujirō Ozu. Girato in bianco e nero e ambientato a Tokyo durante la Grande Depressione, il film è un’influente opera di “shomin-geki” (dramma della classe operaia) che fonde commedia e dramma sociale. La trama segue Shinji Okajima (Tokihiko Okada), un impiegato di una compagnia assicurativa che viene licenziato dopo aver protestato per il licenziamento di un collega anziano. Rimasto senza lavoro, Shinji lotta per mantenere la sua famiglia, composta dalla moglie Sugako (Emiko Yagumo) e dai loro figli, il figlio Chounan (Hideo Sugawara) e la figlia Miyoko (Hideko Takamine). Le difficoltà economiche della famiglia si aggravano quando la figlia si ammala, costringendoli a vendere i kimono della moglie per pagare le spese mediche.
Considerato uno dei film più importanti del primo periodo di Ozu, Tokyo Chorus segna una transizione significativa dalle sue precedenti commedie slapstick a un’analisi più profonda e umanista della vita familiare e delle difficoltà sociali. Il film è noto per il suo stile realistico e la sua messa in scena minimalista, che si concentra su dettagli evocativi per trasmettere l’emozione e la resilienza dei personaggi di fronte alle avversità. Con una durata di circa 90 minuti e distribuito il 15 agosto 1931, il film esplora temi duraturi come la giustizia sociale, la precarietà economica e la forza dei legami familiari, mostrando la compassione e la comprensione di Ozu per le persone che affrontano le sfide della vita.
Sono nato, ma… (1932)
Sono nato, ma… (titolo originale: 大人の見る絵本 生れてはみたけれど, Otona no miru ehon – Umarete wa mita keredo, 1932) è un film muto giapponese diretto da Yasujirō Ozu. Considerato uno dei suoi primi capolavori, il film è una commedia satirica “shomin-geki” (dramma della classe operaia). La trama è incentrata sui giovani fratelli Keiji (Hideo Sugawara) e Ryoichi (Tomio Aoki), che si trasferiscono con i loro genitori in una nuova periferia di Tokyo. I ragazzi cercano di imporsi come leader della banda di ragazzini locali, ma la loro visione idealizzata del padre (interpretato da Tatsuo Saitō), un impiegato, va in frantumi. Assistendo a un filmato amatoriale, scoprono il padre mentre fa il buffone e si umilia per compiacere il suo ricco e potente capo, scatenando nei figli una profonda vergogna.
Il conflitto centrale del film, in cui il padre rimane vivo per tutta la durata, riguarda la disillusione e la perdita dell’innocenza. I ragazzi, scioccati dalla sottomissione del padre, iniziano uno sciopero della fame, rifiutando di accettare le complesse gerarchie e i compromessi del mondo adulto. Ozu esplora con sensibilità e umorismo temi come la gerarchia sociale, il divario tra il mondo dei bambini e quello degli adulti e le pressioni della vita da “salaryman” nel Giappone prebellico. Il film è basato su una storia originale di Ozu e fu un grande successo di critica in patria, vincendo il prestigioso premio Kinema Junpo come Miglior Film.
Charlie Chaplin - cortometraggi

Cortometraggi, di Charlie Chaplin, Stati Uniti, 1915-1921.
Charlie Chaplin diventa conosciuto in tutto il mondo con i cortometraggi del suo personaggio Charlot, ispirato alla sua esperienza di vita, inventato nel 1914. Un vagabondo dalle scarpe enormi che aggiunge ai film comici dell'epoca la poesia del grande cinema. Inizialmente diretto da altri registi, dal 1918 in poi Charlie Chaplin passa dietro la macchina da presa e inizia a curare in modo maniacale tutti gli aspetti creativi dei suoi film brevi, dalla scrittura alle musiche. Ecco una selezione dei suoi migliori cortometraggi: quelli che ogni vero amante del cinema non può non vedere.
Spunto di riflessione
La povertà non è un valore spirituale. Puoi vivere come un vagabondo ma non è detto che questo ti porti più felicità e libertà che ad un ricco uomo d'affari. La povertà è stata sempre osannata ed equiparata alla spiritualità, ma è una falsità. In una capanna o in un palazzo principesco la cosa fondamentale è la consapevolezza.
LINGUA: inglese (didascalie)
SOTTOTITOLI: italiano
La guerra lampo dei fratelli Marx (1933)
L’immaginario stato di Freedonia è in bancarotta. La ricca signora Teasdale accetta di finanziare il paese solo se il governo sarà affidato all’incompetente e insolente Rufus T. Firefly (Groucho Marx). Firefly assume la presidenza e dichiara guerra alla nazione confinante, Sylvania, per un futile pretesto. Nel frattempo, le spie Chicolini (Chico) e Pinky (Harpo) cercano di sabotare i suoi piani, dando vita a un caos politico e militare totale.
Mentre Chaplin temeva l’avvento del sonoro, i Fratelli Marx lo hanno impugnato come un’arma di distruzione di massa. La guerra lampo dei fratelli Marx (titolo originale: Duck Soup) è l’atto di terrorismo comico più puro della storia del cinema. È il loro “urlo liberatorio” contro la società, un assalto frontale e anarchico contro la logica, le convenzioni sociali, la diplomazia, le istituzioni e il buon senso.
Il genio dei Marx risiede nella loro capacità di smantellare il linguaggio. La comicità non è solo nelle situazioni, ma nell’abuso sistematico della parola: i giochi di parole implacabili e i non sequitur di Groucho, i malapropismi letterali e assurdi di Chico, e il mutismo surreale e caotico di Harpo, che risponde alla logica verbale con la pura azione fisica.
Il film è una satira antimilitarista così feroce e dissacrante che fu bandito nell’Italia fascista di Mussolini, un fatto di cui i fratelli andarono sempre orgogliosi. La celebre “scena dello specchio” è un momento di genio fisico che rivaleggia con il cinema muto, ma il cuore del film è verbale e caotico. Rifiutando qualsiasi pretesa di trama coerente o di sviluppo del personaggio, La guerra lampo è l’espressione massima del loro umorismo. È l’atto di nascita della commedia anarchica, e la sua influenza è palpabile in tutto, dai Looney Tunes ai Monty Python.
Accadde una notte (1934)
L’ereditiera viziata e testarda Ellie Andrews (Claudette Colbert) fugge dallo yacht del padre autoritario per ricongiungersi con un marito aviatore che la famiglia non approva. Sul bus notturno verso New York, incontra Peter Warne (Clark Gable), un cinico giornalista appena licenziato. Lui riconosce la ragazza e le offre un patto: la aiuterà nel suo viaggio in cambio dell’esclusiva sulla sua storia di fuga.
Accadde una notte (titolo originale: It Happened One Night) non è semplicemente un film, è un “landmark film”, un evento che ha cambiato la storia di Hollywood. È il progetto che ha trasformato la Columbia Pictures da uno studio di serie B a una potenza del settore. Fu il primo film a vincere i “Big Five” (i cinque Oscar principali: Miglior Film, Regia, Sceneggiatura, Attore, Attrice), un’impresa che solo altre due pellicole (e nessun’altra commedia) sono riuscite a eguagliare.
La sua importanza storica più grande è, tuttavia, aver inventato un genere: la screwball comedy. Il film di Frank Capra stabilisce tutti i tropi del genere che domineranno il decennio successivo: la “battaglia dei sessi”, il conflitto di classe tra l’ereditiera viziata e l’uomo del popolo cinico ma di sani principi, i dialoghi veloci e arguti, e un viaggio caotico che porta i protagonisti all’innamoramento.
Cruciale è il suo tempismo: uscito mesi prima dell’effettiva e rigida applicazione del Codice Hays, il film ha una carica erotica pre-Codice inconfondibile. La tensione sessuale tra i due protagonisti, costretti a condividere stanze di motel, è palpabile. La famosa gag delle “mura di Gerico” (la coperta appesa tra i loro letti) è un brillante dispositivo narrativo che serve a stuzzicare la censura e, così facendo, a rendere la tensione ancora più evidente. È il modello su cui si fonderà l’intera commedia romantica per i successivi novant’anni.
Tempi moderni (1936)
Il Vagabondo (Chaplin) è un operaio alienato in una fabbrica moderna, talmente assorbito dal ritmo della catena di montaggio da essere letteralmente inghiottito dagli ingranaggi. Dopo un esaurimento nervoso, viene arrestato più volte, spesso per errore. Si allea con una giovane orfana (Paulette Goddard) e insieme cercano di sopravvivere in un mondo industrializzato e disumano, schiacciati dalla Grande Depressione.
Tempi moderni è l’addio di Charlie Chaplin a un’era e al suo personaggio iconico. È un film ibrido, un atto di sfida artistica e politica. Realizzato quasi un decennio dopo l’avvento del sonoro, Chaplin si rifiuta ostinatamente di far parlare il suo Vagabondo, usando solo musica, effetti sonori e voci meccanizzate (come quella del direttore di fabbrica che abbaia ordini dagli schermi). È un film muto in un’era sonora, e questa scelta non è nostalgia: è il cuore della sua tesi.
Non è solo una satira sull’industrializzazione e l’alienazione dell’operaio; è la protesta di un artista contro la “macchina” di Hollywood che stava standardizzando l’arte. Chaplin, che fu ispirato anche da un colloquio con Mahatma Gandhi, vedeva nell’industrializzazione sfrenata una minaccia all’umanità, e nel dialogo sonoro una minaccia all’universalità della pantomima.
L’unica volta che il Vagabondo “parla” è nel finale, quando canta la celebre “canzone senza senso”: un grammelot inventato che suona come una lingua ma è privo di significato. È l’ultimo, geniale compromesso: usa la sua voce, ma rifiuta il logos, mantenendo la sua universalità. Con la scena finale, in cui lui e la Monella camminano mano nella mano verso l’orizzonte, Chaplin passa il testimone, chiudendo l’epoca d’oro del cinema muto con il suo capolavoro più politico e personale.
Susanna! (1938)
Il dottor David Huxley (Cary Grant) è un paleontologo serioso, impacciato e occhialuto, a un passo dal completare lo scheletro di un brontosauro e dal sposare la sua rigida assistente. La sua vita perfettamente ordinata viene sconvolta dall’incontro casuale con Susan Vance (Katharine Hepburn), un’ereditiera svitata, travolgente e caotica che lo trascina in una serie di disastri farseschi che includono un leopardo domestico di nome “Baby.
Se Accadde una notte ha inventato la screwball comedy, Susanna! (titolo originale: Bringing Up Baby) di Howard Hawks ne è l’apoteosi e, forse, la sua forma più pura, perfetta e folle. È considerata “la più svitata delle commedie svitate” e un prototipo definitivo del genere. Mentre le altre screwball mantenevano un barlume di logica narrativa, Susanna! si lancia nel caos più totale, funzionando a un ritmo frenetico che non dà tregua allo spettatore.
Il film è un manuale di tutte le convenzioni del genere, portate all’estremo: situazioni farsesche, dialoghi velocissimi, slapstick e la classica dinamica della “donna folle che dà la caccia all’uomo”. La Hepburn, etichettata all’epoca come “veleno per il botteghino”, qui è un ciclone inarrestabile di energia caotica, e Grant è perfetto nel ruolo dell’uomo rigido la cui mascolinità e razionalità vengono sistematicamente smantellate.
La scena in cui David, per spiegare la sparizione dei suoi vestiti, è costretto a indossare un négligé di piume e a saltellare esclamando “Sono diventato improvvisamente gay!” è una delle più audaci e sovversive dell’era del Codice Hays. Susanna! fu un disastro commerciale alla sua uscita perché forse troppo anarchico e veloce per il pubblico dell’epoca; oggi è giustamente celebrato come un capolavoro di comicità surreale e ritmo perfetto.
Come vinsi la guerra

Commedia, di Buster Keaton, Stati Uniti, 1926.
Quando il progettista dei treni della Western & Atlantic Railroad, Johnnie Gray, arriva a Marietta, in Georgia, visita la casa di Annabelle Lee, uno dei due amori della sua vita. L'altro è la locomotiva chiamata "Il generale". La guerra civile americana è scoppiata, e il fratello di Annabelle e il papà sono entusiasti di arruolarsi nell'esercito. Per compiacere Annabelle, Johnnie si affretta ad arruolarsi, ma viene rifiutato. Annabelle dice a Johnnie che non gli parlerà più fino a quando non lo vedrà in uniforme. Passa un anno e Annabelle viene a sapere che suo padre è stato ferito. Fa un viaggio a nord per vederlo, con la locomotiva "Il generale". I viaggiatori e il personale di servizio si allontanano per pranzare quando il treno si ferma e le spie dell'Unione sfruttano l'occasione per rubare il treno.
Il film di Buster Keaton è stato ispirato da Great Locomotive Chase, un racconto di una storia realmente accaduta durante la guerra civile americana. Al momento della sua prima uscita non è stata ben accolto dal pubblico e ampiamente stroncato dai critici cinematografici, con rendimenti scarsi al botteghino. A causa del suo enorme piano di budget di $ 750.000 e non riuscendo ad avere un guadagno, Keaton ha perso la sua autosufficienza come regista ed ha dovuto iniziare a lavorare alle dipendenza degli grandi Studios. Come vinsi la guerra è stato rivalutato nel tempo, ed è attualmente inserito tra i migliori film mai realizzati. Nel 1963, Keaton dichiarò: "Ero molto più felice di quel film di qualsiasi altro che avessi fatto prima". Come vinsi la guerra è uno delle commedie più iconiche mai realizzate, con la sua fotografia di toni grigi, il suo occhio per le linee audaci della locomotiva, la sua meravigliosa continuità di azione. Un'opera d'arte comica da non perdere.
LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano
Commedie degli anni 40
Gli anni ’40 sono il decennio in cui la commedia diventa necessaria. Mentre il mondo è sconvolto dalla guerra, il cinema risponde non solo con l’evasione, ma con l’arma affilata della satira politica e sociale. È l’epoca d’oro della “commedia sofisticata”, dove maestri come Lubitsch e Sturges usano l’ironia per smontare le ipocrisie del potere e della borghesia. Qui la risata si fa più adulta, mescolando il romanticismo con un cinismo intelligente che riflette la complessità dei tempi.
Scandalo a Filadelfia (1940)
Tracy Lord (Katharine Hepburn), una fredda e altera esponente dell’alta società di Filadelfia, sta per celebrare il suo secondo matrimonio con un arrampicatore sociale. Il suo ex marito, il fascinoso C.K. Dexter Haven (Cary Grant), si presenta alla vigilia delle nozze. Con lui ci sono anche due giornalisti di una rivista scandalistica, l’idealista Macaulay “Mike” Connor (James Stewart) e la fotografa Liz Imbrie, intenzionati a documentare l’evento.
Scandalo a Filadelfia (titolo originale: The Philadelphia Story) è il trionfo della commedia sofisticata e l’esempio perfetto del sottogenere della “commedia del ri-matrimonio. Se Susanna! era caos puro, questo film è un’opera di precisione chirurgica, basata su una sceneggiatura tagliente e un cast in stato di grazia che salvò la carriera di Katharine Hepburn, che aveva acquistato i diritti della pièce teatrale.
È meno una screwball e più una commedia di caratteri, dove la posta in gioco è la trasformazione emotiva di Tracy. Il film è un’esplorazione acuta dell’alta società, dell’amore e, soprattutto, della fallibilità umana. L’obiettivo narrativo è far scendere Tracy dal suo piedistallo di “dea di bronzo” e “regina di ghiaccio” per farla diventare una donna capace di perdonare e di accettare l’imperfezione, sia la propria che quella altrui.
La regia di George Cukor è magistrale nella sua “invisibilità”, lasciando che siano i dialoghi brillanti e la chimica esplosiva tra i tre giganti (Hepburn, Grant e Stewart, che vinse l’Oscar per questo ruolo) a dominare la scena. Il film analizza le classi sociali e la percezione pubblica (l’inno alla privacy contro i media scandalistici è incredibilmente moderno), ma il suo cuore pulsante è la tesi che una relazione matura non si basa sulla perfezione, ma sulla reciproca e affettuosa accettazione dei difetti.
I dimenticati (1941)
John L. Sullivan (Joel McCrea) è un regista di successo di commedie leggere e campioni d’incasso. Stanco di essere considerato frivolo, decide di voler girare un’opera epica e socialmente impegnata sulla sofferenza umana, intitolata “O Brother, Where Art Thou?. Per trovare l’ispirazione, si traveste da vagabondo per sperimentare la vera povertà. Accompagnato da uno staff medico e da un’aspirante attrice (Veronica Lake), scopre che la realtà è molto più dura di quanto immaginasse.
Preston Sturges è stato uno dei più grandi e influenti autori di commedie dell’epoca classica, e I dimenticati (titolo originale: Sullivan’s Travels) è il suo capolavoro metalinguistico. È un film sul cinema, un saggio sulla responsabilità sociale dell’arte e, in definitiva, la più potente e commovente difesa del genere comico mai realizzata.
