La Sicilia non è un’isola. È un continente cinematografico. C’è l’immagine iconica che il mondo conosce, quella dei grandi capolavori che l’hanno resa leggenda – e troverete qui i pilastri fondamentali. Ma questa guida è anche una contro-mappatura. Un viaggio in un’isola diversa, un personaggio scomodo, arcaico e metafisico.
La vera Sicilia cinematografica è un purgatorio, un teatro di posa per l’assurdo. Il cinema d’autore non ha cercato di vendere l’isola, ma di capirla, di strapparle un frammento di verità. Questa non è una semplice guida, ma un percorso che unisce i film più famosi alle produzioni indipendenti più radicali.
È una mappatura di sguardi: dalla lotta di classe neorealista di Visconti alla prigione metafisica di Rossellini e Antonioni; dall’epica antropologica di Vittorio De Seta all’incubo post-atomico di Ciprì e Maresco. Fino ai registi emergenti che oggi usano l’horror e il fantasy per raccontare un’isola che è, ancora una volta, un laboratorio di linguaggi.
Le Origini. L’Isola Metafisica
Prima che diventasse un set turistico, la Sicilia è stata il laboratorio del Neorealismo e la culla del Modernismo cinematografico. Autori che, lavorando al di fuori delle logiche degli studios, hanno usato il paesaggio siciliano non per la sua bellezza, ma per la sua brutale onestà. L’isola è diventata lo specchio della lotta politica, della prigionia esistenziale e del vuoto emotivo.
La Terra Trema (1948)
Un gruppo di pescatori di Aci Trezza, sfruttati dai grossisti, tenta di emanciparsi mettendosi in proprio. La loro barca e la loro casa vengono ipotecate, ma il mare e la società si rivoltano contro di loro. Il tentativo fallisce, lasciandoli più poveri di prima, costretti a tornare a lavorare per gli stessi padroni che avevano sfidato.
Capolavoro neorealista di Luchino Visconti, La Terra Trema è l’antitesi del cinema da studio. Girato interamente ad Aci Trezza con pescatori locali che recitano in dialetto stretto (una scelta politica radicale per l’epoca), il film trasforma il romanzo I Malavoglia di Verga in un’epica marxista. La Sicilia qui non è un luogo ameno, ma un’arena di lotta di classe arcaica e immobile. Visconti usa il paesaggio marino non per la sua bellezza, ma come simbolo di un destino immutabile, una forza che dà la vita e la toglie, specchio dell’oppressione economica che schiaccia i protagonisti.
Stromboli, Terra di Dio (1950)
Karin, profuga lituana (Ingrid Bergman), per sfuggire a un campo di internamento sposa un pescatore dell’isola di Stromboli. Si ritrova però prigioniera di un ambiente selvaggio, primitivo e ostile, dominato dal vulcano. Incapace di integrarsi e terrorizzata dalla natura e dalla mentalità chiusa degli isolani, tenta una fuga disperata attraverso la montagna.
Stromboli segna l’inizio della collaborazione tra Roberto Rossellini e Ingrid Bergman, ma è soprattutto un’opera di rottura, un film “indipendente” che fonde neorealismo e dramma psicologico. L’isola è un personaggio. Il vulcano non è uno sfondo, è l’antagonista. Rossellini usa la Sicilia vulcanica delle Eolie per rappresentare uno stato dell’anima: è un purgatorio terrestre, un luogo di espiazione. La lotta di Karin non è contro la società (come in Visconti), ma contro Dio e la Natura, in una dimensione metafisica che solo un paesaggio così estremo poteva incarnare.
L’Avventura (1960)
Durante una gita in barca alle isole Eolie, una giovane donna di nome Anna scompare misteriosamente su un isolotto deserto. Il suo amante, Sandro, e la sua migliore amica, Claudia, iniziano a cercarla. Ma la ricerca si trasforma presto in un viaggio erratico attraverso la Sicilia, durante il quale tra i due nasce una relazione sentimentale, segnata dal vuoto e dall’alienazione.
Capolavoro di Michelangelo Antonioni e film-scandalo che ha ridefinito la narrativa cinematografica. L’Avventura è la quintessenza del cinema d’autore indipendente. Antonioni usa la Sicilia (le Eolie, Noto, Taormina) in modo rivoluzionario. Ignora ogni stereotipo folkloristico e si concentra sulla geometria desolata del paesaggio, che diventa lo specchio della crisi morale e del vuoto emotivo dei protagonisti. La scomparsa di Anna, che non viene mai risolta, è il pretesto per mostrare l’incapacità dei personaggi di provare sentimenti autentici. La Sicilia di Antonioni è uno spazio metafisico, arido, accecante, dove l’architettura barocca evidenzia solo la decadenza interiore della borghesia.
Salvatore Giuliano (1962)
Il film si apre con il ritrovamento del cadavere del bandito siciliano Salvatore Giuliano nel 1950 a Castelvetrano. Da lì, la narrazione procede per flashback e flashforward non lineari, ricostruendo gli eventi della sua vita, la strage di Portella della Ginestra e i complessi legami tra banditismo, mafia e politica nel dopoguerra siciliano, culminando nel processo di Viterbo.
Opera politica fondamentale di Francesco Rosi, Salvatore Giuliano è un film d’inchiesta travestito da cinema d’autore. Rosi, girando negli stessi luoghi degli eventi (Montelepre, Castelvetrano) e usando molti attori non professionisti, crea un’opera che è l’opposto del film biografico. Giuliano è quasi assente, una figura fantasma. Il vero protagonista è il paesaggio siciliano: arido, polverso, crivellato di proiettili. Rosi usa questo spazio per mostrare un’isola dove la verità è inattingibile, sepolta sotto strati di omertà, corruzione e potere. È un’analisi spietata della Sicilia come epicentro dei misteri irrisolti della Repubblica Italiana.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione
Il Mondo Perduto. L’Epica Antropologica di Vittorio De Seta
Nessuno ha filmato la Sicilia come Vittorio De Seta. Definito da Pasolini “poeta della verità” e da Scorsese “un antropologo che parla con la voce del poeta”, De Seta ha creato, tra il 1954 e il 1959, una serie di documentari indipendenti sicilia (raccolti in Il mondo perduto) che sono pura epica. Girando in Cinemascope e un Technicolor abbacinante, ha catturato un mondo pre-industriale e rituale nell’attimo esatto prima della sua scomparsa, creando una vera e propria “mitologia della fatica”.
Lu tempu di li pisci spata (1954)
Nelle acque dello Stretto di Messina, i pescatori praticano l’antica e pericolosa caccia al pescespada. Dall’alto dell’antenna, una vedetta scruta il mare. Una volta avvistata la preda, le barche (lontre) partono all’inseguimento. La lotta che segue è un rituale violento e arcaico, un duello tra l’uomo e l’animale.
Questo cortometraggio è pura poesia visiva. De Seta usa un Technicolor saturo e il formato Cinemascope non per abbellire, ma per dare una dimensione epica e quasi mitologica a un lavoro brutale. Il “tempo della spada” è un rito che si ripete da millenni. De Seta si concentra sui volti, sui gesti rituali e sulla fatica, registrando i canti e i suoni senza commento esterno. È un’osservazione partecipata che eleva un evento di pesca a tragedia greca, fissando sulla pellicola un mondo sul punto di scomparire.
Surfarara (1955)
Nelle profondità delle miniere di zolfo dell’entroterra siciliano, uomini e ragazzi lavorano in condizioni disumane. Il documentario segue i minatori dall’alba, mentre scendono a 500 metri sottoterra, estraggono la roccia e la portano in superficie, in un ciclo di fatica che sembra immutabile e infernale.
Se Lu tempu era un rito solare, Surfarara è una discesa all’inferno. De Seta porta la sua macchina da presa in un luogo di buio e oppressione, documentando uno sfruttamento quasi feudale. La Sicilia mostrata qui è lontana mille miglia da qualsiasi costa turistica: è un entroterra arido, povero. L’uso del suono è magistrale: il silenzio è rotto solo dal rumore dei picconi, dai respiri affannosi e dai canti monodici, che suonano più come lamenti che come canzoni di lavoro. De Seta cattura la cultura ancestrale della sofferenza.
Contadini del mare (1955)
Sulle coste di Granitola, all’alba, i pescatori si preparano per la mattanza dei tonni. La preparazione delle reti è meticolosa, un rito collettivo. L’attesa è rotta dall’avvistamento dei tonni, che vengono spinti nella “camera della morte”. L’acqua si tinge di rosso in un’esplosione di violenza rituale, che si conclude con un ringraziamento a Dio.
Simile per tema a Lu tempu, questo film è ancora più strutturato come una sinfonia visiva della morte. De Seta filma la mattanza non con occhio scandalistico, ma con la sacralità di un “rito terribile e mortale”. La Sicilia è un’arena dove il ciclo vita-morte si manifesta con una violenza primordiale. L’uso dei canti ritmati che accompagnano la fatica dei pescatori trasforma il lavoro in una danza di morte. È un cinema antropologico che trova l’epica nella realtà quotidiana.
Pasqua in Sicilia (1955)
A San Fratello, un paese sui monti Nebrodi, la celebrazione della Pasqua si trasforma in un evento sincretico. Durante la processione del Venerdì Santo, la passione di Cristo viene interrotta da figure carnevalesche, i “Giudei”, che suonano trombe e disturbano la cerimonia, mescolando il sacro e il profano in un rito caotico e antico.
Qui De Seta esplora il sincretismo religioso siciliano. L’isola non è solo lavoro, ma anche rituale e misticismo. Il film documenta una forma di resistenza culturale dove elementi pagani e cristiani si fondono. De Seta cattura la “vitalità di una cultura incontaminata” che esprime la sua visione del mondo attraverso una performance collettiva. È un’analisi visiva di come la Sicilia abbia assorbito e rielaborato la religione in una forma unica e teatrale.
Pescherecci (1958)
Un peschereccio siciliano lascia il porto per una battuta di pesca notturna. Il documentario segue la vita a bordo: il lancio delle reti, l’attesa paziente, la raccolta del pesce sotto la luce delle lampare e il ritorno a casa alle prime luci dell’alba, chiudendo il ciclo quotidiano della sopravvivenza.
Girato tre anni dopo gli altri corti siciliani, Pescherecci mostra un’evoluzione nello stile di De Seta. Meno focalizzato sulla violenza rituale della mattanza, è un ritratto più intimo e notturno del lavoro. La Sicilia qui è uno spazio di oscurità e attesa. De Seta cattura la bellezza quasi astratta delle luci sull’acqua e la stanchezza silenziosa dei pescatori. È una testimonianza della normalità della fatica, un’elegia per un mestiere che definisce l’identità dell’isola.
Parabola d’oro (1955)
Nell’entroterra siciliano, il documentario segue il ciclo della mietitura del grano. Dall’alba al tramonto, i contadini lavorano sotto un sole implacabile, usando falci e metodi antichi. Il grano, “oro” della terra, viene raccolto con gesti che si ripetono identici da secoli, in un paesaggio arido e accecante.
Questo film è il controcanto terrestre ai film sul mare. La “Parabola d’oro” è il grano, ma anche la parabola di una fatica biblica. De Seta usa il paesaggio assolato e riarso per enfatizzare la durezza del lavoro agricolo. La Sicilia interna è presentata come un luogo “rimasto inalterato nei secoli”, dove il rapporto tra uomo e terra è ancora basato su una lotta fisica e diretta. È la chiusura perfetta del ciclo de Il mondo perduto, che immortala i tre pilastri della Sicilia arcaica: la miniera, il mare, la terra.
Palermo Underground. L’Estetica Grottesca di Ciprì e Maresco
Se De Seta ha cercato la dignità nel passato, Daniele Ciprì e Franco Maresco hanno documentato la fine di ogni dignità nel presente. Il loro è il vero cinema underground sicilia, un attacco frontale, quasi pasoliniano, all’immagine edulcorata dell’isola. Rifiutando sia la nostalgia che l’epica mafiosa, la loro Palermo è un “universo da incubo”, un “mondo-fogna” post-apocalittico. Usano il grottesco, il degrado e la blasfemia come atti politici per mostrare un’umanità regredita a uno stato animalesco.
Cinico TV (1989-1992)
Serie di cortometraggi e sketch realizzati per la televisione (Rai3). Ambientati in una Palermo spettrale, mettono in scena personaggi ricorrenti (come i fratelli Abbate o Paviglianiti) colti in situazioni surreali, grottesche e nichiliste. Il tutto girato in un bianco e nero sgranato e sporco.
Cinico TV è il laboratorio dove Ciprì e Maresco hanno forgiato la loro estetica. Portando l’underground nel palinsesto televisivo nazionale, hanno scardinato il linguaggio del piccolo schermo. La loro Sicilia è un non-luogo, una periferia esistenziale popolata da “mostri” che biascicano frasi assurde. È la decostruzione totale di ogni folclore, una visione che usa l’estetica del degrado per raccontare il vuoto filosofico dell’umanità contemporanea, partendo dal suo epicentro: Palermo.
Lo zio di Brooklyn (1995)
In una Palermo periferica e desertificata, il clan dei Nani deve proteggere un fantomatico “zio di Brooklyn” dalle mire di un boss rivale, Don Masino. La vicenda, quasi inesistente, è un pretesto per una serie di quadri grotteschi e surreali che mostrano un’umanità in piena regressione.
Il primo lungometraggio del duo è un film “estremo e radicale”. È un’opera fieramente indipendente che porta l’estetica di Cinico TV al cinema. La Sicilia è un “universo di poverismo trasgressivo” fotografato nel bianco e nero allucinato di Luca Bigazzi. Il film è un “2001 – Odissea nello schifo”, dove la mafia è ridotta a una farsa grottesca tra nani e derelitti. È l’anti-Padrino per eccellenza: qui il potere non è epico, è solo laido.
Totò che visse due volte (1998)
Diviso in tre episodi, il film è ambientato in una Palermo degradata. Le storie intrecciano un boss mafioso di nome Totò, un moderno “povero cristo” che vive in una grotta, e la vicenda di un vecchio sodomita. È una riflessione cruda sulla religione, la sessualità e la miseria in un mondo senza speranza.
Questo è il loro capolavoro e il film che ne ha sancito lo status di autori underground. Totò che visse due volte fu sequestrato per vilipendio della religione, un caso esemplare di censura. È un’opera che attacca direttamente l’iconografia cristiana, sovrapponendola alla realtà “mondo-fogna” di Palermo. Il film usa la blasfemia come “gesto poetico” e “atto politico”, richiamando Pasolini. La Sicilia è un inferno materialista, dove le “lusinghe dell’angelico vengono brutalizzate” e non c’è possibilità di redenzione.
Il ritorno di Cagliostro (2003)
Un finto documentario (mockumentary) che ricostruisce la storia dei fratelli La Marca, improbabili produttori cinematografici che negli anni ’50 tentarono di creare una “Hollywood siciliana”. Il loro progetto culmina nel film “Il ritorno di Cagliostro“, un’opera disastrosa che li porta alla rovina.
Dopo Totò, il duo cambia registro ma non sostanza. Questo mockumentary usa la storia del cinema come metafora del fallimento siciliano. È una riflessione sulla “fine del cinema” e sull’impossibilità di creare cultura in una terra che divora i suoi stessi sogni. La Sicilia è vista come un luogo di illusionisti e falliti, dove ogni tentativo di grandezza (la “Hollywood siciliana”) è destinato a trasformarsi in farsa. È un’opera malinconica e caustica sull’identità culturale perduta dell’isola.
L’Isola Reinventata. Il Nuovo Cinema Indipendente Siciliano
Dagli anni ’80 in poi, una nuova generazione di registi siciliani indipendenti ha iniziato a usare l’isola in modi innovativi, allontanandosi sia dal neorealismo classico che dal grottesco di Ciprì e Maresco. La Sicilia è diventata un vero e proprio laboratorio di generi: il musical-mafioso, il realismo magico, il noir esistenziale, il western urbano e l’adattamento letterario anti-naturalista. L’isola diventa un palcoscenico flessibile per esplorare l’identità, il desiderio e la morte.
Kaos (1984)
Film a episodi dei fratelli Taviani, tratto dalle “Novelle per un anno” di Luigi Pirandello. Le storie (“L’altro figlio”, “Mal di luna”, “La giara”, “Requiem“) sono collegate da un corvo che vola sopra un paesaggio siciliano arcaico. Il film esplora la superstizione, la pazzia, la proprietà e il rapporto dell’uomo con la terra.
Anche se i Taviani sono autori affermati, Kaos è un’opera dal respiro profondamente indipendente e anti-mainstream. È un’immersione nella Sicilia pirandelliana, un mondo contadino magico e crudele. I Taviani catturano un’isola lunare, dove le passioni sono elementari e la superstizione governa la vita. Il paesaggio dell’entroterra non è né realistico né turistico; è un paesaggio letterario, un teatro di posa a cielo aperto dove si materializzano le ossessioni dell’identità siciliana, in bilico tra follia e lucidità.
Palombella Rossa (1989)
Michele Apicella, dirigente del Partito Comunista Italiano colpito da amnesia, si ritrova a giocare un’ decisiva partita di pallanuoto in una piscina di Acireale, in Sicilia. Durante la partita, frammenti del suo passato politico e personale riaffiorano, mentre cerca di ricordare chi è e in cosa crede.
Anche se solo parzialmente ambientato in Sicilia, il film di Nanni Moretti usa l’isola come spazio di crisi e dissociazione. La trasferta siciliana per la partita diventa un viaggio nell’inconscio del protagonista. La Sicilia non è rappresentata realisticamente, ma è il luogo surreale (una piscina caotica) dove l’ideologia politica (il Comunismo) entra in cortocircuito. Moretti sceglie Acireale non per il suo barocco, ma come periferia dell’impero ideologico, il luogo perfetto per mettere in scena la crisi e la perdita di identità della sinistra italiana.
Tano da morire (1997)
Tano Guarrasi, macellaio del quartiere Zen di Palermo, viene brutalmente assassinato. Mentre la sua famiglia prepara i funerali, il film ricostruisce la sua vita e la sua ascesa nella mafia. La storia, ispirata a fatti reali, è raccontata in forma di musical pop e grottesco, con canzoni e coreografie.
Opera prima folgorante di Roberta Torre, Tano da morire è uno dei film più radicali e innovativi sulla mafia. Prodotto indipendentemente, il film compie un gesto dissacrante: trasforma la tragedia di Cosa Nostra in un musical. La Sicilia dello Zen di Palermo è un palcoscenico assurdo dove boss e picciotti cantano e ballano. Questa scelta stilistica non banalizza la mafia, ma ne demolisce la mitologia: la spoglia della sua aura tragica e la riduce a una farsa pop, kitsch e mortifera. È una decostruzione culturale potente.
Diario di una siciliana ribelle (1997)
Il documentario di Marco Amenta ricostruisce la vera storia di Rita Atria, una ragazza di 17 anni proveniente da una famiglia mafiosa di Partanna. Dopo l’omicidio del padre e del fratello, Rita decide di rompere l’omertà e collaborare con il giudice Paolo Borsellino, rivelando i segreti del clan.
Prima del film di finzione, Amenta ha realizzato questo fondamentale documentario indipendente sicilia. È un’opera cruda che, attraverso interviste e materiali di repertorio, dà voce a una tragedia personale. La Sicilia mostrata è quella della mafia quotidiana, della provincia. Il film è cruciale perché sposta il focus dalle stragi ai testimoni, mostrando il costo umano della ribellione: l’esilio, la solitudine e il rigetto da parte della stessa famiglia. È un ritratto intimo della lotta per la giustizia.
Sicilia! (1999)
Un uomo, Silvestro, torna da Milano al suo villaggio natale in Sicilia dopo molti anni. Lì, ha una lunga e fondamentale conversazione con sua madre sulla povertà, l’infedeltà del padre e la vita passata. Incontra poi un venditore di arance, un arrotino e altri personaggi, in un viaggio quasi astratto.
Tratto da Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini, questo film del duo franco-tedesco Straub-Huillet è l’apoteosi del cinema d’autore anti-spettacolare. Girato in un bianco e nero rigoroso, con attori non professionisti che recitano in modo non naturalistico, il film è l’opposto di ogni folklorismo. La Sicilia è ridotta alla sua essenza: paesaggi aridi e parole. Straub-Huillet usano l’isola come un palcoscenico brechtiano per far risuonare il testo di Vittorini, creando un’opera politica e filosofica sulla memoria e la dignità del lavoro.
Respiro (2002)
A Lampedusa, Grazia (Valeria Golino) è una giovane madre dallo spirito libero e “bizzarro. Il suo comportamento anticonformista non è tollerato dalla comunità chiusa dell’isola. Quando il marito, pressato dai compaesani, decide di mandarla a Milano per cure, Grazia fugge e si nasconde in una grotta, aiutata dal figlio Pasquale.
Prodotto da Fandango, Respiro è un esempio perfetto di cinema indipendente di successo. Emanuele Crialese usa Lampedusa come un’arena primordiale. La bellezza accecante del mare e delle scogliere contrasta con la mentalità “opprimente” e crudele della comunità. Il film ha un tono di realismo magico, quasi una fiaba. La Sicilia (Lampedusa) è un luogo di bellezza che non ammette la diversità; la libertà di Grazia (che canta Patty Pravo) è una minaccia che deve essere neutralizzata o espulsa.
L’isola (2003)
Sull’isola di Favignana, Turi e la sorella minore Teresa vivono la loro adolescenza. La vita è scandita dai ritmi del mare: la “Mattanza”, la pesca, e la presenza del carcere i cui detenuti vivono quasi liberi. L’arrivo dell’estate e di nuovi arrivati porta scompiglio, costringendo i ragazzi a una maturazione precoce.
Opera prima di Costanza Quatriglio, L’isola è una “favola contemporanea e documentario”. Presentato a Cannes, il film usa Favignana come un microcosmo. L’isola è una “prigione naturale” non solo per i detenuti, ma anche per gli abitanti. La Quatriglio fonde finzione e documentario, mostrando la durezza della vita (la Mattanza) e la rapidità con cui i bambini devono “imparare il mestiere”. È un ritratto lirico e asciutto di un’adolescenza vissuta in un luogo chiuso, in balia del mare.
La siciliana ribelle (2008)
Versione romanzata della storia di Rita Atria. Dopo l’assassinio del padre e del fratello mafiosi, la diciassettenne Rita decide di vendicarsi consegnando i suoi diari alla giustizia e collaborando con un giudice. Questa scelta la costringe a rompere con la sua famiglia e a vivere sotto protezione.
Dieci anni dopo il suo documentario, Marco Amenta torna sulla storia di Rita Atria con un film di finzione. Sebbene la produzione sia più strutturata (italo-francese), l’approccio rimane indipendente. Il film decostruisce la mafia dal punto di vista di una donna. La Sicilia è vista attraverso gli occhi di una ragazza che ne rifiuta il codice d’onore. È un film importante perché sposta la narrativa della mafia dall’epica dei boss alla tragedia personale di chi sceglie la giustizia.
Viola di Mare (2009)
Nella Sicilia del XIX secolo, Angela e Sara vivono una storia d’amore saffica. Per salvare la relazione e proteggerla dallo scandalo, il padre di Angela la costringe a travestirsi da uomo, facendola diventare “Angelo”. Vivrà il resto della sua vita con un’identità maschile, in un mondo patriarcale che non concepisce il suo desiderio.
Diretto da Donatella Maiorca e basato sul romanzo Minchia di re di Giacomo Pilati, Viola di Mare è un film indipendente cruciale per come usa il passato siciliano per parlare di identità di genere. L’isola ottocentesca è un luogo arcaico, dominato da un patriarcato assoluto. Il film mostra la Sicilia come un sistema rigido di regole sociali dove l’unica via per la libertà è la dissimulazione totale. L’isola, bellissima e selvaggia, diventa una prigione per l’identità femminile e queer.
Via Castellana Bandiera (2013)
A Palermo, due donne alla guida di due auto si fronteggiano in una strada stretta, Via Castellana Bandiera. Né Rosa, in auto con la sua compagna, né la vecchia e ostinata Samira, vogliono fare retromarcia. Quello che inizia come un banale ingorgo si trasforma in un duello muto, esistenziale e quasi western, che dura tutto il giorno e la notte.
Debutto alla regia della drammaturga Emma Dante, il film è un’opera da camera a cielo aperto. Prodotto da Vivo Film e Wildside, è un film indipendente che traspone il teatro della Dante nel cinema. La via di Palermo diventa un palcoscenico per l’assurdo. La Sicilia è un luogo dove l’ostinazione e l’orgoglio atavico trasformano una banalità in una tragedia. La Dante analizza la condizione femminile e la subalternità, in un duello che è al tempo stesso realistico e profondamente metaforico.
Salvo (2013)
Salvo è un killer della mafia palermitana. Entra in una casa per uccidere un boss e trova Rita, la sorella cieca. Dopo l’omicidio, Salvo le punta la pistola, ma accade un miracolo: Rita riacquista la vista. Sconvolto, Salvo la rapisce e la segrega, iniziando un percorso che lo porterà a mettere in discussione la sua stessa vita.
Opera prima di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, Salvo è un noir che trascende il genere. Vincitore a Cannes, il film usa la mafia come contesto, ma il cuore della storia è un evento “magico”. La Sicilia è un labirinto oscuro, fotografato da Daniele Ciprì con un’estetica che fonde l’ultra-realismo dei pedinamenti con la metafisica. È un film sulla grazia e sulla possibilità di redenzione in un mondo dominato dalla violenza, dove la vista (e la consapevolezza) è un miracolo pericoloso.
L’attesa (2015)
In un’antica villa siciliana alle pendici dell’Etna, Anna (Juliette Binoche) aspetta il figlio Giuseppe. Inaspettatamente arriva Jeanne, la sua fidanzata francese. Giuseppe però non c’è, e Anna, incapace di rivelare una verità terribile, dice alla ragazza che tornerà presto. Le due donne iniziano una convivenza sospesa, aspettando la Pasqua.
Opera prima di Piero Messina, allievo di Sorrentino, L’attesa è un film indipendente di respiro internazionale. Liberamente ispirato a Pirandello, il film usa la Sicilia in modo quasi spettrale. La villa è un luogo fuori dal tempo, avvolto dalla nebbia dell’Etna. Messina usa il misticismo e i riti della Pasqua non per folclore, ma per creare un’atmosfera di attesa metafisica. È un film sul lutto e sull’autoinganno, dove il paesaggio siciliano diventa la proiezione di uno stato d’animo interiore.
Sguardi Emergenti e Visioni Internazionali
L’ultima sezione esplora le tendenze più recenti, che confermano la vitalità della scena indipendente siciliana. Si nota una doppia tendenza. Da un lato, il film stranieri underground sicilia usa l’isola per la sua valenza apocalittica e primordiale. Dall’altro, una nuova generazione di registi emergenti palermo e catanesi si sta appropriando dei generi “bassi” (horror, fantasy, animazione) per raccontare storie locali con un linguaggio universale.
Confino (2016)
Cortometraggio d’animazione. Nella Sicilia del periodo fascista, un artista di ombre cinesi viene mandato al confino su un’isola remota dopo aver osato deridere Mussolini durante uno spettacolo. Lì, in solitudine, userà la sua arte per resistere e trovare una forma di libertà.
Il pluripremiato cortometraggio indipendente sicilia del regista siciliano Nico Bonomolo è un gioiello di animazione indipendente. È significativo perché usa una tecnica (l’animazione) raramente associata alla Sicilia per raccontare una storia di resistenza politica. L’isola-prigione, tema ricorrente (vedi L’isola o Stromboli), è qui metafora del confino fascista. Bonomolo usa la poesia visiva delle ombre per mostrare come l’arte (il cinema stesso) possa essere uno strumento di libertà anche nell’isolamento più totale.
Dio non ti odia (2019)
Un giovane uomo tormentato, afflitto da una crisi spirituale e da visioni inquietanti, lotta per trovare il suo posto nel mondo. La sua discesa nella follia o in una realtà sovrannaturale è ambientata in una Sicilia rurale e opprimente, dove il confine tra fede, superstizione e orrore psicologico è labile.
Diretto dal regista emergente di Bagheria, Fabrizio La Monica, Dio non ti odia è un esempio della nuova onda underground siciliana. Fondatore della Kàlama Film, La Monica si muove nel cinema di genere (definito “drama-horror-fantasy”) a bassissimo budget. Questo film usa la Sicilia non per il sole, ma per le sue ombre. È un horror psicologico che usa il paesaggio locale per esplorare temi universali come la colpa e la fede, dimostrando la vitalità di una scena che si esprime con nuovi linguaggi.
Io sono Lucia (2022)
Il film del regista catanese Danilo Arena racconta la storia di una giovane donna cinese che arriva in Sicilia, intrecciando la sua vicenda con quella di un poeta locale. Il film esplora temi come l’identità, l’integrazione e il confronto tra culture diverse, sullo sfondo di una Sicilia contemporanea.
Premiato in vari festival indipendenti, Io sono Lucia rappresenta un filone importante del nuovo cinema siciliano: il racconto della Sicilia multiculturale. Il regista Arena si allontana dai temi classici (mafia, passato arcaico) per concentrarsi sul presente e sull’incontro (o scontro) tra la cultura locale e le nuove migrazioni. È un cinema indipendente che usa l’isola come laboratorio sociale, interrogandosi su cosa significhi “identità siciliana” nel XXI secolo.
The End (2024)
Un musical post-apocalittico. Una ricca famiglia sopravvive alla fine del mondo in un lussuoso bunker sotterraneo. Il delicato equilibrio di questa vita rituale viene sconvolto dall’arrivo di una ragazza dall’esterno, che porta con sé la realtà del mondo distrutto e incrina le dinamiche familiari.
Diretto da Joshua Oppenheimer e interpretato da Tilda Swinton e Michael Shannon, The End è una grande produzione d’autore internazionale che ha scelto la Sicilia per una ragione precisa. Il bunker sotterraneo del film è stato girato nella miniera di Raffo, nel cuore dell’isola. Questa scelta è simbolica: la Sicilia non è più solo l’isola del sole, ma, come già intuito da De Seta in Surfarara, è un luogo “sotterraneo”, un utero terrestre. Oppenheimer usa la geologia siciliana come location per un film sulla fine dell’umanità, trasformando l’isola nell’ultimo rifugio apocalittico.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
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