Il documentario da lui realizzato assieme ad Adriano Cutraro e Mirko Melchiorre, ora selezionato per l’Indiecinema Film Festival, conserva intatta la sua carica dirompente
Ciascuna proiezione di PIIGS – Ovvero come imparai a preoccuparmi e a combattere l’austerity o del più recente C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando va oltre la dimensione, pur apprezzabile, dell’evento cinematografico, diventando occasione di dibattito, confronto pubblico, approfondimento delle situazioni e dei temi affrontati nel film. Mentre siamo alle prese con questa intervista, è nostra convinzione che sarà così anche giovedì 5 gennaio al Circolo ARCI Arcobaleno, una delle sedi di questa edizione del festival, dove intorno alle ore 21 proietteremo PIIGS alla presenza degli autori; film che intanto è già visibile sulla nostra piattaforma, per l’appunto nella sezione festivaliera. Sentiamo comunque cosa ha da raccontarci Federico Greco, uno dei registi coinvolti nell’impresa, la cui intensa attività creativa è da noi seguita con attenzione già da qualche anno!
Il gruppo di lavoro
Federico, intanto una curiosità: hai diretto “PIIGS” assieme ad Adriano Cutraro e Mirko Melchiorre, ma come si svolge la collaborazione tra voi? Vi è fattivamente una ripartizione di ruoli? E insieme avete portato avanti altri progetti, giusto?
In fase di scrittura e regia lavoriamo come una persona sola, tentando di comporre le diverse sensibilità e opinioni. Ci siamo sempre riusciti perché tutti e tre abbiamo un solo, comune obiettivo: il film. Dal mero punto di vista dei ruoli tecnici invece ci siamo divisi il lavoro di fotografia (Mirko), montaggio (io) e suono (Adriano) e questo ci consente di avere sempre il controllo reciproco degli aspetti stilistici. Io e Mirko in seguito abbiamo co-scritto e co-diretto C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando, tendenzialmente seguendo la stessa strada di PIIGS: mantenendo il controllo sulla fotografia e il montaggio, delegando il suono e collaborando in modo più stringente con il quarto moschettiere, Alessandro Pezza, il produttore esecutivo.
Quando e come è nata la vostra idea di dedicare un documentario a temi economici così scomodi, guardati da alcuni anche con sospetto, come quelli legati all’austerity e alle tante zone grigie dell’Unione Europea?
È nata dopo che avevamo tentato separatamente di realizzare un film su quegli argomenti. Quando infine ci siamo conosciuti, nel 2014, ci siamo fatti forza reciprocamente anche perché le conseguenze dell’austerità erano ormai diventate così tragiche ed evidenti che non potevamo non dire la nostra. Da anni studiavamo le storture dell’Unione europea, confrontandoci con decine di gruppi, movimenti e associazioni che erano nate in seguito allo shock della crisi del 2007-2008 e dell’arrivo di Mario Monti, esecutore materiale dell’ideologia mercantilista che ispira i trattati europei e l’unione monetaria.
Chomsky, Varoufakis, Barnard e gli altri economisti del mucchio
Quanto è stato complicato coinvolgere nel progetto personaggi chiave quali possono essere Noam Chomsky, Erri De Luca, Yanis Varoufakis e Paolo Barnard, per non dire della disponibilità offerta anche, in una veste differente, da Claudio Santamaria?
Con Barnard è stato relativamente semplice, anche perché molte delle cose che avevamo studiato derivano dai suoi articoli e dall’ormai mitico convegno tenutosi a Rimini nel 2012 in cui con un pugno di attivisti era riuscito a portare in Italia, per tre giorni, le migliori menti della macroeconomia eterodossa del mondo, tra cui Stephanie Kelton, collaboratrice di Obama e Sanders e nome di punta della MMT (la Teoria della Moneta Moderna che fotografa il modo di funzionamento della macroeconomia in un Paese sovrano, cioè libero di fare le proprie politiche economiche e non soggiogato da poteri sovranazionali).
Con Chomsky è stato necessario ingoiare diversi no nell’arco di sei mesi, finché nella sua agenda si è liberato uno spazio e noi lo abbiamo agguantato al volo: si trattava di intervistarlo al MIT di Boston e così abbiamo fatto, seppur a distanza, noleggiando una troupe locale e dirigendola passo dopo passo dall’Italia.
Nel 2017, sulla rivista CineClandestino, fummo tra i primi a sottolineare l’importanza e l’attualità di un simile lavoro cinematografico. Con l’occhio rivolto a quanto accaduto nel mondo in questi ultimi due anni, che effetto fa ripensare a “PIIGS”, ai moniti di cui si era fatto portavoce, ai possibili legami con il quadro attuale?
Non ci saremmo mai immaginati che Draghi, grande facilitatore delle privatizzazioni che hanno devastato l’Italia, sarebbe sceso in campo in prima persona al governo, abbandonando il posto alla BCE e il suo ruolo di manovratore dietro le quinte. Non è stata una bella sorpresa.
Da PIIGS a Giacarta sta arrivando
Diverse persone ci hanno testimoniato d’aver scoperto “PIIGS” più tardi, grazie a RaiPlay. Qual è stata, prima di approdare ad Indiecinema Film Festival, la vita del vostro documentario in sala, su determinate piattaforme ed eventualmente ai festival?
“PIIGS” è stato in sala per nove settimane nel 2017, poi è stato acquistato dalla RAI che lo ha trasmesso a dicembre e infine è uscito in DVD per Openddb. È ancora possibile acquistarne una copia fisica, o in streaming, magari insieme al libro omonimo, qui: https://www.openddb.it/film/piigs/. Da qualche mese è su Nexo+ e su Amazon Prime.
Quali sono i possibili legami tra “PIIGS” e il vostro lavoro più recente, C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando?
Dal punto di vista meramente comunicativo, C’era una volta in Italia è il secondo capitolo ideale di una trilogia sul neoliberismo iniziata con PIIGS. Stiamo infatti già lavorando al terzo capitolo.
Il format poi è lo stesso: abbiamo l’ambizione di trasformare quello che altrimenti sarebbe mero giornalismo in narrazioni epiche, cinematografiche, trattando la forma documentaristica con gli strumenti di scrittura delle narrazioni di ampio respiro. Infatti a noi interessano poco, in entrambi i film, le inchieste che girano intorno alla corruzione, al malaffare, all’evasione, ai criminali di piccolo cabotaggio. A noi interessa far dialogare storie piccole ma universali di personaggi che lottano con riflessioni molto ampie. Piccoli Davide che lottano contro giganteschi Golia. Il risultato di queste associazioni è sempre molto efficace, abbiamo notato. Quanto più ci si allontana dall’inchiesta giornalistica – che non è mai stato il nostro obiettivo – tanto più ci si avvicina alla narrazione cinematografica. E quindi a un pubblico sempre maggiore e più entusiasta.
Stefano Coccia