Il film è un’opera ibrida e audace, che mescola satira hollywoodiana, slapstick, screwball e un durissimo dramma sociale. Sturges sovverte le aspettative portando il suo protagonista e il pubblico in un viaggio oscuro, fino a un campo di prigionia, dove Sullivan, picchiato e senza memoria, tocca il fondo della disperazione.
È qui che il film rivela la sua tesi. Sullivan, insieme agli altri prigionieri, assiste alla proiezione di un cartone animato di Topolino. In quel momento, vedendo i detenuti dimenticare per un attimo la loro miseria per ridere all’unisono, capisce il suo errore. Scopre che “ciò di cui i derelitti hanno più bisogno è la risata”. I dimenticati è una “predica contro le prediche” che usa il dramma per arrivare alla conclusione, rivoluzionaria e profondamente umanista, che far ridere la gente non è un’arte minore, ma un dovere morale.
Jour de fête (1949)
Jour de fête (Giorno di festa) è il primo lungometraggio diretto e interpretato da Jacques Tati, distribuito nel 1949. Il film, un capolavoro di commedia visiva, è ambientato in un tranquillo villaggio francese durante i festeggiamenti per la festa nazionale. Tati interpreta François, il goffo e distratto postino locale. La trama prende il via quando François, al cinema della fiera, assiste a un cinegiornale sulla sbalorditiva efficienza del servizio postale statunitense. Determinato a modernizzare il suo metodo di consegna, François tenta di applicare queste tecniche “all’americana” al suo umile giro in bicicletta, scatenando una serie di gag surreali e disastri caotici che mettono a soqquadro la routine del villaggio.
Il film è fondamentale per aver definito lo stile di Tati: una comicità quasi priva di dialoghi, basata su coreografie complesse, gag visive ingegnose e un’acuta osservazione del conflitto tra la tradizione e l’invasione della tecnologia moderna. Jour de fête ha una storia produttiva unica: Tati lo girò contemporaneamente sia in bianco e nero che con un sistema a colori sperimentale (Thomsoncolor). Poiché la tecnologia a colori si rivelò impossibile da stampare correttamente nel 1949, fu la versione in bianco e nero (con l’aggiunta di alcuni tocchi di colore dipinti a mano in una riedizione del 1964) a essere distribuita. Solo nel 1995 è stato possibile restaurare i negativi a colori originali, permettendo al pubblico di vedere la versione che Tati aveva inizialmente immaginato.
Festival in Cannes

Commedia sentimentale, di Henry Jaglom, Stati Uniti, 2001.
Cannes, 1999 . Alice, un'attrice, vuole dirigere un film indipendente, ed è in cerca di finanziatori. Conosce Kaz, un affarista chiacchierone, che le promette 3 milioni di dollari se userà Millie, una star francese che ha oltrepassato la sua giovinezza e non trova più ruoli interessanti. Alice racconta la storia del film a Millie e l'attrice si innamora del progetto. Ma Rick, un importante produttore che lavora per un grande Studio di Hollywood, ha bisogno di Millie per una piccola parte in un film che deve girare in autunno, altrimenti perderà la sua star, Tom Hanks. Kaz è un vero produttore o è un ciarlatano? Rick in realtà non è più ricco come in passato e deve assolutamente convincere Alice a rinunciare a Millie per concludere l'affare del grosso progetto con Tom Hanks. Millie è indecisa su cosa scegliere: un film indipendente che ama ma senza grossi guadagni o una piccola parte nel film hollywoodiano pagata molto bene? Intanto una giovane attrice di nome Blue diventa la star del festival e Kaz scopre un nuovo amore. La ruota della vita, e dello show business, gira, tra sentimenti, bilanci esistenziali e affari cinematografici. Un film girato con grande libertà stilistica, come un documentario, durante l'edizione del festival del 1999, che si concentra sulle performance degli attori con un metodo di improvvisazione spontaneo e fluido, ispirato dal cinema di Cassavetes. Una commedia sentimentale leggera e commuovente, dove i conflitti e le fragilità delle star dello show business emergono progressivamente, portando a galla i temi importanti della vita.
Spunto di riflessione
Lavorare come ingranaggio di un sistema o per la propria visione? Dipendenza o indipendenza? Entrambe non sono completamente reali: la realtà che accade ovunque, in qualsiasi settore, in qualsiasi evento naturale, è l'interdipendenza. Noi tutti siamo assolutamente interdipendenti, non solo tra uomini, non solo tra nazioni, ma tra alberi e esseri umani, tra animali e alberi, tra uccelli e sole, tra luna e oceani, tutto è intrecciato con ogni altra cosa. L'umanità del passato non ha compreso questa legge fondamentale, ed ha creato grossi problemi.
LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano
Tarda primavera (1949)
Tarda primavera (titolo originale: 晩春, Banshun), film del 1949, è uno dei capolavori più influenti del regista giapponese Yasujirō Ozu. Segna l’inizio della sua collaborazione più celebre con l’attrice Setsuko Hara e l’attore feticcio Chishū Ryū. La trama è incentrata su Noriko (Hara), una donna di 27 anni che vive felicemente prendendosi cura del padre vedovo, il professor Shukichi (Ryū), e non sente alcun bisogno di sposarsi. Shukichi, temendo che la figlia stia sacrificando la sua giovinezza per lui e che rimanga “zitella”, orchestra un piano insieme alla zia di Noriko (Haruko Sugimura). I due convincono la riluttante Noriko che il padre intende risposarsi, facendola così sentire non più indispensabile e spingendola ad accettare un matrimonio combinato.
Il film esplora con profonda sensibilità i temi del sacrificio personale, dei doveri filiali, delle pressioni della tradizione e della malinconica e inevitabile dissoluzione dei legami familiari di fronte al cambiamento. Il finale, straziante e poetico, mostra Noriko che accetta il matrimonio e il padre che rimane solo, dopo aver mentito per il bene della figlia. L’opera è basata sulla novella Padre e figlia (Chichi to Musume) di Kazuo Hirotsu. Tarda primavera trionfò in Giappone, vincendo i prestigiosi premi Kinema Junpo e Mainichi Film Contest come Miglior Film.
Commedie degli anni 50
Gli anni ’50 sono il decennio del colore esplosivo e dell’apparente ottimismo. Ma sotto la superficie patinata del Technicolor, maestri come Billy Wilder iniziano a corrodere il sogno americano con un umorismo molto più audace, sfacciato e sessualmente allusivo. Mentre Hollywood crea icone immortali come Marilyn Monroe, in Europa la commedia prende strade rivoluzionarie: Jacques Tati ridisegna la geometria della gag visiva e in Italia si gettano le basi per quella satira sociale che diventerà leggenda.
Le vacanze di Monsieur Hulot (1953 )
Les vacances de Monsieur Hulot (Le vacanze di Monsieur Hulot) è una commedia francese del 1953 diretta, co-sceneggiata e interpretata da Jacques Tati. Il film ha introdotto al pubblico l’iconico alter ego di Tati, Monsieur Hulot, un fumatore di pipa. Arrivato in una modesta località balneare per le sue vacanze annuali, l’educato ma irrimediabilmente goffo Hulot cerca di godersi il suo tempo. Il film è privo di una trama tradizionale e presenta invece una serie di magistrali vignette comiche. Le azioni ben intenzionate di Hulot—dal giocare a tennis al cercare di cenare tranquillamente—interrompono involontariamente le rigide routine e le pretese sociali degli altri ospiti borghesi, esponendo l’assurdità del loro comportamento.
Pietra miliare della commedia visiva e sonora, Le vacanze di Monsieur Hulot consolida il posto di Tati accanto ai maestri del muto come Chaplin e Keaton. Tati costruisce intricate gag visive che si sviluppano in inquadrature ampie meticolosamente composte. I dialoghi sono notoriamente ridotti al minimo, ridotti a un mormorio di sottofondo incomprensibile, mentre la colonna sonora è costruita su effetti sonori esagerati (come la porta della sala da pranzo che cigola perennemente) che diventano essi stessi delle battute. Una delicata satira in bianco e nero sulle assurdità del tempo libero moderno e del conformismo, il film—caratterizzato da una colonna sonora iconica di Alain Romans—è celebrato come una delle più grandi e influenti commedie mai realizzate.
Fiori d’equinozio (1958)
Fiori d’equinozio (彼岸花, Higanbana) è un film drammatico giapponese del 1958, noto per essere il primo lungometraggio a colori diretto da Yasujirō Ozu. Il film, basato su un romanzo di Ton Satomi (e non di Ozu), è interpretato da Shin Saburi nel ruolo del protagonista Wataru Hirayama, un uomo d’affari di Tokyo. La trama è incentrata sul divario generazionale e sul conflitto tra tradizione e modernità: Hirayama, che ha sempre sostenuto la libertà di scelta per i figli dei suoi amici, si trova in crisi quando la sua stessa figlia, Setsuko (Ineko Arima), rifiuta un matrimonio combinato e annuncia di voler sposare un uomo che ha scelto da sola (Keiji Sada). Nel cast figurano anche Kinuyo Tanaka (la moglie) e Setsuko Hara (un’amica di famiglia).
Il film esplora con l’usuale delicatezza di Ozu la difficoltà di un padre conservatore nell’accettare i cambiamenti sociali e l’autonomia della nuova generazione. Il film non fu presentato in concorso né premiato al Festival di Cannes, ma rimane un’opera fondamentale per l’uso magistrale del colore (Agfacolor) e per la sua profonda analisi dei rapporti familiari nel Giappone del dopoguerra.
Giorno 122

Fantascienza, dramma, di Fulvio Ottaviano, Stefano Soli, Italia, 2016.
Un gruppo di sopravvissuti a un incidente ferroviario si ritrova isolato sull’Appennino tosco-emiliano. Dopo aver atteso invano i soccorsi, i superstiti si mettono in cammino nella foresta innevata, alla ricerca di viveri e di un riparo. Ma cosa sono quelle strane strisce arancio che solcano il cielo? Pian piano uomini e donne si rendono conto che qualcosa di grave è accaduto, qualcosa di definitivo. Concepita nei convulsi giorni successivi alla catastrofe che ha precipitato il pianeta nel caos e nell’anarchia, MIA vive un’adolescenza solitaria e inquieta sotto il ferreo controllo della Madre. La mancanza della figura paterna la spingerà verso una difficile ricerca, le pagine di un diario le dischiuderanno le porte di un passato oscuro e misterioso. “Giorno 122” è un occhio puntato sull’animo umano: egoismo, brutalità e interessi personali portano il pianeta al collasso e l’uomo ritorna la belva delle origini.
LINGUA: italiano
Giants and Toys (1958)
Giants and Toys (巨人と玩具, Kyojin to gangu) è una sfrontata e frenetica satira giapponese del 1958 diretta da Yasuzō Masumura. Basato su un romanzo di Takeshi Kaikō, il film è interpretato da Hiroshi Kawaguchi, Hitomi Nozoe e Yûnosuke Itō. La trama è ambientata nel mondo spietato della pubblicità del dopoguerra, dove tre compagnie di caramelle (World, Giant e Apollo) sono bloccate in una guerra di marketing feroce e assurda. L’ambizioso responsabile della pubblicità di World Caramel, Goda (Itō), e il suo giovane protetto, Nishi (Kawaguchi), scoprono Kyoko (Nozoe), una ragazza di estrazione operaia dai denti storti, e decidono di trasformarla nella mascotte per la loro nuova campagna.
Vestita con una tuta spaziale e armata di pistola a raggi, Kyoko viene catapultata verso una fama insensata come “idol”, mentre la competizione tra le aziende assume toni quasi militari. Masumura utilizza questa premessa per lanciare un attacco caustico e ad alta energia contro il nascente consumismo di massa, la manipolazione dei media e la disumanizzazione del mondo aziendale giapponese. Con il suo uso audace del colore e del widescreen, Giants and Toys è considerato un film fondamentale della nuova ondata giapponese, elogiato per la sua pungente critica sociale e il suo umorismo cinico.
I soliti ignoti (1958)
Un gruppo sgangherato di ladruncoli della periferia romana, guidati dal pugile fallito Peppe “er pantera” (Vittorio Gassman), progetta un colpo apparentemente facile: svaligiare il Monte di Pietà. Aiutati da un ladro in pensione, Dante (Totò), che spiega loro la “scienza” del furto in una lezione indimenticabile, la banda di incompetenti tenta di mettere in atto un piano che si rivela un completo e comico disastro.
I soliti ignoti di Mario Monicelli è l’opera seminale che segna la nascita ufficiale della Commedia all’italiana. È un film di transizione fondamentale che prende l’estetica e le ambientazioni del Neorealismo (le periferie povere, la miseria, la lotta per la sopravvivenza) e le rilegge attraverso la lente della farsa, dell’ironia e dell’amarezza.
Il film è una parodia esplicita e geniale del cinema noir francese, in particolare di Rififi, un film cupo su un colpo perfetto. Ma dove il noir era fatalista e tragico, Monicelli trova l’umanità, l’assurdità e il fallimento. Il genio del film sta nel suo cast corale (Gassman, Mastroianni, Totò, Claudia Cardinale) e nella sua capacità di rendere “simpatici” questi “piccoli imbroglioni. Non sono criminali professionisti, ma poveri diavoli che tentano il colpo per sbarcare il lunario.
A qualcuno piace caldo (1959)
Chicago, 1929. Due musicisti squattrinati, il sassofonista Joe (Tony Curtis) e il contrabbassista Jerry (Jack Lemmon), assistono per caso al massacro di San Valentino. Per sfuggire ai gangster che li vogliono morti, si travestono da donne (Josephine e Daphne) e si uniscono a un’orchestra jazz interamente femminile in viaggio per la Florida. Lì, entrambi si innamorano della cantante e suonatrice di ukulele Zucchero “Candito” (Marilyn Monroe).
Considerato da molti critici e sondaggi come la più grande commedia di tutti i tempi, A qualcuno piace caldo (titolo originale: Some Like It Hot) di Billy Wilder è una macchina comica perfetta. È il punto di incontro ideale tra la farsa screwball degli anni ’30 e il cinismo sofisticato di Wilder. È una lezione magistrale di scrittura, ritmo e gestione dei toni.
Il film affronta temi incredibilmente audaci e sovversivi per il 1959, aggirando il Codice Hays con una maestria diabolica. È una commedia sul “travestimento” che diventa una “problematizzazione dell’identità sessuale”. Wilder e lo sceneggiatore I.A.L. Diamond esplorano la fluidità di genere, l’omosessualità (il milionario Osgood che corteggia Daphne/Jerry) e la natura performativa dell’identità maschile e femminile.
Commedie degli anni 60
Gli anni ’60 segnano la fine dell’innocenza. È il decennio della rivoluzione culturale e la commedia diventa lo specchio di questa rottura, trasformandosi in uno strumento di contestazione. Dallo humour nero e apocalittico di Kubrick che ridicolizza la Guerra Fredda, all’esplosione definitiva della Commedia all’Italiana che disseziona con ferocia i vizi del boom economico. È un’era di sperimentazione totale, dove l’ironia diventa un’arma contro l’autorità e i vecchi valori borghesi vengono demoliti una risata alla volta.
Il Monello

Di Charlie Chaplin, Commedia, Stati Uniti, 1921.
Charlie Chaplin scrive, produce in maniera indipendente, dirige e interpreta il suo primo lungometraggio, capolavoro della storia del cinema che dopo un secolo conserva perfettamente intatto il suo fascino. Una donna povera abbandona il figlio in un'auto lussuosa sperando che il ricco proprietario si prenda cura del bambino. Ma a trovarlo sarà il vagabondo Charlot. Rimasterizzato in alta definizione.
LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano
Zazie nel metrò (1960)
Zazie nel metrò (Zazie dans le métro) è una commedia anarchica e surreale del 1960 diretta da Louis Malle. Il film è un adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Raymond Queneau. La trama segue Zazie (interpretata dalla giovane Catherine Demongeot), una ragazzina di dieci anni irrequieta e ribelle che arriva a Parigi dalla provincia per stare con lo zio Gabriel (Philippe Noiret), un uomo eccentrico che lavora come ballerino travestito. Il più grande desiderio di Zazie è viaggiare sulla metropolitana parigina, ma i suoi piani vengono immediatamente frustrati da un grande sciopero dei trasporti.
Costretta a esplorare la città in superficie, Zazie, insieme allo zio e a un cast di personaggi bizzarri, si ritrova coinvolta in una serie di avventure caotiche e rocambolesche. Girato interamente a Parigi, il film è celebre per il suo umorismo slapstick, la sua satira pungente, l’uso innovativo del montaggio e la sua vivace rappresentazione della capitale francese. Zazie nel metrò esplora i temi della ribellione e della scoperta della città attraverso gli occhi di una bambina. Il cast vanta anche la partecipazione di Jean-Pierre Cassel e Jeanne Moreau in camei.
