Il cinema distopico opera su due livelli: ci mostra come appare un futuro spezzato e come ci si sente a viverci. L’immaginario collettivo è segnato da spettacoli grandiosi: città in rovina, ribellioni su larga scala e tecnologie futuristiche che dominano lo schermo. Ma la forza del genere risiede anche nell’esplorazione dell’angoscia silenziosa della vita quotidiana sotto il giogo di un controllo opprimente, che sia esso corporativo, burocratico o filosofico.
Questa guida è un viaggio attraverso le nostre ansie collettive, un percorso che traccia l’evoluzione delle nostre paure. Si parte dal terrore dello Stato totalitario e della paranoia della Guerra Fredda, per poi attraversare gli incubi generati dalla saturazione mediatica, dall’assurdità burocratica e dalla fusione tra carne e macchina. Infine, si approda alle nostre ossessioni più contemporanee: la frammentazione dell’identità nell’era digitale, la mercificazione del sé e l’abisso etico di una tecnologia senza controllo.
È un percorso che unisce i capolavori più celebri a un cinema indie più radicale. Questi non sono solo avvertimenti per il futuro; sono diagnosi spietate e vitali del nostro presente.
🏙️ Il Futuro è un Avvertimento: I Nuovi Film Distopici
Dune: Parte Due (2024)
Mentre le Grandi Case cospirano per il controllo della spezia su Arrakis, Paul Atreides (Timothée Chalamet) si unisce ai Fremen per vendicare la sua famiglia. Ma la sua ascesa come messia profetizzato, il “Muad’Dib”, scatena una guerra santa che minaccia di incendiare l’intero universo conosciuto. In Dune: Parte Due, la distopia non è tecnologica, ma teocratica: vediamo come la fede e il fanatismo vengono manipolati politicamente per trasformare un popolo libero in un esercito di fanatici, mentre l’ecologia del pianeta deserto diventa l’unica vera divinità.
Denis Villeneuve completa il suo affresco monumentale con un film che è già storia del cinema. Più cupo e complesso del primo capitolo, esplora il lato oscuro dell’archetipo del “prescelto”. Non è la classica storia di liberazione, ma una tragedia greca su scala galattica in cui l’eroe, per vincere, deve diventare il mostro che combatteva. Un’esperienza sensoriale totale che riflette sul colonialismo e sul pericolo dei leader carismatici.
Furiosa: A Mad Max Saga (2024)
Strappata dal “Luogo Verde delle Molte Madri”, la giovane Furiosa cade nelle mani di una grande orda di motociclisti guidata dal Signore della Guerra Dementus. Attraversando le Terre Desolate, si imbattono nella Cittadella presidiata da Immortan Joe. Mentre i due tiranni combattono per il dominio, in Furiosa: A Mad Max Saga, la protagonista deve sopravvivere a molte prove per trovare la strada di casa e pianificare la sua vendetta, trasformandosi nella guerriera imperatrice che conosciamo.
George Miller espande l’universo di Fury Road con un prequel epico e brutale. Se il film precedente era una corsa di tre giorni, questo è un’odissea che dura 15 anni. La distopia qui è fisica e meccanica: un mondo dove i corpi sono merce (per il latte, il sangue o la procreazione) e la speranza è un lusso pericoloso. Anya Taylor-Joy raccoglie l’eredità di Charlize Theron con un’interpretazione feroce e silenziosa.
The Kitchen (2024)
Londra, 2044. Il divario tra ricchi e poveri è diventato incolmabile: tutte le case popolari sono state eliminate e le classi disagiate vivono in baraccopoli verticali illegali, costantemente sotto assedio dalle droni della polizia. Izi, un uomo solitario che lavora in un’impresa di pompe funebri ecologiche, cerca di scappare da “The Kitchen”, ma si ritrova a dover badare a Benji, un orfano che potrebbe essere suo figlio. In The Kitchen, la lotta per la casa diventa una resistenza culturale contro una gentrificazione armata che vuole cancellare la comunità.
L’esordio alla regia dell’attore Daniel Kaluuya (Get Out) è una distopia urbana e realistica che ricorda I figli degli uomini. Non ci sono laser o alieni, ma una visione plausibile e angosciante del futuro delle nostre metropoli. Il film brilla per la sua estetica afro-futurista “sporca” e per come racconta la solidarietà tra gli ultimi come unica arma contro un sistema che ti vuole solo come consumatore o come cadavere da compostare.
Uglies (2024)
In un futuro in cui l’apparenza è tutto, la società impone un’operazione chirurgica obbligatoria a 16 anni per rendere tutti “Perfetti” (Pretties), eliminando difetti fisici e differenze per garantire la pace sociale. Tally Youngblood non vede l’ora di trasformarsi, finché la sua amica Shay non scappa per unirsi a una resistenza di “Brutti” (Uglies) che vivono nei boschi. In Uglies, Tally scopre che la perfezione ha un prezzo terribile: l’operazione non cambia solo il viso, ma lobotomizza il cervello per rendere i cittadini docili e felici.
Tratto dal romanzo young adult di Scott Westerfeld, il film attualizza i temi della dittatura estetica nell’era di Instagram e dei filtri TikTok. Sebbene segua i canoni del genere teen distopico, tocca un nervo scoperto della società contemporanea: l’omologazione come forma di controllo. Una parabola pop e colorata che nasconde un cuore inquietante sulla perdita dell’identità individuale in favore di uno standard irraggiungibile.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione
Kalki 2898 AD (2024)
Anno 2898. La città di Kasi è l’ultimo bastione di una civiltà oppressa dal Supremo Yaskin, un tiranno che accumula risorse in una gigantesca piramide rovesciata chiamata “The Complex”. Mentre la gente muore di fame, una profezia annuncia l’arrivo di Kalki, la decima e ultima incarnazione del dio Vishnu, destinato a porre fine all’era dell’oscurità (Kali Yuga). In Kalki 2898 AD, un cacciatore di taglie egoista (Prabhas) e un guerriero immortale del Mahabharata (Amitabh Bachchan) si scontrano per proteggere la madre del futuro salvatore.
Il cinema indiano entra prepotentemente nella fantascienza distopica con il film più costoso mai prodotto a Tollywood. È un mix folle e visivamente sbalorditivo tra Mad Max, Star Wars e la mitologia indù. La distopia mescola tecnologia futuristica e misticismo antico, creando un mondo unico dove i laser convivono con i mantra. Un’opera massimalista che mostra come il genere distopico stia evolvendo abbracciando culture e leggende non occidentali.
1984

Fantascienza, di Rudolph Cartier, Regno Unito, 1956.
La trasposizione cinematografica più controversa di 1984 di Orwell, che ha provocato interrogazioni al Parlamento inglese sulla sua presunta natura sovversiva. Film per la TV valutato dal British Film Institute tra i migliori programmi televisivi britannici del 20° secolo. Il pianeta è diviso in 3 stati: Oceania, Eurasia ed Estasia, da sempre in conflitto. A Londra il dittatore dello stato di Oceania è il Grande Fratello, che controlla la popolazione attraverso una politica di repressione violenta e videocamere dislocate ovunque. Winston e Julia si innamorano, ma l'amore è severamente proibito e punito con la morte. Ambientazioni cupe che rendono alla perfezione la disperazione di questa famosa opera distopica.
Spunto di riflessione
Chi esercita il potere politico in modo tirannico ha un profondo complesso di inferiorità. Molti politici soffrono di questo complesso di inferiorità e hanno bisogno di cure psicologiche. Sono gravemente malati ed a causa di questi malati il mondo intero ha sofferto tantissimo. Non c'è fine alla malattia di chi cerca il potere sugli altri, ci sono sempre nuove persone da assoggettare.
LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano
👁️ Il Domani che (non) vorremmo
La distopia non è semplice fantasia: è uno specchio distorto del nostro presente. Amplifica le nostre paure sulla sorveglianza, sulla perdita di libertà e sulle disuguaglianze sociali. Ma se vuoi vedere come il cinema ha immaginato altri futuri, o come l’umanità reagisce quando il sistema crolla del tutto, ecco le nostre guide essenziali ai generi collegati.
Sci-Fi e Distopie nei Film Indipendenti
Le distopie più spaventose sono quelle che assomigliano terribilmente al nostro quotidiano. Il cinema indipendente, senza bisogno di effetti speciali grandiosi, racconta l’oppressione sociale e psicologica con un realismo che fa male. Scopri le gemme nascoste del genere.
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Film di Fantascienza
La distopia è figlia della fantascienza. Se vuoi allargare lo sguardo oltre i regimi totalitari e scoprire futuri in cui la tecnologia porta alla scoperta dello spazio, ai viaggi nel tempo o all’incontro con l’alieno, questa è la lista da cui partire.
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Film Apocalittici e Post-Apocalittici
C’è una linea sottile tra distopia e fine del mondo. La distopia è una società che funziona male; l’apocalisse è una società che non funziona più. Scopri cosa succede quando l’ordine costituito crolla e inizia la lotta per la pura sopravvivenza nelle terre desolate.
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Film sull’Intelligenza Artificiale
Spesso il “Grande Fratello” non è un dittatore umano, ma un algoritmo. Se ti affascina il tema del controllo tecnologico, della sorveglianza di massa e della ribellione delle macchine contro i loro creatori, qui troverai il cuore pulsante della tecnofobia moderna.
