Intervista a M. Deborah Farina

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Parla la regista dell’acclamatissimo documentario “Milano calibro 9: le ore del destino”, in concorso alla terza edizione di Indiecinema Film Festival

Giovedì 27 giugno 2024 (ore 20.30) Indiecinema Film Festival farà ritorno al Circolo Arcobaleno di Roma, sede principale dell’autarchica manifestazione cinematografica, con un omaggio a M. Deborah Farina, il cui documentario Milano calibro 9: Le ore del destino è in concorso alla terza edizione del festival.
Ne abbiamo approfittato per approfondire e analizzare con cura l’ispirazione che ha portato l’autrice a realizzare tale lavoro, parlandone direttamente con lei!

Milano calibro 9: la genesi di una passione

Un documentario come “Milano calibro 9: le ore del destino” è una miniera di suggestioni. E si potrebbe approcciare da molteplici punti di vista. Provando a essere filologici, però, quando e come nasce il tuo amore per il cinema di Fernando Di Leo? E tale passione è stata già al centro di altri tuoi lavori?

La mia passione per il cinema di Fernando Di Leo nasce in tempi non sospetti, quando, nonostante la mia formazione come studiosa di cinema indipendente americano legato allo sperimentalismo e all’underground coast to coast, ho iniziato ad approfondire, non solo come ‘divertissment’, il cinema di genere: noir, thriller, poliziesco, giallo italiano in modo particolare. Di tutta questa produzione incredibile, il film che mi ha scioccata letteralmente è stato Milano calibro 9. La fascinazione totale per questa pellicola cult del 1972 e per la sua battente colonna sonora firmata Luis Bacalov e Osanna, la sua visione e ascolto, è sempre viva e presente; nonostante ne abbia decisamente scandagliato ogni testo e sottotesto, smontato, rielaborato, trovo ancora degli spunti diversi, dei territori inesplorati, come se ogni volta, fosse la prima. Devo ringraziare Domenico Monetti e Luca Pallanch (Csc/CinetecaNazionale), che, dopo il bel risultato di Anarchitaly. Cinema espanso e underground italiano 1960-1978, realizzato con la loro collaborazione accanto a Enrico Magrelli e grazie al supporto di Marco Muller, direttore artistico della 68. Mostra del Cinema di Venezia, da cui la retrospettiva in oggetto proveniva, mi chiesero se volessi continuare la collaborazione, realizzando, a partire dal 2013, il documentario omaggio per i dieci anni dalla scomparsa di Fernando Di Leo. Da li è nato Down by Di Leo. Viaggio d’amore alla scoperta di Fernando Di Leo, che racconta tutta la vicenda artistica e privata del Maestro. Nel 2022, ancora grazie alla collaborazione con il Csc/Cineteca Nazionale, sono stata coinvolta nella realizzazione del documentario sul cinquantennale di Milano calibro 9 (Milano calibro 9: le ore del destino), omaggiato con il meraviglioso restauro della pellicola da parte del laboratorio digitale della Cineteca Nazionale (in collaborazione con Minerva Pictures), con a capo Sergio Bruno, coadiuvato da Marco Meconi e da tutto lo staff. Il viaggio d’amore alla scoperta del cinema di Fernando Di Leo, esemplificato nella scena finale di Down by Di Leo (Ursula Andress che vola via su un aereo verso una meta sconosciuta accanto a Marc Porel, da “Colpo in canna”, facendo un occhietto al pubblico come per dire ‘to be continued‘), continua.

Ricordiamo la premiere del documentario al Torino Film Festival 2022, proiezione avvenuta nel cinquantennale di “Milano calibro 9” e in concomitanza con la presentazione del curatissimo restauro, cui è andata incontro tale pellicola e al quale accennavi poc’anzi… non a caso nel tuo film la complessa operazione di cui si parla emerge attraverso le testimonianze di chi se ne è occupato, all’interno della Cineteca Nazionale. Questa accurata ricostruzione è davvero molto interessante, come ti sei relazionata con loro affinché in un minutaggio tutto sommato breve si approfondisse così bene l’intera questione?

La fantastica premiere del restauro e del documentario, sold out al 40.Torino Film Festival (diretto da Steve Della Casa), con i protagonisti sia del film che del documentario (Barbara Bouchet, Lino Vairetti, Davide Pulici, Sergio Bruno), è stato un momento di grandissima gioia condivisa, dopo tutto il lavoro compiuto intorno al film. Una operazione complessa che, con “Le ore del destino“, doveva raccontare in una forma tra il narrativo, lo sperimentale, il cinema diretto alla base dei miei lavori cinematografici, cos’è Milano calibro 9, la sua genesi, la sua ascesa, le sue fonti, dando un ritmo di montaggio serrato, accanto alle aperture liriche che ho affidato alle performance musicali degli Osanna, quali scene di fiction tra un piano e l’altro della narrazione. La ricerca del materiale e la sua rielaborazione in un continuo rimando tra il passato e il presente, il fondamentale file rouge storico e critico di Davide Pulici, il ricorso alle frasi di Scerbanenco, scelte tra il monumentale carteggio delle sue opere letterarie noir, affidate alla voce di Renato De Rienzo, accanto al documentarismo puro per descrivere le fasi del restauro, hanno creato un mondo, una storia da restituire al pubblico.

Tra materiali di repertorio, fonti letterarie e suggestioni cinefile

Come ti sei mossa riguardo ai materiali di repertorio, in particolare le interviste agli autori (in primis naturalmente Di Leo) e quegli spezzoni delle conferenze stampa con Tarantino e coi grandi del cinema di genere, svoltesi a Venezia parecchi anni fa?

Oltre al soggetto, ho scritto una sceneggiatura in cui ho previsto una serie di sequenze che poi avrei dovuto costruire. In questo senso mi sono poi mossa per cercare i materiali. Grazie alla collaborazione con il Centro Sperimentale, al suo conservatore Alberto Anile e a Stefano Iachetti, ho ottenuto diversi filmati industriali dalla sede di Ivrea, che ho elaborato e montato con gli altri che avevo già trovato attraverso approfondite ricerche storiche. L’intervista a Fernando Di Leo, sempre rielaborata, proviene dal fondamentale incontro filmato, a metà anni Novanta, da Manlio Gomarasca e Davide Pulici, pionieri della diffusione del cinema di genere attraverso la rivista Nocturno (accanto a Stracult, grazie a Marco Giusti, Luca Rea e tutti gli autori). La conferenza stampa a Venezia61, dove i già citati Giusti e Rea realizzarono la retrospettiva “King of the B’s” (in cui, accanto a loro, troviamo Quentin Tarantino, Joe Dante, Sergio Martino, Umberto Lenzi, il direttore Marco Muller), rientra nel mio stesso percorso di ricerca di cui sopra.

Quanto è stato importante poi l’apporto di Davide Pulici, per l’inquadramento storico e la “lettura” stessa della pellicola?

L’apporto di Davide Pulici è stato fondamentale e necessario. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto elaborare criticamente e storicamente la genesi del film, dando spunti magnifici alla narrazione, da cui nasce anche la frase dal titolo “Le ore del destino“. La differenza tra la pellicola distribuita nelle sale nel 1972, ovvero la stampa diffusa, rispetto alla stampa originale di Milano calibro 9, che è depositata in Cineteca Nazionale accanto ai negativi originali e alla colonna audio originale (principale fonte utilizzata per il restauro digitale), aveva incise con ritmo costante, il giorno e le ore mancanti all’appuntamento con il proprio destino. Il film, da un punto di vista esistenziale, è in sintesi, attraverso la storia di una presunta invincibilità, la rappresentazione proprio del destino e della sua ineluttabilità.

Tra i numi tutelari del film vi sono anche, ovviamente, il cinema di Melville e i romanzi di Scerbanenco. Come ti poni rispetto a loro?

Mi pongo naturalmente in modo positivo. Per descrivere le basi da cui nasce Milano calibro 9, ma in generale in tutte le opere che intendano approfondire un argomento storico, era necessario ricorrere sia a Jean Pierre Melville che a Giorgio Scerbanenco. Appassionatissimo lettore della letteratura noir francese del Novecento (come, a livello contenutistico, affine all’antimoralismo di Gide e al pensiero filosofico di Voltaire), Fernando Di Leo appare chiaramente ispirarsi a Le samourai, film del 1967, di Melville. In qualche modo, a parte la forma strutturale del film e parti del plot, anche la visione funzionale alla storia della figura del ‘malavitoso’, nei due, appare simile, in quanto strumento per raccontare un disagio psicologico e ambientale. Se le atmosfere visive ‘notturne’, appaiono vicine all’universo di Melville, è probabilmente la conoscenza letteraria di Scerbanenco, tuttavia, a determinare un certo tipo di personaggio e di incastro narrativo, più legato agli ambienti della mala milanese degli anni Sessanta. Di Leo rielabora i “Racconti della mala” dello scrittore, fa vivere quei personaggi, delineando un panorama filmico articolato e multiforme.

La musica in primo piano

Più che una domanda, un’affermazione: gli Osanna! Dal meraviglioso Osannaples a quest’altro documentario la loro presenza in scena si conferma essenziale, non solo per le testimonianze riguardanti il contributo offerto alla colonna sonora di Milano Calibro 9, ma anche per quelle scene così creative girate appositamente con loro. Cosa puoi dirci a riguardo?

Grazie! L’avventura di Osannaples, iniziata nel dicembre 2017 (con le interviste a David Jackson dei Van Der Graaf Generator e David Cross dei King Crimson al Museo del Rock di Catanzaro.. direi un buon starting point), in realtà non è mai finita: le sue tappe (tra le varie, dalla premiere al Seeyousound Film Festival, al Los Angeles-Italia, al tour di presentazione di Osanna50, ai premi vinti), sono in divenire (del resto un film è per la vita) e anche Milano calibro 9: le ore del destino, si pone sulla scia della mia stretta collaborazione con gli Osanna. In realtà, l’idea del documentario, è partita proprio dalle loro scene: ho immaginato la band, truccata e vestita come ho ideato in Osannaples (da allora hanno adottato quei costumi nei concerti non in borghese), interpretare la colonna sonora di Milano calibro 9, all’interno di location idealmente affini a quelle del film “dileiano”, su cui ho fatto muovere personaggi fumettistici di gangsters, quali ironiche metafore dell’immaginario del genere, alternandoli a tratti, con i reali personaggi del film. La potenza dell’immagine e della musica degli Osanna, la prorompente vocalità del fondatore e leader Lino Vairetti, ha creato un piano alternato a quello più strettamente legato al documentario, che rafforza e distende la visione. L’ibridazione dei generi in chiave sperimentale, come la matrice stessa della mia formazione cinematografica, è un aspetto che credo contraddistingua tutta la mia produzione.

Più in generale, cosa ti affascina in modo particolare della colonna sonora di “Milano calibro 9” e del modo in cui Bacalov vi ha lavorato?

La colonna sonora di Milano calibro 9, inutile dire che ritengo sia uno dei massimi capolavori a livello internazionale su diversi fronti: sia per quanto riguarda l’universo delle colonne sonore, sia, in quanto pietra miliare, accanto a Palepoli della musica hard-rock psichedelica. Parlare solo di progressive-rock è forse troppo generico nei confronti di una band (che ritenevo essere inglese, al pari di Deep Purple e Led Zeppelin), i cui album dal 1971 al 1974, hanno elaborato sonorità uniche nel panorama musicale italiano, oggi ancora d’avanguardia. Bacalov, come detto da lui stesso, ebbe l’intuizione di accostare la ‘musica colta’, quella classica-sinfonica alla musica rock. Dopo aver fatto la prima operazione con i New Trolls per Concerto grosso (music score de La vittima designata), individuò gli Osanna come possibili compositori ed esecutori della parte rock di Milano calibro 9. L’unione delle parti è storia. Mi affascina il cambio repentino dei registri, da cui si è creato un ambient sonoro unico e potentissimo, grazie al suono del synth ARP 2600 di Vairetti, alla chitarra distorta hendrixiana di Danilo Rustici, come i fiati di Elio D’Anna, la potenza e precisione del reparto ritmico di Massimo Guarino e Lello Brandi. Curiosità: per la scena d’amore tra Ugo Piazza e Nelly Bordon (Gastone Moschin e Barbara Bouchet), era prevista la meravigliosa ballad “There will be time”/ “Canzona”, scritta appositamente da Bacalov sulla vocalità di Lino Vairetti che, per motivi di tempo, data l’imminente uscita del film, non fu inserita nella scena, ma successivamente apparve solo sul disco degli Osanna.

Il cinema indipendente come “missione”

In alcune parti del film il discorso emerge quasi con prepotenza, ad ogni modo nel tuo documentario c’è uno studio pazzesco del montaggio, incalzante ed efficacissimo pure (anzi, persino di più) quando sullo schermo s’alternano materiali di provenienza diversa. Quanta fatica e quanto tempo viene a costare un lavoro così certosino?

Il montaggio è per me il momento più importante della costruzione architettonica del film. Una fase assimilabile alla scrittura e alla regia. Infatti, nessuno può accedere a visionare questa fase che è un fatto privato tra me e il mio materiale. In questo senso è decisamente vero che è li che emerge il mio carattere autoritario e quindi la prepotenza del discorso. Provenendo da studi artistici ed architettonici ed essendo anche artista figurativa, per me montare è la fase progettuale come di un quadro o di un exempla, in cui disegno e coloro, sperimento, creo immagini da fonti che rielaboro, graffio, aumento. Su Milano calibro 9: le ore del destino (che ha poi ricevuto il VESPERTILIO AWARD 2023 come Miglior Documentario), ho avuto l’intuizione del super 8, ripreso come un telecinema, grazie alla pellicola di Mauro Coscia. Rendere per esempio in un tutto fluido le mie riprese dal super 8 con quelle dal 35 mm, ha richiesto molta attenzione. Per arrivare a tale sofisticazione e all’elaborazione di tante altre creazioni grafiche serve un lavoro infinito, il cui dispendio di tempo è sempre dettato dal film, dal suo tempo.

L’anno scorso sei stata Presidente di Giuria proprio ad Indiecinema Film Festival, ti stessa hai creato una rassegna legata al cinema di genere, sai portare a termine lavori ambiziosi pur appoggiandoti a produzioni medio-piccole e conosci diversi altri colleghi che operano in condizioni simili. Cosa rappresenta per te quella sfida, a dir poco tosta, insita nel fare cinema indipendente in Italia?

Si, è stata una bellissima esperienza essere Presidente di Giuria dell’Indiecinema Film Festival, accanto a bravissimi professionisti e con tanti bei film che ho potuto visionare. E’ vero, ho creato diverse realtà intorno al cinema di genere. Alla Mostra del Cinema di Venezia, in collaborazione con la libreria Altroquando di Roma, ho ideato e diretto gli incontri “Venezia Pulp“, con diversi premi e tanti personaggi illustri che vi hanno partecipato (da Tinto Brass a Pasquale Squitieri, dal cast di Stracult alla Beat Record; dal concerto di Alessandro Alessandroni agli incontri sulla critica cinematografica). Ho poi ideato e diretto il festival-rassegna “Le Giornate del Cinema di Genere“, con il “Premio per la musica da film Piero Umiliani“, giunto quest’anno alla quinta edizione. Per quel che riguarda il produrre opere audiovisive nel mondo del cinema indipendente, credo che sia un tipo di carriera come un’altra; si tratta di un mondo culturale e di nicchia che necessita molto di più del cinema ufficiale, sponsorizzato dai soldi pubblici, di una enorme preparazione in ogni ambito, dalla conoscenza profonda del mezzo e della scrittura cinematografica, alla direzione del set e degli attori, a quella dei processi produttivi e comunicativi. Quindi, in questo senso, è una carriera molto difficile, ma ritengo molto più creativa ed artistica rispetto al preconfezionamento di prodotti per la massa basati su format standardizzati. Dipende tutto dagli obiettivi e dalla conoscenza di se, per ciò di cui si è capaci o no. La mia sfida è sempre in atto: io continuo a stare on the road e a giocare la mia partita.

PS: Per alcuni scatti presenti nel servizio si ringrazia il fotografo Riccardo Piccirillo!

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Stefano Coccia

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