Scordatevi i neon di Shinjuku visti da un hotel di lusso. Dimenticate le cartoline zen, i samurai onorevoli e la “wa” (armonia) che il cinema mainstream occidentale proietta sullo schermo. Quello è un Giappone da esportazione, un fondale rassicurante, spesso ridotto a un feticcio estetico. I veri film ambientati in Giappone, nel cinema indipendente, trattano l’ambientazione in modo radicalmente diverso.
In queste opere, il Giappone non è un luogo, ma una pressione. È un’entità che modella, infetta, reprime e, a volte, distrugge i suoi protagonisti. È il peso della storia, il trauma rimosso della guerra, l’alienazione di una società iper-tecnologica che ha perso il contatto con l’umano. L’ambientazione, qui, è il vero antagonista, o quantomeno il campo di battaglia su cui si gioca l’identità.
Questa non è una guida ai luoghi, ma ai territori di battaglia. Esploreremo il Giappone come prigione psicologica, dalle dune esistenziali di Teshigahara alla campagna soffocante di Terayama, un luogo da cui fuggire e a cui è impossibile sottrarsi. Vedremo Tokyo come focolaio della rivoluzione politica e sessuale negli anni ’60 e ’70, un palcoscenico per la Nūberu bāgu dove il crimine e l’eros erano gli unici atti politici rimasti.
Assisteremo al suo collasso cyberpunk, dove la metropoli industriale di Shin’ya Tsukamoto invade letteralmente la carne, trasformando l’uomo in macchina. Analizzeremo il vuoto spettrale della Tokyo di Kiyoshi Kurosawa, dove la solitudine urbana moderna diventa un virus contagioso. E infine, toccheremo la precarietà emotiva ed economica del Giappone contemporaneo, da Sion Sono a Ryusuke Hamaguchi, dove la lotta è per la semplice connessione umana.
Questi film usano l’ambientazione giapponese non per confortare lo spettatore, ma per sfidarlo. Hanno strappato l’immagine patinata per mostrare le contraddizioni sottostanti, la violenza sotto la calma, il caos sotto l’ordine.
Ecco una selezione curata di film indipendenti che incarnano perfettamente questa visione: opere dove il Giappone è il soggetto, la ferita e il mistero.
La Crisi Urbana: Nūberu bāgu e Pinku Eiga
Gli anni Sessanta e Settanta hanno visto registi come Nagisa Ōshima, Kōji Wakamatsu e Shūji Terayama usare l’ambientazione giapponese, in particolare i quartieri ribelli di Tokyo come Shinjuku, come un’arma. Il Giappone non era un luogo da contemplare, ma un sistema da attaccare. Attraverso il sesso, il crimine e la politica, la città divenne il palcoscenico della rivoluzione.
La donna di sabbia (Suna no Onna)
Un entomologo di Tokyo, in cerca di insetti rari, si avventura in un desolato villaggio tra le dune. Accetta di passare la notte in una profonda fossa di sabbia dove vive una vedova. La mattina dopo, scopre che la scala di corda è sparita, condannandolo a un’esistenza assurda passata a spalare sabbia.
Il capolavoro di Hiroshi Teshigahara è l’anti-Giappone. Rimuove la nazione da ogni contesto riconoscibile e la riduce a un paesaggio primordiale e assurdo: la sabbia. L’ambientazione giapponese qui è un’astrazione esistenziale. Le dune non sono un luogo geografico, ma una prigione psicologica che rappresenta il conformismo ineluttabile della società giapponese, dove la ribellione individuale viene letteralmente inghiottita e la sopravvivenza sta nell’accettare un compito inutile.
Angeli violati (Okasareta byakui)
Ispirato a un fatto di cronaca nera avvenuto a Chicago, il film segue un giovane uomo che si introduce in un dormitorio di infermiere. Dopo averle legate, inizia un lungo e sadico rituale di umiliazione e violenza psicologica, analizzando la distorta coscienza sessuale dell’aggressore.
