L’anima cinematografica di Los Angeles è complessa e va ben oltre la sua patina scintillante. C’è il mito globale di Hollywood, la “fabbrica dei sogni” che ha definito l’immaginario collettivo. Ma questa guida è anche un’anti-cartolina, un viaggio nelle ombre, nei vicoli e nelle periferie assolate catturate da registi visionari.
L’onnipresenza del sistema degli studios crea una pressione unica. Il cinema che esploriamo qui non è semplicemente un’alternativa, ma una reazione. È un correttivo necessario, uno specchio puntato contro il volto distorto dell’industria.
Attraverso questa selezione, esploreremo la decostruzione del sogno hollywoodiano, la città come labirinto noir e l’impatto psicologico della sua geografia tentacolare. Questo è un percorso che unisce i grandi capolavori alle opere indipendenti più radicali, un’argomentazione cinematografica, lunga decenni, con l’industria primaria di quel luogo.
L’Anima Noir – Peccato e Paranoia sotto il Sole della California
Il genere noir è l’espressione definitiva di Los Angeles: una città di facciate scintillanti che nascondono corruzione e male. Ma il noir di L.A. non è un blocco monolitico; è uno strumento diagnostico che si è evoluto per riflettere le mutevoli ansie americane. Dal terrore atomico del dopoguerra, passando per il cinismo degli anni ’70 e il nichilismo punk degli ’80, fino all’attuale paranoia cospirazionista dell’era digitale, i registi indipendenti hanno usato le convenzioni del genere per svelare l’oscurità che si annida sotto il sole accecante della California.
In a Lonely Place (1950)
Lo sceneggiatore Dixon Steele, noto per il suo temperamento violento, diventa il principale sospettato nell’omicidio di una guardarobiera. La sua vicina, Laurel Gray, gli fornisce un alibi, e i due iniziano una relazione appassionata. Tuttavia, il comportamento sempre più erratico e violento di Dix avvelena il loro amore con il seme del dubbio, portando Laurel a chiedersi se l’uomo che ama sia davvero un assassino.
Prodotto dalla compagnia indipendente di Humphrey Bogart, In a Lonely Place di Nicholas Ray utilizza l’ambientazione hollywoodiana non per il suo glamour, ma come sfondo per un’implacabile disintegrazione psicologica. Il “luogo solitario” del titolo non è solo il complesso di appartamenti in stile hacienda, una struttura architettonica quintessenziale di L.A., ma uno stato mentale. Il film cattura il profondo isolamento possibile nel cuore pulsante dell’industria cinematografica, dove la vicinanza fisica non fa che acuire la distanza emotiva. La paranoia non nasce da un complotto esterno, ma dall’interno, trasformando l’amore in un thriller psicologico.
Kiss Me Deadly (1955)
Il detective privato Mike Hammer dà un passaggio a una donna terrorizzata e in fuga, solo per cadere in un’imboscata che lascia lei morta e lui in cerca di risposte. La sua brutale indagine lo trascina in una cospirazione letale che ruota attorno a una misteriosa valigetta che emette una luce sinistra. Quella che inizia come una semplice ricerca di vendetta si trasforma in una corsa per fermare un’apocalisse imminente.
Diretto in modo indipendente da Robert Aldrich, Kiss Me Deadly è l’apice del noir intriso di paranoia da Guerra Fredda. Il film trasforma il paesaggio urbano di Los Angeles, con la sua architettura modernista e le location desolate come il quartiere di Bunker Hill, in un palcoscenico per il terrore atomico. Il MacGuffin, il “grande whatsit”, non è più un gioiello o del denaro sporco, ma una minaccia nucleare che trasforma una storia di crimine in un’allegoria apocalittica. È un “thriller del domani” che segna la fine del noir classico, facendolo esplodere letteralmente in un finale incandescente che preannuncia una nuova era di ansie.
Point Blank (1967)
Tradito e lasciato a morire dopo una rapina sull’isola di Alcatraz, un criminale di nome Walker torna a Los Angeles con una determinazione spettrale. Non cerca il denaro, ma la sua parte, $93.000. La sua ricerca di vendetta lo porta a scalare i ranghi di un’impersonale organizzazione criminale, lasciando una scia di cadaveri in un mondo che sembra tanto vuoto e spietato quanto lui.
Sebbene distribuito da una major, Point Blank di John Boorman è un’opera nata con uno spirito ferocemente indipendente. È un caposaldo del “sunshine noir”, che sposta l’oscurità dai vicoli bui agli spazi aperti e accecanti della California. La struttura narrativa frammentata e non lineare del film riflette il paesaggio alienante di una Los Angeles moderna e corporativa. Luoghi iconici come il canale del fiume L.A. non sono sfondi pittoreschi, ma labirinti di cemento che rispecchiano il vuoto esistenziale dei personaggi. La città non nasconde il crimine; ne espone la gelida e impersonale brutalità.
The Long Goodbye (1973)
Il detective privato Philip Marlowe, un anacronismo vivente nella Los Angeles degli anni ’70, si ritrova nei guai dopo aver aiutato il suo amico Terry Lennox a fuggire in Messico. Quando Lennox viene accusato dell’omicidio della moglie e dichiarato suicida, Marlowe si rifiuta di credere alla versione ufficiale. La sua indagine lo porta in un mondo di mogli di ricchi romanzieri, gangster sadici e cliniche di disintossicazione private, svelando una rete di inganni.
Prodotto in modo indipendente da Robert Altman, The Long Goodbye è la decostruzione definitiva del mito del noir di Los Angeles. Il film è un “delirio improvvisato su Chandler e sul cinema”, che trapianta un eroe con un codice morale degli anni ’40 nel mondo cinico, narcisista e ossessionato dalla salute della L.A. degli anni ’70. Le enclave di Malibu e Hollywood Heights diventano un “parco di divertimenti pop per disonesti e sradicati”. L’atto finale di Marlowe, scioccante e irrevocabile, è un addio brutale al romanticismo del genere, un gesto che dichiara la morte dell’eroe noir classico in una città che non ha più spazio per l’onore.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione
The Limey (1999)
Un ex detenuto inglese, Wilson, arriva a Los Angeles per indagare sulla morte sospetta di sua figlia Jenny. Convinto che non si sia trattato di un incidente, la sua ricerca lo porta a scontrarsi con il ricco e viscido produttore musicale Terry Valentine, l’ultimo fidanzato di Jenny. Con l’aiuto di un altro ex galeotto, Wilson si addentra nel ventre corrotto dell’industria musicale, determinato a ottenere vendetta.
Il montaggio non lineare e frammentato di Steven Soderbergh trasforma questo neo-noir in un’esplorazione della memoria e del dolore. La struttura temporale spezzata del film rispecchia la dislocazione psicologica di Wilson, un pesce fuor d’acqua nel paesaggio alieno di Los Angeles. La città, immersa in un’atmosfera letargica e isolante, è un vuoto amorale baciato dal sole. The Limey mette in netto contrasto il codice d’onore della criminalità operaia londinese con la corruzione superficiale e vacua dell’élite delle Hollywood Hills, rendendo la vendetta di Wilson non solo un atto personale ma anche uno scontro culturale.
Brick (2005)
Dopo aver ricevuto una telefonata disperata dalla sua ex ragazza Emily, il solitario liceale Brendan Frye la ritrova morta in un canale di scolo. Determinato a scoprire la verità, si immerge nel sottobosco criminale della sua scuola superiore suburbana. Navigando tra spacciatori, sgherri e femme fatale, Brendan adotta i modi di un detective hard-boiled per risolvere il mistero, mettendo a rischio la sua stessa vita.
Realizzato con un budget minuscolo, Brick di Rian Johnson è un’audace trasposizione del linguaggio e degli archetipi del noir di Dashiell Hammett nel paesaggio di una high school della California meridionale. I sobborghi, le cabine telefoniche e gli armadietti scolastici diventano le strade malfamate, gli uffici fumosi e i punti di scambio di un classico poliziesco. Il film utilizza il genere come una potente metafora dell’intensità ermetica della società liceale, dove ogni dramma adolescenziale viene vissuto con la gravità di una questione di vita o di morte, dimostrando che la vera oscurità può annidarsi anche nei luoghi più inaspettati.
Under the Silver Lake (2018)
Sam, un trentenne disilluso e senza un soldo, passa le sue giornate a spiare i vicini nel suo complesso di appartamenti a Silver Lake. Dopo aver passato una serata con la sua nuova e misteriosa vicina Sarah, si sveglia e scopre che lei è svanita nel nulla. La sua ricerca ossessiva per ritrovarla lo trascina in una spirale di cospirazioni, messaggi subliminali e società segrete che si nascondono sotto la superficie di Los Angeles.
Under the Silver Lake è il neo-noir definitivo per l’era di internet. Il film trasforma quartieri come Silver Lake, l’Osservatorio Griffith e le Hollywood Hills in una mappa labirintica di codici nascosti e cospirazioni legate alla cultura pop. È un “Lungo Addio per la generazione Ritalin”, che cattura perfettamente la paranoia specifica di chi è cresciuto tra videogiochi e forum online, cercando un significato più profondo in una città che è essa stessa una “menzogna splendidamente confezionata. La Los Angeles del film è un puzzle surreale dove ogni canzone pop e ogni scatola di cereali potrebbe essere la chiave di un mistero cosmico.
Hollywood Babylon – Il Sogno Infranto
Il cinema indipendente ha sempre avuto un rapporto conflittuale con Hollywood, spesso smantellandone il mito dall’interno. Questi film ritraggono l’industria non come un luogo di sogni realizzati, ma come un epicentro di orrore psicologico, decadenza morale e fama vuota. L’archetipo della “promozione sul divano” o la natura transazionale del successo diventano catalizzatori per una trasformazione letterale e metaforica, spingendo i personaggi verso il collasso psicologico, la disintegrazione dell’identità e persino l’orrore fisico. L’industria non si limita a corromperti; ti smembra e ti ricompone a sua immagine e somiglianza.
What Ever Happened to Baby Jane? (1962)
In una decrepita villa di Hollywood, due sorelle anziane vivono prigioniere del loro passato. Baby Jane” Hudson, un tempo adorata star bambina del vaudeville, tormenta sadicamente la sorella Blanche, un’ex stella del cinema costretta su una sedia a rotelle da un misterioso incidente. Mentre la sanità mentale di Jane si sgretola nel suo delirante tentativo di tornare alla ribalta, i segreti oscuri che legano le due donne emergono in modo terrificante.
Questo capolavoro indipendente di Robert Aldrich ha dato vita al sottogenere del “Grand Dame Guignol”, utilizzando il glamour in decomposizione della vecchia Hollywood come una vera e propria casa degli orrori. La villa fatiscente non è solo una location, ma un mausoleo che imprigiona le protagoniste nel loro passato glorioso e traumatico. Los Angeles diventa il simbolo crudele di una città che prima ti eleva a divinità e poi ti abbandona a marcire nell’oblio, trasformando il sogno di immortalità in una prigione gotica.
The Player (1992)
Griffin Mill è un potente dirigente di uno studio di Hollywood il cui lavoro consiste nell’ascoltare migliaia di proposte di film per trovarne una dozzina degna di essere prodotta. Quando inizia a ricevere minacce di morte da uno sceneggiatore che crede di aver respinto, la sua vita paranoica prende una svolta violenta. In un impeto di rabbia, uccide un uomo, solo per scoprire che era la persona sbagliata.
Il capolavoro satirico di Robert Altman è un’autopsia spietata della “aziendalizzazione di Hollywood”. Los Angeles è ritratta come un mondo popolato da “adulatori impenitenti e dirigenti presuntuosi”, dove i film sono meri prodotti e l’omicidio può essere gestito come un’altra trattativa d’affari. Con un cast corale di celebrità che interpretano se stesse, il film abbatte il muro tra finzione e realtà, offrendo uno sguardo cinico e divertito su un sistema in cui l’arte è stata soppiantata dal commercio e la morale è un lusso che nessuno può permettersi.
Mulholland Drive (2001)
Betty Elms, un’aspirante attrice ingenua e piena di speranze, arriva a Hollywood e si stabilisce nell’appartamento di sua zia. Lì trova una donna misteriosa che, a seguito di un incidente d’auto sulla Mulholland Drive, soffre di amnesia e ha adottato il nome di Rita. Insieme, le due donne cercano di svelare l’identità di Rita, avventurandosi in un viaggio onirico e pericoloso nel ventre oscuro della città.
Nato dalle ceneri di un pilot televisivo fallito e resuscitato grazie a finanziamenti indipendenti francesi, il capolavoro surrealista di David Lynch è l’incubo definitivo del sogno hollywoodiano. Il film si scinde in una fantasia di appagamento dei desideri e una realtà cupa e disperata, utilizzando la geografia della città come una mappa psichica del desiderio, del fallimento e della vendetta. Mulholland Drive, i teatri di posa, i sinistri complessi di appartamenti: ogni luogo diventa un simbolo. Los Angeles è un “luogo vizioso, spietato e sanguinoso” che “mastica e sputa gli innocenti”, un labirinto dove la logica si dissolve e l’identità è un’illusione.
The Anniversary Party (2001)
Una coppia di Hollywood, lo scrittore-regista Joe e l’attrice Sally, festeggiano il loro sesto anniversario con una festa nella loro villa sulle colline, poco dopo essersi riconciliati. La serata, a cui partecipano amici, colleghi e vicini, prende una piega inaspettata quando gli ospiti decidono di prendere dell’ecstasy. Le inibizioni crollano, i segreti vengono a galla e le relazioni si sfaldano sotto il peso di verità a lungo taciute.
Girato in video digitale con un budget ridotto, questo film offre uno sguardo intimo e voyeuristico sulle ansie della classe creativa di Hollywood. L’uso della tecnologia digitale conferisce un senso di “immediatezza e intimità”, trasformando lo spettatore in un ospite invisibile alla festa. La casa sulle Hollywood Hills diventa un microcosmo dove le vite personali e professionali si intrecciano in modo disordinato, rivelando un mondo di insicurezze, gelosie ed ego fragili, il tutto mascherato da un’apparente sofisticazione. È un’analisi spietata di una cultura costruita sull’apparenza.
Somewhere (2010)
Johnny Marco è una star del cinema che vive una vita di eccessi e noia nel leggendario hotel Chateau Marmont di Hollywood. Le sue giornate, scandite da alcol, donne e obblighi promozionali, vengono interrotte dall’arrivo inaspettato di sua figlia undicenne, Cleo. La presenza della ragazza costringe Johnny a confrontarsi con il vuoto della sua esistenza dorata, portandolo a riconsiderare il significato della sua vita.
Il film di Sofia Coppola è un ritratto malinconico e minimalista della “dislocazione psichica” e del vuoto esistenziale che accompagnano la fama moderna. Los Angeles, e in particolare l’iconico Chateau Marmont, non è un simbolo di glamour, ma una gabbia dorata, un non-luogo dove la “monotonia sottolinea il vuoto della vita di Hollywood”. Lo stile paziente e osservativo della Coppola, fatto di lunghe inquadrature e dialoghi scarni, cattura perfettamente la “visione unificata del vuoto” che si cela al centro della macchina della celebrità, offrendo una riflessione toccante sulla solitudine.
The Bling Ring (2013)
Ispirato a eventi reali, il film segue un gruppo di adolescenti di Los Angeles ossessionati dalla fama e dal lusso. Utilizzando internet per tracciare gli spostamenti di celebrità come Paris Hilton e Lindsay Lohan, i ragazzi si introducono nelle loro case vuote per rubare abiti firmati, gioielli e contanti, non tanto per bisogno quanto per il brivido di vivere, anche solo per un momento, la vita dei loro idoli.
La satira di Sofia Coppola è un’istantanea gelida di una generazione cresciuta a reality TV e social media. Le colline di Hollywood e i sobborghi di Calabasas non sono più luoghi di produzione artistica, ma di consumo sfrenato. Il film descrive una cultura in cui la fama è completamente scollegata dal talento o dal merito, e la vicinanza alla celebrità — indossandone i vestiti, violandone l’intimità — diventa l’obiettivo finale. È un “istantanea oscura e inebriante dell’ossessione per la celebrità”, che mostra una Los Angeles dove il confine tra ammirazione e violazione è pericolosamente labile.
Starry Eyes (2014)
Sarah è una giovane attrice che lavora come cameriera mentre sogna la grande occasione. La sua vita cambia quando risponde a un misterioso annuncio di casting per un film horror. Le audizioni, sempre più strane e umilianti, la portano a un patto faustiano con una potente casa di produzione che si rivela essere una setta satanica. Per ottenere la fama, Sarah deve sottoporsi a una terrificante trasformazione fisica e psicologica.
Starry Eyes è un racconto body horror che porta alle estreme conseguenze la metafora del “patto col diavolo” a Hollywood. Il film trasforma la “promozione sul divano” in un rituale occulto e il prezzo della fama in un incubo cronenberghiano di decadimento e rinascita. È un “ritratto impietoso” della natura tossica e degradante dell’industria, che non si limita a corrompere l’anima ma consuma letteralmente il corpo. La Los Angeles del film è un luogo di ambizione disperata, dove il sogno di diventare una stella si trasforma in un’orribile metamorfosi.
Voci dalla Strada – Cronache dai Margini
Lontano dalle colline di Hollywood, il cinema indipendente di Los Angeles ha dato voce a comunità e sottoculture altrimenti invisibili. In netto contrasto con i film sull’industria, che descrivono isolamento e relazioni false, queste opere ambientate a Watts, South Central o Echo Park mettono in luce la forza e la complessità di legami comunitari autentici, sebbene spesso conflittuali. Che si tratti di famiglia, gang o scene artistiche, questi film suggeriscono che la vera connessione umana a L.A. si trova lontano dal glamour, nei quartieri dove la sopravvivenza dipende dalla solidarietà.
The Exiles (1961)
Il film segue un gruppo di giovani nativi americani che hanno lasciato le loro riserve per cercare una vita a Los Angeles. Nell’arco di una notte, li vediamo bere, socializzare e cercare un senso di appartenenza nel quartiere di Bunker Hill, un tempo un’area urbana grintosa. Le loro storie si intrecciano, rivelando un profondo senso di sradicamento e la lotta per mantenere la propria identità in un ambiente urbano alienante.
Capolavoro perduto e riscoperto, precursore del movimento L.A. Rebellion, The Exiles è un documento neorealista di rara potenza. Con uno stile quasi documentaristico, Kent Mackenzie cattura la vita di una comunità completamente ignorata dal cinema mainstream. Il film ritrae il quartiere di Bunker Hill, oggi scomparso, non come uno sfondo, ma come un personaggio vivo, un limbo urbano dove i protagonisti vivono un’esistenza sospesa tra due mondi, cercando di ricreare un senso di comunità lontano da casa.
Killer of Sheep (1978)
Stan lavora in un mattatoio nel quartiere di Watts a Los Angeles. Il suo lavoro, monotono e brutale, lo sta svuotando emotivamente, rendendolo distante dalla moglie e dai figli. Il film non ha una trama tradizionale, ma si dipana come un mosaico di scene di vita quotidiana: bambini che giocano tra le macerie, momenti di tenerezza familiare, tentativi falliti di evasione dalla routine, offrendo uno spaccato della vita della classe operaia afroamericana.
Realizzato da Charles Burnett come tesi di laurea alla UCLA con un budget irrisorio, Killer of Sheep è una pietra miliare del cinema indipendente americano e del movimento L.A. Rebellion. Con il suo stile lirico e neorealista, il film trova “poesia nelle lotte di tutti i giorni”, rifiutando gli stereotipi della Blaxploitation per offrire un “film meditativo su una famiglia nera”. Watts non è un ghetto da cui fuggire, ma una comunità ritratta con una dignità e un’umanità silenziose e profonde, un capolavoro che ha dato voce a vite raramente viste sullo schermo.
The Decline of Western Civilization (1981)
Questo documentario cattura l’energia grezza e autodistruttiva della scena punk rock di Los Angeles tra il 1979 e il 1980. Attraverso interviste e performance dal vivo di band seminali come Black Flag, X, Germs e Circle Jerks, il film esplora l’ideologia nichilista e la rabbia di una generazione di giovani che si sentivano esclusi dalla società. Le esibizioni caotiche e le conversazioni senza filtri dipingono il ritratto di una sottocultura in piena esplosione.
Il film di Penelope Spheeris è un documento storico essenziale, un “documentario crudo” che ha immortalato un fenomeno culturale nel momento stesso in cui stava accadendo. È una “testimonianza musicale e storica” di una Los Angeles sotterranea, definita da rabbia, creatività e un disprezzo totale per l’establishment. I locali malfamati e gli squat della città diventano il palcoscenico di una ribellione che avrebbe influenzato la musica e la cultura per i decenni a venire, mostrando il volto arrabbiato e disilluso della Città degli Angeli.
Repo Man (1984)
Otto, un giovane punk di Los Angeles, perde il lavoro e la ragazza nello stesso giorno. Vagando senza meta, accetta per caso un lavoro come “repo man“, un recuperatore di auto pignorate. Viene così catapultato in un mondo bizzarro di criminali filosofi, agenti governativi paranoici e teorici della cospirazione, tutti alla ricerca di una misteriosa Chevrolet Malibu del 1964 con qualcosa di radioattivo e forse alieno nel bagagliaio.
Capolavoro di culto, Repo Man fonde punk, fantascienza e noir in una satira sferzante dell’America dell’era Reagan. Alex Cox utilizza il “lato meno affascinante” di L.A. — Downtown, East L.A., Vernon, Watts — per creare un paesaggio di decadenza urbana e bizzarre coincidenze. La città è un deserto post-industriale dove il consumismo ha lasciato solo rottami e alienazione, un palcoscenico perfetto per una storia che celebra l’assurdità e il nichilismo di una generazione che non crede più a nulla.
Barfly (1987)
Henry Chinaski, alter ego dello scrittore Charles Bukowski, trascorre le sue giornate e notti nei bar più malfamati di Los Angeles. La sua esistenza è un ciclo di bevute, risse con il barista Eddie e la scrittura di poesie e racconti. La sua routine viene scossa dall’incontro con Wanda, un’altra alcolizzata con cui instaura una relazione turbolenta, e da Tully, un’editrice altolocata che vede il genio nella sua scrittura e gli offre una via d’uscita.
Scritto dallo stesso Bukowski, Barfly è il ritratto definitivo della sua Los Angeles, un mondo di “esistenzialismo da bassifondi”. . I bar e le strade squallide non sono solo uno sfondo, ma una casa scelta, un rifiuto consapevole della “gabbia con le sbarre d’oro” della società perbenista. È un inno alla libertà che si trova nel fondo del bicchiere, un’ode agli emarginati che trovano la bellezza nel degrado.
Mi Vida Loca (1993)
A Echo Park, le giovani chicana Sad Girl e Mousie sono amiche per la pelle, membri della stessa gang. La loro lealtà viene messa a dura prova quando entrambe si innamorano dello stesso ragazzo, Ernesto, e hanno un figlio da lui. Mentre la rivalità le divide, le altre “homegirls” del quartiere affrontano i loro drammi, tra amori in prigione, sogni di una vita migliore e la dura realtà della violenza di strada.
Il film di Allison Anders è un ritratto pionieristico e autentico di una sottocultura femminile raramente rappresentata al cinema. Concentrandosi sulla “sorellanza, sopravvivenza e forza chicana”, Mi Vida Loca evita lo sfruttamento per presentare una “vivida impressione di queste giovani donne e del loro mondo. La gang non è solo fonte di violenza, ma fornisce una struttura sociale e un’identità in una comunità dove le figure maschili sono spesso assenti, in prigione o morte. Echo Park diventa il palcoscenico di una storia di resilienza femminile.
Menace II Society (1993)
Cresciuto a Watts, il diciottenne Caine Lawson è un prodotto del suo ambiente. Dopo il diploma, la sua vita sembra a un bivio: seguire gli amici sulla strada della violenza e del crimine o cercare una via d’uscita. Una serie di eventi brutali, a partire da un omicidio a sangue freddo in un negozio di liquori, lo trascina sempre più a fondo in un ciclo di vendetta e disperazione da cui sembra impossibile fuggire.
Contrappunto più brutale e nichilista a Boyz n the Hood, il film dei fratelli Hughes è un “ritratto crudo della violenza urbana”. La narrazione inizia con le immagini delle rivolte di Watts del 1965, inquadrando la vita dei personaggi come una conseguenza diretta del fallimento sistemico. Los Angeles è un luogo dove la fuga è quasi impossibile, e la “cultura machista” perpetua un ciclo mortale di violenza. È uno sguardo senza speranza su una generazione intrappolata dalla geografia e dal destino.
Wassup Rockers (2005)
Un gruppo di adolescenti salvadoregni e guatemaltechi di South Central L.A. ha una passione che li distingue dai loro coetanei: lo skateboard e la musica punk rock. Un giorno, decidono di avventurarsi fuori dal loro quartiere per andare a fare skate a Beverly Hills. Questo viaggio li porta a uno scontro culturale frontale con i ragazzi ricchi, la polizia e i residenti altolocati, trasformando una giornata di divertimento in una caotica odissea per tornare a casa.
Con il suo stile semi-documentaristico, Larry Clark esplora le intersezioni tra sottoculture e le profonde divisioni di classe di Los Angeles. Il film cattura l’esperienza di essere un outsider sia nella propria comunità che nel resto della città. Il viaggio da South Central a Beverly Hills non è solo uno spostamento geografico, ma l’attraversamento di un confine sociale invisibile, che scatena il “razzismo di L.A.” e l’ostilità verso chi “non appartiene” a quel luogo, mostrando una città segregata tanto quanto una città tentacolare.
Dope (2015)
Malcolm è un liceale nerd di Inglewood, California, ossessionato dalla cultura hip-hop degli anni ’90, che sogna di andare ad Harvard. La sua vita prende una piega inaspettata quando, dopo essere finito a una festa di un boss della droga, si ritrova con uno zaino pieno di droga e una pistola. Insieme ai suoi amici, deve trovare un modo per sbarazzarsi della merce senza finire ucciso o in prigione, usando il suo ingegno per navigare nel pericoloso sottobosco della città.
Dope è una decostruzione energica e spiritosa degli stereotipi dei “film del ghetto”. Il film ritrae Inglewood non come una zona di guerra monolitica, ma come una “comunità” diversificata, dove nerd e punk coesistono con i gangster. È un “contributo contemporaneo al canone dei film per adolescenti” che utilizza la sua ambientazione a Los Angeles per esplorare temi di identità, “code-switching” e la sfida di essere una “minoranza all’interno di una minoranza”, offrendo una visione fresca e complessa della vita giovanile in un quartiere difficile.
Tangerine (2015)
È la vigilia di Natale a Hollywood, e la prostituta transgender Sin-Dee Rella è appena uscita di prigione. La sua migliore amica Alexandra le rivela che il suo fidanzato e protettore, Chester, l’ha tradita con una donna cisgender. Infuriata, Sin-Dee si lancia in una missione attraverso i bassifondi di Los Angeles per trovare Chester e la sua amante, trascinando Alexandra in una giornata di caos, scontri e inaspettata solidarietà.
Girato interamente con degli iPhone, Tangerine è un “ritratto esuberante, crudo e ravvicinato” di una specifica sottocultura di Los Angeles. La sua innovativa cinematografia conferisce al film un’autenticità cinetica e a livello stradale. Il film presenta una “versione più cruda dell’esperienza transgender”, utilizzando la L.A. non glamour dei negozi di ciambelle, delle lavanderie a gettoni e dei motel squallidi come sfondo per una storia che, in definitiva, parla di amicizia e sopravvivenza ai margini della città, pulsando di un’energia e un’umanità contagiose.
La Psiche dello Sprawl – Amore, Alienazione e Apocalisse
La geografia unica di Los Angeles — le periferie infinite, i canyon, le autostrade, il deserto — è stata usata dai registi come una tela per esplorare relazioni fratturate, angoscia esistenziale e fantasie apocalittiche. L’intrinseca instabilità del paesaggio, situato su faglie sismiche e soggetto a incendi, diventa una metafora del caos interiore dei personaggi. In questi film, l’apocalisse personale di una rottura o di una crisi d’identità si confonde spesso con fantasie di un’apocalisse letterale, a livello cittadino, suggerendo che a L.A. la fine di un amore può sembrare la fine del mondo.
Seconds (1966)
Un banchiere di mezza età, annoiato dalla sua vita suburbana, accetta l’offerta di una misteriosa organizzazione che gli promette una seconda possibilità. Attraverso un’operazione chirurgica e una morte simulata, rinasce con un nuovo volto e una nuova identità: quella di un artista bohémien che vive a Malibu. Ma la libertà che cercava si rivela presto un’altra, più terrificante, forma di prigione.
Questo thriller fantascientifico di John Frankenheimer è una critica agghiacciante al sogno americano. Il mondo sterile e conformista della periferia di New York è contrapposto alla presunta libertà della comunità artistica di Los Angeles, che si rivela essere una trappola altrettanto soffocante. La fotografia disorientante di James Wong Howe cattura la frattura psicologica del protagonista, trasformando il paesaggio soleggiato di L.A. in un incubo di paranoia e identità perduta, dove la fuga da se stessi è impossibile.
Zabriskie Point (1970)
Un giovane studente radicale, ricercato per un presunto omicidio durante una protesta universitaria a Los Angeles, ruba un piccolo aereo e fugge nel deserto. Lì incontra una ragazza che sta guidando verso Phoenix. Insieme, i due giovani esplorano la loro libertà e la loro sessualità nel paesaggio primordiale della Valle della Morte, prima che la civiltà li raggiunga di nuovo con conseguenze esplosive.
Lo sguardo da outsider di Michelangelo Antonioni offre una critica potente al consumismo e alla ribellione americana. Los Angeles è ritratta come una città di pubblicità senz’anima e proteste represse, un luogo da cui fuggire. Il film culmina nell’iconica sequenza fantasy apocalittica in cui una villa modernista nel deserto esplode da ogni angolazione, al rallentatore, sulle note dei Pink Floyd. È una metafora visiva indimenticabile della distruzione dei valori materialistici che la città rappresenta.
Echo Park (1986)
A Echo Park, un quartiere ai margini di Hollywood, si intrecciano le vite di tre sognatori: May, un’attrice e madre single che per sbarcare il lunario lavora come spogliarellista a domicilio; Jonathan, un cantautore che consegna pizze; e August, un bodybuilder austriaco che sogna di diventare il nuovo Arnold Schwarzenegger. Tra speranze, delusioni e amori nascenti, i tre cercano di trovare il loro posto nella Città degli Angeli.
Questo film è un ritratto dolce e malinconico dei sognatori che popolano la periferia dell’industria dell’intrattenimento. Cattura quella specifica realtà di Los Angeles dove “tutti sono in realtà un’attrice, un cantante”. Il quartiere di Echo Park diventa un personaggio a sé stante, un “piccolo angolo di paradiso” e allo stesso tempo un “quartiere malandato” che ospita le speranze e le lotte di coloro che non sono ancora stati spezzati dalla città, mostrando il lato umano e vulnerabile dell’ambizione.
Miracle Mile (1988)
Harry, un musicista, manca un appuntamento con Julie, la ragazza di cui si è appena innamorato. Mentre cerca di chiamarla da una cabina telefonica, risponde a una chiamata sbagliata e ascolta un messaggio terrificante: un attacco nucleare è imminente e Los Angeles sarà colpita in 70 minuti. Inizia così una corsa contro il tempo per trovare Julie e tentare una fuga impossibile da una città che sta precipitando nel caos.
Il film compie un brillante cambio di genere, passando da una stravagante commedia romantica anni ’80 a un thriller apocalittico in tempo reale. . Cattura la “tensione crescente e il destino imminente” mentre la città, sotto un cielo illuminato al neon, sprofonda nella violenza e nel panico, trasformando una storia d’amore in un incubo ad alta velocità.
Short Cuts (1993)
Le vite di ventidue personaggi si intrecciano casualmente nei sobborghi di Los Angeles. Un medico e sua moglie, un poliziotto infedele, una cameriera, un autista di limousine, una violoncellista, un gruppo di pescatori che scoprono un cadavere: le loro storie, fatte di piccoli tradimenti, tragedie quotidiane e momenti di inaspettata connessione, si sovrappongono fino a culminare in un terremoto che scuote la città e le loro esistenze.
Il grande affresco di Robert Altman è un ritratto di “Los Angeles come l’America in generale”. Trasponendo i racconti di Raymond Carver dal Pacifico nord-occidentale a L.A., Altman crea una “comunità di isolati”, dove i personaggi sono collegati da autostrade e coincidenze, ma rimangono emotivamente distanti. Il film esplora il “tessuto connettivo che tiene insieme la città”, le anonime periferie dove le tragedie di tutti i giorni si svolgono sotto un cielo carico di smog, mostrando l’alienazione che si nasconde dietro la facciata della vita suburbana.
Bellflower (2011)
Due amici, Woodrow e Aiden, si sono trasferiti a Los Angeles con un’ossessione: costruire un’auto sputafuoco in stile Mad Max e prepararsi per l’apocalisse. La loro vita, fatta di esperimenti pirotecnici e bevute, viene sconvolta quando Woodrow si innamora di Milly. La loro relazione, intensa e turbolenta, finisce in un tradimento che scatena in Woodrow una spirale di violenza, trasformando le sue fantasie apocalittiche in una terrificante realtà psicologica.
Bellflower è un ritratto viscerale e “quasi misogino” di una mascolinità disillusa. Il sobborgo omonimo di Los Angeles fa da sfondo a una storia in cui le fantasie di un’apocalisse sociale diventano uno sfogo terrificante per il dolore e la rabbia di un cuore spezzato. L’estetica “sporca e fai-da-te” del film, con i suoi lanciafiamme artigianali e la fotografia grezza, cattura perfettamente l'”anarchia e il caos” di una gioventù senza scopo nella tentacolare periferia di L.A.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione

