Intervista con Michael Gill

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Il regista australiano ha parlato con noi del meraviglioso documentario “Dyarubbin”, presentato in concorso nella terza edizione di Indiecinema Film Festival!

Il 3 ottobre 2024 l’interessantissimo documentario di Michael Gill, intitolato Dyarubbin, è stato proiettato al Circolo Arci Arcobaleno di Roma assieme a The Korean from Seoul di Steven Paul Whatmough, nel corso di una speciale serata dedicata da Indiecinema Film Festival alle migliori produzioni indipendenti del cinema australiano.
In quella occasione abbiamo avviato con il documentarista una stimolante e proficua conversazione via mail. Ecco a voi il risultato.

La gente e i paesaggi di Spencer

Innanzitutto, Michael, come è nata in te l’esigenza di filmare un luogo remoto – e per certi aspetti ancora selvaggio – come Spencer?

Ha inciso l’incontro fortuito con una persona, la quale mi ha raccontato che Spencer aveva una storia di massacri aborigeni durante i primi giorni dell’insediamento australiano. Stiamo parlando del periodo che va dal 1799 al 1880 circa. Ho viaggiato fino a Spencer e sono rimasto colpito dallo splendido scenario, dal luogo in cui due fiumi si incontrano. Fotograficamente il posto offriva scorci meravigliosi e la Storia ha fatto da base per la sceneggiatura iniziale. “Dyarubbin” è il nome indigeno usato dalla tribù locale per rappresentare “il luogo d’incontro di due fiumi”.

Come si è sviluppato il tuo rapporto con quei residenti di Spencer, che vediamo intervistati nel documentario, durante le riprese di Dyarubbin?

Ho trascorso circa due mesi visitando regolarmente Spencer per stabilire un rapporto con la gente del posto e capire come funzionava la piccola città/villaggio. Il mio primo contatto è stato con i membri dello Spencer Coffee Club. Successivamente loro mi presentarono ad altri residenti di Spencer. Le riprese sono iniziate al terzo mese, dopo aver individuato un piccolo gruppo di partecipanti disponibili.

Dalla Questione Aborigena all’interesse per la Natura

Cosa ti ha colpito di più, a partire dall’emozionante visita alla grotta, della cultura aborigena presente a Spencer? E quindi il titolo “Dyarubbin”, lo accennavi prima, si collega a questa cultura?

Spencer è circondata da alte rupi che contengono oltre 3000 immagini, simboli e pitture rupestri indigene, tra cui quella di una balena lunga 25 metri. Ottenere l’accesso e poi arrampicarsi con l’attrezzatura fotografica è complesso e difficile. Dopo oltre un’ora di camminata e arrampicata, alla fine sono stato guidato alla grotta descritta nel documentario. I pendii contengono minerali che all’alba e al tramonto si “illuminano” e per questo è stata necessaria una barca, con sopra una fotocamera fissa montata sulla videocamera, così da immortalare tutto ciò con successo.

Nel tuo film vediamo un’immagine della Natura molto potente, maestosa e affascinante, ma non vediamo praticamente nessun animale. Perché non sono stati ripresi?

Le foreste intorno a Spencer sono ripide, accidentate, ricche di alberi maestosi e valli scoscese. L’avifauna è estesa e molto attiva all’alba. Ci sono diversi animali (per lo più notturni) tra cui canguri, serpenti e opossum, solo per citarne alcuni. Provare a scattare di notte andava al di là delle mie capacità tecniche e in ogni caso non volevo essere divorato da insetti striscianti.

La persecuzione degli aborigeni da parte dei nuovi arrivati, i coloni, è spiegata abbastanza bene nel tuo documentario. Ti sei consultato con qualche storico prima di girarlo? Oppure l’ispirazione è arrivata da film di altri registi, ad esempio Rolf de Heer?

La persona che nel video espone molte informazioni a riguardo ha un dottorato in storia indigena ed era l’ideale per i miei scopi. Ho condotto poi un’ampia ricerca documentale sulla sanguinosa storia locale di Spencer e sulla sua ubicazione più ampia. Ho anche visitato la Biblioteca di Stato di Sydney dove ho trovato testi antropologici che descrivevano in dettaglio la maggior parte delle 3.000 immagini presenti nelle grotte rupestri. Per quanto riguarda Rolf de Heer, ho visto il suo film Twelve Canoes e ho scoperto il suo modo di trattare il paesaggio.

Vigili del fuoco e colonna sonora

Come si è sviluppato il rapporto con i vigili del fuoco locali? E la sequenza che hai girato con loro intende rappresentare un vero e proprio intervento o è magari dimostrativa, una sorta di esercitazione?

La squadra locale dei vigili del fuoco era forse il gruppo più difficile da gestire in quanto fa parte della burocrazia statale, quindi era necessaria una grande quantità di lavoro burocratico. Ho cercato le famiglie originarie che vivevano ancora a Spencer e ho scoperto che il capitano era un discendente della “prima famiglia”. Aspettare un incendio boschivo in una particolare area è improduttivo. Poiché utilizzo solo il mio materiale video, il team ha organizzato una sessione di formazione vicino a Spencer. La sessione di formazione è stata genuina e ha coinvolto le reclute recenti. È stato un privilegio poter accorrere lì e filmare dall’interno del camion.

Abbiamo trovato assai suggestiva la colonna sonora, con alcuni brani più solenni e altre musiche dal retrogusto più “country”. Come avete scelto e inserito la musica nel film?

La scelta della musica richiedeva ore di ascolto di varie, potenziali selezioni da numerosi siti web. La musica utilizzata nel documentario è stata una mia scelta esclusiva. Possiedo la licenza Commons necessaria. Inoltre, la colonna sonora richiedeva sul campo uno sforzo per registrare i suoni degli uccelli, dell’acqua e dell’ambiente locale. Questi sono tutti lavori miei.

Cinema indipendente in Australia: il punto della situazione

Ci sono altri documentari e documentaristi che apprezzi, che ami particolarmente?

Cerco continuamente documentari che non contengano drammatizzazione. Sono molto interessato ai registi di documentari “corri e gira” a basso budget. Sfortunatamente lavoro parecchio da solo.

Qual è oggi la situazione in Australia per chi fa cinema indipendente? E stai già portando avanti qualche nuovo progetto?

Recentemente ho terminato un documentario di 25 minuti intitolato Cargo Riders, girato a Sydney, in Australia. Una storia sulla vita e i tempi di una cooperativa di ciclisti urbani impegnata nella missione quotidiana di vivere, fare consegne e festeggiare. La passione che hanno per le loro macchine, per la loro cultura di gruppo e per le loro stesse vite emerge da uno sfondo di compiti, tatuaggi e famiglia. Il documentario esplora la vita di quattro “riders”. La cultura del gruppo è unica e si esprime nei regolari “check racer” come pure nei Campionati australiani di Cycle Messenger.

Conclusione

Come cineoperatore corri e gira, il mio obiettivo è presentare personaggi realistici all’interno delle loro storie. A volte il luogo nasconde una verità, come nel mio film Dyarubbin. A volte la storia ruota attorno a storie all’interno di storie basate su personaggi e immagini come sono raffigurati in Walls and Images. Laddove la verità e il carattere costituiscono il fondamento, una verità può essere leggermente scioccante, come è accaduto nel mio film indigeno Jarjum.

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Stefano Coccia

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