Kōji Wakamatsu, figura chiave del pinku-eiga (il cinema erotico d’exploitation), utilizza un’ambientazione claustrofobica per un attacco politico. Il dormitorio non è solo uno spazio per la violenza, ma una metafora del Giappone stesso: una società opprimente, patriarcale e ipocrita. Come Wakamatsu farà per tutta la sua carriera, la violenza sessuale diventa un atto di ribellione nichilista contro un ordine costituito, un crollo degli ideali in uno spazio confinato.
A Man Vanishes (Ningen Jōhatsu)
Quello che inizia come un documentario convenzionale sulla ricerca di un uomo d’affari scomparso, si trasforma in un’indagine labirintica. Il regista Shōhei Imamura segue la fidanzata dell’uomo, ma presto la realtà inizia a sfaldarsi, i confini tra finzione e documentario collassano e la verità diventa irraggiungibile.
Imamura, un tempo assistente di Ozu, ne ribalta l’estetica. Invece di un Giappone ordinato, cerca la vita “primitiva” e lo squallore. Qui, l’ambientazione è il tessuto stesso della realtà giapponese. Seguendo la donna attraverso città e villaggi, Imamura non documenta un luogo, ma la sua dissoluzione. Il Giappone del film è un luogo dove la verità è instabile, dove le persone possono semplicemente “evaporare” (un fenomeno sociale reale). L’ambientazione è la stessa finzione che la società giapponese costruisce per sé stessa.
L’impiccagione (Kōshikei)
Un giovane immigrato coreano, R, viene condannato a morte per stupro e omicidio. L’impiccagione fallisce: R sopravvive ma perde completamente la memoria. In un assurdo teatrino brechtiano, i funzionari della prigione devono convincerlo della sua stessa colpa per poterlo giustiziare legalmente.
L’ambientazione di Nagisa Ōshima è una singola stanza, il braccio della morte. Questo spazio chiuso diventa un microcosmo del Giappone. È qui che il regista mette in scena la sua critica radicale alle contraddizioni del potere e alla persecuzione razzista dei coreani in Giappone. L’ambientazione non è una prigione fisica, ma la coscienza nazionale giapponese, un luogo dove la giustizia (i funzionari) deve letteralmente ricostruire la colpa in un innocente (l’amnesico) per giustificare la propria violenza istituzionale.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione
Diario di un ladro di Shinjuku (Shinjuku Dorobō Nikki)
Un giovane, “Birdy“, tenta di rubare libri in una famosa libreria di Shinjuku. Viene catturato dalla commessa, Umeko. Tra i due inizia una relazione caotica che esplora il sesso, il crimine e la politica, intrecciandosi con le performance di un gruppo teatrale underground e le violente proteste studentesche che infiammano il quartiere.
Questo film è l’epitome dell’uso di Shinjuku come soggetto e non come sfondo. Ōshima non gira a Shinjuku; gira con Shinjuku. L’ambientazione è il focolaio delle proteste sociali e culturali dell’epoca. La narrazione è caotica e frammentata perché la Tokyo di quegli anni era caotica. Il film cattura lo spirito della Nūberu bāgu dove eros e crimine diventano gli unici atti politici possibili in un Giappone che ha perso la sua identità pubblica.
Funeral Parade of Roses (Bara no Sōretsu)
Una libera e scandalosa rivisitazione della tragedia di Edipo, ambientata nella scena gay e transgender della Tokyo underground. Eddie, una giovane hostess trans, è la stella nascente del Bar Genet. La sua ascesa provoca la gelosia della “madame” Leda, innescando una spirale di sesso, droga e tragedia.
Il film di Toshio Matsumoto è un documento fondamentale sull’underground queer della Tokyo anni ’60. L’ambientazione (i bar gay di Shinjuku, le strade) è il palcoscenico di una rivoluzione identitaria. Matsumoto frammenta la narrazione, mischiando finzione, avanguardia e documentario (con interviste reali ai “gay boys”). Il Giappone del film è un luogo di identità fluide, un paesaggio pop-art e anarchico che sfidava le nozioni fisse di genere e che influenzò persino Kubrick per Arancia Meccanica.
Go, Go Second Time Virgin (Yuke Yuke Nidome no Shojo)
Sul tetto di un condominio di Tokyo, una ragazza viene stuprata da un gruppo di teppisti. Lì incontra un assassino timido e gelido. Tra i due emarginati nasce una delirante e nichilista storia d’amore, osservata da lontano da un voyeur che filma la scena.
Ancora Wakamatsu, che usa l’ambientazione urbana (il tetto) come un “eden urbano” per i reietti. In soli 63 minuti, il regista crea un manifesto sul nichilismo della gioventù giapponese, squallida e lontana dagli ideali. Il tetto è un Giappone sospeso, un non-luogo dove la violenza e la purezza si fondono. È un cinema che riflette sui mali dell’uomo portandoli al loro apice, usando la metropoli non come luogo di vita, ma come palcoscenico per il crollo di ogni ideale.
Sex Jack (Seizoku)
Un gruppo di radicali studenteschi si nasconde in un appartamento di Shinjuku dopo un’azione violenta. Le loro tensioni ideologiche e la paranoia da assedio si sfogano attraverso dinamiche sessuali complesse e violente, mentre sono braccati dalla polizia all’esterno.
Un altro caposaldo del pinku politico di Wakamatsu. L’ambientazione giapponese è ridotta all’essenziale: un singolo appartamento usato come nascondiglio. Questo spazio claustrofobico diventa una pentola a pressione dove il desiderio sessuale e l’impulso politico si fondono e collassano. L’appartamento è una metafora della sinistra radicale giapponese stessa: isolata, paranoica e destinata all’autodistruzione. L’ambientazione non è il Giappone, ma la fine del Giappone rivoluzionario.
Emperor Tomato Ketchup (Tomato Kecchappu Kōtei)
In un Giappone distopico, i bambini prendono il potere, rovesciando l’autorità degli adulti. Guidati dall’indulgente Imperatore Tomato Ketchup, instaurano un regime anarchico di sesso libero, violenza e parodia delle istituzioni, riflettendo le turbolenze politiche dell’epoca.
Shūji Terayama, icona dell’avanguardia (angura), usa un’ambientazione giapponese riconoscibile (strade pubbliche, girato in stile guerrilla senza permessi) per inscenare un colpo di stato immaginario. Il film è una critica feroce all’americanizzazione e al consumismo, dove l’imperatore-bambino è il simbolo del futuro neoliberista. L’ambientazione è il Giappone contemporaneo profanato dalla rivoluzione dell’immaginazione, un teatro marziale dove i tabù vengono usati per scioccare e criticare la società adulta.
Throw Away Your Books, Rally in the Streets (Sho o Suteyo, Machi e Deyō)
Un giovane disilluso cerca di sfuggire alla sua famiglia disfunzionale e povera in un sobborgo di Tokyo. Il film, psichedelico e sperimentale, segue i suoi tentativi di stabilire un’indipendenza, tra alienazione psicosessuale e malessere esistenziale, rompendo continuamente la quarta parete.
È il capolavoro visionario di Terayama. L’ambientazione è la periferia di Tokyo, ma è soprattutto un paesaggio mentale. Il titolo esorta ad “abbandonare i libri” (la cultura morta) e “scendere in strada” (l’azione, la vita). L’ambientazione giapponese è il campo di battaglia tra la vecchia cultura e la nuova controcultura. Terayama usa il Giappone urbano come uno spazio da cui evadere, un luogo di disintegrazione sociale che può essere trasceso solo attraverso la ribellione psichedelica.
Il Giappone Rurale e la Memoria Distorta
Mentre la Nūberu bāgu si concentrava sulla crisi urbana, altri registi indipendenti guardavano alla campagna. Ma non la idealizzavano. Per Terayama e altri, la campagna giapponese non è un luogo di purezza, ma la fonte del trauma, una prigione della memoria, un luogo da cui la modernità e i protagonisti cercano invano di fuggire.
