Arbëreshë: la grande comunità etnica degli albanesi d’Italia

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L’etnia di un popolo è sempre un fattore fondamentale per la crescita personale, la storia e la visione del mondo delle genti di quel popolo. Chi sono gli Arbëreshë e qual’è la loro cultura?

Cosa vuol dire Arbëreshë? 

Gli Arbëreshë sono i discendenti di Tosk, che partirono dalla Morea tra il XIV e il XVIII secolo partecipando allo sviluppo ottomano fino ai Balcani.

Durante il Medioevo, gli Arbëreshë si insediarono nel Regno di Napoli con una serie di migrazioni, assecondando l’istituzione del Regno d’Albania, con l’eroe nazionale albanese Gjergj Kastrioti Skënderbeu e con la graduale occupazione dei bizantini.

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La loro società si identificava nel linguaggio, nelle credenze religiose cattoliche di rito bizantino, nei costumi standard, nell’arte e nella gastronomia, ancora gelosamente conservata, con la consapevolezza di appartenere a una certa stirpe sociolinguistica. 

Nel corso dei secoli gli Arbëreshë hanno infatti provveduto a preservare e creare le loro identità anche grazie al loro valore culturale esercitato principalmente dalle due comunità religiose di rito bizantino con sede in Calabria, il Collegio Corsini nel 1732, poi il Collegio di San Benedetto Ullano Italo-Albanese di Sant’Adriano nel 1794, e il Seminario Italo-Albanese di Palermo nel 1735.

Oggi gran parte dei cinquanta rioni Arbëreshë sono fedeli della Chiesa Italo-Albanese. Provengono da 2 eparchie, la Lungro, per gli Arbëreshë dell’Italia continentale, la Piana degli Albanesi, per gli Arbëreshë di Sicilia, e anche il Monastero di Grottaferrata, i cui monaci provengono dagli albanesi dell’Italia. La chiesa è la compagnia più attiva nel mantenere la caratteristica identificazione religiosa, etnica, tradizionale e linguistica della comunità arbëreshë.

Che lingua parlano gli Arbëreshë? 

Gli arbëreshë parlano arbëresh, una varietà albanese tosk che comporta la combinazione di codici con le lingue romanze locali dell’Italia. È di particolare interesse per gli studenti della lingua albanese contemporanea poiché conserva i suoni del linguaggio, gli elementi morfosintattici e anche del vocabolario della lingua parlata nell’Albania pre-ottomana.

Dove vivono gli Arbëreshë?

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Gli Arbëreshë sono sparsi in tutta l’Italia meridionale oltre che in Sicilia ed in piccolo numero anche in varie altre parti d’Italia. Sono moltissimi in Nord e Sud America, in particolare negli Stati Uniti, Brasile, Cile, Argentina, Messico, Venezuela, Uruguay e Canada, così come nel Regno Unito. Costituiscono una delle minoranze più antiche e grandi d’Italia, si stima che vi siano circa 100000 Arbëreshë. 

Quando parlano del loro “paese”, gli Arbëresh usano il termine Arbëria, termine geografico generico per i villaggi diffusi nell’Italia meridionale che usano la lingua arbëresh. Sono orgogliosi della loro origine etnica, identità e cultura albanesi, Inoltre si identificano come cittadini italiani, dal momento che vivono in Italia da centinaia di anni. 

Alla luce degli eventi storici, la continuità secolare della presenza albanese in Italia è fenomenale. Nel 2017, con la Repubblica d’Albania, è stata presentata domanda ufficiale di aggiunta degli individui Arbëresh all’UNESCO come patrimonio immateriale sociale e umano vivente dell’umanità.

Gli Arbëreshë in Sicilia

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Le comunità Arbëreshë sono suddivisa in numerose comunità etniche corrispondenti a diverse aree dell’Italia meridionale. Alcuni luoghi hanno già perso le loro caratteristiche originarie e la lingua, altri sono del tutto scomparsi. Oggi l’Italia conta 50 comunità di origine e cultura arbëreshë, 41 comuni e 9 paesi, distribuiti in sette regioni del sud Italia, formando una popolazione di circa 100.000 abitanti.

Le migrazioni degli Arbëreshë

Skanderbeg condusse 2.500 soldati albanesi nel Regno di Napoli nel 1458. La battaglia di Torvioll nel 1444 fu il primo vero scontro tra gli albanesi di Skanderbeg e i turchi Ottomani. L’Arbëreshë, tra il XIV e l’XI secolo, si mosse in piccoli gruppi in direzione dell’Albania principale e meridionale e anche del nord e del sud della Grecia. La loro abilità militare li rese i mercenari preferiti di Franchi, Catalani, Italiani e Bizantini.

L’invasione dei Balcani da parte dei turchi ottomani nel XV secolo costrinse molti Arbëreshë ad emigrare dall’Albania e dall’Epiro nell’Italia meridionale. A seguito di una richiesta dei soldati albanesi, il re Alfonso concesse loro terre e nel 1448 si stabilirono in dodici villaggi della zona montuosa di Catanzaro. Un anno dopo i figli di Demetrio, Giorgio e Basilio insieme ad altri albanesi si stabilirono in quattro villaggi in Sicilia.

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Questa volta, il leggendario condottiero stesso venne in Italia con le sue truppe guidate da uno dei suoi generali, Luca Baffa, per porre fine a un’insurrezione dei francesi. Skanderbeg fu nominato capo dell’esercito napoletano-albanese e, dopo aver vinto due battaglie decisive, i soldati albanesi difesero Napoli. Questa volta furono ricompensati con terre in Puglia, popolando altri 15 villaggi.

Dopo la morte di Skanderbeg nel 1468, la resistenza organizzata albanese contro gli ottomani terminò. Dal momento della morte di Skanderbeg fino al 1480 vi furono continue migrazioni di albanesi verso le coste italiane. Per tutto il XVI secolo queste migrazioni continuarono e altri villaggi albanesi si formarono sul suolo italiano.

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Un’altra ondata di emigrazione, tra il 1500 e il 1534, si associa agli Arbëreshë dalla Grecia centrale. Impiegati come mercenari da Venezia, avevano bisogno di lasciare gli insediamenti del Peloponneso con l’assistenza delle truppe di Carlo V, poiché i Turchi avevano invaso quella zona. Carlo V addestrò questi soldati nell’Italia meridionale per potenziare le difese contro il rischio di intrusioni turche. Insediati in paesi isolati (che hanno permesso loro di mantenere la loro cultura fino al XX secolo), gli Arbëreshë furono soldati del Regno di Napoli e della Repubblica di Venezia, dalle guerre di religione all’invasione napoleonica.

Migrazioni successive degli Arbëreshë

L’ondata migratoria dal sud Italia verso le Americhe nel 1900, 1910 e 1920, 1940, spopolò circa la metà dei villaggi di Arbëreshë, oltre a sottoporre la popolazione alla minaccia della scomparsa culturale, nonostante l’inizio di una rinascita sociale nel 19° secolo. Dalla fine del comunismo in Albania nel 1990, c’è stata un’ondata di immigrazione nelle città.

Dove si parla la lingua arbëresh 

L’arbëresh deriva dal dialetto parlato nell’Albania meridionale e si parla anche nel sud Italia in Calabria, Molise, Puglia, Basilicata, Campania, Abruzzo, oltre alla Sicilia. Tutti i dialetti di Arbëresh sono strettamente correlati l’uno all’altro, tuttavia non sono del tutto intelligibili a vicenda. La segnaletica stradale è multilingue (in italiano e anche albanese) in Piana degli Albanesi, in Sicilia.

La lingua arbëresh è più arcaica dell’albanese standard, ma è abbastanza simile da essere scritta usando lo stesso alfabeto dell’albanese. La lingua arbëresh è di particolare interesse per gli studenti della moderna lingua albanese in quanto rappresenta i suoni, la grammatica e il vocabolario dell’Albania pre-ottomana.

La lingua Arbëresh era spesso chiamata albanese in Italia fino agli anni ’90. Fino a poco tempo fa, chi parlava arbëresh aveva concetti davvero imprecisi su quanto esattamente fosse associata o non correlata la loro lingua all’albanese.

Fino agli anni ’80 l’arbëresh era esclusivamente una lingua parlata, oltre alla sua forma scritta utilizzata nella Chiesa italo-albanese, così come gli arbëreshë non avevano alcun collegamento con la lingua albanese standard utilizzata in Albania, poiché non utilizzavano questa forma per iscritto o nei media. Successivamente una grande quantità di immigrati dall’Albania ha iniziato a entrare in Italia negli anni ’90 ed è entrata in contatto anche con le aree regionali di Arbëreshë.

Considerando che negli anni ’80, sono state predisposte alcune iniziative a tutela del patrimonio linguistico e culturale della lingua. L’ Arbëresh è stato in realtà in lenta diminuzione negli ultimi decenni, tuttavia sta attualmente vivendo una rinascita in molte città d’Italia. 

Non esiste una struttura politica, culturale o amministrativa ufficiale che rappresenti la comunità di Arbëresh. L’arbërësh non è una delle lingue minoritarie che hanno la speciale difesa dello Stato ai sensi dell’articolo 6 della Costituzione italiana. A livello regionale, invece, all’Arbëresh viene riconosciuto un certo livello di riconoscimento principale negli statuti di libertà della Calabria, della Basilicata e anche del Molise.

Nel caso della Calabria, l’intenzione è quella di offrire un riconoscimento alla società storica e al patrimonio creativo delle popolazioni Arbëresh e di incentivare la formazione di entrambe le lingue nei luoghi in cui vengono parlate.

Ci sono associazioni che cercano di salvaguardare la cultura, in particolare nella provincia di Cosenza. La lingua arbëresh è utilizzata in alcune radio private e anche in pubblicazioni. Alla lingua e alla cultura arbëresh fanno riferimento i regolamenti fondamentali delle località del Molise, della Basilicata e anche della Calabria. 

Letteratura arbëresh 

Mentre nel XVII secolo non c’erano scrittori arbëresh, nel XVIII secolo visse Giulio Variboba (1724-1788, Jul Variboba), considerato da molti albanesi il primo vero poeta di tutta la letteratura albanese. Come poeta ha scritto versi sia in lingua albanese che greca e ha anche composto il primo sonetto albanese nel 1777. Nell’anno rivoluzionario 1848, De Rada fondò il quotidiano L’Albanese d’Italia, che includeva articoli in albanese.

De Rada fu il precursore e la prima voce udibile del movimento romantico nella letteratura albanese, un movimento che, influenzato dal suo potere infallibile in favore del risveglio nazionale tra gli albanesi in Italia e nei Balcani, doveva evolversi proprio nel nazionalismo romantico caratteristico del periodo Rilindja in Albania. Le sue attività giornalistiche, letterarie e politiche sono state determinanti non solo per promuovere la consapevolezza della minoranza arbëresh in Italia, ma anche per gettare le basi per una letteratura nazionale albanese.

Una delle sue opere letterarie più importanti sono i Canti di Milosao, una lunga ballata romantica che rappresenta l’amore di Milosao, un giovane nobile del XV secolo, che è tornato a casa da Salonicco. Proprio qui, presso la fontana del paese, si innamora di Rina, la figlia del pastore Kollogre. La differenza di posizione sociale tra gli innamorati impedisce a lungo la loro unione fino a quando un terremoto non rovinerà sia la città che ogni forma di discriminazione sociale. Dopo la loro relazione coniugale all’estero, nasce un bambino. Ma il periodo della felicità matrimoniale non dura a lungo. Il figlio di Milosao e la moglie muoiono presto, e lui stesso, ferito in combattimento, muore su una spiaggia in vista di Scutari.

La chiesa arbëresh

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La Chiesa cattolica italo-albanese essendo un territorio bizantino nell’Occidente latino, è da secoli incline all’ecumenismo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa orientale. Fu l’unica residenza della cristianità orientale dalla fine del medioevo fino al XX secolo in Italia.

Nel territorio della Chiesa Italo-Albanese sono presenti stabilimenti e congregazioni spirituali della cerimonia bizantina: l’Ordine Basiliano di Grottaferrata, le Suore Collegine della Sacra Famiglia, Piccole operaie dei Sacri Cuori e la congregazione delle Suore Basiliane Figlie di Santa Macrina.

Le chiese principali sono: la Cattedrale di Lungro degli Italo-Albanesi dell’Italia Meridionale. La Cattedrale di Piana degli Albanesi degli Italo-Albanesi di Sicilia, Italia. L’Abbazia Territoriale di Santa Maria di Grottaferrata con monaci basiliani di area italo-albanese.

Il villaggio arbëresh

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“Gjitonia” è una forma di quartiere tipica delle comunità arbëresh e diffusa in tutto il popolo arbëresh. La Gjitonía funziona come un microsistema attorno al quale ruota la vita dell’horë (villaggio); la Gjitonía è una versione in scala ridotta della disposizione del villaggio spesso costituita da una piazzetta verso la quale sono orientati i vicoli, circondata da edifici che hanno aperture verso una piazza più grande (shesh) su angoli diagonali. Soprattutto per le comunità italo-albanesi, è un mondo in cui le relazioni erano così forti da creare vere e proprie relazioni familiari tanto che è tipica la frase arbëreshe Gjitoni gjirì (“parenti di quartiere”).

Cucina arbëresh

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La cucina Arbëreshë è composta dalle cucine dell’Albania e dell’Italia. La preparazione del cibo e gli ingredienti ad essa connessi sono stati influenzati nel corso dei secoli dalle loro origini albanesi a una cucina mista di influenze siciliane, calabresi e lucane.

Questi piatti tradizionali sono: Strangujët, Una specie di Gnocchi detti Strangujtë fatti con farina a mano, insaporiti con salsa di pomodoro (lënk) e anche basilico. Generalmente questa ricetta veniva consumata dai membri della famiglia seduti attorno a un tavolo di legno (zbrilla) il 14 settembre, la Festa e Kryqit Shejt (Esaltazione della Croce).

Grurët è una Farina di frumento bollita aromatizzata con olio d’oliva, chiamata cuccìa in siciliano. La consuetudine è mangiarlo in occasione della festa di Sënda Lluçisë. Le varianti utilizzano latte zuccherato o ricotta con scaglie di cioccolato, scorza d’arancia e mandorle.

Kanojët è il pane dolce universalmente noto. Il suo trucco culinario è la cialda (shkorça) di farina, sale, strutto e vino e anche piena di ricotta zuccherata, e infine cosparsa di delizioso cioccolato setacciato.

Bukë, Il pane Arbëresh (bukë) è preparato con farina di grano duro locale e viene prodotto in una forma rotonda. E’ preparato con antichi sistemi di riscaldamento a legna (Tandoor). Si consuma caldo condito con olio d’oliva e anche pulito con formaggio o con ricotta fresca.

Panaret: Pane pasquale Arbëresh a forma di cerchio o in due grandi trecce e cosparso di semi di sesamo. E’ decorato con uova di Pasqua rosse. Le uova di Pasqua sono tinte di rosso intenso per rappresentare il sangue di Cristo, allo stesso modo le uova rappresentano la nuova vita e la primavera. Viene generalmente consumato durante il Pasto della Resurrezione. Dopo 40 giorni di digiuno, secondo la pratica cattolica bizantina, la festa di Pasqua deve iniziare gradualmente, con un pasto leggero dopo la celebrazione delle dodici di sera del sabato sera.

Loshkat e anche Petullat: Pasta lievitata schiacciata zuccherata o fritta a forma sferica. Consumato alla vigilia del Carnevale. Të plotit: una torta dolce con ripieno dentale di marmellata di fichi, una delle prime ricette Arbëresh. Milanisë: tradizionalmente consumata nel giorno di San Giuseppe oltre che nel Venerdì Santo, è una ricetta di pasta a base di un sugo di finocchietto selvatico, sardine e pinoli.

Udhose e anche Gjizë: formaggio fatto in casa e anche ricotta di solito essiccata all’aperto. Likëngë: salsicce di maiale aromatizzate con sale, pepe e semi di Finocchio. Llapsana: cavolini di Bruxelles di bosco fritti con aglio e olio. Dorëzët: Spaghetti di semola fatti in casa molto sottili, cotti nel latte e consumati anche il giorno dell’Ascensione. Groshët: Zuppa a base di fave, ceci e anche fagioli. Verdhët: Durante la Pasqua si prepara una sorta di pasticcio con uova, agnello, ricotta, pecorino oltre a steli di foglie di cardo dorato. 

Film da vedere sugli arbëresh

Adriatico – Il mare che unisce

Adriatico – Il mare che unisce è un documentario alla scoperta delle comunità slave e albanesi insediatesi in’Italia nel corso dei secoli, dopo l’invasione ottomana della Penisola Balcanica. Un film in cui si mescolano le voci di ricercatori, accademici, studiosi, insegnanti e musicisti, tra cui il noto compositore bosniaco Goran Bregović, con l’obiettivo di recuperare la memoria storica delle minoranze etnico-linguistiche, valorizzarne la lingua, gli usi e i costumi. 

“Adriatico” è stato girato nei paesi dell’Italia centrale con minoranze arbëreshë e croati, in Croazia, in Bosnia Erzegovina, in particolare nella zona della catena montuosa del Biokovo e del fiume Narenta, luoghi di provenienza degli slavi del Molise. Ma anche in Albania e a Ginevra dove è stata raccolta la testimonianza del musicista bosniaco Goran Bregović, che incarna il concetto di contaminazione culturale.

Guarda Adriatico – il mare che unisce

Altin in città

Altin, aspirante scrittore albanese sbarcato in Italia a bordo di un grande traghetto negli anni ’90, lavora in una macelleria quando viene selezionato ad un provino di un reality per scrittori e vede finalmente la possibilità di avere successo con il suo libro “il viaggio di Ismail”. È invece il momento in cui iniziano le sue disavventure che lo porteranno a conoscere la vendetta, la solitudine, la povertà, fino al lato oscuro della ricchezza e del successo.

Arte, ambizione e desiderio di riscatto sociale in un thriller drammatico che potrebbe essere un Faust contemporaneo. Quando la creatività incontra l’avidità dello show business, ed i suoi valori si confondono nella ricerca della popolarità e del successo.

Guarda Altin in città

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Fabio Del Greco

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