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Film Cult
Da Metropolis a Arancia Meccanica, passando per Brazil. Questi sono i film che hanno scritto le regole dell’incubo sociale, creando icone e visioni che sono diventate parte del nostro linguaggio culturale. I classici che ogni ribelle deve conoscere.
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👁️ Regimi da Incubo: I Classici della Distopia
La distopia non è un’invenzione moderna. È nata insieme alla paura delle masse, delle macchine e dei dittatori. Per tutto il Novecento, il cinema ha costruito mondi perfetti solo in apparenza, dove l’ordine è mantenuto col sangue e la libertà è una malattia da curare. Dalle architetture schiaccianti di Metropolis alla burocrazia folle di Brazil, fino alla violenza estetica di Arancia Meccanica. Ecco i capolavori che ci hanno messo in guardia contro i totalitarismi di ogni colore, mostrandoci quanto è facile perdere la nostra umanità in cambio di un po’ di sicurezza.
Il dottor Mabuse (1922)
Nella Berlino caotica e decadente del primo dopoguerra, il dottor Mabuse è uno psicanalista di giorno e un genio del crimine di notte. Grazie ai suoi poteri ipnotici e alla capacità di cambiare volto, manipola il mercato azionario e distrugge le vite dei suoi avversari nel gioco d’azzardo. Diviso in due parti epiche (“Il grande giocatore” e “Inferno”), in Il dottor Mabuse assistiamo alla caccia all’uomo condotta dal procuratore von Wenk, l’unico in grado di resistere alla volontà di ferro del criminale, in una discesa progressiva verso la follia.
Fritz Lang dirige un capolavoro monumentale del cinema muto che è molto più di un semplice thriller: è lo specchio deformante delle angosce della Repubblica di Weimar. Mabuse è il primo vero “supercriminale” della storia del cinema, un archetipo che influenzerà tutto, dai cattivi di James Bond al Joker di Nolan. Con la sua regia innovativa e le sue immagini psichedeliche, il film è un’indagine sul potere assoluto e sulla manipolazione delle masse, temi che risuonano ancora oggi con inquietante attualità.
Metropolis (1927)
Nel 2026, una gigantesca città-stato è divisa verticalmente in due caste: negli sfavillanti giardini pensili dei grattacieli vivono i ricchi intellettuali, mentre nelle viscere della terra gli operai sono schiavizzati dalle macchine che alimentano la città. L’equilibrio si spezza quando Freder, il figlio del despota della città, scopre le condizioni disumane del sottosuolo e si innamora di Maria, una guida spirituale pacifica. Ma in Metropolis, per sedare la rivolta, viene creato un robot con le sembianze di Maria, scatenando un’apocalisse sociale che rischia di distruggere entrambe le classi.
Considerato l’opera madre di tutta la fantascienza cinematografica, Metropolis di Fritz Lang è una visione espressionista di potenza inaudita. Dalle architetture imponenti alla celebre trasformazione del robot, ogni inquadratura ha definito l’estetica del futuro per il secolo a venire (ispirando direttamente opere come Blade Runner e Star Wars). Al di là della spettacolarità visiva, rimane una parabola umanista sulla necessità di un “Cuore” che faccia da mediatore tra il “Cervello” (chi comanda) e la “Mano” (chi lavora).
Children Of A Darker Dawn

Dramma, horror, sci-fi, di Jason Figgis, Stati Uniti, 2012.
In un’Irlanda post-apocalittica, una pandemia ha sterminato gli adulti, colpiti da un'influenza mutante che li rende paranoici e violenti prima di ucciderli. Nove mesi dopo, i bambini sopravvissuti vagano tra edifici abbandonati, in cerca di cibo e rifugio. Tra questi ci sono Evie e la sorellina Fran, che cercano di sopravvivere evitando gruppi di ragazzi potenzialmente pericolosi. La loro unica consolazione è *The Railway Children*, il libro che la madre leggeva loro. L’incontro con Alice, una ragazza fuggita da una gang guidata dalla sorella Kate, cambia il loro destino. Dopo un tradimento da parte della gang, Evie decide di affrontarli, dando il via a una serie di eventi che culmineranno in tensioni e conflitti interni al gruppo.
Il film, diretto da Jason Figgis con pochi mezzi ma grande sensibilità, è un dramma post-apocalittico che va oltre l’horror, concentrandosi sull’elaborazione del lutto e sulla fragilità emotiva dei protagonisti. Il tono è cupo, dominato da malinconia, tra flashback disturbanti e relazioni instabili. Pur ricordando opere come *28 Days Later*, *The Road* o *Il signore delle mosche*, *Children of a Darker Dawn* trova una voce propria grazie all’approfondimento psicologico dei personaggi e all’interpretazione intensa del giovane cast.
LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano
La Jetée (1962)
In una Parigi post-apocalittica distrutta dalla Terza Guerra Mondiale, i pochi sopravvissuti vivono rintanati nel sottosuolo sotto il controllo di scienziati spietati. Un prigioniero viene selezionato per un esperimento di viaggio nel tempo grazie a un ricordo vivido della sua infanzia: il volto di una donna e un uomo che muore sulla banchina dell’aeroporto di Orly. In La Jetée, il protagonista viaggia nel passato per incontrare la donna e nel futuro per cercare aiuto, scoprendo infine che l’immagine che lo ossessionava da bambino era la visione della sua stessa morte.
Chris Marker realizza un capolavoro unico nella storia del cinema: un “fotoromanzo” di 28 minuti composto quasi interamente da immagini fisse in bianco e nero, con una voce narrante che guida la storia. È un saggio filosofico sulla memoria e sull’ineluttabilità del destino. La staticità delle immagini costringe lo spettatore a riflettere sulla natura del tempo, non come flusso continuo ma come collezione di istanti congelati. Ha ispirato direttamente L’esercito delle 12 scimmie ed è considerato uno dei vertici del cinema d’autore per la sua potenza poetica ed evocativa.
Il processo (The Trial) (1962)
Josef K. (Anthony Perkins), un impiegato di banca apparentemente normale, viene svegliato una mattina da due agenti che lo dichiarano in arresto senza spiegargli il motivo. Inizia così il suo calvario attraverso un sistema giudiziario labirintico, assurdo e onnipresente. In Il processo, Josef cerca disperatamente di scoprire di cosa è accusato e di difendersi, ma si scontra con una burocrazia da incubo, avvocati inutili e giudici invisibili, fino a comprendere che la sua condanna è già scritta e che la colpa è insita nella sua stessa esistenza.
Orson Welles adatta il romanzo di Franz Kafka trasformandolo in un incubo espressionista e barocco. Girato in locations grandiose (come la Gare d’Orsay abbandonata), il film visivamente schiaccia il protagonista in spazi troppo grandi o troppo stretti, riflettendo la sua condizione psicologica. È una satira feroce sulla giustizia e sul potere, dove la legge non serve a stabilire la verità ma a perpetuare se stessa. Welles lo considerava il suo film migliore: un’opera claustrofobica che anticipa le moderne distopie burocratiche.
La decima vittima (1965)
In un futuro non troppo lontano, le guerre sono state abolite e l’aggressività umana viene sfogata attraverso la “Grande Caccia”, un gioco legalizzato e trasmesso in TV in cui i partecipanti si alternano nei ruoli di Cacciatore e Vittima. Chi sopravvive a dieci turni vince fama e ricchezza. In La decima vittima, l’americana Caroline Meredith (Ursula Andress) deve uccidere la sua decima vittima, l’italiano Marcello Poletti (Marcello Mastroianni), in diretta mondiale dal Colosseo. Ma tra i due nasce una complicità che rischia di violare le regole del gioco.
Elio Petri dirige un cult della fantascienza pop all’italiana, coloratissimo e satirico. Il film mescola design anni ’60, moda futuristica e critica sociale, anticipando i temi dei reality show mortali (come Hunger Games o The Running Man). Non è solo azione: è una commedia cinica sulla società dello spettacolo, sul consumismo e sulla guerra dei sessi, dove l’omicidio è diventato un atto di routine sponsorizzato dalla pubblicità.
Agente Lemmy Caution: missione Alphaville (Alphaville) (1965)
L’agente segreto Lemmy Caution arriva nella città futuristica di Alphaville sotto la copertura di un giornalista. La metropoli è governata dal supercomputer Alpha 60, che ha bandito ogni forma di emozione, poesia e comportamento illogico per creare una società perfettamente razionale. In Alphaville, Caution deve trovare e uccidere il creatore del computer, il professor von Braun, e salvare sua figlia Natacha, che non conosce il significato della parola “amore” perché è stata cancellata dal dizionario.
Jean-Luc Godard crea un film di fantascienza unico, girato senza effetti speciali nella Parigi notturna dell’epoca, usando l’architettura modernista per evocare un futuro alienante. È un ibrido tra noir e distopia filosofica che riflette sulla disumanizzazione della tecnologia. Alpha 60, con la sua voce gracchiante, rappresenta la dittatura della logica. Il film è un manifesto della Nouvelle Vague che celebra l’arte e il sentimento come uniche armi di resistenza contro il totalitarismo tecnocratico.
Comme un miroir

Cortometraggio, di Antonello Matarazzo, Italia.
Non c’è modo di sottrarsi alla rappresentazione, in fondo la vita stessa è un’impostura.
senza dialoghi
2002: la seconda odissea (Silent Running) (1972)
In un futuro in cui sulla Terra non esiste più vegetazione, le ultime foreste e specie animali sono conservate in gigantesche cupole geodetiche agganciate a navi spaziali in orbita vicino a Saturno. Quando arriva l’ordine di distruggere le cupole per risparmiare sui costi e far tornare le navi al commercio, il botanico Freeman Lowell (Bruce Dern) si ribella. In 2002: la seconda odissea, Lowell uccide i suoi colleghi per salvare l’ultima foresta e dirotta l’astronave verso lo spazio profondo, restando solo con tre piccoli robot di servizio che riprogramma come compagni.
Diretto dal genio degli effetti speciali Douglas Trumbull (che lavorò a 2001 e Blade Runner), è un film ecologista ante-litteram, commovente e malinconico. È famoso per i tre droni (Huey, Dewey e Louie) che, pur non parlando, mostrano una personalità e un’umanità sorprendenti, anticipando R2-D2. Il film è una riflessione sulla solitudine e sul prezzo morale delle proprie convinzioni: Lowell è un eroe o un pazzo omicida? Un cult che pone la natura al centro della fantascienza.
Idaho Transfer (1973)
Un gruppo di giovani scienziati lavora a un progetto di teletrasporto della materia in una base nel deserto. Scoprono che il macchinario permette di viaggiare nel futuro, ma ciò che vedono è terrificante: una crisi ecologica ha spazzato via la civiltà. Decidono quindi di usare la tecnologia per trasferire una nuova generazione di giovani in quel futuro desolato per ripopolare la Terra, credendo di poter evitare gli errori del passato. In Idaho Transfer, il piano idealistico si scontra con una realtà brutale: il futuro non è un luogo da colonizzare, ma un ambiente ostile che li cambierà per sempre.
L’unico film diretto dall’attore Peter Fonda è un’opera di fantascienza minimalista e pessimista, quasi dimenticata. Con un cast di non professionisti e un ritmo lento, il film evita l’azione per concentrarsi sull’alienazione e sul fallimento dell’utopia hippy. È una distopia ecologica cruda che suggerisce che l’umanità, per sopravvivere in un mondo che ha distrutto, dovrà evolversi in qualcosa che non è più umano.
Zardoz (1974)
Nell’anno 2293, la Terra è divisa in due caste: gli “Eterni”, intellettuali immortali che vivono nel lusso del Vortex, e i “Brutali”, schiavi che vivono nelle terre desolate e venerano una testa di pietra volante chiamata Zardoz. Zed (Sean Connery), uno sterminatore dei Brutali, si nasconde nella testa di pietra e penetra nel Vortex. In Zardoz, la presenza del barbaro virile e mortale sconvolge l’equilibrio della società degli Eterni, che segretamente desiderano la morte per sfuggire alla noia infinita della loro esistenza perfetta.
John Boorman firma uno dei film più eccentrici e visionari degli anni ’70. Famoso per il costume di Sean Connery (un “pannolone” rosso), il film è in realtà una satira complessa e psichedelica sulle classi sociali, sulla religione e sulla stagnazione culturale. È un’opera barocca che mescola filosofia, kitsch e immagini surreali. Nonostante i suoi eccessi, rimane un affascinante esperimento su cosa accadrebbe se l’uomo realizzasse il sogno dell’immortalità, scoprendo che è una maledizione.
L’uomo che cadde sulla Terra (The Man Who Fell to Earth) (1976)
Thomas Jerome Newton (David Bowie) è un alieno umanoide arrivato sulla Terra dal pianeta morente Anthea per cercare acqua da portare alla sua famiglia. Grazie alle sue conoscenze tecnologiche avanzate, fonda un impero industriale e diventa ricchissimo in poco tempo. Ma in L’uomo che cadde sulla Terra, il piano di salvataggio viene deragliato dalla sua graduale corruzione: Newton diventa vittima dell’alcol, della televisione e della burocrazia governativa, rimanendo intrappolato in un pianeta che lo affascina e lo distrugge lentamente.
Nicolas Roeg dirige un film di fantascienza atipico, che è più un’allegoria sulla solitudine e sulla dipendenza che una storia di alieni. David Bowie, nel suo primo ruolo da protagonista, è perfetto: fragile, androgino e distante. Il film usa un montaggio non lineare e immagini oniriche per raccontare la tragedia di un essere superiore che finisce per assorbire i vizi dell’umanità invece di salvarla. Un cult visivamente ipnotico e profondamente triste.
Corona days

Film drammatico, di Fabio Del Greco, Italia, 2020.
Un uomo resta in casa solo, a causa delle misure d'emergenza Corona virus. La solitudine, il tempo e lo spazio diventano i suoi nemici, l'immaginazione, i ricordi e la voglia di libertà i suoi alleati. Il regista Fabio Del Greco documenta i giorni di isolamento del corona virus in maniera intima e personale, girando gli esterni esclusivamente con uno smartphone. La cronaca di questi strani giorni diventa spunto per una riflessione sulla relatività del tempo e dello spazio e di come la libertà sia qualcosa che può trascendere la realtà per trovare casa nella nostra anima.
In tempi di Corona virus, un regista genuino e istintivo come Del Greco ha raccolto i frutti del suo eccentrico "cinediario" realizzato durante le settimane di quarantena. Ha catturato la sua stessa solitudine da vicino e, da una distanza sicura, quella dei suoi amici e parenti. Soprattutto, ha colto le scarse "ore d'aria" concesse dalle autorità per girare in un mondo svuotato di umanità e sottoposto a rigorosi controlli di polizia. Tutto visto attraverso lo sguardo di un autore che, come consueto, è giocoso, disincantato e sottilmente ironico, anche quando si mette in scena come attore. Procedendo nell'esplorazione della realtà, tra spunti malinconici e lampi di ironia, Fabio Del Greco supera questa iniziale e trasforma il suo lungometraggio in un gioco di scatole cinesi, dove convergono contributi audiovisivi diversificati, cronologicamente difformi ma tutti profondamente stimolanti e carichi di significato. L'intreccio tra presente e passato, abilmente orchestrato anche nel montaggio, crea un cortocircuito in cui il passato non è soltanto un almanacco di ricordi, ma un'altra fuga nel regno dell'immaginario. Mentre emerge una critica socio-politica, pur legittima, il racconto si sposta gradualmente verso un quadro esistenziale più ampio.
LINGUA: italiano
SOTTOTITOLI: inglese, spagnolo, francese, tedesco, portoghese
Stalker (1979)
In un futuro imprecisato, esiste un’area proibita chiamata “La Zona”, recintata dai militari, dove le leggi della fisica sono mutate in seguito alla caduta di un meteorite. Si dice che al centro della Zona ci sia una Stanza che esaudisce i desideri più profondi e segreti di chi vi entra. Uno “Stalker”, una guida illegale, accompagna due clienti, uno Scrittore cinico e un Professore razionale, in un viaggio pericoloso verso la Stanza. In Stalker, il cammino fisico attraverso rovine industriali diventa un pellegrinaggio spirituale che mette a nudo le paure e la fede dei protagonisti.
Andrei Tarkovsky crea il capolavoro assoluto della fantascienza metafisica. Non ci sono mostri o effetti speciali vistosi, ma un’atmosfera di tensione costante e mistero sacro. La Zona è uno specchio dell’anima, un luogo che reagisce alla psiche di chi lo attraversa. Visivamente indimenticabile, con il suo passaggio dal seppia del mondo reale ai colori della Zona, il film è una meditazione lenta e profonda sulla ricerca della felicità e sul bisogno umano di credere in qualcosa, anche in un mondo in rovina.
1997: Fuga da New York (Escape from New York) (1981)
Nel 1997, l’isola di Manhattan è stata trasformata in un gigantesco carcere di massima sicurezza a cielo aperto, circondato da mura e mine, dove i criminali sono abbandonati a loro stessi in una società anarchica. Quando l’aereo del Presidente degli Stati Uniti precipita dentro l’isola, il governo offre un accordo a Jena Plissken (Snake Plissken), un ex eroe di guerra diventato criminale: recuperare il Presidente e un nastro top secret in cambio della libertà. In 1997: Fuga da New York, Plissken ha meno di 24 ore per compiere la missione prima che una micro-bomba iniettata nel suo collo esploda.
John Carpenter inventa l’antieroe definitivo con Kurt Russell: cinico, benda sull’occhio e nessuna fiducia nell’autorità. È un film d’azione distopico cupo e atmosferico, con una colonna sonora sintetica iconica composta dallo stesso regista. La New York in rovina è una delle scenografie più memorabili del cinema. Il film è una critica al sistema politico americano e allo stato di polizia, mascherata da thriller adrenalinico.
Scanners (1981)
Gli “Scanner” sono individui dotati di poteri telepatici e telecinetici devastanti, nati come effetto collaterale di un farmaco sperimentale somministrato alle donne incinte anni prima. Un’azienda di sicurezza privata, la ConSec, cerca di reclutarli, ma si scontra con Darryl Revok, uno Scanner potente e folle che vuole creare un esercito di suoi simili per dominare il mondo. In Scanners, Cameron Vale, un vagabondo telepatico, viene addestrato dalla ConSec per infiltrarsi nell’organizzazione di Revok e fermarlo.
David Cronenberg mescola thriller, spionaggio e body horror in un film divenuto leggendario per la scena della testa che esplode. Al di là dello shock visivo, il film esplora temi cari al regista come la mutazione del corpo e la mente come arma. È una metafora sulla controcultura degli anni ’60 che è diventata mostruosa o corporativa. Un’opera fredda e clinica che ha ridefinito il concetto di “potere mentale” al cinema.
Blade Runner (1982)
Nella Los Angeles piovosa e sovraffollata del 2019, Rick Deckard (Harrison Ford) è un agente dell’unità Blade Runner, incaricato di “ritirare” (uccidere) i replicanti: androidi organici creati per i lavori pesanti nelle colonie extra-mondo, che sono tornati illegalmente sulla Terra per cercare il loro creatore e prolungare la loro breve vita di quattro anni. In Blade Runner, la caccia ai quattro fuggitivi, guidati dal carismatico Roy Batty, costringe Deckard a confrontarsi con la propria coscienza e a innamorarsi di Rachael, una replicante che non sa di esserlo.
Ridley Scott firma il film che ha inventato l’estetica cyberpunk. Basato su un romanzo di Philip K. Dick, è un noir futuristico visivamente sbalorditivo che pone la domanda fondamentale: cosa ci rende umani? I ricordi? Le emozioni? La paura della morte? I replicanti, paradossalmente, dimostrano più attaccamento alla vita degli umani stessi. Il monologo finale di Rutger Hauer è pura poesia cinematografica, un requiem per un’anima sintetica che ha visto cose che noi umani non possiamo immaginare.
Giorno 122

Fantascienza, dramma, di Fulvio Ottaviano, Stefano Soli, Italia, 2016.
Un gruppo di sopravvissuti a un incidente ferroviario si ritrova isolato sull’Appennino tosco-emiliano. Dopo aver atteso invano i soccorsi, i superstiti si mettono in cammino nella foresta innevata, alla ricerca di viveri e di un riparo. Ma cosa sono quelle strane strisce arancio che solcano il cielo? Pian piano uomini e donne si rendono conto che qualcosa di grave è accaduto, qualcosa di definitivo. Concepita nei convulsi giorni successivi alla catastrofe che ha precipitato il pianeta nel caos e nell’anarchia, MIA vive un’adolescenza solitaria e inquieta sotto il ferreo controllo della Madre. La mancanza della figura paterna la spingerà verso una difficile ricerca, le pagine di un diario le dischiuderanno le porte di un passato oscuro e misterioso. “Giorno 122” è un occhio puntato sull’animo umano: egoismo, brutalità e interessi personali portano il pianeta al collasso e l’uomo ritorna la belva delle origini.
LINGUA: italiano
Videodrome (1983)
Max Renn (James Woods), proprietario di una piccola TV via cavo specializzata in pornografia e violenza, capta un segnale pirata chiamato “Videodrome”, che trasmette torture e omicidi reali in una stanza rossa. Cercando l’origine del segnale, scopre che Videodrome non è solo un programma, ma un’arma bio-tecnologica che causa un tumore al cervello capace di alterare la percezione della realtà. In Videodrome, il corpo di Max inizia a mutare, aprendosi in fessure simili a videoregistratori, mentre la sua mente non distingue più tra allucinazione e verità.
David Cronenberg realizza il film definitivo sull’impatto dei media sulla carne e sulla psiche. È un horror profetico e disturbante: “La televisione è la realtà, e la realtà è meno della televisione”. Il film esplora la fusione tra uomo e tecnologia in modo viscerale e sessuale. È un viaggio allucinato nella “Nuova Carne”, dove lo schermo non è più una finestra sul mondo, ma un organo che ci riprogramma biologicamente.
Brazil (1985)
In un futuro distopico retrò, governato da una burocrazia inefficiente e totalitaria, Sam Lowry (Jonathan Pryce) è un impiegato sognatore che lavora al Ministero dell’Informazione. Un errore di stampa causato da una mosca schiacciata porta all’arresto e alla morte di un innocente scambiato per il terrorista Tuttle. In Brazil, Sam cerca di correggere l’errore burocratico e si imbatte in Jill, la donna dei suoi sogni, finendo per diventare lui stesso un nemico dello Stato, perseguitato da un sistema grottesco che soffoca ogni umanità sotto montagne di scartoffie.
Terry Gilliam dirige una satira orwelliana visionaria e delirante. È 1984 riscritto dai Monty Python: spaventoso e ridicolo allo stesso tempo. Le scenografie, un mix di tubi, cemento e tecnologia anni ’40, creano un mondo soffocante e indimenticabile. Il film è una critica feroce alla società del controllo e alla banalità del male burocratico. Il finale, tragico e onirico, è un inno alla libertà della mente come unico rifugio possibile contro la tirannia della realtà.
Quell’ultimo giorno – Lettere di un uomo morto (1986)
Dopo un olocausto nucleare causato da un errore del computer, il mondo è ridotto a macerie radioattive e i sopravvissuti vivono nei sotterranei di un museo, instaurando un nuovo ordine sociale. Un anziano scienziato, il Premio Nobel Larsen, cerca di dare un senso alla catastrofe scrivendo lettere mentali al figlio, che crede ancora vivo (ma che probabilmente è morto). In Quell’ultimo giorno – Lettere di un uomo morto, mentre l’umanità si prepara a ritirarsi in un bunker centrale definitivo, Larsen decide di restare in superficie con un gruppo di orfani muti, cercando di trasmettere loro una speranza spirituale.
Diretto da Konstantin Lopushansky, ex assistente di Tarkovsky, è un film post-apocalittico sovietico di rara potenza visiva. Girato in un viraggio seppia e giallo che evoca la malattia e la polvere, è un’opera angosciante e filosofica. Non c’è azione, solo la disperazione di una civiltà che ha ucciso se stessa. Tuttavia, nel finale, emerge una nota di speranza trascendente, suggerendo che la vita continuerà, forse in una forma nuova e più pura, anche dopo la fine della storia.
Essi vivono (They Live) (1988)
John Nada (Roddy Piper), un operaio disoccupato che vaga per Los Angeles in cerca di lavoro, trova per caso uno scatolone pieno di occhiali da sole. Indossandoli, il mondo cambia aspetto: i cartelloni pubblicitari rivelano ordini subliminali come “OBBEDISCI”, “CONSUMA”, “SPOSATI E RIPRODUCITI”, e molte persone ricche e potenti appaiono per quello che sono realmente: alieni scheletrici che ci hanno colonizzato. In Essi vivono, Nada si unisce alla resistenza per distruggere l’antenna che trasmette il segnale che nasconde la verità, iniziando una guerra urbana a colpi di fucile.
John Carpenter firma una delle satire politiche più efficaci e divertenti degli anni ’80 (e oltre). La distopia qui è il capitalismo sfrenato dell’era Reagan: gli alieni sono gli yuppie che sfruttano la terra come un’azienda. Il film è famoso per la lunga scazzottata tra Nada e l’amico Frank (che si rifiuta di mettere gli occhiali, metafora della difficoltà di far vedere la verità a chi non vuole vederla). Un cult assoluto che ci invita a guardare oltre la superficie del consumismo.
Il poeta perduto

Dramma, di Fabio Del Greco, Italia, 2024.
Dante Mezzadri vuole rivedere un vecchio amico, soprannominato l'Iguana, che ha perso di vista da molti anni, e che è riuscito a far diventare la loro comune passione giovanile per la poesia in un lavoro, diventando scrittore e poeta famoso. L'uomo fugge dalla sua vita borghese e dalla moglie per vivere senza fissa dimora sul litorale romano, stampa e tenta di vendere le sue raccolte poetiche. La notte dorme in un parco di vecchi carri allegorici di carnevale, dentro carro armato di cartapesta, e attende l'occasione per incontrare il vecchio amico, il quale però non si presenta mai agli appuntamenti nei luoghi che frequentavano da giovani, ora in rovina. I libretti di poesia di Dante non interessano nessuno e per sostentarsi è costretto a "cambiare prodotto": inizia a vendere per conto di giovani spacciatori la famigerata "pillola del cannibale", una nuova droga che va a ruba e che provoca estasi sensoriali e consumistiche. Si rende conto però che questa potente droga è molto pericolosa per chi la assume, entra in conflitto con la sua coscienza etica e butta tutte le pillole in mare. Gli spacciatori però vogliono riscuotere i loro soldi.
Girato nell'arco di 2 anni, il film è una riflessione sulle macerie culturali ed artistiche della società in cui vive il protagonista, in un mondo sempre più meccanizzato, consumista e arido. Dante Mezzadri è l'ennesimo essere umano che ha rinunciato alla sua ispirazione ed alla sua creatività, ma al contrario di molti non è disposto a regalare la propria vita ad un sistema che lo allontana dalla sua vera identità. Il mondo fisico che lo circonda, però, sembra costruito in modo che sembra impossibile fuggire da questa "gabbia invisibile". L'entusiasmo delle persone che incontra si accende solo di fronte all'appagamento sensoriale, alle visioni irreali dell'affermazione personale e del successo, ai "metaversi" che offrono una fuga in una realtà illusoria e distruttiva. La casa del poeta sul litorale, dove si incontrava da giovane con i suoi amici, è solo un cumulo di macerie abbandonate. Che fine hanno fatto tutti quelli che volevano diventare poeti e sono finiti nel diventare qualcos'altro? Esistono forze interiori con cui quella casa può essere "ricostruita"?
LINGUA: italiano
Akira (1988)
Nel 2019, la metropoli di Neo-Tokyo è una polveriera di corruzione, violenza tra gang e fermento sociale, costruita sulle ceneri della vecchia Tokyo distrutta da una misteriosa esplosione. Durante uno scontro, Tetsuo, membro di una banda di motociclisti, acquisisce poteri telecinetici devastanti dopo un incidente. La sua crescente instabilità minaccia di risvegliare “Akira”, l’entità che ha già distrutto il mondo una volta.
Capolavoro dell’animazione cyberpunk, Akira di Katsuhiro Otomo è un’epopea di una potenza visiva e tematica sconvolgente. Il film esplora il collasso sociale, la ribellione giovanile e la trascendenza post-umana con una complessità rara. Neo-Tokyo non è solo uno sfondo, ma un personaggio vivo, un organismo urbano in putrefazione che riflette la decadenza morale dei suoi abitanti. La trasformazione di Tetsuo da adolescente frustrato a divinità distruttiva è una metafora terrificante del potere incontrollato e dell’alienazione in una società sull’orlo del baratro. Akira ha definito l’estetica di un intero genere e rimane un punto di riferimento insuperato.
Tetsuo: The Iron Man (1989)
Un “feticista del metallo” si ferisce deliberatamente inserendosi dei rottami nel corpo. Dopo essere stato investito da un impiegato, quest’ultimo inizia a subire una terrificante metamorfosi: la sua carne si trasforma in un groviglio di cavi, tubi e metallo arrugginito. La sua trasformazione lo porta a uno scontro inevitabile con il feticista, in un incubo industriale che fonde uomo e macchina.
Shinya Tsukamoto scatena un’aggressione sensoriale con questo film cult, un’opera di body horror industriale girata in un bianco e nero granuloso e febbrile. Tetsuo è la rappresentazione letterale dell’assorbimento dell’individuo nel caos urbano e tecnologico. La distopia qui non è sociale o politica, ma biologica e psicologica. È l’incubo di una Tokyo industriale che non si limita a circondare i suoi abitanti, ma li invade, li contamina e li trasforma in mostruose appendici di se stessa. Un’esperienza cinematografica estrema, frenetica e indimenticabile, che esplora la perdita di umanità attraverso la mutazione della carne.
Delicatessen (1991)
In un fatiscente condominio di una Francia post-apocalittica, il cibo è così scarso che i chicchi di mais sono usati come valuta. Il padrone di casa, che è anche il macellaio del negozio al piano terra, ha un modo ingegnoso per rifornire i suoi inquilini di carne prelibata: assume tuttofare ignari per poi… macellarli. L’arrivo di un ex clown in cerca di lavoro, che si innamora della figlia del macellaio, minaccia di sconvolgere questo precario equilibrio.
Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro creano una commedia nera tanto macabra quanto deliziosa. Delicatessen è una favola surreale che trova l’umorismo e la poesia nell’orrore della sopravvivenza. L’ambientazione claustrofobica del condominio diventa un microcosmo di una società che ha perso la sua bussola morale, dove il cannibalismo è accettato come una triste necessità. Con la sua estetica retrò, i suoi personaggi eccentrici e il suo umorismo slapstick, il film trasforma una premessa agghiacciante in un racconto visivamente incantevole e bizzarramente romantico sulla speranza e la resilienza umana.
Cube (1997)
Sei sconosciuti si risvegliano in una stanza cubica senza alcun ricordo di come siano arrivati lì. Ogni faccia del cubo ha una porta che conduce a una stanza identica, ma alcune di esse sono dotate di trappole mortali. Mentre cercano una via d’uscita, le diverse abilità e personalità del gruppo entrano in conflitto, rivelando che il vero pericolo potrebbe non essere la struttura, ma la natura umana stessa.
Realizzato con un budget incredibilmente basso, Cube è un thriller psicologico geniale che trasforma la sua limitazione produttiva nel suo più grande punto di forza. L’unica, claustrofobica ambientazione diventa una potente metafora della burocrazia, della società e dell’esistenza stessa: un sistema incomprensibile e apparentemente senza scopo, creato da un’entità sconosciuta, che intrappola gli individui e li mette l’uno contro l’altro. Il film è un esercizio di tensione pura, un incubo esistenziale che esplora la paranoia, la disperazione e la fragilità delle alleanze umane di fronte a un’oppressione astratta e ineluttabile.
La Quinta Stagione

Dramma, di Peter Brosens, Jessica Woodworth, Belgio, 2012.
In un piccolo paese delle Ardenne vive una comunità che sta per festeggiare la fine dell'inverno con il tradizionale falò. Un ragazzo ed una ragazza stanno scoprendo l'amore ed il desiderio. Nel villaggio arriva anche Pol, un apicoltore nomade, che si insedia al centro del paese nella sua roulotte, insieme al figlio disabile. L'allegria della festa svanisce quando avviene un fatto strano, interpretato dai paesani come un cattivo presagio: il fuoco del rogo non si accende. Il villaggio diventa in breve tempo a una terra desolata, la natura sembra impazzita. Le api di Pol scompaiono, il terreno non produce più i suoi frutti, gli alberi muoiono e cadono. I galli non cantano più e le vacche non fanno più latte. Gli uomini cercano invano i germogli affondando le mani nella terra. L'esercito tenta di porre rimedio salvando il bestiame. I paesani, disperati, incolpano il nuovo arrivato, Pol, e non ascoltano il consiglio dell'apicoltore che vorrebbe dividere equamente le provviste per garantire la sopravvivenza di tutti. Il panico e l'aggressività dilagano e il villaggio si trasforma in un inferno.
Di fronte ad una natura che si ribella e non vuole più seguire il ciclo delle stagioni, i protagonisti de La quinta stagione sono intrappolati in un eterno inverno. Uno scenario apocalittico, nel quale le api rifiutano di produrre miele, le mucche non danno più latte. Tutto sembra immobile, congelato, destinato a rimanere sotto l'ombra della stagione fredda. Terzo capitolo di una trilogia nata nel 2006 con Khadak, girato in Mongolia, e Altiplano, girato in Perù, La quinta stagione è ambientato in un villaggio rurale del Belgio, luogo di provenienza dei due registi. L'idea di partenza è geniale. Ne viene fuori un film antropologico e filosofico, diviso in quattro capitoli, con una splendida fotografia ispirata ai dipinti fiamminghi. La neve ricopre ogni cosa, anche le chiacchiere dei paesani, che lasciano spazio a lunghi silenzi metafisici. La quinta stagione è un film allegorico, carico di simboli e metafore potenti, nel quale la natura è la vera protagonista. Essa guarda minacciosa gli uomini, pieni di contraddizioni e arroganza. Una situazione umana, metafora di una realtà globale, senza via di uscita, che ci porta a vivere emozioni antiche ed ancestrali legate alla Terra.
LINGUA: italiano
Gattaca (1997)
In un futuro prossimo, la società è divisa tra i “Validi”, concepiti tramite ingegneria genetica, e gli “Non-Validi”, nati naturalmente e considerati geneticamente inferiori. Vincent Freeman, un “Non-Valido” con un grave difetto cardiaco, sogna di viaggiare nello spazio, un privilegio riservato solo ai Validi. Per farlo, assume l’identità di un Valido paralizzato, entrando in un pericoloso gioco di inganni per sfuggire al determinismo genetico.
Gattaca presenta una delle distopie più eleganti e inquietanti del cinema. Non è un mondo di violenza e oppressione palese, ma di discriminazione silenziosa e scientificamente ratificata. La tirannia qui è inscritta nel DNA. Il film di Andrew Niccol è una potente riflessione sulla natura umana, sul libero arbitrio e sulla resilienza dello spirito. In un mondo che crede che la genetica sia destino, la lotta di Vincent per superare i suoi limiti imposti diventa un inno alla forza della volontà e alla convinzione che non siamo semplicemente la somma dei nostri geni.
Dark City (1998)
John Murdoch si risveglia in una vasca da bagno senza memoria, in una città perpetuamente avvolta dalla notte. Sospettato di una serie di omicidi, scopre che la città è controllata dagli “Stranieri”, esseri misteriosi che ogni notte fermano il tempo per alterare la realtà e i ricordi degli abitanti. Murdoch, immune al loro potere, inizia una disperata ricerca della verità sulla sua identità e sulla natura del mondo che lo circonda.
Uscito un anno prima di The Matrix, il film di Alex Proyas esplora temi simili con un’estetica film noir e un’atmosfera da incubo espressionista. Dark City è un thriller filosofico che indaga la natura della realtà, della memoria e dell’anima umana. La città stessa è un labirinto mentale, una prigione costruita con ricordi artificiali. La lotta di Murdoch non è solo per la sopravvivenza, ma per l’autodeterminazione, per dimostrare che l’identità è qualcosa di più di una semplice raccolta di esperienze impiantate. È un’opera visionaria che ha gettato le basi per gran parte della fantascienza del decennio successivo.
eXistenZ (1999)
In un futuro prossimo, i videogiochi sono diventati organici: le console (“pod”) sono fatte di carne e si collegano direttamente al sistema nervoso tramite una “biporta” installata nella spina dorsale. Allegra Geller (Jennifer Jason Leigh), la più grande game designer del mondo, sfugge a un attentato durante la presentazione del suo nuovo gioco, eXistenZ, e scappa con la guardia giurata Ted Pikul (Jude Law). In eXistenZ, per verificare se il gioco è stato danneggiato, i due devono collegarsi e giocarci, entrando in un mondo dove la realtà e la finzione diventano indistinguibili.
David Cronenberg torna ai temi di Videodrome aggiornandoli all’era della realtà virtuale. È un thriller psicologico viscido e ironico, pieno di invenzioni grottesche (come la pistola fatta di ossa e denti che spara denti umani). Il film è un gioco di scatole cinesi che disorienta lo spettatore, mettendo in discussione il concetto di libero arbitrio: siamo giocatori o personaggi giocati? Un’opera profonda sulla nostra dipendenza dall’evasione in mondi artificiali.
Battle Royale (2000)
In un Giappone totalitario del futuro, il governo approva una legge per combattere la delinquenza giovanile: ogni anno, una classe di liceali viene scelta a caso, portata su un’isola deserta e costretta a uccidersi a vicenda finché non ne rimarrà solo uno. Armati con oggetti casuali, gli studenti devono affrontare i loro amici e compagni in un gioco mortale di sopravvivenza.
Prima di The Hunger Games, c’era Battle Royale. Il controverso capolavoro di Kinji Fukasaku è una critica sociale spietata e una satira brutale sull’autorità, il conflitto generazionale e la violenza mediatica. A differenza dei suoi successori hollywoodiani, il film non addolcisce la sua premessa. È un’opera viscerale e psicologicamente devastante che esplora come le strutture sociali e l’amicizia si disintegrino sotto una pressione estrema. Battle Royale è il capostipite non celebrato di un intero genere, un film che ha avuto il coraggio di mostrare la violenza della sua premessa senza filtri, rendendola una potente allegoria dell’alienazione giovanile.
L'ultimo uomo sulla terra

Horror, sci-fi, di Ubaldo Ragona, Sidney Salkow, Stati Uniti/Italia, 1964.
Robert Morgan (Vincent Price) è uno scienziato, unico sopravvissuto a una pandemia globale che ha sterminato l’intera umanità. Ma il virus non uccide soltanto: trasforma le persone in morti viventi vampiri. Morgan trascorre le giornate uscendo solo di giorno e andando a caccia degli zombie quando sono inoffensivi a causa della luce solare. Li uccide con dei paletti di legno che egli stesso costruisce. Tenta continuamente di trovare altri esseri umani sopravvissuti tramite la sua stazione radio, ma nessuno risponde ai suoi messaggi. Di notte gli zombie escono dai loro rifugi e vagano per la città, in cerca di carne umana. Morgan si chiude in casa sigillando porte e finestre e cerca di dormire mentre i vampiri affamati tentano di entrare. Gli incubi del passato lo ttormentano. Morgan era uno scienziato in cerca di un vaccino per sconfiggere la pandemia del virus. L'esercito proibisce di seppellire normalmente i corpi che invece devono essere portati in una fossa comune e bruciati. Sam Corman, il suo giovane assistente è convinto che le autorità bruciano i cadaveri per impedire che essi tornino in vita come vampiri, ma Morgan non gli crede. Cambierà idea quando il virus ucciderà sua moglie e sua figlia. Nei giorni seguenti Morgan trova un cane con cui lenire la propria solitudine. Ma anche l'animale è contagiato dal virus ed è costretto ad ucciderlo. Poi finalmente incontra una donna.
Inosservato al tempo della sua uscita e considerato oggi un film cult, è il primo e migliore adattamento cinematografico del racconto Io sono leggenda di Richard Matheson, uscito nel 1954. Dallo stesso romanzo sono stati tratti in seguito altri film horror: nel 1975 Occhi bianchi sul pianeta Terra (The Omega Man, 1971), nel 2007 Io sono leggenda e I Am Omega. Girato nel 1964, a Roma, con una co-produzione italo-americana, questo film è il capostipite del filone dei film sugli zombie, e precede il successivo e più celebre "La notte dei morti viventi".
LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano, spagnolo, tedesco, portoghese
Donnie Darko (2001)
Donnie Darko è un adolescente problematico che soffre di sonnambulismo e di visioni di un uomo in un inquietante costume da coniglio di nome Frank. Frank lo salva da un bizzarro incidente quando un motore di aereo si schianta nella sua camera da letto, e gli rivela che il mondo finirà in 28 giorni. Guidato da Frank, Donnie compie una serie di atti che sconvolgono la sua tranquilla cittadina suburbana.
Donnie Darko trasforma la periferia americana in una distopia psicologica. Il film di Richard Kelly è un labirinto di filosofia, fisica quantistica e angoscia adolescenziale che esplora i temi del destino e del libero arbitrio. La normalità opprimente della vita suburbana, con le sue regole ipocrite e le sue figure autoritarie, diventa lo sfondo di una crisi esistenziale cosmica. È un’opera di culto enigmatica e malinconica, che si interroga sulla sanità mentale, sul sacrificio e sulla possibilità di trovare un significato in un universo apparentemente caotico.
Le temps du loup (Time of the Wolf) (2003)
In seguito a un disastro non specificato che ha fatto collassare la civiltà, una famiglia cerca rifugio nella sua casa di campagna, solo per trovarla occupata da estranei. Dopo una violenta tragedia, la madre e i suoi due figli sono costretti a vagare in un mondo senza legge, dove la sopravvivenza ha cancellato ogni traccia di umanità e compassione, cercando un barlume di speranza in una stazione ferroviaria abbandonata.
. Le temps du loup è una distopia del silenzio e dell’indifferenza. Il regista non spiega mai la causa del disastro, concentrandosi invece sulla cruda e realistica disintegrazione dei legami sociali. Senza governo, senza regole, senza informazioni, gli esseri umani regrediscono a uno stato primordiale, governato dalla paura e dall’istinto di sopravvivenza. È un’analisi agghiacciante e senza compromessi della fragilità della nostra civiltà.
Primer (2004)
Due ingegneri, lavorando a un progetto imprenditoriale nel loro garage, scoprono accidentalmente un modo per viaggiare nel tempo. Inizialmente usano la loro invenzione per guadagnare in borsa, ma presto si rendono conto che alterare il passato ha conseguenze complesse e pericolose. La loro collaborazione si incrina sotto il peso della paranoia, della sfiducia e dei paradossi che la loro stessa creazione ha scatenato.
Realizzato con un budget di soli 7.000 dollari, Primer è un trionfo del cinema indipendente e una delle rappresentazioni più realistiche e intellettualmente rigorose del viaggio nel tempo. La sua forza non risiede negli effetti speciali, ma nella sua complessa struttura narrativa e nel suo dialogo tecnico e denso. Il film di Shane Carruth dimostra come i vincoli di budget possano stimolare un’incredibile innovazione. La distopia qui è intima e intellettuale: non è il mondo a essere corrotto, ma la capacità umana di gestire un potere che non può comprendere, portando alla disintegrazione delle relazioni e dell’identità.
A Scanner Darkly (2006)
In una California del futuro prossimo, l’America ha perso la guerra alla droga. Un poliziotto sotto copertura, Bob Arctor, si infiltra in una comunità di tossicodipendenti per indagare sulla diffusione di una nuova e potente sostanza chiamata “Sostanza M”. Diventato lui stesso dipendente, la sua identità inizia a frammentarsi, al punto che, come agente “Fred”, riceve l’ordine di spiare… se stesso.
Richard Linklater adatta il romanzo di Philip K. Dick utilizzando la tecnica del rotoscoping, in cui l’animazione viene disegnata sopra le riprese dal vivo. Questa scelta stilistica non è un semplice vezzo, ma una perfetta metafora visiva della paranoia, della sorveglianza e della perdita di identità che permeano il film. Il mondo di A Scanner Darkly è una distopia allucinata, dove la realtà è costantemente mediata e distorta dalla tecnologia e dalle droghe. L’animazione crea una patina surreale che rende impossibile distinguere tra ciò che è reale e ciò che è percepito, trascinando lo spettatore nella stessa spirale di confusione del protagonista.
Mistero di un impiegato

Film drammatico, thriller, di Fabio Del Greco, Italia, 2019.
Qualcuno vuole controllare la vita dell’impiegato Giuseppe Russo: i prodotti che acquista, la sua fede politica e religiosa, la sua vita privata, persino i suoi sogni. Ma farà di tutto per sfuggire al controllo e trovare il suo vero io. Giuseppe è un uomo sui 45 anni, sposato, con un lavoro stabile e una casa di proprietà. La sua vita scorre apparentemente tranquilla, quando incontra un vagabondo misterioso gli consegna delle vecchie videocassette VHS. Giuseppe inizia a vedere i nastri video in cui è filmato in alcuni momenti della sua vita fin da bambino, poi da adolescente e da giovane. Chi ha girato quei video di cui non ricorda nulla? Giuseppe ha la strana sensazione di essere costantemente osservato e inizia a indagare su ciò che sta accadendo. Attraverso la sua indagine, inizia a riscoprire la sua vera identità e a prendere coscienza di chi è veramente.
Mistero di un impiegato è un film mette in luce il pericolo del controllo sociale e mostra una società in cui tutti sono costantemente sorvegliati e condizionati nel loro io più profondo. Il film è anche un'analisi della natura umana e sull'identità. Fabio Del Greco, che interpreta Giuseppe, offre una performance coinvolgente. Altrettanto brava è Chiara Pavoni, nel ruolo di Giada Rubin e Roberto Pensa nel ruolo del vagabondo. Mistero di un impiegato è un film che affronta temi importanti in modo originale, un thriller psicologico che mantiene lo spettatore incollato allo schermo fino alla fine: una metafora della società contemporanea, in cui le persone sono sempre più sorvegliate e condizionate dai media e dalle tecnologie. E' un un'opera coraggiosa e provocatoria, che affronta temi importanti in modo originale.
LINGUA: italiano
SOTTOTITOLI: inglese, spagnolo, francese, tedesco, portoghese
Children of Men (2006)
Nel 2027, il mondo è precipitato nel caos dopo quasi due decenni di infertilità umana. L’umanità è sull’orlo dell’estinzione. In una Gran Bretagna diventata uno stato di polizia che dà la caccia ai rifugiati, un disilluso burocrate viene incaricato di proteggere una giovane donna miracolosamente incinta e di scortarla in un luogo sicuro, diventando l’improbabile custode dell’ultima speranza per il futuro.
Alfonso Cuarón dirige un’opera di una potenza e di un’urgenza sconvolgenti. Children of Men è una distopia del presente, un film che utilizza la sua premessa fantascientifica come una metafora straziante della perdita di speranza e della crisi dei rifugiati. Girato con uno stile quasi documentaristico, con lunghi e virtuosistici piani sequenza che immergono lo spettatore nel caos, il film è un’esperienza viscerale. La sua rappresentazione di un mondo senza futuro è un monito potente sulla fragilità della nostra civiltà e sulla necessità di proteggere la speranza, anche quando sembra perduta.
District 9 (2009)
Quando un’astronave aliena si ferma sopra Johannesburg, gli umani scoprono a bordo una popolazione di extraterrestri malnutriti. Confinati in un ghetto chiamato District 9, gli alieni, soprannominati “gamberoni”, vengono trattati con disprezzo e sfruttati. Un burocrate incaricato del loro trasferimento viene accidentalmente esposto a una sostanza aliena e inizia a trasformarsi, diventando l’uomo più ricercato e l’unico in grado di comprendere la loro situazione.
Prodotto da Peter Jackson, il film di Neill Blomkamp è una potente e originale allegoria dell’apartheid e della xenofobia. Utilizzando uno stile mockumentary e un realismo da reportage, District 9 fonde azione e commento sociale in modo impeccabile. La distopia qui è radicata nella storia reale della segregazione, e la sofferenza degli alieni riflette quella di innumerevoli popolazioni oppresse. È un film intelligente e spettacolare che usa la fantascienza per parlare del nostro mondo, costringendoci a confrontarci con i nostri pregiudizi e con la disumanità di cui siamo capaci.
Monsters (2010)
Sei anni dopo che una sonda della NASA si è schiantata in Messico, metà del paese è stata messa in quarantena come “Zona Infetta” a causa della comparsa di gigantesche creature aliene. Un fotoreporter americano accetta di scortare la figlia del suo capo attraverso la zona pericolosa per riportarla sana e salva negli Stati Uniti. Il loro viaggio si trasforma in un’odissea attraverso un paesaggio tanto meraviglioso quanto letale.
Gareth Edwards dimostra che con un budget minimo si può creare un cinema di grande impatto emotivo e visivo. . Invece di concentrarsi sullo spettacolo dei mostri, il film mette in primo piano la relazione tra i due protagonisti. Le creature rimangono sullo sfondo, una presenza costante ma spesso invisibile, che serve come potente allegoria dei confini, dell’immigrazione e della paura dell’ “altro”. Il vero “mostro” del titolo non è la creatura aliena, ma il muro che divide due mondi.
Never Let Me Go (2010)
Kathy, Tommy e Ruth crescono insieme in un idilliaco collegio inglese, Hailsham. La loro vita è protetta e apparentemente normale, ma presto scoprono una verità agghiacciante: sono cloni, creati con il solo scopo di donare i loro organi una volta raggiunta la giovane età adulta. Mentre affrontano il loro destino, il loro legame di amicizia e amore viene messo a dura prova.
Basato sul romanzo di Kazuo Ishiguro, Never Let Me Go è una distopia di una tristezza e di una delicatezza strazianti. L’orrore non è nella violenza fisica, ma nella rassegnazione silenziosa a un destino crudele. Il film esplora temi profondi come l’identità, l’anima e il significato di una vita vissuta sapendo che è destinata a essere breve e strumentale. È una critica potente a una società utilitaristica che mercifica l’esistenza stessa, e una riflessione commovente sulla fragilità dei legami umani di fronte all’inevitabile.
Occidente

Film drammatico, di Jorge Acebo Canedo, 2019, Spagna.
Torino Underground Cinefest 2020, Ponferrada International Film Festival 2019. Un regista fuggitivo in esilio di nome H ritorna nella città industriale da cui era fuggito molto tempo prima, in un tempo e in un luogo sconosciuti. Gloria, l’operaia che si è lasciato alle spalle e che amava, lotta per sopravvivere alla monotonia. Ma H, incapace di conformarsi, la convince a fuggire oltre la civiltà, un posto che nessuno ricorda.
Spunto di riflessione
Il progresso e la rivoluzione industriale dovevano portare un maggiore grado di civiltà, ma è andata davvero così? L'idea di essere una società civile ed evoluta è pericolosa perché impedisce di diventarla davvero. I politici sono in grado di prendere in considerazione solo il prodotto interno lordo e la crescita economica. Tutto il mondo si muove nella direzione di una "presunta" civiltà. Ma se non si riesce a vedere la malattia dell'inciviltà allora è impossibile iniziare il processo di guarigione.
LINGUA: spagnolo
SOTTOTITOLI: italiano, inglese, francese, tedesco, portoghese
Beyond the Black Rainbow (2010)
Nel 1983, all’interno del misterioso Istituto Arboria, una giovane donna dotata di poteri psichici, Elena, è tenuta prigioniera dal sinistro Dr. Barry Nyle. Sottoposta a sessioni di terapia che sono in realtà sadici esperimenti, Elena cerca di fuggire da questa prigione psichedelica, mentre il passato oscuro di Nyle e dell’istituto viene lentamente a galla, rivelando un incubo di controllo mentale e trascendenza fallita.
Il debutto di Panos Cosmatos è un’esperienza visiva ipnotica e terrificante, un omaggio al cinema di fantascienza e horror degli anni ’70 e ’80. Beyond the Black Rainbow è una distopia retro-futuristica, un trip psichedelico che immerge lo spettatore in un’atmosfera onirica e opprimente. Con la sua estetica satura di colori, il ritmo lento e contemplativo e la colonna sonora synth, il film crea un mondo unico e inquietante. È un’esplorazione del controllo, della coscienza e dei pericoli di una ricerca spirituale che si trasforma in tirannia.
Antiviral (2012)
In un futuro ossessionato dalla fama, una clinica vende ai fan le malattie delle loro celebrità preferite. Syd March è un impiegato che, per arrotondare, contrabbanda questi virus nel proprio corpo per venderli al mercato nero. Quando si inietta il virus che ha appena ucciso la superstar Hannah Geist, si ritrova con una malattia mortale e diventa l’obiettivo di collezionisti e fanatici, costretto a svelare il mistero della morte di Hannah per salvare se stesso.
Brandon Cronenberg, figlio d’arte, dirige un’opera che è degna erede del cinema paterno. Antiviral è una satira glaciale e disturbante sulla cultura della celebrità e sulla mercificazione del corpo. In questa distopia, il culto dell’immagine diventa una patologia letterale. Il corpo non è più privato, ma un prodotto la cui biologia stessa – i suoi virus, le sue cellule – può essere acquistata e consumata. È un’analisi spietata di una società in cui il desiderio di connessione si trasforma in una forma di cannibalismo biologico.
Snowpiercer (2013)
Nel 2031, un esperimento fallito per fermare il riscaldamento globale ha gettato il mondo in una nuova era glaciale. Gli unici sopravvissuti viaggiano a bordo dello Snowpiercer, un treno in perpetuo movimento che compie il giro del globo. All’interno, una rigida gerarchia sociale vede i poveri ammassati in condizioni disumane in coda, mentre l’élite vive nel lusso in testa. Una rivolta è inevitabile.
Il regista sudcoreano Bong Joon-ho (Parasite) crea un’allegoria di classe potente e visivamente spettacolare. Lo spazio lineare e claustrofobico del treno diventa un microcosmo della società capitalista, con ogni vagone che rappresenta un diverso strato sociale. La lotta per avanzare verso la testa del treno è una rappresentazione letterale della lotta di classe. Snowpiercer è un film d’azione intelligente e brutale, che unisce una narrazione avvincente a una critica sociale affilata, interrogandosi sulla natura del potere, del controllo e della rivoluzione.
Under the Skin (2013)
Un’entità aliena assume le sembianze di una donna attraente e percorre le strade della Scozia a bordo di un furgone, adescando uomini soli. Le sue vittime vengono condotte in un luogo surreale e oscuro, dove vengono consumate. Tuttavia, attraverso le sue interazioni con gli umani, l’aliena inizia a sperimentare frammenti di empatia e a mettere in discussione la sua stessa natura e la sua missione.
Jonathan Glazer dirige un’opera di fantascienza enigmatica e visivamente sbalorditiva. Under the Skin adotta uno sguardo alieno per esaminare l’umanità da una prospettiva esterna e spietata. Girato in parte con telecamere nascoste e attori non professionisti, il film cattura la banalità, la crudeltà e la vulnerabilità della nostra specie. È una meditazione profonda sull’identità, la solitudine e la natura dell’empatia, un’esperienza cinematografica sensoriale che si insinua sotto la pelle e lascia lo spettatore a interrogarsi su cosa significhi veramente essere umani.
Tao

Cortometraggio, sci-fi, di Edo Tagliavini, Italia.
In un futuro prossimo, Europa e America hanno unito le loro frontiere nella “Federazione Democratica”: l’unica via per diventarne membri è quella di partecipare allo show televisivo chiamato “Tao”, e combattere contro l’avversario per vincere il permesso di soggiorno.
Spunto di riflessione
Tao significa "la via", ma non in riferimento a una meta. Non c'è niente da raggiungere, devi solo essere qui e ora, e celebrare la vita. La vita non ha scopo né meta. Il Tao si riferisce alle leggi universali, non quelle fatte dall'uomo. Il Tao è l'unica vera legge, il principio che tiene insieme l'esistenza. È un Cosmo che tiene insieme un immenso ordine intrinseco, l'armonia del Tutto. Il sinonimo più adatto alla parola Tao è Natura con la N maiuscola.
LINGUA: inglese
SOTTOTITOLI: italiano
Coherence (2013)
Durante una cena tra amici, il passaggio di una cometa provoca un blackout e una serie di eventi inspiegabili. Quando scoprono che l’unica altra casa illuminata nel quartiere è una copia esatta della loro, con dentro delle loro versioni alternative, la serata si trasforma in un incubo di paranoia e sfiducia. Le relazioni si frantumano mentre i personaggi si confrontano con le infinite possibilità della fisica quantistica.
Coherence è un capolavoro di fantascienza a micro-budget che dimostra come una grande idea e una sceneggiatura brillante possano superare qualsiasi limite produttivo. Girato quasi interamente in una sola location e basato sull’improvvisazione degli attori, il film trasforma una normale cena in un labirinto di realtà parallele. È un thriller psicologico teso e intelligente che esplora i temi dell’identità, delle scelte e della natura fragile della realtà, dimostrando che la distopia più terrificante può nascere dalle crepe del nostro mondo familiare.
The Lobster (2015)
In una società distopica, essere single è illegale. Le persone sole vengono arrestate e trasferite in un hotel dove hanno 45 giorni per trovare un partner. Se falliscono, vengono trasformate in un animale a loro scelta. Un uomo, abbandonato dalla moglie, cerca di sopravvivere in questo sistema assurdo, prima tentando di conformarsi e poi fuggendo per unirsi a un gruppo di ribelli solitari nel bosco, dove però vige la regola opposta: l’amore è proibito.
Il regista greco Yorgos Lanthimos crea una satira surreale e acutissima sulle convenzioni sociali e sulla pressione di conformarsi. Il genio di The Lobster sta nel presentare due distopie opposte ma ugualmente tiranniche: quella dell’accoppiamento forzato e quella della solitudine forzata. Con il suo stile impassibile e il suo umorismo nero, il film critica non una singola ideologia, ma la natura stessa dei sistemi sociali rigidi che soffocano l’individualità e la complessità delle emozioni umane. È una riflessione brillante e bizzarra sull’amore, la solitudine e l’assurdità delle regole che governano le nostre vite.
Possessor (2020)
Tasya Vos è un’assassina che lavora per un’organizzazione segreta che utilizza una tecnologia di impianti cerebrali per “possedere” i corpi di altre persone e usarli per commettere omicidi. Tuttavia, ogni missione la allontana sempre di più dalla sua vera identità. Quando un incarico di routine va storto, si ritrova intrappolata nella mente di un uomo che inizia a combattere per riprendere il controllo del proprio corpo.
Brandon Cronenberg prosegue l’eredità paterna con un thriller fantascientifico che è la terrificante evoluzione delle ansie contemporanee sulla sorveglianza aziendale e la perdita di identità. Possessor rappresenta il punto finale del controllo distopico: il corpo non è più solo monitorato o mercificato, ma diventa un semplice hardware, un veicolo che può essere dirottato. L’orrore qui è l’annientamento totale del sé da parte di un’entità corporativa. Con la sua violenza viscerale e la sua fotografia fredda e sterile, il film è un’analisi agghiacciante della disumanizzazione nell’era della tecnologia invasiva.
Vesper (2022)
In un futuro post-apocalittico, l’ecosistema terrestre è collassato. L’umanità sopravvive in cittadelle fortificate, mentre i pochi rimasti all’esterno lottano per la sopravvivenza in un mondo ostile. Vesper, una ragazza di 13 anni dotata di straordinarie capacità di bio-hacking, si prende cura del padre paralizzato. L’incontro con una misteriosa donna proveniente da una cittadella le offre la possibilità di un futuro diverso, ma la trascina in un pericoloso intrigo.
Vesper è un’opera di fantascienza “bio-punk” visivamente sbalorditiva e tematicamente ricca. A differenza di molte distopie post-apocalittiche, il film non si concentra sulla desolazione, ma su un mondo in cui la natura, sebbene tossica e strana, è rigogliosa e piena di una nuova, bizzarra vita. È una favola ecologica che esplora la disuguaglianza di classe e il potere della conoscenza scientifica come strumento di ribellione. L’estetica organica e fiabesca del film lo rende una delle visioni più originali e affascinanti della fantascienza recente.
Le nuove paure di un mondo distopico

Non è un mistero che la distopia oggi è tornata all’attenzione del mondo. Il romanzo 1984 di George Orwell è di nuovo uno dei bestseller più letti dei paesi occidentali. La causa principale di queste nuove percezioni negative e paure è probabilmente la grande trasformazione tecnologica e digitale che stiamo vivendo e l’affermarsi di leader politici che non riescono a evitare le crisi di ogni tipo, che si succedono rapidamente.
A questi cambiamenti si è aggiunta la pandemia covid 19 che ha creato nelle strade del mondo quegli scenari che eravamo abituati a vedere solo nei film di fantascienza come L’ultimo uomo sulla Terra. Strade deserte e isolamento domiciliare per tutta la popolazione mondiale, coprifuoco, distanziamento sociale e paura dell’altro, alienazione e paura della malattia.
La nascita dei film distopici
Sono innumerevoli i film horror distopici che hanno utilizzato ambientazioni di questo tipo, a cominciare ad esempio dalle interpretazioni horror come La notte dei morti viventi di George Romero. O il più recente Contagion, che tratta in maniera più diretta il tema del virus. A confermare l’interesse e la fascinazione dei cineasti per un mondo distopico e negativo, carico di conflitti, è la grande quantità di cortometraggi e film distopici indipendenti realizzati negli ultimi due anni sul tema durante il lockdown globale.
L’uomo contro la società
Al contrario del teatro focalizzato, di più sul conflitto interpersonale tra i personaggi, diversamente della letteratura e del romanzo, capaci di profonde indagini interiori, il cinema dà il meglio di sé quando l’uomo lotta contro forze esterne. Ovviamente questo non è sempre vero.
Ci sono molti cineasti che hanno realizzato film completamente focalizzati sul conflitto interiore o interpersonale. Una buona sceneggiatura comprende nel suo sviluppo tutti e tre livelli di conflitto. Ma resta evidente che il conflitto esteriore, il protagonista che lotta contro il mondo esterno e la società, è quello più adatto all’opera cinematografica.
Molti grandi registi, a partire da Fritz Lang, hanno scolpito le loro testimonianze dentro film distopici che raccontano le loro esperienze nelle dittature del ventesimo secolo. Orrori e società distopiche che ora appartengono al passato e alla storia. Ma il mondo distopico nei film e nei romanzi è sempre qualcosa che deve ancora manifestarsi, un brutto presagio che appartiene al futuro.
1984, il romanzo di George Orwell

La più celebre opera d’arte distopica con cui il concetto stesso di distopia spesso viene identificato è 1984 di George Orwell. Il Grande fratello è diventato famoso in tutto il mondo e non smette mai di essere di un attualità impressionante. Forse perché Orwell ha centrato in questo romanzo uno dei nodi fondamentali dell’esistenza umana: l’istinto di sopraffazione dei poteri oscuri nei confronti dei cittadini. Un fenomeno che possiamo osservare a livello globale a tutte le latitudini.
Per fortuna è un fenomeno che ha anche una funzione positiva: quella di far crescere la ribellione e la consapevolezza delle persone nei confronti di chi vuole dominarle e sfruttarle. Più il mondo distopico e violento e più genera un mondo migliore. Nelle opere letterarie e cinematografiche però il lieto fine non è così frequente.
In 1984 Winston Smith si arrende al lavaggio del cervello del regime totalitario del Grande Fratello. In molti film il protagonista non sopravvive alla mostruosità della distopia. Ma per fortuna la realtà conferma che è vero il contrario. I tentativi di eliminare la dignità e la libertà dell’individuo falliscono e contribuiscono a creare un mondo migliore, anche se il prezzo da pagare è alto.
Recuperare il potere interiore
Se la libertà e il benessere non fossero già adesso in nostro potere, dovremmo sempre sperare in qualcuno disposto a concedercele. E anche se le cose andassero bene, vivremmo comunque nella paura di perdere ricchezza e libertà a causa di un cambiamento sfavorevole di chi detiene il potere. Questa è la vita che conduce alla schiavitù e allo psico-penitenziario: la speranza di avere qualcosa di meglio e la paura di perdere ciò che si crede di possedere già. Ma consegnare libertà e ricchezza nelle mani del mondo esterno, costituisce già di per sé uno stato di schiavitù.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione

