La co-regista e protagonista di “Miss Agata”, in concorso ad Indiecinema Film Festival, ci racconta la genesi del corto diretto assieme a Sebastian Maulucci
Giovedì 11 gennaio, nel corso del secondo evento ufficiale di Indiecinema Film Festival terza edizione, Miss Agata verrà proiettato al Circolo ARCI Arcobaleno di Via Pullino 1, Roma, assieme ad altri due lavori del Concorso Cortometraggi. Uno dei due registi del corto, Sebastian Maulucci, ci ha assicurato la sua presenza in sala. Mentre Anna Elena Pepe, che l’ha co-diretto e interpretato, si trova adesso in America, da dove ci ha già fatto pervenire in video un caloroso saluto. Non paghi di questo, però, l’abbiamo coinvolta anche in questa conversazione a distanza, un’intervista che può aiutare il pubblico a comprendere maggiormente l’ispirazione e le diverse fasi di un corto che abbiamo amato molto.
Come parlare di argomenti difficili
In meno di mezz’ora siete riusciti a toccare un argomento importante in modo leggero eppure accurato: le origini famigliari della violenza, la sindrome dello stress post-traumatico, i pregiudizi del ‘te lo sei cercata’. Non tutte le violenze portano fortunatamente al femminicidio, ma chi riesce a salvarsi in tempo diventa appunto una vittima imperfetta, un’anima spezzata che ha bisogno di aiuto. Come vi siete documentati?
Volevo parlare di PTSD legato alla violenza domestica. Se ne parla molto all’estero (io abito a Londra) ma poco in Italia. Si pensa che una volta che il perpetratore è stato rimosso torni tutto come prima, ma non è così. La ricerca psicologica sul PTSD è iniziata in medicina psichiatrica riguardando i reduci di guerra ma negli ultimi anni si è aggiunta molta letteratura sulle forme di PTSD legate ad altre vittime di trauma ripetuto, come appunto chi ha subito una relazione violenta. Ho fatto molta ricerca sull’argomento ed ho intervistato vittime di violenza che hanno voluto raccontare la propria storia, collaborando con un centro di ricerca specializzato. Pochi lo sanno, ma ho un PhD in ricerca biomedica quindi…sono un po’ fissata con la ricerca!
Nonostante il dramma di fondo, Agata mantiene intatto il suo candore ed il cuore di una bambina; la scelta del look colorato della protagonista e della sua camera quasi infantile, che ho apprezzato molto, è stata voluta in questo senso? Oppure per creare un contrasto con l’aspetto drammatico della sua storia? O semplicemente perché, presumibilmente, quella era la camera che usava da bambina a casa della nonna?
Per tutte queste ragioni. Volevamo di evitare il film su violenza e integrazione usando l’estetica da cinéma vérité, pur molto efficace ma a volte un po’ abusata. Volevo un mondo colorato alla Little Miss Sunshine che però nascondesse tinte più oscure, che andiamo via via scoprendo. La camera di Agata è usata come specchio della sua trasformazione… disordinata e infantile all’inizio, diventa ordinata e raffinata, nel momento in cui la protagonista si prepara ad uscire con Nabil e a prendere in mano la sua vita.
Attrice e regista insieme: grazie alle musiche ecco una favola pop
Una domanda, Anna Elena, te la faccio sia come regista che come attrice: come hai scelto di dare ad Agata questa doppia anima, impaurita, sofferente, terrorizzata eppure allo stesso tempo cordiale, aperta verso il mondo, fiduciosa nel prossimo? E come è stato interpretare le scene dove il tuo ex cambia faccia e diventa violento, senza perdere quello sguardo innocente che trapela oltre la paura?
Intervistando molte vittime di violenza ho visto una forte autoironia. Come se lo humour fosse una maniera di esorcizzare quello che era successo. Mi ha fatto pensare che queste persone non hanno perso la speranza, devono solo imparare a gestire una condizione cronica di trauma che a volte non le rende capaci di reagire in una maniera che riescono a controllare.
Come avete scelto le musiche? Yahya Ceesay (Nabil) nomina i Naija Afrobeats, che gli ricordano casa, mentre le musiche originali sono di Dimitri Scarlato; come avete trovato il giusto mix per dare al cortometraggio un sapore pop di favola moderna?
Dimitri ha fatto un bellissimo lavoro con la musica, dalle atmosfere di commedia, ci porta in quelle più dark, passando per la musica afrobeats. Per quest’ultima, proprio perché volevamo essere autentici, abbiamo coinvolto nella scrittura la cantante Britannico-Ghanese Rosemary A Nkrumah che ha collaborato nella stesura delle canzoni.
Un plauso per tutti gli altri interpreti
Come vi è venuto in mente di inserire il personaggio interpretato da Chiara Sani, la collega superficiale, piena di pregiudizi, che arriva a colpevolizzare Agata per quel che ha dovuto subire? Rappresenta la società nel suo complesso, che lascia sostanzialmente sole le donne che riescono a denunciare la violenza, spesso appunto arrivando a colpevolizzarle per essere state vittime di violenza?
Io vengo dalla provincia e mi hanno sempre divertito i benpensanti. Per esempio le mogli dei professionisti benestanti come avvocati, commercialisti ecc… che organizzano la raccolta fondi per gli immigrati al circolo del tennis… ma poi i figli al parchetto di fianco ai rifugiati non li fanno giocare. Chiara rappresenta un po’ tutte queste persone, quelle che “se il tuo uomo si comporta male è anche un po’ colpa tua”. Era un personaggio difficile, mi serviva una con una simpatia innata per farlo funzionare. Chiara Sani è stata perfetta.
Molto bravo, ancor più per essere alla sua prima esperienza di attore, Yahya Ceesay; il suo personaggio introduce un altro tema importante, quello dei richiedenti asilo e delle difficoltà ad ottenere il permesso di soggiorno. Lui stesso è arrivato in Italia nel 2017 ed ha ottenuto il permesso nel settembre 2022. Come l’avete trovato e quanto della sua esperienza avete introdotto nel corto?
Il mio insegnante di teatro del liceo, Massimiliano Piva (che interpreta la parte di Don Piero nel film), insegna teatro a molti gruppi di ragazzi, tra cui alcuni richiedenti asilo. Mi aveva parlato di Yahya. Io stavo provinando attori professionisti ma mi ha detto di conoscerlo che, secondo lui, era pronto. E aveva ragione, la verità che aveva portato Yahya non l’aveva portata nessun altro! Abbiamo ovviamente fatto delle prove per prepararci al meglio e abbiamo collaborato con lui anche per alcune parti della sceneggiatura. Per esempio nella scena con Don Piero lui parla della sua incertezza come richiedente asilo, la battuta in cui dice “dopo questi sei mesi non so neanche dove sarò” è la sua. C’è infatti un periodo lungo in cui il richiedente asilo è in un limbo, si sta con fatica sta rifacendo una vita ma allo stesso tempo può essere rimandato a casa se la richiesta non è accolta. Fortunatamente la storia di Yahya è finita bene e a Settembre 2022 gli è stato riconosciuto il permesso di soggiorno.
Michela Aloisi