Goodbye CP (Sayonara CP)
Un documentario crudo e privo di pietismo che ritrae la vita quotidiana di un gruppo di adulti affetti da paralisi cerebrale. Il film sfida i tabù della società giapponese sull’handicap, mostrando i soggetti mentre si muovono per la città, interagiscono tra loro e combattono per la propria autonomia.
Il documentario d’azione di Kazuo Hara usa l’intero Giappone urbano come un percorso a ostacoli. L’ambientazione (le strade, i treni) non è neutra; è un ambiente ostile che mette costantemente alla prova i protagonisti. Hara usa uno stile volutamente aspro (bianco e nero sgranato) per catturare la realtà della loro esistenza. Il Giappone qui è una società che emargina e ignora. L’atto di muoversi in questo spazio, di vivere in Giappone, diventa un atto di resistenza politica.
Pastoral: To Die in the Country (Den-en ni Shisu)
Un regista riflette sulla sua infanzia traumatica in un villaggio rurale, cercando di rivisitare (e revisionare) la sua memoria. Il film autobiografico di Terayama fonde sogni, ricordi e surrealismo, culminando in un confronto tra il regista adulto e il suo io più giovane.
Considerato il capolavoro di Terayama, il film usa la campagna giapponese come uno spazio mitico e terrificante. È l’ambientazione della memoria. Il Giappone rurale non è un luogo idilliaco, ma una prigione soffocante dominata da una madre mostruosa e da superstizioni arcaiche. L’ambientazione è letteralmente un set teatrale che alla fine viene smontato, rivelando la moderna Shinjuku. Il Giappone rurale è un passato che deve essere distrutto per poter vivere nel presente.
L’Atto d’Accusa: Satira e Trauma Post-bellico
Alcuni dei film più radicali ambientati in Giappone usano il genere (horror, satira, documentario) per affrontare i traumi innominabili della nazione: la guerra, i crimini commessi e il tabù nucleare. L’ambientazione “Giappone” in questi film è una nazione che vive su un trauma rimosso che sta marcendo sotto la superficie.
House (Hausu)
Una scolaresca di sette ragazze si reca nella remota casa di campagna della zia di una di loro. La casa si rivela essere un’entità demoniaca che, insieme a un gatto spettrale, divora le ragazze una per una in modi surreali, tra pianoforti carnivori e lampadari assassini.
Dietro l’apparenza di horror comico e psichedelico, il film d’esordio di Nobuhiko Obayashi è una riflessione sul trauma atomico. Obayashi, originario di Hiroshima, usa la casa come metafora. L’ambientazione (la vecchia tenuta) è il Giappone pre-bellico; la zia è rimasta sola perché il fidanzato non è mai tornato dalla guerra. La casa, e la zia, divorano la nuova generazione (le ragazze) come la guerra ha divorato la vecchia. È un film ambientato in un Giappone rurale che è letteralmente un fantasma affamato.
The Man Who Stole the Sun (Taiyō o Nusunda Otoko)
Un eccentrico insegnante di scienze liceali, Makoto Kido, decide di costruire da solo una bomba atomica. Dopo aver rubato il plutonio da una centrale, ricatta il governo con richieste assurde (come far suonare i Rolling Stones a Tokyo), ingaggiando un duello con un ispettore di polizia.
Questa epica satira anti-nucleare usa Tokyo come un parco giochi per un terrorista improbabile. L’ambientazione giapponese è fondamentale: è l’unico paese ad aver subito un attacco atomico, eppure è pieno di centrali nucleari. Il film affronta questo tabù nazionale. L’ambientazione urbana (la scalata dell’edificio del parlamento, le corse in auto per Tokyo) mostra la vulnerabilità di una metropoli moderna di fronte alla minaccia che lei stessa alimenta. Il Giappone qui è una nazione con una bomba a orologeria nel suo seminterrato.
L’esercito nudo dell’Imperatore (Yuki Yukite Shingun)
Il documentario segue Kenzo Okuzaki, un carismatico e violento veterano della Seconda Guerra Mondiale, mentre dà la caccia ai suoi ex superiori. Okuzaki li costringe, spesso con la violenza, a confessare la verità dietro esecuzioni inspiegabili e casi di cannibalismo commessi dall’esercito giapponese in Nuova Guinea.
L’ambientazione del film è il Giappone contemporaneo, le case ordinate e tranquille degli ex soldati. È proprio questo contrasto a creare la tensione. Okuzaki porta la violenza e il trauma irrisolto della giungla della Nuova Guinea (il passato) nel salotto borghese del Giappone moderno (il presente). Hara usa il suo protagonista per squarciare il velo di pace e amnesia che il Giappone post-bellico si è costruito. L’ambientazione è la storia ufficiale che Okuzaki prende letteralmente a pugni.
Lo Sguardo Esterno: L’Essay Film e il Documentario
I più importanti film indipendenti stranieri ambientati in Giappone non cercano di spiegare la cultura (a differenza dei film mainstream). Usano il Giappone, e Tokyo in particolare, come uno specchio. È l’epicentro della modernità globale, il luogo dove il futuro, il passato, la tecnologia e la memoria umana si scontrano nel modo più visibile.
Sans Soleil
Un saggio-film, un documentario sperimentale e un diario di viaggio fittizio. Una narratrice legge le lettere di un cameraman (l’alter ego di Chris Marker) che riflette sulla natura della memoria, del tempo e dell’immagine, viaggiando tra i “due poli estremi della sopravvivenza”: il Giappone e la Guinea-Bissau.
Il Giappone, e Tokyo in particolare, è il cuore di Sans Soleil. Per Marker, l’ambientazione giapponese è un prisma per osservare la civiltà del tardo XX secolo. È un luogo dove la tecnologia futuristica (i primi videogiochi) coesiste con rituali arcaici (la cerimonia per le bambole rotte). L’ambientazione giapponese non è un soggetto, ma un fuso orario della memoria; un luogo dove il regista può analizzare come l’umanità processa il ricordo nell’era della saturazione delle immagini.
Tokyo-Ga
Wim Wenders si reca a Tokyo in pellegrinaggio sulle tracce del suo maestro, Yasujirō Ozu. Invece del Giappone tranquillo e ordinato dei film di Ozu, trova una metropoli moderna, caotica e americanizzata, documentando sale pachinko, rockabilly nel parco e intervistando i collaboratori di Ozu.
Questo film è interamente sull’ ambientazione giapponese, o meglio, sulla sua scomparsa. Wenders cerca il Giappone di Ozu e trova un’altra cosa. Tokyo diventa il simbolo universale della globalizzazione e della perdita dell’identità culturale. L’ambientazione (Tokyo) è il fantasma del cinema di Ozu, un luogo dove la modernità ha cancellato il passato. È un saggio malinconico su come un luogo (il Giappone) possa cambiare più velocemente della sua stessa immagine cinematografica.
Metamorfosi Urbana: Cyberpunk e Alienazione Anni ’90
La “Bubble Economy” giapponese degli anni ’80 e il suo successivo crollo hanno creato un nuovo tipo di cinema indipendente. L’ambientazione urbana (Tokyo) diventa una forza attiva, ostile, che invade il corpo. La metropoli giapponese degli anni ’90 è il vero mostro: un organismo tecnologico che genera mutanti (Tsukamoto) o fantasmi (Kurosawa).
Tetsuo: The Iron Man
Un “feticista del metallo” viene investito da un salaryman. Il giorno dopo, l’impiegato inizia a subire una grottesca metamorfosi: il suo corpo si trasforma in un ammasso di rottami metallici, cavi e motori, spingendolo verso una furia distruttiva.
Il capolavoro cyberpunk di Shin’ya Tsukamoto è la rappresentazione più letterale dell’alienazione urbana giapponese. L’ambientazione è la metropoli industriale di Tokyo, un’entità che non si limita a ospitare la storia, ma infetta i suoi abitanti. La tecnologia e il metallo della città invadono la carne. È il body horror che riflette sul materialismo patologico del Giappone della Bubble Era, un luogo dove l’umanità è stata completamente divorata dall’ibridazione irreversibile con la macchina.
Tetsuo II: Body Hammer
Remake a colori e con più budget del primo. Un salaryman, dopo il rapimento del figlio da parte di teppisti, scatena la sua rabbia repressa. Questa rabbia innesca la sua metamorfosi in un’arma cibernetica, braccato da una setta di culturisti mutanti.
Se il primo Tetsuo era la malattia, il secondo è la sua applicazione militare. Tsukamoto sposta l’ambientazione dalla pura astrazione industriale a un contesto urbano più riconoscibile (la famiglia, i teppisti). La metropoli giapponese non è più solo un’infezione, è un’arma. La rabbia repressa del tipico impiegato giapponese frustrato diventa il motore della trasformazione. L’ambientazione urbana è il catalizzatore che trasforma l’uomo comune in un “body hammer”.
Maborosi (Maboroshi no Hikari)
Yumiko vive a Osaka quando suo marito Ikuo si suicida inspiegabilmente. Anni dopo, si risposa con un vedovo e si trasferisce con il figlio in un remoto villaggio costiero nella penisola di Noto. Nonostante la nuova vita, resta ossessionata dal vuoto e dal mistero della morte del primo marito.
L’esordio di Hirokazu Kore-eda è uno studio sull’alienazione e la perdita. Il film è diviso tra due ambientazioni giapponesi antitetiche: la caotica Osaka e il remoto villaggio costiero battuto dal vento. Ma la fuga dalla città alla campagna non porta pace. L’ambientazione rurale, fotografata con una bellezza statica e opprimente, diventa una prigione di silenzio e memoria. Il Giappone di Kore-eda è un paesaggio dell’anima dove il dolore e il mistero della perdita persistono, indipendentemente dal luogo.
Swallowtail Butterfly (Suwarōteiru)
In una Tokyo distopica e multiculturale chiamata “Yentown”, un ghetto per immigrati in cerca di fortuna. Una giovane orfana, Ageha, viene adottata da una prostituta cinese, Glico. Insieme a un gruppo di emarginati, trovano una cassetta piena di soldi e aprono un club, sognando una vita migliore.
Il film di Shunji Iwai usa l’ambientazione giapponese per criticare la crisi economica e la xenofobia degli anni ’90. “Yentown” è una Tokyo alternativa, un crogiolo di culture dove lo Yen è l’unica divinità. Iwai crea un Giappone immaginario ma plausibile, un luogo di emarginazione sociale dove gli “Yentowns” (un gioco di parole per “ladri di Yen”) cercano di ritagliarsi un’identità. L’ambientazione è una critica diretta al nazionalismo giapponese e alla globalizzazione.
Cure (Kyua)
Una serie di orribili omicidi colpisce Tokyo. Le vittime hanno una “X” incisa sul collo. I colpevoli sono persone comuni che confessano ma non hanno memoria o motivo. Il detective Takabe indaga, sospettando che un misterioso straniero stia usando l’ipnosi per scatenare gli impulsi omicidi repressi.
Cure è uno dei film fondanti del J-horror. Kiyoshi Kurosawa usa una Tokyo squallida, decadente e industriale. L’ambientazione giapponese non è spaventosa per i suoi fantasmi, ma per il suo vuoto. È una metropoli alienante che ha svuotato le persone di ogni identità, rendendole gusci vuoti pronti a essere “riempiti” da un male contagioso (l’ipnosi). L’orrore di Kurosawa è sociale: l’ambientazione urbana moderna è la fonte dell’alienazione che porta al collasso della società.
Il Nuovo Millennio e l’Indipendenza Digitale
Con l’avvento di Internet, l’orrore urbano degli anni ’90 si sposta dalla carne (Tsukamoto) al digitale (Kurosawa) e allo psicologico (Sono). L’ambientazione giapponese del nuovo millennio è immateriale: è la rete, i media, la cultura pop. È un Giappone dove l’isolamento e l’alienazione non sono più metaforici, ma letteralmente virali.
“A”
Il documentarista Tatsuya Mori ottiene un accesso senza precedenti ai membri della setta Aum Shinrikyo dopo l’attentato alla metropolitana di Tokyo con il gas sarin. Il film documenta la vita quotidiana dei membri rimasti, guidati dal giovane portavoce Araki, mentre affrontano l’odio pubblico e le incursioni della polizia.
L’ambientazione è il Giappone post-attentato, una nazione traumatizzata e alla ricerca di un capro espiatorio. Mori non filma il terrorismo, ma la sua conseguenza sociale. L’ambientazione è la sede della setta, assediata dai media e dall’odio pubblico. Mori usa questo spazio ristretto per mostrare l’umanità dei “mostri”, costringendo lo spettatore giapponese a confrontarsi con il proprio pregiudizio. Il Giappone del film è una società che ha bisogno di demonizzare l’altro per sentirsi di nuovo al sicuro.
After Life (Wandafuru Raifu)
In una stazione di transito simile a una vecchia scuola, i morti hanno una settimana per scegliere un singolo ricordo della loro vita. Questo ricordo sarà poi ricreato su pellicola dai “consiglieri” e sarà l’unica cosa che porteranno con sé nell’eternità.
Kore-eda crea un’ambientazione giapponese che è un limbo burocratico e malinconico. L’edificio è un non-luogo, un Giappone sospeso nel tempo. L’ambientazione non è un aldilà religioso, ma un ufficio del catasto emotivo. È una metafora del Giappone stesso: un luogo ossessionato dalla memoria e dalla burocrazia, dove il senso della vita viene trovato nell’atto di ricordare e ricostruire il passato.
Pulse (Kairo)
Nella vasta e alienante Tokyo, i giovani iniziano a sperimentare incontri terrificanti con fantasmi che emergono da Internet. La tecnologia, invece di connettere, diventa un portale per un’epidemia di solitudine e disperazione che porta all’apocalisse.
Capolavoro di Kiyoshi Kurosawa, Pulse definisce l’orrore tecnologico del 21° secolo. L’ambientazione è una Tokyo desolante, piena di stanze vuote e “stanze proibite”. L’orrore non è nell’azione, ma nella solitudine. Il Giappone del film è una società così alienata che i vivi sono già fantasmi. Internet è l’ambientazione immateriale dove questa solitudine diventa un virus che svuota la metropoli. L’ambientazione giapponese è l’epicentro dell’apocalisse della comunicazione.
Suicide Club (Jisatsu Sākuru)
Un’ondata di suicidi di massa sconvolge il Giappone, a partire da 54 liceali che si gettano sorridendo sotto un treno a Shinjuku. I detective indagano, cercando una connessione tra le morti e una misteriosa band J-pop per bambini.
Il film cult di Sion Sono è una satira grottesca sulla società giapponese contemporanea. L’ambientazione è un Giappone ossessionato dai media, dalla cultura pop e dalla pressione sociale. L’orrore non è sovrannaturale, ma culturale. Il Giappone di Sono è un luogo dove la superficialità dei media e la disconnessione umana portano i giovani a cercare un “collegamento” nel suicidio. L’ambientazione urbana (la metropolitana di Shinjuku) è il teatro di questo sacrificio di massa insensato.
Il Giappone Contemporaneo e i Drammi Invisibili
I registi indipendenti più recenti (Ryusuke Hamaguchi, Sion Sono, Masaharu Take) usano l’ambientazione giapponese contemporanea per esplorare la precarietà emotiva, economica e relazionale. La lotta non è più contro lo stato, ma per trovare un briciolo di identità e connessione nel tessuto della vita moderna.
Passion
Una giovane coppia annuncia il proprio matrimonio a un gruppo di amici ventenni. La notizia fa emergere una rete complessa di sentimenti inespressi, triangoli amorosi, insicurezze e risentimenti repressi all’interno del gruppo.
Il film di tesi di Ryusuke Hamaguchi, girato sotto la supervisione di Kiyoshi Kurosawa, usa un’ambientazione giapponese urbana e borghese (appartamenti, ristoranti) per inscenare un dramma da camera. L’ambientazione è realistica, ma serve a intrappolare i personaggi. Hamaguchi seziona la disconnessione emotiva della sua generazione. Il Giappone qui è un luogo di “prolungata adolescenza”, dove i personaggi, pur vivendo nella metropoli, sono incapaci di una comunicazione onesta.
Love Exposure (Ai no Mukidashi)
Yu, figlio di un prete cattolico, è costretto a confessare peccati. Per accontentare il padre, diventa un maestro della fotografia upskirt. Si innamora di Yoko, ma la perde a causa di una setta religiosa manipolatrice. Per salvarla, deve infiltrarsi nella setta, travestito da donna.
Questa epopea di quattro ore è il manifesto di Sion Sono sul Giappone. L’ambientazione è una Tokyo grottesca, un circo di perversioni, religione, violenza e amore puro. Sono attacca ogni istituzione giapponese: la famiglia, la religione, la polizia. Il Giappone è un paesaggio saturo di stimoli, dove l’unica forma di purezza (l’amore di Yu per Yoko) può emergere solo attraverso l’atto più perverso (la fotografia upskirt).
100 Yen Love (Hyakuen no Koi)
Ichiko, una donna di 32 anni sciatta e demotivata, vive con i genitori. Dopo un litigio, se ne va e inizia a lavorare in un discount “tutto a 100 yen”. Incontra un pugile introverso e, spinta dalla dura realtà, inizia lei stessa a praticare la boxe per trovare un briciolo di autostima.
Il film è ambientato in un Giappone precario. Non la Tokyo scintillante, ma i suoi margini, i discount e le palestre di periferia. L’ambientazione è la mappa della depressione economica e sociale. La boxe non è uno sport di gloria, ma l’unico modo per Ichiko di “colpire” letteralmente la sua vita. L’ambientazione giapponese è quella della classe lavoratrice invisibile, una lotta quotidiana per sentirsi vivi in una società che ti considera spazzatura da 100 yen.
Asako I & II (Netemo Sametemo)
Asako vive a Osaka e si innamora di Baku, un ragazzo magnetico e sfuggente che un giorno scompare. Due anni dopo, a Tokyo, incontra Ryohei, il sosia perfetto di Baku. Inizia una relazione stabile con lui, finché il passato non ritorna sotto forma del Baku originale.
Ryusuke Hamaguchi usa due ambientazioni giapponesi chiave: Osaka (il passato, l’irrazionale, Baku) e Tokyo (il presente, la stabilità, Ryohei). Il film esplora l’identità e l’amore nell’era della riproducibilità. Il Giappone di Hamaguchi è un luogo tranquillo, quasi banale, ma sotto la superficie cova l’irrazionale. L’ambientazione (prima Osaka, poi Tokyo) riflette la scissione della protagonista. È un Giappone dove la stabilità emotiva è costantemente minacciata dai fantasmi del passato.
Conclusione
Questi film dimostrano che il cinema indipendente ambientato in Giappone è raramente una celebrazione e più spesso un esorcismo. Dal caos politico di Shinjuku all’alienazione digitale di Tokyo, passando per le campagne infestate di memoria, questi registi hanno usato l’ambientazione giapponese come un bisturi.
Hanno sezionato l’identità nazionale, l’ibridazione uomo-macchina, la crisi della famiglia e la solitudine della società contemporanea. Per trovare il vero Giappone sul grande schermo, bisogna cercarlo non nei palazzi imperiali o nelle cartoline turistiche, ma in questi paesaggi sotterranei, negli incubi cyberpunk e nei drammi silenziosi dei suoi cittadini invisibili.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione

