Adagio

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Adagio è un film thriller del 2023 diretto da Stefano Sollima, che chiude così la cosiddetta “trilogia della Roma criminale” iniziata con Romanzo criminale – La serie (2008-2010) e proseguita con Suburra (2015).

Il film è ambientato a Roma, nel giorno di Natale. Manuel è un ragazzo di 16 anni che vive in una famiglia in difficoltà economica. Manuel è un ragazzo buono e sensibile, ma è anche un po’ ingenuo e facilmente influenzabile.

Una notte, Manuel viene coinvolto in un omicidio. L’omicidio è stato commesso da un gruppo di criminali che cercano di incastrare un uomo innocente. Manuel, inconsapevolmente, diventa un testimone scomodo.

I criminali iniziano a ricattare Manuel, minacciando di uccidere la sua famiglia se non collabora. Manuel è terrorizzato, ma non è disposto a cedere al ricatto.

Manuel inizia a indagare sull’omicidio, cercando di scoprire chi sia il vero colpevole. Nel corso delle sue indagini, Manuel si ritrova a confrontarsi con la realtà della criminalità organizzata.

La trama

La trama di Adagio è semplice ma efficace. Il film segue le vicende di Manuel, un ragazzo che si ritrova coinvolto in un mondo che gli è estraneo. Manuel è un ragazzo innocente, che non ha mai avuto a che fare con la criminalità organizzata. Tuttavia, l’omicidio di cui è testimone lo costringe a confrontarsi con una realtà che non conosce.

Le indagini di Manuel lo portano a scoprire le insidie della criminalità organizzata. Manuel si rende conto che la violenza e la corruzione sono alla base di questo mondo. Manuel vede con i suoi occhi come la criminalità organizzata distrugge la vita delle persone e la società nel suo complesso.

La regia

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Il film è ben girato e montato, e la regia è coinvolgente e avvincente. Sollima crea un’atmosfera cupa e opprimente, che rispecchia la realtà della criminalità organizzata.

La regia di Sollima è particolarmente efficace nelle scene d’azione. Le scene di violenza sono realistiche e crude, e trasmettono la brutalità della criminalità organizzata.

Le interpretazioni

Le interpretazioni degli attori sono uno dei punti di forza di Adagio. Pierfrancesco Favino è perfetto nel ruolo di Manuel. Favino riesce a trasmettere la fragilità e la determinazione di un ragazzo che deve crescere troppo in fretta.

Toni Servillo è magistrale nel ruolo del boss della criminalità organizzata. Servillo crea un personaggio carismatico e pericoloso, che incute timore e rispetto.

Anche gli altri attori sono bravi nelle loro interpretazioni. Valerio Mastandrea, Adriano Giannini, Gianmarco Franchini, Francesco Di Leva e Lorenzo Adorni danno vita a personaggi credibili e realistici.

Recensione

di Fabio Del Greco

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Adagio è girato tecnicamente in maniera impeccabile, con degli obiettivi luminosi con un diaframma molto aperto: vediamo a fuoco i personaggi e qualsiasi cosa intorno a loro appare sfocata come in un incubo, in un annebbiamento della coscienza. Adagio è viaggio allucinato in un mondo che non si riesce a focalizzare, annebbiato dai fumi dell’incendio che brucia Roma e che disegna uno scenario apocalittico, da un caldo asfissiante che opprime la città. 

Roma brucia ed è una città sporca, tetra, plumbea, corrotta. Non vediamo mai la Roma de La grande bellezza, tranne nella scena iniziale del party trasgressivo: vediamo le periferie, il Laurentino 38 dove abita il capo della banda dei Carabinieri corrotti che all’inizio del film guarda tutta l’operazione per incastrare il politico attraverso un tablet, mentre prepara gli spaghetti ai suoi due figli, che sono l’unico riscatto di amore per un personaggio destinato alla dannazione. 

Il ragazzo non se la sente di proseguire la sua missione e scappa dalla festa, spaventato dalle telecamere che sono disseminate ovunque. A quel punto non ha più speranza perché i criminali lo devono eliminare in quanto sa chi sono e potrebbe denunciarli. 

Tutti questi pretesti narrativi, se analizzati un po’ più a fondo, sono piuttosto deboli e sono dei cliché che abbiamo già visto molte volte. Il fatto che la fuga di Daniel dia inizio a questa sequela di omicidi e alla caccia all’uomo sembra poco verosimile perché loro non sanno il motivo per cui è scappato: ha solo chiuso il telefono.

Così come affatto verosimile sono i fatti iniziali che portano i criminali a dare la caccia ad un ragazzo che in realtà è un loro collaboratore ed è stato scelto per incastrare un politico di alto livello. Un ragazzo che avrebbe potuto tradirli in qualunque momento anche prima della fuga.

È un pretesto più che un vero e proprio colpo di scena, per far iniziare l’azione. In realtà di azione in questo film ce n’è poca: la storia rimane minimale, brucia lentamente, come forse vuol suggerire il titolo, senza diventare mai troppo spettacolare, se non nella parte finale, preferendo concentrarsi sui personaggi e le loro vite destinate alla dannazione. 

Il finale è un’altra scena “standard”: inseguimento nella stazione Tiburtina di Roma con la folla di persone che sta partendo e che si ritrova in mezzo a questa caccia all’uomo che coinvolge “il cammello”, interpretato da Pierfrancesco Favino, Daniel e i poliziotti corrotti che tentano il tutto per tutto per catturare il ragazzo.

La sceneggiatura di “Adagio” è poco convincente e molte svolte della trama sono deboli, pretesti per proseguire il racconto, come ad esempio quando il Cammello dice al ragazzo di partire da Roma: una cosa scontata che Daniel avrebbe potuto ideare da solo già a metà film. Sollima sembra lontano dalla struttura di “Soldado” il seguito di Sicario diretto da Villeneuve, un film decisamente più riuscito girato negli Stati Uniti.

Qui invece la parte più apprezzabile del film è la fotografia, la regia solida senza sbavature al servizio della storia. Una regia “di mestiere” che non raggiunge grandi vette ma che svolge tutto il lavoro in maniera professionale. Un altro punto forte del film sono gli attori: Favino. Mastrandrea e Servillo sono in ottima forma. Convince meno il ragazzo protagonista che ha momenti di incertezza, troppo recitati e poco credibili. Ma le interpretazioni dei 3 attori adulti sono notevoli.

Il vecchio ex delinquente che ha perso la testa, soprannominato “Paul Newman”, interpretato da Mastrandrea, un ex malavitoso che è rimasto cieco e che è il primo a cercare di aiutare il ragazzo e poi ad essere ucciso. Il padre del ragazzo, Servillo, interpretato in maniera ineccepibile, e Favino, in una metamorfosi mostruosa in un personaggio che mugugna più che parlare, una via di mezzo tra il gobbo di Notredame e Nosferatu, si muove curvo, animalesco, truccato in maniera inquietante.

Anche se bisogna dire che il modo di recitare in dialetto romanesco, con le parole a malapena comprensibili, è arrivato un po’ al limite: l’abbiamo visto troppe volte in prodotti spesso mediocri ed è arrivato il momento di inventarsi un altro tipo di di recitazione “criminale”. 

In sintesi Adagio è un buon film, ma non esce dai cliché della produzione mainstream attuale che piace al pubblico, che dà una facciata, una patina da film d’autore a qualcosa che non lo è. I personaggi sono scritti in maniera monodimensionale, incattiviti dalla vita, animaleschi, pericolosi, ma non hanno le sfaccettature di un personaggio che ci possa apparire realistico. Gomorra di Matteo Garrone è agli antipodi di questo film, che non sfiora minimamente quella intensità registica, quei volti indimenticabili e quella profondità drammatica. 

Questa saga criminale, iniziata con Suburra, proseguita con la serie TV, con Adagio ha un approccio che non lo porta sicuramente nella categoria di film da non perdere: è un buon prodotto che può piacere al pubblico, sempre più ipnotizzato da questo modello di cinema, e si allinea in quella categoria di film distribuiti sulle piattaforme commerciali che sono realizzati cercando di attirare vari target di pubblico, anche quello cinefilo. Sicuramente qualcuno avrà da contestare queste affermazioni dicendo “Basta con queste distinzioni tra cinema d’arte e cinema commerciale, che motivo hanno di esistere? Un film è un film!”.

Ecco, questo è proprio quello che l’apparato, la trappola dentro cui siamo vuol farci credere: che esiste un unico cesto e in questo cesto c’è ogni cosa, dal cinema d’arte alla saga criminale, alla serie TV. Sono due universi che vogliono essere mischiati e confusi da chi gestisce il sistema, da chi distribuisce film a livello globale, in modo da cancellare definitivamente l’idea del cinema come forma d’arte.

Ma in realtà sono due universi completamente separati: il percorso dell’Arte è un percorso di ricerca dell’autore che poi incontra un percorso di ricerca di identità, di senso della vita, di consapevolezza. Il cinema di intrattenimento, pur se fatto bene come in questo caso, non incontra i temi più ampi della vita umana e rimane semplicemente un intervallo d’intrattenimento, un prodotto da consumare e da dimenticare in fretta. 

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