Tardo autunno (1960)
Tardo autunno (秋日和, Akibiyori) è un film drammatico giapponese del 1960, diretto da Yasujirō Ozu. Realizzato con un uso magistrale del colore (Agfacolor), il film è basato su un romanzo di Ton Satomi e spesso considerato un “remake” tematico di Tarda primavera dello stesso Ozu. La trama è incentrata su Akiko (interpretata da Setsuko Hara), la vedova di un defunto amico, e sua figlia Ayako (Yoko Tsukasa). In occasione dell’anniversario della morte dell’amico, tre uomini di mezza età (interpretati da Shin Saburi, Chishu Ryu e Nobuo Nakamura) decidono che è tempo per Ayako di sposarsi, ma i loro tentativi di combinare un matrimonio si complicano, in parte a causa del loro affetto irrisolto per la madre, Akiko.
Il film esplora con delicatezza i temi del matrimonio, del dovere filiale e della solitudine nel Giappone del dopoguerra. Il conflitto principale sorge dalle incomprensioni: Ayako è felice di vivere con la madre e resiste ai tentativi di matrimonio, temendo che sua madre resti sola. Per liberare la figlia e permetterle di sposarsi (con l’uomo che ha scelto, interpretato da Keiji Sada), Akiko finge di considerare un proprio nuovo matrimonio. Il finale, in linea con la poetica di Ozu, è agrodolce: Ayako si sposa, lasciando Akiko ad affrontare la sua solitudine. Il film è interpretato anche da Mariko Okada e Miyuki Kuwano.
L’appartamento (1960)
C.C. “Bud” Baxter (Jack Lemmon) è un impiegato mediocre in una grande compagnia di assicurazioni di New York. Per fare carriera, presta il suo appartamento ai suoi superiori per i loro incontri extraconiugali. La situazione si complica quando scopre che la ragazza di cui è segretamente innamorato, l’ascensorista Fran Kubelik (Shirley MacLaine), è l’amante del suo capo, il cinico signor Sheldrake.
Se A qualcuno piace caldo era il culmine della farsa, L’appartamento è il capolavoro umanista di Billy Wilder e l’atto di nascita della dramedy moderna. È una commedia romantica che osa parlare di solitudine, corruzione aziendale, alienazione e tentato suicidio. Wilder usa la struttura della commedia per sferrare una critica feroce e agrodolce alla disumanità del mondo aziendale, dove tutto, compresi gli esseri umani, è una merce.
Il film fu considerato “licenzioso” e controverso alla sua uscita, ma oggi è celebrato per la sua profonda moralità. La trasformazione di Bud, che alla fine sceglie di diventare un “essere umano” piuttosto che un “dirigente”, è una delle più commoventi della storia del cinema.
Il dottor Stranamore (1964)
Un generale americano paranoico, Jack D. Ripper, convinto che i sovietici stiano contaminando i “preziosi fluidi corporei” americani, ordina un attacco nucleare non autorizzato sull’Unione Sovietica. Nella “War Room” del Pentagono, il Presidente Merkin Muffley (Peter Sellers) e i suoi generali, tra cui il bellicoso “Buck” Turgidson, cercano disperatamente di fermare l’aereo e l’inevitabile risposta russa: il terrificante Ordigno “Fine del Mondo.
Stanley Kubrick prende la paura più grande della sua generazione – l’annientamento nucleare – e la trasforma nella farsa più nera, grottesca e terrificante mai concepita. Il dottor Stranamore (titolo completo: Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba) è il vertice assoluto della black comedy e della satira politica. È un film che osa ridere dell’apocalisse.
Kubrick adotta l’orizzonte della commedia grottesca per evidenziare la follia dei suoi personaggi. La Guerra Fredda non è rappresentata come uno scontro ideologico, ma come il risultato del “machismo fallocentrico” e dell’inettitudine burocratica. La logica della “Distruzione Mutua Assicurata” è portata alle sue estreme e assurde conseguenze.
Inseguendo le farfalle

Commedia, romantico, di Rod Bingaman, Stati Uniti, 2009.
Nina fugge di casa qualche ora prima del suo matrimonio. Per non rimandare la cerimonia nuziale sua madre finge di essere Nina e sposa il suo fidanzato. Subito dopo iniziano le loro ricerche per trovare Nina e riportarla indietro: lo sposo di Nina è convinto che lei non lo ama più. Un ragazzino nerd di quindici anni incontra Nina per strada e tenta di fare colpo su di lei con la Corvette di suo padre che ha preso di nascosto, senza avere la patente. Nel frattempo una giovane donna ribelle ed il suo fidanzato evaso dal carcere incontrano il ragazzino e gli rubano la Corvette, seminando il panico con una serie di furti mentre si dirigono verso il Canada, in cerca di una vita migliore e di soldi per concretizzare il loro sogno d'amore. Intanto Nina incontra su un autobus un uomo in fuga da un matrimonio fallito: un famoso speaker radiofonico locale che è stato abbandonato dalla moglie. Ma l'autobus sarà il bersaglio di una rapina della coppia di fidanzati "Natural Born Killers".
Inseguendo le farfalle è una commedia romantica piena di azione popolata da personaggi destinati ad incrociare le loro strade. L'amore dà loro energia o li spaventa, tutti sono in fuga in cerca di una vita migliore o perché non sanno affrontare le responsabilità. Tutti si rifiutano di restare imprigionati nelle convenzioni sociali anche quando sono loro stessi che le hanno cercate, anche quando la convenzione sociale è quella di un matrimonio con un uomo che ami ancora. Un on the road disseminato di situazioni grottesche e di dialoghi esilaranti, spesso in slang americano, realizzato in maniera indipendente, con un cast molto interessante.
LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano
Per favore, non toccate le vecchiette (1967)
Per favore, non toccate le vecchiette (titolo originale: The Producers) è una commedia satirica americana del 1967, che segna l’esordio alla regia di Mel Brooks. Il film è interpretato da Zero Mostel, Gene Wilder, Kenneth Mars e Dick Shawn. La trama segue Max Bialystock (Mostel), un produttore di Broadway un tempo famoso ma ora sull’orlo della bancarotta, e Leo Bloom (Wilder), un timido e nevrotico contabile. Bloom scopre casualmente che un produttore disonesto potrebbe guadagnare più soldi con un “flop” che con un successo, vendendo in eccesso le quote di uno spettacolo destinato a fallire e tenendosi il resto. I due decidono di mettere in scena il disastro più grande della storia di Broadway, scegliendo un musical intitolato “Primavera per Hitler”, scritto da un fanatico nazista (Mars).
Considerato un classico della satira cinematografica, il film esplora i temi dell’avidità, della corruzione e dei tabù dello spettacolo. La sua comicità oltraggiosa e la satira tagliente sul nazismo e sul mondo di Broadway furono rivoluzionarie per l’epoca. Per favore, non toccate le vecchiette fu un successo di critica e consacrò Mel Brooks come autore comico. Il film vinse l’Oscar per la Migliore Sceneggiatura Originale (Mel Brooks) e ricevette una candidatura per il Miglior Attore Non Protagonista (Gene Wilder). Vinse inoltre il premio Writers Guild of America per la migliore sceneggiatura comica americana.
Playtime (1967)
Monsieur Hulot, l’iconico personaggio di Jacques Tati, si perde in una Parigi futuristica e disumanizzante, fatta di grattacieli di vetro, uffici labirintici e gadget tecnologici. Il suo percorso si incrocia con quello di un gruppo di turisti americani, generando una serie di gag visive meticolosamente coreografate che culminano nel caos anarchico e liberatorio di un ristorante di lusso la sera dell’inaugurazione.
Incluso in questa lista come un’influenza fondamentale per autori indipendenti come Wes Anderson, Playtime è una rivoluzione nella commedia visiva. Tati abbandona la narrazione tradizionale e il protagonista unico per creare un’epica sinfonia urbana. Il vero protagonista è “Tativille”, la città modernista e sterile che il regista fece costruire appositamente per il film. L’umorismo non è affidato a battute o a un singolo personaggio, ma a una complessa coreografia di piccoli incidenti e malintesi che avvengono simultaneamente nell’enorme formato 70mm. Playtime è una critica satirica e visionaria dell’architettura moderna e dell’alienazione che essa produce, un’opera che richiede uno spettatore attivo, pronto a perdersi nei suoi dettagli infiniti.
Prendi i soldi e scappa (1969)
E’ un film del 1969 scritto, diretto e interpretato da Woody Allen. È una commedia surreale che segue la vita di Virgil Starkwell, un criminale goffo e maldestro che cerca inutilmente di compiere rapine. Il film utilizza un narratore onnisciente per prendere in giro la vita di Virgil e i suoi fallimenti, ed è noto per l’umorismo visivo e il carattere sperimentale della narrazione. La trama segue la vita di Virgil Starkwell, interpretato da Woody Allen, dall’infanzia alla maturità, concentrandosi sulla sua carriera criminale. Virgil è un ladruncolo goffo e maldestro che cerca di compiere rapine in banca e in altri luoghi, ma viene sempre catturato dalle autorità.
Nonostante sia un criminale, Virgil è rappresentato come un personaggio comico e sfortunato, le cui azioni portano sempre a conseguenze imprevedibili e divertenti. Durante il film, il personaggio si sposa due volte, entra e esce di prigione, e si trova coinvolto in situazioni sempre più assurde.La narrazione è sostenuta da un narratore onnisciente che commenta e ironizza sulla vita di Virgil, e il film presenta anche alcuni elementi sperimentali, come l’uso di schermate a quadri bianchi e neri per rappresentare le azioni del personaggio. Prendi i soldi e scappa” è considerato uno dei primi film di successo di Allen e ha avuto un impatto duraturo sulla cultura popolare.
Commedie degli anni 70
Questo è il decennio della libertà assoluta e dell’intellettualismo nevrotico. Mentre Woody Allen trasforma la psicoanalisi in arte comica ridefinendo la commedia romantica, i Monty Python scardinano la logica stessa dell’umorismo con il loro surrealismo anarchico. È un’era in cui non esistono più tabù: la parodia dissacrante di Mel Brooks e il grottesco sociale diventano strumenti potenti per esorcizzare le ansie di una società in crisi. La risata degli anni ’70 è cerebrale, imprevedibile e magnificamente scorretta.
Jupiter Landing

Commedia, di Stacy Dymalski, Stati Uniti, 2005.
Sei coinquilini devono superare i loro problemi personali e unirsi per evitare lo sfratto dalla loro amata casa vittoriana chiamata "Jupiter Landing". Il gruppo eclettico, guidato dalla reporter Nicki, elabora una strategia per vendicarsi del loro fastidioso padrone di casa, ma la lotta per salvare la loro casa li getterà in una spirale di confronto emotivo e morale per cui non sono preparati. Mentre ogni inquilino ha un segreto che non può permettersi di rivelare, la casa stessa nasconde un mistero che li lega in un modo che nessuno di loro si sarebbe mai aspettato.
Una commedia indie americana pieno di personaggi stravaganti, ognuno con i propri segreti oscuri, che vengono svelati lentamente durante il film. Ben scritto e divertente, con ottime interpretazioni: Tod Huntington è esilarante nei panni di Catfish, il ragazzo anarchico e dissoluto, e Naomi West e Monique Lanier sono entrambe affascinanti nei loro ruoli della mondana Nicki e della fragile Amber.
LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano
Che carriera che si fa con l’aiuto di mammà!… (1970)
Che carriera che si fa con l’aiuto di mammà!… (titolo originale: Le Distrait) è una commedia francese del 1970, che segna l’esordio alla regia dell’attore comico Pierre Richard. Il film è interpretato dallo stesso Richard, Bernard Blier, Marie-Christine Barrault e Maria Pacôme. La trama è incentrata su Pierre Malaquet (Richard), un giovane uomo irrimediabilmente distratto e sognatore. Sua madre autoritaria, Glycia (Pacôme), gli procura un lavoro in una grande agenzia pubblicitaria di Parigi, diretta dal signor Guiton (Blier). Assunto nel reparto creativo, Pierre scatena il caos con la sua goffaggine e le sue idee pubblicitarie surreali e letterali (come la famosa campagna per il dentifricio “Klan”), mandando su tutte le furie i dirigenti e affascinando la collega Lisa Gastier (Barrault).
Girato a colori, il film è una satira pungente del mondo della pubblicità e del consumismo degli anni ’70. Le Distrait è fondamentale per aver stabilito l’iconico personaggio cinematografico di Pierre Richard: l’individuo ingenuo e poetico la cui distrazione funge da critica involontaria all’assurdità della vita moderna. Prima di diventare una star internazionale in coppia con Gérard Depardieu, Richard ha definito qui il suo umorismo unico, un misto di slapstick e tenerezza che ha consacrato il film come un classico della commedia francese.
Il dittatore dello stato libero di Bananas (1971)
Bananas è una commedia satirica e surreale del 1971, scritta, diretta e interpretata da Woody Allen. Il film segue le avventure di Fielding Mellish (Allen), un nevrotico e impacciato collaudatore di prodotti di New York. Infatuato dell’attivista politica Nancy (Louise Lasser), Mellish cerca goffamente di impressionarla. Dopo essere stato lasciato da lei perché non abbastanza “leader”, in preda a una crisi esistenziale, si reca in vacanza nella fittizia repubblica latinoamericana di San Marcos. Lì, per una serie di eventi caotici, viene coinvolto in una rivoluzione e, suo malgrado, si ritrova a diventarne il leader.
Il film, una delle prime opere di Allen, è una sequenza di gag paradossali che satirizzano la politica internazionale, le dittature da “repubblica delle banane” e i movimenti rivoluzionari. La trama principale è un pretesto per una serie di scene comiche assurde, tra cui un processo farsesco in cui Mellish viene accusato di tradimento e un celebre commento sportivo in stile “Wide World of Sports” che segue l’assassinio del dittatore e persino la prima notte di nozze di Mellish. Lo stile eccentrico e la critica sociale pungente sono caratteristici della fase più slapstick della filmografia di Allen.
Harold and Maude (1971)
Harold e Maude (1971) è un’influente commedia nera americana diretta da Hal Ashby, basata su una sceneggiatura che Colin Higgins scrisse come tesi di master. Il film è interpretato da Bud Cort nel ruolo di Harold Chasen, un giovane benestante ossessionato dalla morte, che esprime la sua alienazione inscenando elaborati finti suicidi per scioccare la madre indifferente (Vivian Pickles) e frequentando funerali di sconosciuti. Proprio a un funerale incontra Maude (Ruth Gordon), un’eccentrica 79enne che celebra la vita con anarchica gioia di vivere. Tra i due nasce un legame profondo e romantico che sfida ogni convenzione sociale.
Sebbene accolto tiepidamente al botteghino alla sua uscita, Harold e Maude è diventato uno dei “cult movie” più celebri e amati di tutti i tempi, girato nell’area della Baia di San Francisco. La sua miscela unica di umorismo macabro, critica alla conformità e celebrazione dell’individualità ha influenzato generazioni di registi. Le interpretazioni di Cort e Gordon hanno ricevuto nomination ai Golden Globe. Il film è indissolubilmente legato alla sua colonna sonora, composta ed eseguita da Cat Stevens, che include brani iconici come “If You Want to Sing Out, Sing Out” e “Don’t Be Shy”.
Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1974)
Per far passare una nuova ferrovia attraverso la cittadina di Rock Ridge, il corrotto procuratore Hedley Lamarr decide di svuotarla. Come mossa finale, nomina un uomo di colore, Bart (Cleavon Little), come nuovo sceriffo, sperando che il razzismo dei cittadini porti al caos. Bart, tuttavia, si rivela più astuto del previsto e, con l’aiuto di un pistolero alcolizzato, “Waco Kid” (Gene Wilder), organizza la resistenza.
Mezzogiorno e mezzo di fuoco (titolo originale: Blazing Saddles) è la parodia che diventa satira sociale. Mel Brooks, uno dei maestri della farsa americana, non si limita a prendere in giro gli stereotipi del genere western; li usa come un cavallo di Troia per attaccare frontalmente il razzismo, la corruzione e l’ipocrisia della società americana.
Il film è un bombardamento di gag, anacronismi (un indiano che parla yiddish, un cameo di Duke Ellington) e nonsense, ma sotto la superficie demenziale (come la famosa scena dei fagioli) c’è una critica affilata. Uscito nel 1974, il film ha spinto i confini di ciò che era lecito mostrare in una commedia mainstream, usando l’insulto razziale in modo così plateale e ripetuto da renderlo assurdo e, infine, impotente.
La signora del venerdì

Commedia, di Howard Hawks, Stati Uniti, 1940.
Walter, cerca di scombinare i piani di cambiare vita ed abbandonare il giornalismo della sua ex moglie, Hildy, per occuparsi di un ultimo scoop: la futura esecuzione di Earl Williams, un contabile ritenuto colpevole di aver ucciso un poliziotto afroamericano. Nonostante Hildy abbia affermato che lei e Bruce, il suo futuro marito, prenderanno sicuramente un treno serale per Albany per sposarsi l'indomani, Walter tenta di convincerla che è l'unica in grado di scrivere una storia per salvare Williams, ingiustamente condannato. Nel frattempo, Hildy corrompe il direttore della prigione per farle incontrare Williams in cella. Walter fa tutto il possibile per impedire a Hildy di andarsene, facendo accusare Bruce per un furto di un orologio. Esasperata, Hildy annuncia il suo ritiro dalla redazione; tuttavia il richiamo di una grande storia da raccontare la trattiene. Walter fa incolpare Bruce ancora una volta, e viene di nuovo mandato in prigione. Hildy capisce che dietro gli imbrogli c'è Walter. Williams arriva nella redazione del giornale puntando un'arma contro Hildy.
La sceneggiatura è stata scritta da Charles Lederer e Ben Hecht, non accreditato. Il principale cambiamento in questa versione, introdotto da Hawks, è che la protagonista è una donna. Le riprese iniziarono nel settembre 1939 e si conclusero a novembre, sette giorni in ritardo. La produzione è finita in ritardo perché il metodo di improvvisazione della recitazione e le numerose scene corali hanno richiesto molte riprese. Hawks ha incoraggiato i suoi attori a essere aggressivi e spontanei. Il film è stato un grande successo per i repentini colpi di scena ed i dialoghi rapidi. Hawks era determinato a battere il record per i dialoghi più veloci. Ha usato un mixer del suono sul set per aumentare la velocità. La signora del venerdì è il numero 19 nella classifica delle migliori commedie di tutti i tempi dell'American Film Institute ed è stato selezionato nel 1993 per la conservazione nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti come "culturalmente, storicamente o esteticamente significativo".
LINGUA: italiano
Monty Python e il Sacro Graal (1975)
Re Artù e i suoi Cavalieri della Tavola Rotonda partono in una surreale e squattrinata ricerca del Santo Graal. Il loro viaggio li porta ad affrontare ostacoli assurdi: un cavaliere nero invincibile che continua a combattere anche dopo essere stato smembrato, rudi cavalieri francesi che li insultano, i temibili Cavalieri che dicono “Ni!”, un coniglio assassino e un castello pieno di vergini tentatrici.
Se la commedia americana di Mel Brooks si concentrava sulla parodia dei generi, il gruppo comico britannico dei Monty Python si è concentrato sulla parodia della logica. Monty Python e il Sacro Graal è il manifesto del loro umorismo assurdo, anti-narrativo e filosofico. È una decostruzione non solo del mito arturiano, ma del concetto stesso di “film epico” e di “trama”.
Realizzato con un budget irrisorio, il film trasforma ogni limite produttivo in un’intuizione geniale. Non ci sono soldi per i cavalli? I cavalieri mimano la cavalcata mentre i servitori battono noci di cocco. Questa gag non è solo divertente; è una dichiarazione metacinematografica che espone l’artificialità della messa in scena.
Io e Annie (1977)
Il comico nevrotico di New York, Alvy Singer (Woody Allen), ripercorre la sua relazione fallita con l’eccentrica e affascinante Annie Hall (Diane Keaton). Analizzando la loro storia, dall’incontro all’innamoramento fino alla dolorosa rottura, Alvy si rivolge direttamente al pubblico, usa flashback non lineari, sequenze animate e incontri surreali per esplorare l’amore, l’identità e l’irrazionalità dei rapporti umani.
Io e Annie (titolo originale: Annie Hall) è il film che ha cambiato la commedia romantica per sempre, e uno dei rari casi in cui una commedia pura ha vinto l’Oscar per il Miglior Film, battendo Guerre Stellari. Woody Allen ha preso un genere stanco e prevedibile e lo ha fatto a pezzi, ricostruendolo in modo frammentato, nevrotico, intellettuale e dolorosamente onesto.
È un’opera profondamente metacinematografica. Alvy Singer rompe la quarta parete per lamentarsi con gli spettatori, estrae Marshall McLuhan da dietro un cartellone per vincere una discussione in fila al cinema, e usa i sottotitoli per mostrare i pensieri contrastanti dei personaggi mentre parlano d’altro. Allen non sta raccontando una storia d’amore; sta analizzando una storia d’amore, e nel farlo espone l’artificialità del genere stesso.
Casotto (1977)
Casotto (1977) è un’acclamata commedia corale italiana diretta da Sergio Citti e scritta insieme a Vincenzo Cerami. Il film è ambientato interamente in un’unica, grande cabina collettiva (il “casotto”) sulla spiaggia libera di Ostia, durante una caotica domenica d’agosto. All’interno dello spazio ristretto, si intrecciano le storie di una galleria di personaggi che rappresentano un microcosmo dell’Italia degli anni Settanta. Tra questi figurano Teresina (una giovanissima Jodie Foster), che è incinta e cerca di gestire la situazione con il fidanzato (Michele Placido), due amanti clandestini (Ugo Tognazzi e Clara Algranti) in cerca di un momento di intimità, e un nonno (Paolo Stoppa) con le sue nipoti.
Il film, che vanta un cast stellare che include anche Gigi Proietti, Franco Citti, Ninetto Davoli e un cameo di Catherine Deneuve, è una satira grottesca sulla morale italiana e l’imminente rivoluzione sessuale. Utilizzando la location claustrofobica, Citti e Cerami mettono in scena le ipocrisie, i desideri e le frustrazioni della società. Casotto è considerato un classico della commedia all’italiana, elogiato per la sua freschezza e la sua capacità di raccontare la realtà contemporanea, e ha vinto il prestigioso premio David di Donatello per la Migliore Sceneggiatura.
Commedie degli anni 80
Gli anni ’80 sono l’era dell’edonismo e del “High Concept”. La commedia smette di essere un genere minore per diventare blockbuster spettacolare, mescolandosi con la fantascienza e l’avventura (si pensi a Ghostbusters o Ritorno al Futuro). Ma è anche il decennio in cui John Hughes codifica il linguaggio dell’adolescenza moderna, trattando i problemi dei teenager con una dignità mai vista prima. È un cinema veloce, colorato e citazionista, che ha plasmato l’immaginario pop di intere generazioni.
Sazen Tange e la pentola da un milione di Ryo

Commedia, dramma, storico, di Sadao Yamanaka, Giappone, 1935.
Un uomo regala una vecchia pentola a suo fratello, senza rendersi conto che all'interno c'è una mappa del tesoro. Sua cognata vende la pentola a un rigattiere, che a sua volta la vende a un ragazzo di nome Yasu. Un cast di personaggi pittoreschi sta cercando la pentola e quando il bambino fugge dopo essere stato rimproverato da Ogino, tutti lo inseguono.
Sono solo tre le opere sopravvissute dirette nella breve ma ricchissima vita artistica da Sadao Yamanaka, morto neanche trentenne in Manciuria nel 1938. Tra queste c’è The Million Ryo Pot, dove il giovane talento registico si confronta con un personaggio iconico del jidaigeki, Tange Sazen, uno spadaccino orbo e monco. Il film è basato sulla storia popolare giapponese di "The Million Ryo Pot". Nel prendere di petto una storia all’apparenza canonica Yamanaka opta per uno sguardo del tutto personale, sia nell’utilizzo della parodia, sia nella messa in scena nella quale imperano i campi lunghi e la macchina fissa a dispetto dei primi piani che di solito affollavano i film della saga. Il regista giapponese Akira Kurosawa ha citato questo film come uno dei suoi 100 film preferiti. Molti critici e registi giapponesi lo ritengono il miglior film giapponese di tutti i tempi.
LINGUA: giapponese
SOTTOTITOLI: italiano
L’aereo più pazzo del mondo! (1980)
L’ex pilota da caccia Ted Striker (Robert Hays), traumatizzato dalla guerra e con un “problema con l’alcol”, si imbarca su un volo di linea per riconquistare la sua ex, l’hostess Elaine. Quando l’intero equipaggio e metà dei passeggeri si sentono male a causa di un’intossicazione alimentare, Ted dovrà superare le sue paure e far atterrare l’aereo, guidato da un bizzarro controllore di volo.
L’aereo più pazzo del mondo! (titolo originale: Airplane!) è il “manifesto definitivo della parodia cinematografica contemporanea”. Il trio di registi ZAZ (Zucker, Abrahams, Zucker) non si limita a parodiare un genere, come Mel Brooks; opera una “decostruzione sistematica” che ha cambiato per sempre la comicità. Il film è una parodia quasi shot-for-shot di un film catastrofico dimenticato degli anni ’70, e proprio questa fedeltà maniacale è la fonte del suo genio.
I registi ZAZ hanno rivoluzionato il tempo comico. Il film è un “bombardamento continuo e inesorabile” di battute, con un tasso di gag-per-minuto che non dà tregua. La comicità è su più livelli: giochi di parole letterali (“Surely you can’t be serious!” “I am serious. And don’t call me Shirley.”), slapstick, nonsense visivo e parodie cinefile.
This Is Spinal Tap (1984)
Il regista Marty Di Bergi (Rob Reiner) segue la fittizia band heavy metal britannica “Spinal Tap” durante il loro disastroso tour americano per promuovere il nuovo album “Smell the Glove. Tra amplificatori che “arrivano a undici”, scenografie di Stonehenge comicamente piccole, batteristi che muoiono in incidenti bizzarri e il declino della loro popolarità, la band affronta una crisi esistenziale.
This Is Spinal Tap non ha solo parodiato il genere “rockumentary”; lo ha praticamente inventato. Sebbene non sia stato il primo documentario falso della storia, è il film che ha “stabilito il modello” e il linguaggio che ha influenzato tutto ciò che è venuto dopo, da The Office a Parks and Recreation e What We Do in the Shadows.
Il suo genio risiede nella sua autenticità. Il film è così accurato nel catturare le “pretese musicali”, l’ego fragile, la stupidità e le dinamiche disfunzionali delle rock band che molti musicisti famosi, vedendolo, pensarono che fosse un documentario reale. L’umorismo non è urlato; è “origliato”, basato su dialoghi in gran parte improvvisati che suonano perfettamente veri.
Ghostbusters – Acchiappafantasmi (1984)
. Decidono di mettersi in proprio, aprendo un’attività di “disinfestazione” di fantasmi a New York. .
Ghostbusters è un film “miracoloso”, un evento culturale che ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura pop. È il raro esempio di high-concept (commedia + horror + effetti speciali) che funziona alla perfezione. Il film ha ridefinito il blockbuster estivo, dimostrando che una commedia poteva avere la stessa scala epica di un film d’azione o di fantascienza.
Il suo successo non è dovuto solo agli effetti speciali all’avanguardia per l’epoca, ma all’incredibile alchimia del cast, proveniente dall’orbita del Saturday Night Live. Il film ha un umorismo “intelligente” e “adulto”. La sceneggiatura di Aykroyd e Ramis è piena di gergo pseudo-scientifico, ma è l’atteggiamento slacker, cinico e distaccato di Bill Murray nel ruolo di Peter Venkman a fare da perfetto contrappunto all’apocalisse imminente.
Stranger Than Paradise (1984)
Willie, un immigrato ungherese apatico che vive a New York, vede la sua routine sconvolta dall’arrivo della cugina sedicenne Eva. Dopo una riluttante convivenza di dieci giorni, Willie e il suo amico Eddie decidono di farle visita a Cleveland. Il loro viaggio, segnato da una noia esistenziale e da un umorismo impassibile, li porterà infine in una desolata Florida, ridefinendo il concetto di “paradiso” americano.
Stranger Than Paradise non è semplicemente un film; è un manifesto. Con la sua estetica minimalista, il bianco e nero sgranato e la struttura a vignette separate da dissolvenze in nero, Jim Jarmusch ha gettato le basi per il cinema indipendente americano moderno. Il film è una radicale deviazione dalle commedie ad alta energia degli anni ’80, sostituendo le gag con una “noncuranza drammatica” che cattura un profondo senso di alienazione. La comicità nasce dal vuoto, dai silenzi imbarazzanti e dall’incapacità dei personaggi di comunicare. Jarmusch trasforma il paesaggio americano in uno spazio desolato e anonimo, un non-luogo dove i protagonisti vagano senza meta. È l’atto di nascita dell’archetipo dello “slacker“, il fannullone filosofico la cui apatia è una forma di resistenza passiva contro un mondo privo di significato.
Simon del deserto

Commedia, di Luis Bunuel, Messico, 1963
La storia si concentra su Simón, un santo eremita che vive sulla cima di una colonna alta in un deserto. Il suo obiettivo è quello di trascorrere lì il resto della sua vita in penitenza e preghiera per sfuggire alle tentazioni del mondo. La colonna simboleggia il suo distacco dalla realtà materiale e la sua ricerca della perfezione spirituale. Nonostante i suoi sforzi, Simón si trova costantemente affrontato dalle tentazioni che gli si presentano in varie forme. Queste tentazioni prendono la forma di una ballerina di night club, un grande capo militare e persino il diavolo in persona. Ogni volta, Simón resiste alle tentazioni e rinnova il suo impegno spirituale.
Il film è noto per la sua critica ironica e pungente sulla religione organizzata, la spiritualità e la lotta contro le tentazioni. Buñuel utilizza il suo stile surrealista distintivo per affrontare temi complessi e provocatori, mettendo in discussione le convenzioni e le credenze religiose. "Simón del desierto" è diventato un classico del cinema messicano e continua ad essere apprezzato per la sua originalità, il suo umorismo nero e il suo messaggio provocatorio.
LINGUA: spagnolo
SOTTOTITOLI: italiano
Heathers (Schegge di follia) (1988)
Veronica Sawyer è parte della cricca più popolare e temuta del suo liceo, dominata da tre ragazze di nome Heather. Stanca della loro tirannia, Veronica trova un’anima affine nel nuovo e ribelle studente J.D. La loro relazione prende una piega oscura quando uno scherzo innocuo si trasforma in un omicidio, mascherato da suicidio. Presto, eliminare i compagni di classe più odiosi diventa un’abitudine macabra e satirica.
Se i film di John Hughes erano il sogno adolescenziale degli anni ’80, Heathers è stato il suo incubo satirico. Il film di Michael Lehmann, basato sulla sceneggiatura al vetriolo di Daniel Waters, è la quintessenza della dark comedy, un’opera che smantella con ferocia i cliché del cinema per ragazzi. Il suo dialogo stilizzato e iconico (“What’s your damage?”) è diventato un lessico generazionale, un’arma verbale contro la superficialità e la crudeltà delle gerarchie liceali. La pellicola mescola commedia e violenza scioccante, utilizzando l’umorismo nero per criticare il conformismo sociale, il bullismo e la tendenza dei media a sensazionalizzare la tragedia. Heathers ha dimostrato che la commedia adolescenziale poteva essere intelligente, sovversiva e pericolosamente divertente.
Lola Darling (1986)
Lola Darling (titolo originale: She’s Gotta Have It) è il film d’esordio del 1986 scritto, diretto, prodotto e montato da Spike Lee. Girato in bianco e nero con un budget limitato (175.000 dollari), il film è incentrato su Nola Darling (Tracy Camilla Johns), una giovane artista indipendente di Brooklyn. Nola rivendica la sua libertà sessuale e rifiuta la monogamia, gestendo contemporaneamente tre amanti molto diversi: Jamie Overstreet (Tommy Redmond Hicks), il compagno stabile e protettivo; Greer Childs (John Canada Terrell), un modello ricco e arrogante; e Mars Blackmon (interpretato dallo stesso Lee), un comico e immaturo “B-Boy” ossessionato dalle sneaker.
Il film esplora temi come l’emancipazione femminile, la politica sessuale e l’identità afroamericana con uno stile visivo avventuroso e una franchezza mai vista prima. Lola Darling divenne un successo commerciale a sorpresa (incassando oltre 7 milioni di dollari) e un fenomeno di critica. È considerato un’opera fondamentale che ha lanciato la carriera di Lee e ha dato il via a una nuova era per il cinema indipendente americano e per il “New Black Cinema” degli anni ’80, grazie alla sua voce saggia, divertente e ancora oggi rilevante.
Mortacci (1989)
Mortacci è un film corale e grottesco del 1989, diretto da Sergio Citti e scritto insieme a Vincenzo Cerami. Ambientato quasi interamente nel cimitero di un piccolo paese italiano, il film racconta le notti dei defunti che vi sono sepolti. In attesa di trapassare definitivamente, i morti sono condannati a rimanere in un limbo finché l’ultimo essere umano che li ricorda è ancora in vita. Le loro chiacchiere notturne e i loro pettegolezzi vengono interrotti dall’arrivo di Lucillo (Sergio Rubini), un soldato tornato dal Libano e creduto morto da tutti.
L’arrivo di Lucillo crea scompiglio non solo tra i morti, ma soprattutto tra i vivi. I suoi avidi compaesani, infatti, hanno costruito un redditizio business di pellegrinaggi e souvenir sul suo status di “eroe caduto. Il suo ritorno minaccia i loro affari, portando la comunità a una soluzione drastica: costringere Lucillo a morire “per davvero” per preservare la finzione. Attraverso questa satira pungente, Citti esplora i temi della memoria, dell’ipocrisia sociale e dello sfruttamento. Il film, che vede nel cast anche Franco Citti e Maurizio Mattioli, ricevette due candidature ai David di Donatello: Miglior Sceneggiatura Originale (a Citti e Cerami) e Miglior Attore Non Protagonista (a Sergio Rubini).
Commedie degli anni 90
Gli anni ’90 sono il decennio della contaminazione e dell’indipendenza. Mentre Jim Carrey porta la comicità fisica a nuovi estremi di elasticità, il cinema indie riscrive le regole con lo “slacker movie” (alla Kevin Smith o Linklater), celebrando l’arte di non fare nulla con dialoghi brillanti e surreali. È un’era di contrasti: la commedia romantica raggiunge il suo apice commerciale globale, ma contemporaneamente esplode un umorismo “scorretto” e demenziale che infrange definitivamente le barriere del buon gusto.
Slow life

Dramma, commedia, thriller, di Fabio Del Greco, Italia, 2021.
Lino Stella prende un periodo di ferie dal suo alienante lavoro per dedicarsi al relax e alla sua passione: disegnare fumetti. Ma non ha previsto certi elementi di disturbo: l’invadente amministratrice del palazzo dove vive, il postino che consegna multe e cartelle esattoriali pazze, una vigilessa prepotente, un agente immobiliare molto intraprendente, la vecchia signora del piano di sotto che alleva la colonia felina del condominio. Questi personaggi renderanno la sua vacanza un inferno.
Spunto di riflessione
Più grande è un gruppo sociale più sono necessarie regole e burocrazia che spesso non rispettano l'individuo. Bisogna imparare a convivere con gente fastidiosa, ma a volte la pressione sociale e l'arroganza possono diventare intollerabili. Le uniche leggi che vengono sempre in nostro aiuto sono le leggi della Natura.
LINGUA: italiano
SOTTOTITOLI: inglese
Il grande Lebowski (1998)
Il grande Lebowski (The Big Lebowski) è una commedia nera e grottesca del 1998, scritta e diretta da Joel ed Ethan Coen. Il film è interpretato da Jeff Bridges nel ruolo di Jeffrey “Il Drugo” Lebowski, un iconico fannullone e appassionato di bowling di Los Angeles. La sua vita spensierata viene sconvolta quando due scagnozzi irrompono in casa sua, scambiandolo per un milionario omonimo, e urinano sul suo tappeto. Nel cercare un risarcimento per il tappeto, Il Drugo si ritrova invischiato in un assurdo intrigo che coinvolge un rapimento, nichilisti tedeschi, artisti d’avanguardia e una richiesta di riscatto.
Considerato un insuccesso alla sua uscita, il film è diventato uno dei “cult movie” più influenti e celebrati di sempre, famoso per i suoi dialoghi surreali e la sua atmosfera sognante. Il cast di supporto è memorabile e include John Goodman nel ruolo del volatile veterano del Vietnam Walter Sobchak; Steve Buscemi nel ruolo del pacato Donny; Julianne Moore nel ruolo dell’artista Maude Lebowski (la figlia del milionario); e Philip Seymour Hoffman nel ruolo dell’assistente Brandt. La colonna sonora, supervisionata da T-Bone Burnett e composta da Carter Burwell, include brani iconici di Bob Dylan e dei Creedence Clearwater Revival.
Drunken Master (1994)
Drunken Master II (titolo originale: 醉拳II, Jui kuen II) è un film di commedia d’azione di Hong Kong del 1994, diretto da Lau Kar-leung e Jackie Chan. È il sequel del film Drunken Master del 1978 e vede Chan riprendere il ruolo dell’eroe popolare cinese Wong Fei-hung. Il cast include anche Ti Lung nel ruolo del padre di Fei-hung e Anita Mui nel ruolo della sua matrigna, che ruba la scena. Il film è stato distribuito negli Stati Uniti nel 2000 da Miramax con il titolo The Legend of Drunken Master.
La trama segue Wong Fei-hung mentre si ritrova accidentalmente coinvolto in un’operazione di contrabbando guidata da un console britannico corrotto, che sta rubando antichi manufatti cinesi. Nonostante le rigide regole del padre, che disapprova la violenza e il suo stile di combattimento “ubriaco”, Fei-hung deve usare la sua incredibile abilità nel Pugno Ubriaco (Zui Quan) per fermare i ladri e proteggere il patrimonio culturale della Cina. Drunken Master II è universalmente celebrato come uno dei più grandi film di arti marziali mai realizzati, elogiato per le sue coreografie mozzafiato, la sua comicità e l’incredibile atletismo di Chan. Le sequenze di combattimento, in particolare il lungo e complesso finale, sono considerate un punto di riferimento per il genere. Il film ha vinto l’Hong Kong Film Award per la Migliore Coreografia d’Azione.
Clerks (Commessi) (1994)
Dante Hicks viene chiamato a coprire un turno nel minimarket dove lavora nel suo giorno libero. La sua giornata si trasforma in un’odissea di clienti bizzarri, discussioni filosofiche sulla Morte Nera di Star Wars e crisi relazionali. Accanto a lui, l’amico Randal Graves, commesso del videonoleggio adiacente, eleva la pigrizia e il sarcasmo a forma d’arte, rendendo la giornata di Dante ancora più caotica e memorabile.
Clerks è il manifesto del cinema indipendente degli anni ’90, un trionfo dell’etica “scrivi di ciò che conosci. Girato in bianco e nero nel vero negozio dove lavorava, con un budget irrisorio finanziato tramite carte di credito, il film di Kevin Smith è una celebrazione della cultura pop e dell’amicizia maschile. La sua estetica grezza non è solo una necessità economica, ma una dichiarazione d’intenti: l’attenzione è tutta sul dialogo. Le conversazioni tra Dante e Randal, dense di riferimenti cinematografici, oscenità e riflessioni esistenziali, sono il vero motore del film. Clerks ha nobilitato il quotidiano, trovando un umorismo profondo e universale nella monotonia di un lavoro senza prospettive e dimostrando che una grande storia non ha bisogno di grandi mezzi, ma di una voce autentica.
Living in Oblivion (Si gira a Manhattan) (1995)
Il regista indipendente Nick Reve sta cercando di girare il suo primo film, ma tutto ciò che può andare storto, va storto. Dagli attori egocentrici e insicuri a una troupe incompetente, passando per problemi tecnici e sogni surreali, la produzione è un disastro continuo. Il film è diviso in tre parti, ognuna delle quali esplora gli incubi e le frustrazioni del fare cinema a basso budget, confondendo i confini tra realtà, sogno e finzione.
Living in Oblivion è la satira definitiva sul cinema indipendente, un cult movie amato da chiunque abbia mai provato a realizzare un film. La sua struttura intelligente, che gioca con il colore e il bianco e nero per distinguere i diversi livelli di realtà, è un commento metacinematografico sul processo creativo. Il regista Tom DiCillo, attingendo alle proprie esperienze, crea un ritratto esilarante e profondamente cinico del caos, degli ego e della passione che alimentano il cinema low-budget. È un omaggio amaro e divertente a tutti i sognatori che lottano per trasformare la loro visione in realtà.
The Astronot

Commedia, dramma, di Tim Cash, Stati Uniti, 2018.
Daniel McKovsky è un'anima perduta che vaga per l'universo. Da solo per 30 anni passa le notti a fissare il cielo con un telescopio di ottone come unico compagno. Mentre guarda verso l'alto, la sua mente torna a quel giorno in cui da ragazzo suo padre non tornò dalla seconda guerra mondiale. Avendo già perso sua madre durante il parto, questo secondo colpo manda Daniel lungo un oscuro sentiero di isolamento nelle profondità dei boschi dell'Oregon centrale. Mentre fissa la luna negli anni '50 e '60, Daniel sogna di diventare un astronauta. L'ironia però è che raramente si avventura lontano da ciò che lo circonda. L'unica scintilla nella sua vita in quel momento è la corsa allo spazio tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica per diventare la prima nazione a raggiungere la luna. Nel 1969 una giovane impiegata delle poste di nome Sandy cammina lungo il suo vialetto con un pacco per lui. E' l'antitesi di Daniel; estroversa e vivace rispetto alla sua natura tranquilla e riservata.
The Astronot è la singolare storia di un personaggio ingenuo e puro che ricorda per certi aspetti il celebre Forrest Gump, ma al contrario di lui è destinato ad essere sempre tra i perdenti. Dall'infanzia all'età adulta Daniel non perde mai l'entusiasmo per la vita, anche se deve accontentarsi solo di raccattare oggetti metallici in una landa desolata e vive completamente solo dopo aver perso entrambe i genitori. The Astronot è una commedia romantica con un'estetica vintage, ambientata in una remota zona rurale degli Stati Uniti. Nonostante il tono divertente però gli eventi della vita hanno un impatto drammatico nella vita di Daniel, quasi come una maledizione, un tradimento continuo dell'esistenza che si prende gioco di un anima fragile. Un personaggio buffo che vive situazioni tragiche e crea una forte empatia con lo spettatore del film.
LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano
Bottle Rocket (Un colpo da dilettanti) (1996)
Appena uscito da un ricovero volontario in un ospedale psichiatrico, Anthony viene “salvato” dal suo amico Dignan, un sognatore iperattivo con un assurdo piano di 75 anni per diventare un criminale di successo. Insieme al loro complice Bob, un autista poco entusiasta, intraprendono una serie di rapine maldestre. Il loro viaggio li porterà in un motel sperduto, dove l’amore e le complicazioni metteranno alla prova la loro amicizia e le loro ambizioni criminali.
Bottle Rocket è il progetto su cui si fonda l’intero universo cinematografico di Wes Anderson. Sebbene meno raffinato visivamente rispetto alle sue opere successive, questo film d’esordio contiene già tutti gli elementi distintivi del suo stile: protagonisti eccentrici e ambiziosi ma irrimediabilmente incompetenti, un umorismo impassibile e malinconico, e una profonda esplorazione delle amicizie spezzate e delle famiglie disfunzionali. Il “piano di 75 anni” di Dignan è l’emblema della poetica andersoniana, un tentativo meticoloso e quasi infantile di imporre un ordine su un mondo caotico. Il film stabilisce l’interesse tematico di Anderson per personaggi che creano la propria “realtà leggermente intensificata”, un mondo dove l’ingenuità si scontra con la dura realtà, generando una commedia dolceamara e inconfondibile.
Waiting for Guffman (Sognando Broadway) (1996)
. Guidati dall’esuberante regista Corky St. Clair, le loro speranze raggiungono livelli febbrili quando si sparge la voce che un importante critico di Broadway, Mort Guffman, sarà presente alla prima. L’attesa per il suo arrivo trasforma la modesta produzione in un’epica lotta per la fama.
Con Waiting for Guffman, Christopher Guest ha elevato il mockumentary a forma d’arte, creando un modello che avrebbe perfezionato negli anni a venire. Basato su una sceneggiatura quasi interamente improvvisata, il film è un ritratto tanto esilarante quanto affettuoso dei sognatori di provincia. La genialità di Guest risiede nel suo equilibrio precario tra satira pungente e genuina empatia. Ridiamo delle manie dei personaggi, della loro mancanza di talento e delle loro ambizioni sproporzionate, ma non li disprezziamo mai. Il film cattura la passione e la vulnerabilità che si celano dietro ogni piccola produzione teatrale amatoriale, dimostrando che l’umorismo più efficace nasce dall’osservazione attenta e compassionevole delle debolezze umane.
Election (1999)
Jim McAllister, un popolare insegnante di liceo, vede la sua vita ordinata andare in pezzi a causa di Tracy Flick, una studentessa iper-ambiziosa e insopportabile candidata alla presidenza del consiglio studentesco. Determinato a fermare la sua ascesa, McAllister convince un atleta popolare ma poco sveglio a candidarsi contro di lei, innescando una spirale di brogli, tradimenti e caos che rispecchia in modo inquietante la politica degli adulti.
Election è una delle satire politiche più affilate e preveggenti mai realizzate. Alexander Payne utilizza l’elezione di un liceo del Nebraska come un microcosmo perfetto per analizzare le storture della democrazia americana. La sua maestria risiede nell’uso di voci narranti multiple e inaffidabili, che creano una distanza ironica tra ciò che i personaggi pensano di sé e la realtà meschina delle loro azioni. Il film esplora con cinismo e intelligenza temi come l’ambizione sfrenata, il risentimento della mediocrità verso l’eccellenza e l’assurdità intrinseca dei processi democratici. Con quasi vent’anni di anticipo, Payne ha previsto un’era di populismo, candidati controversi e risultati elettorali contestati, rendendo Election un’opera tanto divertente quanto profetica.
Rushmore (1998)
Max Fischer è uno studente quindicenne eccentrico e iperattivo della prestigiosa Rushmore Academy. È il re delle attività extracurriculari, ma un disastro accademico. La sua vita si complica quando si innamora della sua insegnante, la signorina Cross, e stringe un’improbabile amicizia con il disilluso industriale Herman Blume. Presto, i due amici si ritrovano rivali in amore, dando vita a una guerra bizzarra e malinconica.
Con Rushmore, Wes Anderson definisce pienamente la sua estetica inconfondibile. Ogni elemento del film, dalla composizione simmetrica delle inquadrature alla meticolosa scenografia, fino alla colonna sonora curata, è un riflesso della mente ossessiva e iper-organizzata del suo protagonista. L’estetica non è solo uno stile, ma la sostanza stessa del film, un mondo costruito a immagine e somiglianza di Max. La pellicola fonde un umorismo precoce e intellettuale con una profonda malinconia, esplorando i temi dell’amore non corrisposto, del lutto e del dolore della crescita. Fortemente influenzato dalla Nouvelle Vague francese e dal cinema di Hal Ashby, Rushmore è un’opera che ha consolidato Anderson come uno degli autori più originali del cinema contemporaneo.
Tournee - Il vero burlesque

Commedia, drammatico, di Mathieu Amalric, Francia, 2010.
Joachim Zand, un produttore televisivo in crisi, torna in Francia dopo un lungo periodo trascorso negli Stati Uniti. Joachim aveva tagliato tutti i rapporti in Francia: amici, nemici, figli. Arriva con un gruppo di spogliarelliste californiane, in carne e chiassose, che fanno spettacoli burlesque e che vuole far esibire a Parigi. Fanno una tournee nelle città portuali della costa francese, esibendosi in teatri e locali di second'ordine, alloggiando in squallidi hotel e mangiando in ristoranti economici. Riscuotono un'ottimo gradimento del pubblico e puntano verso Parigi. Ma vecchi conflitti con le persone a cui era legato Joachim si ripropongono, e la vita da prestigiatore dello spettacolo dovrà fare i conti con la finzione e gli imbrogli del passato.
Il regista Mathieu Amalric si è ispirato per Tournee al cinema americano indipendente degli anni '70, in particolare ad Assassinio di un allibratore cinese di John Cassavetes. Il personaggio protagonista Joachim Sand è interpretato dallo stesso regista, che si dimostra un attore di alto livello, scelto già come interprete da registi come André Téchiné, Alain Resnais, Arnaud Desplechin: un attore con una grande consapevolezza della propria espressività e capacità di osservarsi anche dall'esterno come regista. Il gruppo di spogliarelliste è interpretato da autentiche artiste burlesque: Mimi Le Meaux, Kitten on the Keys, Dirty Martini, Julie Atlas Muz, Evie Lovelle e Roky Roulette. Tournee è un film on the road dove gli spettacoli di burlesque sono stati eseguiti realmente per un pubblico dal vivo durante la produzione del film. La storia è ispirata ad un libro del 1913 di Colette sull'esperienza nelle sale da ballo all'inizio del ventesimo secolo, The Other Side of Music-Hall. Presentato al Festival di Cannes 2010 dove ha vinto il premio Fipresci, il premio più importante dei critici cinematografici, ed il premio come miglior regista. Il finale è l'epilogo commuovente del ritratto di un uomo che ha smarrito le sue radici e deve fare i conti con la desolazione.
LINGUA: italiano
Kolja (1996)
Kolja (titolo ceco: Kolja) è un film drammatico ceco del 1996, diretto da Jan Svěrák e scritto dal padre, Zdeněk Svěrák, su un soggetto di Pavel Taussig. Ambientato a Praga nel 1988, negli ultimi mesi del regime comunista prima della Rivoluzione di Velluto, il film ha come protagonista lo stesso Zdeněk Svěrák nel ruolo di František Louka. Louka è un violoncellista un tempo rinomato, ma ora caduto in disgrazia presso le autorità, costretto a guadagnarsi da vivere suonando ai funerali. Cinico, donnaiolo e scapolo convinto, la sua vita viene stravolta quando, per saldare i suoi debiti, accetta di celebrare un matrimonio di comodo con una donna russa.
La donna, però, usa il matrimonio per emigrare in Germania Ovest, abbandonando inaspettatamente a Praga il figlio di cinque anni, Kolja (Andrey Khalimon), che parla solo russo. Louka si ritrova così costretto a prendersi cura di un bambino che non capisce e con cui non può comunicare, proprio mentre la società intorno a loro sta per implodere. Il film esplora con commovente sensibilità i temi della paternità, della responsabilità e della connessione umana che supera le barriere linguistiche e politiche. Kolja è stato un successo internazionale, vincendo sia il Golden Globe che l’Oscar per il Miglior Film Straniero alla 69ª edizione degli Academy Awards (1997).
The Big Lebowski (Il grande Lebowski) (1998)
Jeffrey “The Dude” Lebowski, un fannullone di Los Angeles la cui unica passione è il bowling, viene scambiato per un milionario omonimo. Dopo che due scagnozzi urinano sul suo tappeto preferito, il Drugo cerca un risarcimento, finendo invischiato in un complicato rapimento, un dito mozzato, nichilisti tedeschi e un vortice di eventi surreali. Insieme ai suoi amici Walter e Donny, cerca di risolvere un mistero che diventa sempre più incomprensibile.
Anche se tecnicamente una commedia poliziesca, Il grande Lebowski è un’opera profondamente filosofica sull’arte di affrontare un mondo insensato con una calma zen (“The Dude abides”). Il suo status di cult movie nasce da dialoghi infinitamente citabili, personaggi eccentrici e una trama labirintica che, nello stile di Raymond Chandler, è volutamente secondaria. L’umorismo dei fratelli Coen è qui al suo apice di assurdità, trovando il comico in situazioni macabre e surreali. Il film è una meditazione esilarante sull’amicizia, la pigrizia come forma di resistenza e la ricerca di un po’ di pace in un universo caotico.
Commedie degli anni 2000
Gli anni 2000 ridefiniscono i confini della comicità adulta. È l’era del “Frat Pack” e della scuola di Judd Apatow, che mescolano l’improvvisazione demenziale e scorretta con una sorprendente onestà emotiva sulle relazioni maschili (la Bromance). Ma è anche il decennio d’oro della Indie Comedy: film “quirky”, eccentrici e agrodolci come Little Miss Sunshine, che trovano l’umorismo nelle disfunzioni familiari e nel disagio sociale, allontanandosi dalle gag preconfezionate per cercare una risata più intima e originale.
Best in Show (Campioni di razza) (2000)
Un gruppo eterogeneo di proprietari di cani e i loro preziosi animali da concorso si dirigono a Filadelfia per partecipare al prestigioso Mayflower Kennel Club Dog Show. Tra loro, una coppia di yuppie nevrotici, una coppia gay ossessionata dalla moda, la giovane moglie trofeo di un anziano milionario con la sua addestratrice lesbica, e una coppia della classe media della Florida. Le loro vite e le loro eccentricità si scontrano nel mondo competitivo delle mostre canine.
Christopher Guest perfeziona qui la formula del mockumentary improvvisato che aveva introdotto con Waiting for Guffman. Il film utilizza il mondo apparentemente innocuo delle esposizioni canine come pretesto per una satira esilarante del comportamento umano. La comicità è interamente guidata dai personaggi e dalle performance di un cast di attori straordinari, tra cui spicca Fred Willard nel ruolo del commentatore televisivo ignorante e fuori luogo. Best in Show è un capolavoro di umorismo osservazionale, che deride con affetto le passioni ossessive e le nevrosi dei suoi protagonisti.
Day of the Wacko (2002)
Dzień świra (titolo internazionale: Day of the Wacko, in italiano: Il giorno del pazzo) è una commedia drammatica polacca del 2002, scritta e diretta da Marek Koterski. Il film è un monologo interiore caustico e tragicomico che segue un singolo giorno nella vita di Adaś Miauczyński (interpretato da Marek Kondrat), un insegnante di 49 anni e intellettuale frustrato. Adaś è consumato dalle sue ossessioni, nevrosi e da un profondo odio per le banalità e le irritazioni della vita quotidiana, che lo portano a un’agonia mentale costante.
Considerato un capolavoro della cinematografia polacca moderna e un cult movie, Dzień świra è una satira pungente dell’intellighenzia polacca e delle nevrosi della società post-comunista. Il film è celebre per il suo stile unico: la sceneggiatura è scritta quasi interamente in versi, ricalcando la metrica del poema epico nazionale polacco. L’opera ha trionfato al Gdynia Film Festival (il più importante festival cinematografico polacco), vincendo i Leoni d’Oro per il Miglior Film e il premio per il Miglior Attore Protagonista a Marek Kondrat.
God Forbid a Worse Thing Should Happen (2002)
Ne dao Bog većeg zla (titolo internazionale: God Forbid a Worse Thing Should Happen) è una commedia drammatica croata di formazione del 2002, diretta da Snježana Tribuson. Basato sulle esperienze personali della regista, il film è ambientato nella piccola città croata di Ogulin tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli ’70. La trama segue la crescita del giovane protagonista, Frula (Luka Dragić), un ragazzo curioso e fantasioso, mentre naviga le sfide della scuola, i primi amori (per una ragazza di nome Hana) e le dinamiche della sua eccentrica famiglia, guidata dal padre (Ivo Gregurević) e dalla madre (Mirjana Rogina).
Il film è un ritratto nostalgico e agrodolce delle gioie e delle difficoltà dell’infanzia e della vita familiare in un periodo di specifici cambiamenti sociali. Ne dao Bog većeg zla è stato un grande successo di critica e pubblico in Croazia, trionfando all’edizione 2002 del Pula Film Festival (il più importante premio cinematografico nazionale). Ha vinto la prestigiosa “Big Golden Arena” per il Miglior Film, oltre a premi per la Miglior Regia (Snježana Tribuson), Miglior Sceneggiatura (Tribuson), Miglior Attore Protagonista (Ivo Gregurević), Miglior Attrice Non Protagonista (Mirjana Rogina), Miglior Fotografia (Goran Trbuljak) e Miglior Musica (Darko Rundek).
Ghost World (2001)
Enid e Rebecca, due amiche adolescenti ciniche e disilluse, affrontano l’estate dopo il diploma senza piani precisi, se non quello di deridere la stupidità del mondo che le circonda. . Mentre Rebecca cerca di adattarsi alla vita adulta, Enid si perde in un mondo di outsider e disadattati.
Ghost World è la trasposizione cinematografica perfetta della sensibilità di una graphic novel. La regia di Terry Zwigoff cattura il tono alienato e sarcastico del fumetto di Daniel Clowes attraverso uno stile visivo che enfatizza paesaggi urbani vuoti e desolati, dominati da un consumismo anonimo. Il film è diventato un cult perché celebra i disadattati, trovando umorismo nella profonda disconnessione tra le sue protagoniste e una società che le respinge. È un ritratto amaro e divertente dell’amicizia adolescenziale e della difficile transizione verso l’età adulta, un’ode a coloro che si sentono “fantasmi” nel proprio mondo.
Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain (Il favoloso mondo di Amélie) (2001)
Amélie Poulain è una timida cameriera di Montmartre con una fervida immaginazione. Dopo aver scoperto una vecchia scatola di latta piena di ricordi d’infanzia nel suo appartamento, decide di dedicare la sua vita a orchestrare piccoli momenti di gioia per le persone che la circondano. Mentre aiuta gli altri a trovare la felicità, Amélie dovrà trovare il coraggio di cercare la propria, soprattutto quando incontra il misterioso collezionista di fototessere Nino.
Il film di Jean-Pierre Jeunet è una fiaba moderna, un’esplosione di fantasia e ottimismo. La sua visione di Parigi è iper-stilizzata, quasi magica, grazie a una palette di colori saturi (rossi, verdi e oro) e a un uso creativo del realismo magico. Lo stile visivo del film non è un semplice abbellimento, ma una proiezione diretta del mondo interiore della protagonista. La comicità è delicata e visiva, basata su gag elaborate e sulla celebrazione delle piccole eccentricità umane. Amélie è un inno alla gentilezza, alla connessione e alla capacità di trovare la meraviglia nel quotidiano, un’opera che ha incantato il pubblico di tutto il mondo con il suo fascino irresistibile.
Lost in Translation (L’amore tradotto) (2003)
Bob Harris, una star del cinema in declino, e Charlotte, una giovane neolaureata, si incontrano in un lussuoso hotel di Tokyo. Entrambi soffrono di insonnia e di un profondo senso di spaesamento, sia culturale che esistenziale. Tra le luci al neon e la caotica estraneità della metropoli giapponese, i due stringono un legame inaspettato, una connessione fatta di silenzi, sguardi e conversazioni notturne che trascende l’amicizia e l’amore.
Sofia Coppola crea un’atmosfera unica, malinconica e sognante. Tokyo non è solo uno sfondo, ma un personaggio che riflette la solitudine e il disorientamento dei protagonisti. La comicità del film è sottile, quasi sussurrata, e nasce dagli incontri interculturali imbarazzanti e dalla performance impassibile di Bill Murray. Più che sulle risate, il film si concentra sulla chimica tra i due protagonisti, sulla profonda e inespressa comprensione che si crea tra due anime perse. Lost in Translation è un’opera delicata sulla difficoltà di comunicare e sulla bellezza di trovare qualcuno che, per un breve istante, capisce perfettamente come ci si sente.
L’alba dei morti dementi (2004)
Shaun (Simon Pegg) è un uomo senza ambizioni sulla soglia dei trent’anni, la cui vita è divisa tra il suo migliore amico nullafacente Ed (Nick Frost), la sua ragazza Liz che lo sta per lasciare, e il suo pub preferito, il Winchester. La sua routine apatica viene interrotta da un’apocalisse zombie, che Shaun e Ed inizialmente scambiano per una normale sbornia. Dovrà trovare un modo per salvare i suoi cari e, forse, crescere.
L’alba dei morti dementi (titolo originale: Shaun of the Dead) è più di una semplice parodia; è una “Rom-Zom-Com” (Romantic-Zombie-Comedy) e un “caposaldo del cinema degli anni 2000. È il film che ha lanciato la “Trilogia del Cornetto” e ha consacrato il regista Edgar Wright come un autore dallo stile visivo unico e inconfondibile.
Il segreto del film è che non è solo una commedia; è “anche un ottimo film di zombie”. A differenza della parodia ZAZ, che decostruisce, il film di Wright è un omaggio che rispetta le regole del genere horror e, allo stesso tempo, le usa per una metafora intelligente sulla paralisi della vita moderna. Gli zombie sono solo una versione leggermente più lenta dei londinesi apatici che Shaun incontra ogni mattina.
In Bruges (La coscienza dell’assassino) (2008)
Dopo un colpo andato tragicamente storto, i due sicari Ray e Ken vengono mandati dal loro capo a Bruges, in Belgio, per attendere istruzioni. Mentre Ken è affascinato dalla bellezza medievale della città, Ray è consumato dal senso di colpa e dalla noia. La loro attesa si trasforma in un’esplorazione esistenziale tra turisti, nani, prostitute e dilemmi morali, culminando in un confronto violento e inevitabile.
Martin McDonagh firma un capolavoro di dark comedy che mescola dialoghi brillanti e sboccati con una profonda riflessione su temi come la colpa, il purgatorio e la redenzione. La comicità del film nasce dal contrasto tra la violenza della trama e l’ambientazione da fiaba di Bruges, che Ray disprezza apertamente. McDonagh usa l’umorismo come un veicolo per porre domande morali complesse: qual è il peso di aver ucciso accidentalmente un bambino? Esiste una possibilità di espiazione? In Bruges è un’opera filosofica mascherata da commedia nera, tanto divertente quanto straziante.
Little Miss Sunshine (2006)
La famiglia Hoover, un campionario di disfunzionalità e fallimenti, intraprende un viaggio attraverso l’America a bordo di un furgoncino Volkswagen scassato per portare la piccola Olive a un concorso di bellezza per bambine. Il gruppo include un padre motivatore senza successo, uno zio studioso di Proust reduce da un tentato suicidio, un nonno eroinomane, un figlio che ha fatto voto di silenzio e una madre che cerca disperatamente di tenere tutto insieme.
Little Miss Sunshine è stato un film spartiacue per il cinema indipendente degli anni 2000, un successo al Sundance che ha conquistato il pubblico di tutto il mondo. La sua forza risiede nella capacità di trovare umorismo in argomenti oscuri come la depressione, la dipendenza e la morte, senza mai perdere la sua profonda umanità. Ogni membro della famiglia Hoover incarna una forma diversa di fallimento, ma il loro viaggio li costringe a unirsi. Il culmine del film, durante la performance di Olive al concorso di bellezza, è un inno trionfante all’accettazione di sé e al rifiuto della cultura ossessionata dalla vittoria, una celebrazione catartica e liberatoria dell’essere “perdenti”.
Hollywood Dreams (2007)
Hollywood Dreams è un film indipendente americano del 2006, scritto e diretto da Henry Jaglom. Il film è un intenso studio psicologico camuffato da storia di “successo” a Hollywood. La trama segue Margie Chizek (Tanna Frederick), un’aspirante attrice dell’Iowa che si trasferisce a Los Angeles determinata a diventare una star. Piena di sogni ma anche profondamente ingenua riguardo alla spietata industria dell’intrattenimento, Margie inizia una relazione complicata con Robin Mack (Justin Kirk), un altro attore in difficoltà che cerca di farsi strada.
Il film esplora la fragile linea tra ambizione e delusione, e il prezzo psicologico della fama. Più che una semplice satira su Hollywood, Hollywood Dreams è un veicolo per la performance totalizzante di Tanna Frederick, che interpreta Margie come un personaggio mentalmente instabile e tormentato. La sua lotta per rimanere fedele a se stessa si scontra con la sua disperata ossessione per il successo, portandola a un crollo emotivo. Il cast di supporto include veterani come David Proval, Karen Black, Eric Roberts e Seymour Cassel.
Me and You and Everyone We Know (2005)
Christine, un’artista e autista per anziani, e Richard, un commesso di scarpe appena separatosi, cercano una connessione in un mondo frammentato. Le loro vite si intrecciano con quelle dei figli di Richard, uno dei quali intrattiene una bizzarra relazione online, e di altri personaggi solitari, tutti alla disperata ricerca di un momento di intimità. Il film esplora le strane e talvolta inquietanti vie attraverso cui le persone tentano di comunicare.
L’opera prima di Miranda July è un film unico e inclassificabile, che ha anticipato e influenzato il movimento mumblecore. Il suo stile è eccentrico, quasi surreale, e trova umorismo e pathos nelle interazioni più imbarazzanti e inaspettate. La July intreccia più trame per creare un mosaico sulla solitudine moderna, esplorando come la tecnologia e l’arte possano essere strumenti tanto di connessione quanto di alienazione. È un’opera che “tesse insieme realtà e fantasia”, offrendo uno sguardo tenero e profondamente originale sulla vulnerabilità umana.
Garden State (La mia vita a Garden State) (2004)
Andrew Largeman, un attore televisivo emotivamente anestetizzato da anni di antidepressivi, torna nella sua città natale nel New Jersey per il funerale della madre. Lì, si riconnette con vecchi amici stravaganti e incontra Sam, una ragazza eccentrica e bugiarda patologica che lo aiuta a risvegliarsi dal suo torpore esistenziale. Il suo ritorno a casa diventa un viaggio per affrontare il suo passato e riscoprire la capacità di sentire.
Garden State è stato il film simbolo di una generazione, catturando perfettamente un sentimento di apatia e disconnessione post-adolescenziale. Scritto, diretto e interpretato da Zach Braff, il film ha avuto un impatto culturale enorme, soprattutto grazie alla sua colonna sonora vincitrice di un Grammy. L’album, che ha fatto conoscere al grande pubblico band come The Shins, è diventato un’icona del gusto “indie” degli anni 2000. La scena in cui il personaggio di Natalie Portman fa ascoltare a Andrew “New Slang” dicendo “questa canzone ti cambierà la vita” ha definito l’estetica e la sensibilità di un’intera epoca.
Juno (2007)
Juno MacGuff, un’adolescente arguta e sarcastica, scopre di essere incinta dopo un incontro con il suo timido amico Paulie Bleeker. Dopo aver considerato l’aborto, decide di dare il bambino in adozione a una coppia apparentemente perfetta che trova su un annuncio. Mentre la sua pancia cresce, Juno deve navigare le complessità delle relazioni, dell’amicizia e del mondo degli adulti, il tutto con il suo inconfondibile umorismo.
Juno è stato un fenomeno culturale che ha portato la sensibilità del cinema indipendente al grande pubblico, vincendo un Oscar per la sceneggiatura di Diablo Cody. Il film è stato celebrato (e talvolta criticato) per il suo dialogo iper-stilizzato e pieno di neologismi (“Honest to blog?”), che ha catturato la voce di una generazione. Al di là del suo stile, la forza di Juno risiede nel suo approccio compassionevole e non giudicante alla gravidanza adolescenziale. Non è un film a tesi, ma la storia di “una ragazza emancipata che fa una scelta”, raccontata con intelligenza, calore e un’originalità che ha lasciato il segno.
Commedie degli anni 2010
Gli anni 2010 segnano una mutazione genetica del genere. Mentre la classica commedia romantica da studio inizia a svanire, emergono voci femminili potenti e irriverenti (sulla scia di Le amiche della sposa) che scardinano definitivamente i vecchi stereotipi di genere. È il decennio in cui la risata si fa sempre più ibrida e consapevole: dal meta-cinema che gioca con le regole stesse della narrazione, alla “Sadcom” d’autore che usa l’umorismo per esplorare la depressione e l’identità nell’era digitale.
Submarine (2010)
Oliver Tate è un quindicenne gallese precoce e impacciato, determinato a raggiungere due obiettivi: perdere la verginità con la sua compagna di classe piromane, Jordana, e salvare il matrimonio dei suoi genitori, che sospetta stia andando in pezzi a causa di un vicino di casa, un guru new age. Attraverso la sua narrazione pomposa e le sue fantasie cinematografiche, Oliver affronta le turbolenze dell’adolescenza.
L’esordio alla regia di Richard Ayoade è un’opera visivamente inventiva e letteraria. Lo stile del film, fortemente influenzato dalla Nouvelle Vague e dal cinema di Wes Anderson, utilizza una narrazione autoconscia e un’estetica curata per entrare nella mente del suo protagonista. La comicità nasce dal contrasto tra la visione grandiosa che Oliver ha di sé e la realtà goffa delle sue azioni. Submarine è un’esplorazione spiritosa e malinconica dell’amore adolescenziale, delle crisi familiari e della difficoltà di trovare la propria voce in un mondo confuso.
Tiny Furniture (2010)
Aura, neolaureata in cinema, torna a casa nell’appartamento-loft dei suoi genitori a Tribeca, sentendosi completamente persa. Senza un lavoro, con una relazione sentimentale fallita e un rapporto complicato con la madre artista e la sorella adolescente, Aura naviga l’apatia post-universitaria tra feste imbarazzanti, incontri deludenti e una profonda incertezza sul proprio futuro.
Tiny Furniture è il film che ha lanciato la carriera di Lena Dunham e ha definito un’intera generazione di commedie indipendenti. Girato nella vera casa della Dunham, con sua madre e sua sorella nei rispettivi ruoli, il film è l’epitome dell’estetica mumblecore: semi-autobiografico, a basso budget e incentrato sul “malessere post-laurea”. La comicità è arguta e osservazionale, catturando con precisione le ansie di una generazione che lotta con il privilegio, la mancanza di direzione e “il disordine del diventare adulti”. È un ritratto onesto e senza filtri di un momento di transizione cruciale della vita.
Un cuento chino (2011)
Un cuento chino (distribuito internazionalmente come Chinese Take-Away) è una commedia drammatica argentina del 2011, scritta e diretta da Sebastián Borensztein. Il film è interpretato da Ricardo Darín nel ruolo di Roberto, il proprietario scontroso e metodico di un negozio di ferramenta a Buenos Aires, la cui vita solitaria è scandita da piccole ossessioni, come collezionare articoli di giornale su morti assurde (tra cui una mucca caduta dal cielo su una barca). La sua routine viene sconvolta quando Jun (Ignacio Huang), un giovane cinese che non parla una parola di spagnolo, viene scaraventato fuori da un taxi proprio davanti al suo negozio.
Mosso da un riluttante senso del dovere, Roberto accoglie Jun in casa sua, dando inizio a una convivenza tanto difficile quanto comica. Mentre Roberto cerca disperatamente di aiutare Jun a ritrovare lo zio, l’unico contatto che il ragazzo ha a Buenos Aires, i due uomini, pur non potendo comunicare verbalmente, iniziano a formare un legame improbabile. Il film è una storia commovente e divertente sull’accettazione, lo scontro culturale e la scoperta che eventi bizzarri, come una mucca caduta dal cielo, possono legare le persone in modi inaspettati. Un cuento chino è stato un successo internazionale, vincendo il Premio Goya per il Miglior Film Straniero in lingua spagnola e la “Concha de Oro” (Conchiglia d’Oro) come Miglior Film al Festival di San Sebastián.
Storie pazzesche (2014)
Storie pazzesche (titolo originale: Relatos salvajes) è un film a episodi del 2014, una commedia nera e antologia drammatica scritta e diretta dall’argentino Damián Szifrón, e co-prodotta dai fratelli Pedro e Agustín Almodóvar. Il film è composto da sei segmenti indipendenti uniti tematicamente. Ogni storia esplora i temi della vendetta, della repressione e della rabbia che esplode, portando persone comuni al punto di rottura e alla perdita di controllo in situazioni estreme.
I sei episodi sono: “Pasternak” (un prologo su un aereo); “Las ratas” (l’incontro tra una cameriera e l’usuraio che ha rovinato la sua famiglia); “El más fuerte” (un violento duello stradale tra due automobilisti); “Bombita” (un ingegnere esperto di demolizioni, interpretato da Ricardo Darín, esasperato dalla burocrazia); “La propuesta” (il tentativo di una famiglia benestante di coprire un incidente stradale mortale); e “Hasta que la muerte nos separe” (un ricevimento di nozze che degenera nel caos quando la sposa scopre un tradimento). Il film è stato un enorme successo di critica e pubblico, acclamato per la sua sceneggiatura tagliente e il suo stile provocatorio, ricevendo una nomination all’Oscar per il Miglior Film in Lingua Straniera.
Il cittadino illustre (2016)
Il cittadino illustre (titolo originale: El ciudadano ilustre) è un film argentino-spagnolo del 2016, una commedia nera e drammatica diretta da Gastón Duprat e Mariano Cohn, su sceneggiatura di Andrés Duprat. Il film è interpretato da Oscar Martínez nel ruolo di Daniel Mantovani, un autore argentino vincitore del Premio Nobel per la Letteratura che vive da decenni in Europa. Stanco degli impegni ufficiali, decide a sorpresa di rifiutare ogni invito e accettare solo quello della sua sonnolenta città natale, Salas, che non visita da 40 anni e che gli offre un premio come “Cittadino Illustre”.
Quello che inizia come un ritorno trionfale si trasforma presto in un incubo farsesco. Mantovani, un uomo complesso, arrogante e distaccato, si scontra con la realtà di una città che è stata la fonte d’ispirazione per tutti i suoi romanzi, ma i cui abitanti si sentono allo stesso tempo orgogliosi e denigrati dalle sue opere. Il film è una satira pungente sul provincialismo, il prezzo della fama e il rapporto conflittuale tra un artista e la sua terra d’origine. L’interpretazione di Martínez è stata acclamata a livello internazionale, vincendo la Coppa Volpi per la Miglior Interpretazione Maschile al Festival di Venezia 2016.
The Lobster (2015)
In un futuro distopico, le persone single vengono arrestate e trasferite in un hotel dove hanno 45 giorni per trovare un partner. Se falliscono, vengono trasformate in un animale a loro scelta. David, un uomo appena lasciato dalla moglie, sceglie di diventare un’aragosta. All’interno dell’hotel, le regole sono rigide e le interazioni grottesche, spingendo David a fuggire e unirsi a un gruppo di ribelli solitari nella foresta, dove, paradossalmente, ogni forma di romanticismo è proibita.
Con The Lobster, Yorgos Lanthimos ha introdotto il mondo alla “Greek Weird Wave”, un cinema surreale e impassibile. Il film è una satira allegorica e spietata delle pressioni sociali che ci spingono a formare una coppia. La commedia, nerissima e assurda, scaturisce dalla recitazione volutamente piatta e priva di emozioni dei personaggi, che affrontano situazioni bizzarre e violente con una calma inquietante. Lanthimos crea un’allegoria brillante sulla superficialità delle relazioni moderne, dove la compatibilità è ridotta a tratti superficiali e l’amore è una performance obbligatoria per sopravvivere.
Sorry to Bother You (2018)
Cassius “Cash” Green, un giovane afroamericano in difficoltà economiche, trova lavoro in un call center. La sua carriera decolla quando un collega anziano gli insegna a usare la sua “voce da bianco”, un’arma che gli apre le porte del successo e lo proietta ai piani alti dell’azienda. Lì, scopre un universo distopico e surreale di sfruttamento del lavoro e manipolazione genetica, costringendolo a scegliere tra la ricchezza e la sua coscienza.
L’esordio alla regia di Boots Riley è un’opera audace e imprevedibile, una satira selvaggia del capitalismo, del razzismo e della cultura aziendale. Il film inizia come una commedia sul posto di lavoro per poi trasformarsi in un ibrido fantascientifico e horror. Il concetto centrale della “voce da bianco” è un commento acuto sul “code-switching” e sulla necessità di assimilarsi per avere successo. L’umorismo assurdo e dark di Riley non è fine a se stesso, ma serve a veicolare una critica sociale radicale e senza compromessi, rendendo Sorry to Bother You uno dei film più originali e politicamente carichi degli ultimi anni.
The Death of Stalin (La morte di Stalin) (2017)
Mosca, 1953. Quando il dittatore Iosif Stalin muore improvvisamente, i suoi più stretti collaboratori e parassiti del Comitato Centrale si lanciano in una frenetica e spietata lotta per il potere. Tra complotti, tradimenti e decisioni farsesche, personaggi come Nikita Chruščëv, Lavrentij Berija e Georgij Malenkov si contendono la successione, rivelando l’assurdità e la brutalità del regime totalitario.
Armando Iannucci, maestro della satira politica con opere come The Thick of It e Veep, applica il suo stile inconfondibile all’Unione Sovietica stalinista. La commedia nerissima del film nasce dal contrasto tra le meschine beghe burocratiche dei protagonisti e la terrificante realtà della violenza di stato. Iannucci non scherza sul totalitarismo, ma trova “lo scherzo più malato, triste e antico dell’umanità” nell’esistenza stessa dell’autoritarismo. Il film è una farsa grottesca e intelligente che espone la banalità del male e l’incompetenza che spesso si nasconde dietro il potere assoluto.
Your Sister’s Sister (2011)
Ancora in lutto per la morte del fratello, Jack accetta l’invito della sua migliore amica Iris a trascorrere un periodo di solitudine nella baita di famiglia. Al suo arrivo, scopre che la baita è già occupata da Hannah, la sorella di Iris, anche lei in cerca di pace dopo la fine di una lunga relazione. Una notte di tequila e confidenze porta a conseguenze inaspettate, complicate ulteriormente dall’arrivo a sorpresa di Iris il mattino seguente.
Lynn Shelton, una delle figure chiave del movimento mumblecore, dirige un film che si affida quasi interamente alla forza delle performance e dell’improvvisazione. La comicità nasce dalla situazione semplice ma emotivamente carica e dalle interazioni naturali tra i tre protagonisti. L’assenza di una sceneggiatura rigida permette di esplorare le complesse dinamiche relazionali con un “calore genuino”. È un esempio perfetto di come il cinema indipendente possa creare una narrazione avvincente e divertente con pochi elementi, concentrandosi sulla chimica degli attori e sulla verità dei loro personaggi.
Frances Ha (2012)
Frances, una ballerina di 27 anni a New York, vede il suo mondo crollare quando la sua migliore amica e coinquilina, Sophie, decide di trasferirsi. Improvvisamente alla deriva, Frances si lancia in una serie di decisioni impulsive, saltando da un appartamento all’altro, facendo un viaggio improvvisato a Parigi e cercando disperatamente di mantenere viva la sua carriera e la sua identità. La sua goffaggine e il suo ottimismo incrollabile la guidano attraverso le difficoltà.
Frances Ha rappresenta l’evoluzione artistica del mumblecore, unendo la sua estetica naturalistica con l’eleganza visiva della Nouvelle Vague francese. La collaborazione tra il regista Noah Baumbach e la sceneggiatrice e attrice Greta Gerwig produce un ritratto toccante e divertente di un’età incerta. Girato in un bianco e nero luminoso, il film è uno studio di carattere su un’eroina “argutamente autoconsapevole ma simpaticamente ingenua”. Cattura con precisione il dolore della fine di un’amicizia femminile e la lotta per trovare il proprio posto nel mondo quando non si è più giovani ma non ancora veramente adulti.
Drinking Buddies (2013)
Kate e Luke lavorano insieme in un birrificio artigianale di Chicago e sono migliori amici. La loro relazione è fatta di battute, birre e una chimica innegabile, ma entrambi sono fidanzati con altre persone. Quando le due coppie trascorrono un weekend insieme in una casa sul lago, le linee sottili tra amicizia e attrazione romantica diventano ancora più sfocate, costringendo tutti a confrontarsi con i propri sentimenti inespressi.
Joe Swanberg, un altro pilastro del mumblecore, dirige un film in cui “non succede molto” in termini di trama, ma tutto accade sotto la superficie. La narrazione è guidata dalle performance largamente improvvisate e dalla chimica palpabile tra gli attori. Il film esplora con realismo le zone grigie delle relazioni moderne, dove l’amicizia platonica è costantemente messa alla prova da una tensione romantica latente. Drinking Buddies è un’opera sottile e agrodolce, che lascia lo spettatore a meditare sulla natura complessa e spesso irrisolta del desiderio.
Support the Girls (2018)
Lisa è la manager di Double Whammies, un bar sportivo simile a Hooters. Durante una giornata particolarmente caotica, deve affrontare un tentativo di rapina, problemi con il cavo della TV durante un importante incontro di boxe e le crisi personali delle sue dipendenti, che tratta come una famiglia. Con un’energia e un’empatia inesauribili, Lisa cerca di mantenere il controllo, l’ottimismo e la dignità in un ambiente di lavoro precario e spesso degradante.
Andrew Bujalski, considerato il “padrino del mumblecore”, applica il suo caratteristico stile naturalistico a una commedia ambientata sul posto di lavoro. Il film è un ritratto compassionevole e realistico della solidarietà femminile e del lavoro emotivo che sta dietro al settore dei servizi. La performance centrale di Regina Hall è straordinaria, trasformando l’empatia in una forza attiva e avvincente. Support the Girls trova umorismo e umanità nella routine quotidiana, celebrando la resilienza e la sorellanza di donne che si sostengono a vicenda in un mondo che troppo spesso le svaluta.
Safety Not Guaranteed (2012)
Tre giornalisti di una rivista di Seattle indagano su un bizzarro annuncio di ricerca personale: un uomo cerca un compagno per viaggiare nel tempo. La cinica stagista Darius si infiltra per guadagnare la fiducia dell’eccentrico Kenneth, un commesso di supermercato paranoico ma stranamente affascinante. Mentre lo aiuta a prepararsi per la sua missione, Darius inizia a chiedersi se Kenneth sia un pazzo o se stia dicendo la verità, e si ritrova coinvolta in un’avventura che sfida le sue convinzioni.
Safety Not Guaranteed è un perfetto esempio di film del Sundance che mescola generi diversi con grazia e originalità. La sua premessa fantascientifica non è un semplice espediente, ma una potente metafora del rimpianto, della fede e del bisogno umano di connessione. Il film utilizza l’idea del viaggio nel tempo per esplorare il desiderio di correggere gli errori del passato e di trovare qualcuno con cui condividere il presente. È una commedia romantica intelligente e toccante, che privilegia i personaggi e la risonanza emotiva rispetto alla meccanica della fantascienza.
What We Do in the Shadows (Vita da vampiro) (2014)
Una troupe di documentaristi segue la vita quotidiana di quattro coinquilini vampiri a Wellington, in Nuova Zelanda. Viago, Deacon, Vladislav e Petyr, di età diverse e provenienti da epoche diverse, devono affrontare i problemi della vita moderna: pagare l’affitto, dividersi le faccende domestiche, cercare di entrare nei locali notturni e, naturalmente, procurarsi sangue umano. La loro non-vita viene ulteriormente complicata quando trasformano un hipster in un nuovo vampiro.
Taika Waititi e Jemaine Clement reinventano il genere vampiresco applicando il formato del mockumentary alla mitologia horror. La genialità del film risiede nel giustapporre l’ordinario e il soprannaturale. La comicità scaturisce dai conflitti banali e domestici di creature antiche e potenti che lottano per adattarsi al mondo contemporaneo. È un’opera che demistifica brillantemente i cliché dei vampiri, trasformando l’orrore gotico in una commedia esilarante sulla difficoltà della convivenza e sull’amicizia.
Tangerine (2015)
È la vigilia di Natale a Hollywood, e la prostituta transgender Sin-Dee Rella, appena uscita di prigione, scopre dalla sua migliore amica Alexandra che il suo fidanzato e protettore l’ha tradita con una donna cisgender. Furiosa, Sin-Dee si lancia in una frenetica ricerca per le strade di Los Angeles per trovare i due e ottenere la sua vendetta, trascinando con sé chiunque incroci il suo cammino.
Tangerine è un film rivoluzionario sia dal punto di vista tecnico che tematico. Girato interamente con tre iPhone 5s, il film di Sean Baker possiede un’energia grezza e vibrante che cattura perfettamente il ritmo frenetico della sua storia. Questa scelta estetica non è un vezzo, ma uno strumento che conferisce alla narrazione un’immediatezza quasi documentaristica. Oltre all’innovazione tecnica, il film è un ritratto potente e compassionevole di una sottocultura raramente rappresentata al cinema, offrendo uno sguardo autentico e senza filtri sulla vita delle sex worker transgender. È un’opera “esuberantemente cruda”, divertente e allo stesso tempo profondamente toccante.
Sing Street (2016)
Nella Dublino degli anni ’80, colpita dalla recessione economica, il giovane Conor è costretto a lasciare la sua scuola privata per una scuola pubblica più dura. Per impressionare la misteriosa e affascinante Raphina, le dice di essere in una band e le chiede di apparire nel loro video musicale. Ora Conor deve mantenere la promessa: forma una band con alcuni compagni di scuola, si ribattezza “Cosmo” e si tuffa nelle vibranti tendenze musicali dell’epoca, dai Duran Duran ai The Cure.
John Carney, già regista di Once, crea un’altra commedia musicale “felice-triste” e irresistibile. Sing Street utilizza la musica come veicolo di evasione dalla realtà difficile di una crisi economica e di una famiglia in frantumi. Il film è un’elettrizzante e ottimista storia di formazione, con una colonna sonora strepitosa che funge da motore narrativo. Celebra il potere trasformativo della creatività, la capacità della musica di dare voce ai propri sentimenti, di costruire un’identità e, forse, di conquistare il cuore di qualcuno.
The Big Sick (2017)
Kumail, un comico di origini pakistane, si innamora di Emily, una studentessa americana, dopo uno dei suoi spettacoli. La loro relazione si complica a causa delle pressioni della famiglia tradizionalista di Kumail, che si aspetta per lui un matrimonio combinato. Quando Emily viene colpita da una misteriosa malattia e finisce in coma, Kumail si ritrova a gestire la crisi con i genitori di lei, che non aveva mai incontrato, affrontando un conflitto tra il suo cuore e le sue tradizioni.
Basato sulla vera storia d’amore tra lo sceneggiatore e attore Kumail Nanjiani e sua moglie Emily V. Gordon, The Big Sick è una commedia autobiografica di rara onestà e profondità. Il film naviga con abilità tra commedia romantica, dramma ospedaliero e scontro culturale, trovando umorismo e calore in una situazione incredibilmente difficile. La sua forza risiede nell’autenticità dei sentimenti e nella capacità di raccontare una storia profondamente personale che risuona a livello universale, esplorando l’amore, la famiglia e la difficoltà di definire la propria identità tra due culture.
Lady Bird (2017)
Christine “Lady Bird” McPherson è all’ultimo anno di liceo cattolico a Sacramento, California, una città che disprezza e da cui sogna di fuggire per frequentare un college sulla East Coast. Il suo ultimo anno è un turbine di prime esperienze: il primo amore, le recite scolastiche, le candidature al college e, soprattutto, un rapporto turbolento e amorevole con sua madre, una donna forte e ostinata come lei.
L’esordio alla regia di Greta Gerwig è un capolavoro del genere coming-of-age, un’opera semi-autobiografica di straordinaria sensibilità. Il film cattura con precisione e umorismo le specificità del crescere a Sacramento nei primi anni 2000, ma la sua vera forza è il ritratto sfumato e autentico del rapporto madre-figlia. Gerwig esplora con intelligenza e pathos i temi dell’identità, del senso di appartenenza e del processo doloroso ma necessario di separazione dalla propria famiglia e dalla propria casa. È un film divertente, toccante e universalmente riconoscibile.
Eighth Grade (2018)
Kayla Day sta affrontando l’ultima, terribile settimana dell’ottavo anno di scuola media. Timida e ansiosa, lotta per farsi degli amici e per essere accettata dai suoi coetanei. Per affrontare le sue insicurezze, gestisce un canale YouTube in cui dispensa consigli sulla fiducia in se stessi a un pubblico quasi inesistente. Mentre cerca di sopravvivere a feste in piscina e cotte non corrisposte, il suo unico vero sostegno è il padre single, che cerca disperatamente di connettersi con lei.
Eighth Grade è la storia di formazione definitiva per la generazione dei social media. Scritto e diretto dal comico Bo Burnham, il film offre un ritratto incredibilmente empatico e autentico dell’ansia che pervade l’adolescenza moderna. La performance di Elsie Fisher, che aveva appena finito l’ottavo anno, è di una veridicità disarmante. Burnham cattura magistralmente come la lotta per la costruzione dell’identità oggi venga performata online, per un pubblico anonimo, amplificando le insicurezze e la solitudine. È un film dolorosamente divertente e profondamente commovente.
Booksmart (La rivincita delle sfigate) (2019)
Alla vigilia del diploma, le due migliori amiche e studentesse modello Amy e Molly si rendono conto di aver sprecato gli anni del liceo sui libri, mentre i loro compagni festaioli sono riusciti comunque a entrare in ottimi college. Determinate a recuperare il tempo perduto, decidono di concentrare quattro anni di divertimento in un’unica, folle notte, imbarcandosi in un’odissea di feste, disavventure e scoperte inaspettate.
L’esordio alla regia di Olivia Wilde è una ventata d’aria fresca nel genere della commedia liceale. Booksmart reinventa la formula della “notte folle” con una prospettiva femminile intelligente ed energica. Il film è una celebrazione esilarante e sincera dell’amicizia femminile, e si distingue per la sua modernità, rappresentando con naturalezza la diversità e la sessualità dei suoi personaggi. È una commedia audace, progressista e incredibilmente divertente, che ha stabilito un nuovo standard per il genere.
Commedie degli anni 2020
Negli anni 2020 la commedia diventa lo specchio di un mondo in crisi. È il trionfo della Satira Sociale (sulla scia di Parasite e Triangle of Sadness), dove l’umorismo viene usato come bisturi per dissezionare le disuguaglianze di classe e i paradossi del capitalismo. Ma è anche l’era della fluidità: i confini tra cinema e streaming si assottigliano, permettendo a voci più diverse e sperimentali di emergere. La risata di questo decennio è spesso scomoda, surreale e profondamente legata all’assurdità della vita contemporanea.
Kajillionaire (2020)
Old Dolio fa parte di una famiglia di truffatori di piccolo calibro a Los Angeles. I suoi genitori, Robert e Theresa, l’hanno cresciuta non come una figlia, ma come una complice nelle loro truffe. La loro dinamica disfunzionale e priva di affetto viene sconvolta quando, durante un colpo, coinvolgono una sconosciuta, Melanie, che introduce nella vita di Old Dolio un calore e una normalità che non ha mai conosciuto.
Miranda July ritorna con la sua inconfondibile miscela di comicità eccentrica, delicata e filosofica. Il film utilizza la stramba famiglia di truffatori come metafora di un’educazione puramente transazionale, priva di amore. L’umorismo è strano e spiazzante, tipico dello stile della July, che mantiene una certa distanza emotiva dallo spettatore per esplorare meglio i temi della solitudine e del bisogno disperato di una connessione umana autentica. Kajillionaire è un’opera originale e toccante sulla possibilità di sfuggire a un’eredità emotiva tossica.
Druk (Another Round – Un altro giro) (2020)
Quattro insegnanti di liceo, annoiati e in piena crisi di mezza età, decidono di testare una teoria secondo cui gli esseri umani nascono con un deficit di alcol nel sangue. Iniziano un esperimento per mantenere un tasso alcolemico costante durante il giorno, sperando di ritrovare creatività e gioia di vivere. Inizialmente, i risultati sono sorprendenti, ma presto l’esperimento sfugge di mano, portando a conseguenze tanto euforiche quanto tragiche.
La tragicommedia di Thomas Vinterberg è un’esplorazione complessa e toccante della mascolinità, della crisi esistenziale e del rapporto ambivalente con l’alcol. Il film è al tempo stesso una “celebrazione dell’alcol” e un “quadro sfumato” della sua potenza distruttiva. Vinterberg bilancia magistralmente momenti di liberazione gioiosa e quasi danzante con le devastanti conseguenze della dipendenza. La scena finale, con un Mads Mikkelsen straordinario, è un capolavoro di ambiguità emotiva, un’esplosione di euforia e disperazione che lascia lo spettatore senza fiato e con molte domande.
Red Rocket (2021)
Mikey Saber, un’ex pornostar fallita, torna con la coda tra le gambe nella sua piccola città natale in Texas, cercando ospitalità dalla sua ex moglie e dalla suocera. Carismatico, manipolatore e completamente privo di scrupoli, Mikey cerca di rimettersi in piedi, ma i suoi piani prendono una piega pericolosa quando incontra una diciassettenne di nome Strawberry, che vede come il suo biglietto di ritorno per il successo.
Red Rocket è un perfetto esempio del “cinema del disagio” di Sean Baker. È una dark comedy incentrata su un protagonista quasi impossibile da amare, un antieroe magnetico e spregevole. Baker utilizza la figura di Mikey per creare uno studio di carattere provocatorio e moralmente complesso. L’umorismo nasce dalle sue truffe, dalle sue illusioni e dalla sua totale mancanza di autocoscienza, ma è una risata amara, che costringe lo spettatore a confrontarsi con il lato più oscuro e opportunista del sogno americano, sullo sfondo dell’elezione di Donald Trump.
Licorice Pizza (2021)
Nella San Fernando Valley del 1973, il quindicenne Gary Valentine, un attore bambino con la parlantina sciolta, si innamora perdutamente di Alana Kane, un’assistente fotografa di venticinque anni. Nonostante la differenza d’età, i due intraprendono un’amicizia e una partnership commerciale altalenante, navigando tra crisi petrolifere, materassi ad acqua, flipper e incontri surreali con personaggi eccentrici della Hollywood dell’epoca, come il produttore Jon Peters.
Con Licorice Pizza, Paul Thomas Anderson ritorna ai luoghi della sua infanzia per creare un’opera libera, nostalgica e piena di vita. Il film abbandona la struttura narrativa rigida per un andamento episodico e divagante, che cattura perfettamente l’energia caotica e le possibilità infinite dell’adolescenza. La comicità scaturisce dalla chimica tra i due esordienti protagonisti, Alana Haim e Cooper Hoffman, e dalle apparizioni esilaranti di attori come Bradley Cooper e Sean Penn. Più che da una trama, il film è guidato da un’atmosfera, un sentimento, un’immersione totale in un’epoca e in un’età in cui tutto sembra possibile.
Funny Pages (2022)
Robert, un liceale e aspirante fumettista underground, abbandona la sua comoda vita suburbana per inseguire il suo sogno artistico. Si trasferisce in un seminterrato squallido e surriscaldato, trovando un mentore riluttante in Wallace, un ex disegnatore di fumetti mentalmente instabile. Il suo percorso di formazione è un’immersione in un mondo grottesco, popolato da personaggi bizzarri e situazioni scomode.
Prodotto dai fratelli Safdie, Funny Pages è un “film anti-formazione” che rifiuta ogni sentimentalismo. La sua estetica sporca e a bassa fedeltà rispecchia perfettamente il mondo dei fumetti alternativi che celebra. La commedia è oscura, quasi dolorosa, e scaturisce da un universo “brutto”, da spazi claustrofobici e da una costante sensazione di minaccia. È un ritratto crudo e autentico di un adolescente che romanticizza uno stile di vita miserabile e sovversivo, una boccata d’aria fresca e maleodorante nel panorama spesso edulcorato delle storie di crescita.
Il libro delle soluzioni (2022)
Il libro delle soluzioni (titolo originale: Le Livre des solutions) è una commedia drammatica francese del 2023, scritta e diretta da Michel Gondry. Il film, semi-autobiografico, è interpretato da Pierre Niney, Blanche Gardin e Françoise Lebrun. La trama è incentrata su Marc (Niney), un regista talentuoso ma profondamente nevrotico e paranoico, in piena crisi creativa. Dopo essersi scontrato con i suoi produttori, che giudicano il suo nuovo film “infilmabile”, Marc “rapisce” il suo stesso progetto, rubando i dischi rigidi del girato.
Marc fugge con il materiale e la sua devota montatrice, Charlotte (Gardin), per rifugiarsi nella casa di campagna della zia Denise (Lebrun), nel cuore delle Cevenne. Determinato a finire il film in piena autonomia e lontano dalle pressioni dell’industria, Marc sprofonda in un vortice di caos creativo. La sua energia maniacale lo porta a idee bizzarre e a metodi di lavoro tirannici, mentre cerca di risolvere i suoi problemi (e quelli del mondo) compilando una guida letterale, il “Libro delle soluzioni”. Il film segna il ritorno di Gondry a uno stile più personale, un ritratto affettuoso del confine tra genio e follia nel processo creativo.
CODA (I segni del cuore) (2021)
Ruby Rossi è l’unica persona udente in una famiglia di sordi. La sua vita a Gloucester, Massachusetts, è divisa tra l’aiutare la famiglia nella loro attività di pesca e la sua passione segreta per il canto. Quando il suo insegnante di musica la incoraggia a fare un’audizione per una prestigiosa scuola di musica, Ruby si trova di fronte a una scelta difficile: seguire i suoi sogni o rimanere per aiutare la sua famiglia, che dipende da lei come interprete.
Passato dal successo al Sundance alla vittoria come Miglior Film agli Oscar, CODA è un film che unisce una classica storia di formazione con un ritratto innovativo e autentico di una famiglia sorda, interpretata da attori sordi. Il film è “esilarante e straziante”, trovando umorismo nelle interazioni schiette e senza filtri della famiglia Rossi e una profonda potenza emotiva nell’esplorazione della comunicazione, del senso del dovere e del coraggio di inseguire i propri sogni. È una commedia che scalda il cuore, capace di far ridere e commuovere con la stessa intensità.
Palm Springs (2020)
Durante un matrimonio a Palm Springs, il disinvolto Nyles e la damigella d’onore Sarah, sorella della sposa, si ritrovano inspiegabilmente intrappolati in un loop temporale, costretti a rivivere lo stesso giorno all’infinito. Mentre Nyles ha da tempo accettato il suo destino con nichilismo, Sarah è determinata a trovare una via d’uscita. La loro prigionia condivisa li porta a esplorare le possibilità infinite di una vita senza conseguenze, ma anche a confrontarsi con i loro demoni interiori.
Palm Springs reinventa in modo intelligente il genere della commedia sul loop temporale, reso celebre da Ricomincio da capo. La novità della sceneggiatura sta nel porre due personaggi all’interno del loop, trasformando un’esperienza solipsistica in una dinamica di coppia. Questo permette al film di esplorare temi come il nichilismo, la connessione e la paura dell’intimità all’interno di una cornice fantascientifica e romantica. Rilasciato durante la pandemia, il film ha risuonato profondamente con il sentimento collettivo di essere bloccati in una routine infinita, offrendo una fuga divertente e sorprendentemente profonda.
Theater Camp (2023)
Quando la fondatrice di AdirondACTS, un campo estivo di teatro per ragazzi perennemente a corto di fondi, finisce in coma, suo figlio Troy, un “business influencer” completamente estraneo a quel mondo, deve prenderne le redini. Insieme a un gruppo di insegnanti eccentrici e appassionati, Troy deve salvare il campo dalla bancarotta, mettendo in scena un musical originale sulla vita di sua madre, intitolato “Joan, Still.
Sulla scia della tradizione di Christopher Guest, Theater Camp è un mockumentary affettuoso, “fatto da, per e su” gli appassionati di teatro. L’umorismo nasce dalla serietà quasi religiosa con cui i personaggi affrontano il mondo del teatro amatoriale e dalla loro passione smisurata e spesso esagerata. Il film riesce a bilanciare la satira del mondo teatrale con un amore genuino per i suoi personaggi e la loro dedizione. È una celebrazione divertente e toccante del potere della comunità e dell’arte di “mettere su uno spettacolo” contro ogni previsione.
The Holdovers (Lezioni di vita) (2023)
Paul Hunham, un odiato e burbero professore di lettere classiche di un collegio del New England, è costretto a rimanere a scuola durante le vacanze di Natale per supervisionare gli studenti che non hanno un posto dove andare. Si ritrova bloccato con un unico studente, il brillante ma problematico Angus, e con la capocuoca della scuola, Mary, in lutto per la perdita del figlio in Vietnam. Insieme, questi tre improbabili compagni formano una famiglia improvvisata.
The Holdovers segna il ritorno di Alexander Payne a una forma smagliante, con una commedia drammatica che sembra uscita direttamente dagli anni ’70. Il film esplora la dinamica della “famiglia trovata” che si crea tra tre persone sole e ferite, costrette a passare le feste insieme. La pellicola è “costantemente divertente”, grazie soprattutto all’interpretazione magistrale di Paul Giamatti, ma è anche pervasa da una profonda malinconia. È una storia guidata dai personaggi, che trova umorismo, grazia e speranza nelle vite di tre anime solitarie che imparano a prendersi cura l’una dell’altra.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione

