Ecco una selezione curata di film che incarnano perfettamente l’anima complessa, tormentata e poetica del cinema turco contemporaneo. Questo non è un semplice elenco, ma un viaggio attraverso le lenti di autori che hanno saputo catturare le tensioni di una nazione in perenne trasformazione, un luogo dove la modernità si scontra con la tradizione, la metropoli con la provincia, e il silenzio spesso parla più forte delle parole.
A partire dalla metà degli anni Novanta, il cinema turco ha vissuto una straordinaria rinascita, un movimento che gli studiosi hanno definito “Nuovo Cinema Turco”. Non si tratta di una scuola unificata o di un manifesto programmatico, quanto piuttosto di una convergenza di voci autoriali potenti e indipendenti che, lavorando con budget limitati, hanno iniziato a esplorare l’identità della Turchia moderna con un linguaggio nuovo, introspettivo e profondamente personale. Registi come Nuri Bilge Ceylan, Zeki Demirkubuz, Fatih Akın, Semih Kaplanoğlu e Yeşim Ustaoğlu sono diventati i pilastri di questa nuova ondata, portando le loro opere sui palcoscenici più prestigiosi del mondo, da Cannes a Berlino e Venezia, e guadagnando un riconoscimento internazionale che ha dato loro la libertà di perseguire visioni artistiche senza compromessi.
Ciò che unisce questi cineasti, al di là delle loro notevoli differenze stilistiche, è una comune ossessione per le dicotomie che definiscono la Turchia. La tensione tra la caotica e alienante metropoli di Istanbul e le vaste e silenziose steppe dell’Anatolia è un tema ricorrente, uno spazio fisico e mentale dove si scontrano valori, sogni e disillusioni. È un cinema che indaga la memoria e il trauma, sia a livello personale che collettivo, affrontando questioni socio-politiche complesse come la discriminazione, la violenza nascosta e l’amnesia culturale.
Stilisticamente, questo è un “cinema del non detto”. La sua forza risiede spesso nei silenzi insopportabili, nei lunghi piani sequenza che osservano i personaggi e i paesaggi, e nelle emozioni inespresse che rivelano le pressioni sociali e il peso della storia. Il silenzio non è un vuoto, ma uno spazio narrativo carico di significato, dove il pubblico è invitato a sentire, più che a capire, il tormento interiore dei protagonisti. Questo approccio contemplativo, che richiede pazienza ma ripaga con una profondità immensa, è stato reso possibile anche grazie al circuito dei festival internazionali, che ha agito non solo come vetrina, ma come un vero e proprio motore culturale e finanziario, permettendo a questi film esigenti e non commerciali di esistere e di raggiungere un pubblico globale.
Questa guida vi condurrà attraverso trenta opere fondamentali di questo movimento, esplorando i capolavori dei maestri affermati e le opere audaci di una nuova generazione di registi. Ogni film è una finestra sull’anima turca, un pezzo di un mosaico complesso che racconta storie di appartenenza e alienazione, di amore ossessivo e disperazione esistenziale, di ribellione silenziosa e di una bellezza struggente che emerge anche nei luoghi più desolati.
Yol (The Road) (1982)
Il film segue cinque prigionieri a cui viene concessa una settimana di permesso per tornare a casa. Attraversando una Turchia sotto il regime militare, ogni uomo affronta le proprie tragedie personali, scontrandosi con le rigide leggi patriarcali, l’oppressione dello Stato e la natura sfuggente della libertà. I loro viaggi individuali si intrecciano per dipingere un ritratto corale e desolato di una nazione in catene.
Yol non è solo un film; è un atto di ribellione artistica e un documento storico di importanza capitale. Vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 1982, ha proiettato il cinema turco moderno sulla scena mondiale, diventando il precursore spirituale di tutta la generazione di autori indipendenti che sarebbe emersa nel decennio successivo. La sua creazione è leggendaria: il regista Yılmaz Güney, incarcerato per motivi politici, scrisse la sceneggiatura e fornì istruzioni dettagliate dal carcere al suo collaboratore Şerif Gören, che diresse materialmente le riprese. Güney riuscì poi a evadere, a recuperare i negativi e a completare il montaggio in esilio. Questa genesi tormentata si riflette in ogni fotogramma del film, che trasuda una profonda “nostalgia della libertà”. L’opera è un’odissea straordinaria attraverso i paesaggi geografici e umani della Turchia, un’allegoria universale sulla tragedia delle distanze: quelle imposte da uno stato militare e quelle radicate in una cultura che ancora esige la punizione delle donne adultere. La sua poesia visiva e la sua enorme compassione per la sofferenza umana ne fanno il punto di partenza imprescindibile per comprendere le ansie e le tematiche che animeranno il Nuovo Cinema Turco.
Kış Uykusu (Winter Sleep) (2014)
Aydın, un attore in pensione, gestisce un hotel isolato tra le suggestive formazioni rocciose della Cappadocia. La sua arroganza intellettuale e la sua distanza emotiva lo separano dalla giovane moglie Nihal e dalla sorella Necla. Con l’arrivo della neve, che li isola dal mondo, le tensioni esplodono in lunghe e spietate conversazioni che mettono a nudo ipocrisie morali, conflitti di classe e risentimenti repressi.
Vincitore della Palma d’Oro, Kış Uykusu è il magnum opus di Nuri Bilge Ceylan, un’immersione profonda e letteraria nell’animo umano che evoca i maestri del teatro come Cechov e del cinema come Bergman. La sua durata monumentale, quasi 200 minuti, non è un vezzo, ma una scelta artistica deliberata per avvolgere lo spettatore nella stessa claustrofobia psicologica dei personaggi. Il film è un esempio magistrale del “cinema del non detto”, dove il dialogo diventa un’arma a doppio taglio, un mezzo per ferire e per difendersi, rivelando più nel sottotesto che nelle parole stesse. Attraverso le dinamiche di questa famiglia disfunzionale, Ceylan esamina la profonda spaccatura tra ricchi e poveri, tra potenti e impotenti, che caratterizza la Turchia contemporanea. L’hotel di Aydın, scavato nella roccia, diventa un palcoscenico dove si consuma un dramma universale sulla solitudine, l’incomunicabilità e la disillusione.
Bir Zamanlar Anadolu’da (Once Upon a Time in Anatolia) (2011)
Nel cuore della notte, un convoglio di uomini – un medico, un procuratore, poliziotti e un sospetto omicida – vaga per le steppe anatoliche alla ricerca di un cadavere. Quella che inizia come un’indagine di routine si trasforma lentamente in un’ipnotica meditazione esistenziale. Tra chiacchiere stanche e conversazioni frammentarie, emergono le storie personali, i segreti e i fardelli morali di ogni personaggio, mentre la verità rimane costantemente sfuggente.
Premiato con il Grand Prix a Cannes, questo film è una lezione di atmosfera e sottotesto. Ceylan prende gli elementi di un poliziesco e li trasfigura in una profonda indagine filosofica sulla vita, la morte e la natura della verità. L’ispirazione, basata sull’esperienza reale di uno dei co-sceneggiatori, conferisce al racconto un’autenticità quasi documentaristica. Il vasto e oscuro paesaggio dell’Anatolia non è solo uno sfondo, ma un personaggio a tutti gli effetti, uno specchio delle anime desolate degli uomini che lo attraversano. Ceylan dimostra la sua maestria nel trovare misteri universali nella “minuzia quotidiana”, trasformando una notte di ricerca in un viaggio nell’oscurità dell’animo umano, dove ogni dettaglio, ogni sguardo e ogni silenzio contribuiscono a un’opera di straordinaria complessità e bellezza.
Ahlat Ağacı (The Wild Pear Tree) (2018)
Sinan, un giovane aspirante scrittore, torna nella sua città natale in provincia dopo la laurea, con il sogno di trovare i fondi per pubblicare il suo primo romanzo. Si scontra però con una realtà disilludente, segnata dai debiti di gioco e dall’eccentricità del padre. Attraverso una serie di lunghe e profonde conversazioni con la gente del posto, due imam e una vecchia fiamma, Sinan è costretto a fare i conti con le sue ambizioni artistiche e la sua complicata eredità familiare.
Con Ahlat Ağacı, Ceylan realizza la sua opera più personale e verbosa, un’immersione totale nel conflitto tra l’ambizione giovanile e il peso delle proprie origini. Il film è un’esplorazione densa e filosofica del rapporto padre-figlio, ma anche una riflessione sul ruolo dell’artista nella società contemporanea, sulle tensioni tra Islam e secolarismo e sull’eterno divario tra centro e periferia nella Turchia moderna. L’albero di pero selvatico del titolo diventa una potente metafora della natura irregolare, resiliente e ineluttabile della famiglia e delle radici, qualcosa da cui non ci si può mai veramente liberare. Ogni dialogo è un duello intellettuale ed emotivo, che costringe Sinan e lo spettatore a interrogarsi sul significato dell’arte, della fede e del proprio posto nel mondo.
Uzak (Distant) (2002)
La vita solitaria e metodica di Mahmut, un fotografo commerciale disilluso che vive a Istanbul, viene sconvolta dall’arrivo di Yusuf, suo cugino di campagna, incolto e in cerca di lavoro. Costretti a convivere in un piccolo appartamento, i due uomini, separati da un abisso culturale ed emotivo, lottano per comunicare. La loro vicinanza forzata non fa che amplificare la profonda distanza che li separa, sullo sfondo di una città innevata e alienante.
Vincitore del Grand Prix a Cannes, Uzak è l’opera che ha consacrato Ceylan a livello internazionale e rappresenta l’esempio per eccellenza della dicotomia tra urbano e rurale nel Nuovo Cinema Turco. La forza del film risiede nei suoi “silenzi insopportabili” e nella sua magistrale rappresentazione dell’alienazione metropolitana. La fotografia squisita e malinconica di Ceylan trasforma Istanbul in un paesaggio dell’esilio interiore, una città grigio su grigio che riflette il vuoto dei suoi personaggi. Uzak è una quasi perfetta affermazione del realismo cinematografico come forma d’arte, un’opera che cattura con una precisione straziante la solitudine dell’uomo moderno e l’impossibilità di una vera connessione umana.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione
İklimler (Climates) (2006)
Il film documenta la dolorosa disintegrazione della relazione tra İsa, un egoista professore universitario, e la sua compagna più giovane, Bahar. Dopo una vacanza estiva tesa in cui decidono di separarsi, la narrazione segue İsa attraverso il mutare delle stagioni. Dal caldo soffocante dell’estate alle nevi dell’inverno, l’uomo è costretto a confrontarsi con la propria solitudine e la sua cronica incapacità di amare e connettersi con gli altri.
İklimler è un’opera di un’intensità quasi autobiografica, resa ancora più cruda dalla scelta di Ceylan di recitare nel ruolo del protagonista al fianco di sua moglie, Ebru Ceylan. Questa decisione conferisce al film un realismo quasi insostenibile. L’analisi del film si concentra su come le stagioni e i paesaggi mutevoli diventino uno specchio dei “climi” interiori dei personaggi. Per la prima volta, Ceylan utilizza il video ad alta definizione, creando un’intimità visiva spietata, dove i primi piani taglienti si alternano a campi lunghi che sottolineano l’alienazione e la distanza tra i due protagonisti. È un ritratto cupo e disincantato delle relazioni moderne, un’esplorazione senza filtri dell’egoismo maschile e della fragilità dei legami affettivi.
Helezon Akışkan

Dramma, cortometraggio, di Cihan Abdal, Turchia, 2025.
Una donna e un bambino che vivono in tempi antichi, separati dalla loro tribù, sono alla ricerca di acqua. Dopo che la donna sviene, il bambino inizia a cercarla da solo. Alla fine trova l'acqua, ma al suo ritorno si troverà in una situazione difficile.
Lo scopo della serie di cortometraggi Helezon è ricordare all'umanità, che abbraccia le realtà del mondo moderno e volta le spalle alla natura, la propria essenza. Si tratta di una serie di quattro film basata sulla premessa che "l'acqua, il fuoco, la terra e l'aria che gli esseri umani cercano nella natura sono dentro di loro". "Helezon Akışkan" racconta la storia dell'acqua, con i comportamenti del personaggio principale che sono paralleli a quelli dell'acqua.
Biografia del regista - Cihan Abdal
Dopo la laurea presso l'Università di Gazi e l'inizio del suo lavoro presso TRT, Cihan Abdal è entrato a far parte della troupe cinematografica del film turco candidato agli Oscar 2024, la coproduzione TRT "Hayat" (regia di Zeki Demirkubuz). In seguito ha lavorato come montatore nelle coproduzioni TRT "Gülizar" (regia di Belkıs Bayrak) e "Kanto" (regia di Ensar Altay).
SENZA DIALOGHI
Üç Maymun (Three Monkeys) (2008)
Per proteggere il suo capo, un politico in corsa per le elezioni, l’autista Eyüp accetta di assumersi la colpa di un incidente stradale mortale in cambio di denaro. Mentre sconta la pena in prigione, sua moglie e suo figlio si lasciano coinvolgere in una relazione pericolosa con lo stesso politico. La famiglia adotta la politica delle “tre scimmie” – non vedere, non sentire, non parlare del male – per sopravvivere, ma le loro bugie li trascineranno in una spirale di tragedia.
Con Üç Maymun, che gli è valso il premio per la miglior regia a Cannes, Ceylan si avventura nei territori del noir, utilizzando le convenzioni del genere per esplorare le conseguenze morali dell’inganno e dell’autoillusione. Il film è un’opera stilisticamente impeccabile, dove le composizioni pittoriche e i paesaggi desolati, con cieli carichi di nuvole, creano un senso di fatalismo ineluttabile. I personaggi sono intrappolati non solo dalle circostanze, ma anche dai loro desideri inconfessati e dalle bugie che si raccontano. È una rappresentazione dolorosamente incisiva della natura umana, un thriller dell’anima in cui la vera suspense non risiede negli eventi, ma nel lento e inesorabile crollo morale di una famiglia.
Kader (Destiny) (2006)
Prequel di Masumiyet, questo film ci riporta indietro nel tempo per svelare le origini del tragico triangolo amoroso. Un giovane Bekir si innamora perdutamente di Uğur, che a sua volta è legata a Zagor, un criminale violento. Quando Zagor finisce in prigione, Bekir intravede una speranza, ma questo è solo l’inizio di un inseguimento lungo anni, un viaggio autodistruttivo alla ricerca di un amore spietato che lo consumerà completamente.
Kader approfondisce il tema cardine di Demirkubuz: l’amore come una condanna, un destino ineluttabile. Il film traccia con una lucidità straziante la discesa di Bekir dalla speranza innocente alla rassegnata accettazione di una passione che non potrà mai essere soddisfatta. È una rappresentazione minimalista e potente di come il destino sia forgiato da scelte ossessive. Vediamo gli eventi che hanno trasformato i personaggi in quelle figure distrutte che abbiamo conosciuto in Masumiyet, offrendo un contesto ancora più tragico alla loro storia. Demirkubuz ci mostra che il loro “destino” non è stato scritto dalle stelle, ma dalla loro stessa incapacità di sfuggire a un amore che è, in fin dei conti, una forma di prigionia.
Duvara Karşı (Head-On) (2004)
Cahit, un quarantenne turco-tedesco autodistruttivo, e Sibel, una giovane donna disperata di sfuggire alla sua famiglia conservatrice, si incontrano in un ospedale psichiatrico e decidono di contrarre un matrimonio di convenienza. Questo accordo permette a Sibel di assaporare la libertà, ma la loro caotica convivenza si trasforma gradualmente in una storia d’amore violenta, tragica e totalizzante, che li spingerà contro il muro delle loro stesse vite.
Vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino, Duvara Karşı è una storia d’amore punk rock, cruda, brutale e piena di energia. Il film di Fatih Akın cattura con una forza travolgente la sensazione di essere sospesi “tra due culture”, un tema centrale per la diaspora turca in Germania. La sua violenza esplicita e la sua emotività a fior di pelle rappresentano un netto contrasto con lo stile contemplativo di Ceylan, mostrando un’altra faccia dell’identità cinematografica turca. È una potente esplorazione dell’identità, della libertà e dell’autodistruzione, un film che pulsa di vita, dolore e passione, segnando un momento fondamentale per il cinema europeo del nuovo millennio.
Yaşamın Kıyısında (The Edge of Heaven) (2007)
Le storie di sei personaggi si intrecciano tra la Germania e la Turchia. Un professore turco-tedesco si reca a Istanbul per cercare la figlia della defunta compagna di suo padre. Nel frattempo, la ragazza, un’attivista politica, fugge in Germania e viene accolta da una giovane studentessa tedesca. Le loro vite si incrociano e si allontanano attraverso il caso, la tragedia e la ricerca del perdono, creando un mosaico di destini connessi.
Con questo film, Akın dimostra una notevole maturità narrativa, utilizzando una struttura complessa che ricorda opere come Babel per esplorare temi come la redenzione, la globalizzazione e i legami interculturali. Il film ritrae la mobilità transnazionale e la “compressione spazio-temporale” del mondo contemporaneo, mettendo in discussione l’idea stessa di un cinema puramente nazionale. È una storia su come gli individui affrontano la perdita e cercano l’espiazione attraverso confini geografici e culturali, un racconto corale che indaga la possibilità di connessione e perdono in un mondo frammentato, dove ogni personaggio è sul punto di cadere o di trovare la salvezza.
Soul Kitchen (2009)
Zinos, proprietario greco-tedesco di un ristorante popolare e malmesso ad Amburgo, sta attraversando una crisi personale e professionale. Quando assume un nuovo chef, eccentrico ma geniale, il locale si trasforma in un punto di ritrovo alla moda, ma la sua vita diventa ancora più complicata. È una commedia caotica e vitale sull’amicizia, la comunità e l’amore per il cibo, sullo sfondo di una città multiculturale.
Prima commedia di Akın, Soul Kitchen è un “Heimatfilm” (film sulla patria) moderno, una dichiarazione d’amore alla vibrante e multietnica Amburgo. Il film utilizza un tono più leggero per affrontare temi seri come la gentrificazione, l’identità culturale e il significato di “casa” in un mondo globalizzato. La straordinaria colonna sonora e il forte senso del luogo sono elementi chiave che rendono il film un’esperienza gioiosa e contagiosa. Akın dimostra di saper raccontare non solo il dramma e la tragedia, ma anche la resilienza e la vitalità delle comunità che si creano negli spazi urbani, dove il cibo e la musica diventano un linguaggio universale.
Bal (Honey) (2010)
Il piccolo Yusuf, di sei anni, vive un’esistenza quasi magica nelle foreste montuose dell’Anatolia, legato da un profondo affetto a suo padre, un apicoltore. Quando l’uomo parte per una foresta lontana e non fa più ritorno, il mondo di Yusuf crolla. Il bambino si chiude in un silenzio impenetrabile, per poi trovare il coraggio di avventurarsi da solo nella natura selvaggia alla ricerca del padre, in un viaggio verso l’ignoto.
Vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino, Bal è il capitolo cronologicamente iniziale della “Trilogia di Yusuf” di Semih Kaplanoğlu, ma rappresenta il punto d’accesso all’anima del suo protagonista. Il film è un’opera di un “realismo spirituale” quasi assoluto, caratterizzato dall’assenza di musica e da dialoghi rarefatti. Questa scelta stilistica immerge lo spettatore nei suoni della natura e nella prospettiva del bambino. La foresta non è solo un luogo, ma un regno incantato, e il legame padre-figlio è ritratto con una tenerezza struggente, rendendo la sua rottura un evento di portata cosmica. È un film che richiede allo spettatore di abbandonarsi al suo ritmo lento e contemplativo per coglierne la profonda poesia visiva e la sua toccante riflessione sulla perdita dell’innocenza.
Süt (Milk) (2008)
Yusuf, ora diplomato, non ha superato l’esame di ammissione all’università e sogna di diventare un poeta mentre si guadagna da vivere vendendo il latte prodotto con sua madre. Il suo mondo adolescenziale, sospeso tra sogni e realtà, viene sconvolto quando scopre che la madre ha una relazione segreta. Questa rivelazione lo costringe a confrontarsi con il dolore della crescita, l’incertezza del futuro e la fine dell’idealizzazione familiare.
Capitolo centrale della trilogia, Süt esplora il momento cruciale della perdita dell’innocenza. Il film analizza il conflitto interiore di Yusuf, diviso tra la tradizione di una vita rurale e la modernità rappresentata dalle sue ambizioni poetiche. La poesia è il suo tentativo di fuga, un modo per trascendere una realtà che gli sta stretta. La scoperta della relazione della madre, però, lo riporta bruscamente a terra, frantumando l’immagine protettiva del nido familiare. Il tono del film è meditativo e malinconico, catturando perfettamente le ansie di un giovane uomo intrappolato tra un passato che non gli appartiene più e un futuro che non sa come costruire.
Yumurta (Egg) (2007)
Yusuf, ormai un poeta affermato sulla soglia dei quarant’anni, è costretto a tornare nella sua città natale dopo la morte della madre. Lì incontra Ayla, una giovane parente di cui ignorava l’esistenza, che lo informa dell’ultimo desiderio della madre: che lui compia un sacrificio rituale. Intrappolato dal senso di colpa e dai ritmi lenti della vita di provincia, Yusuf deve fare i conti con i fantasmi di un passato che aveva cercato di dimenticare.
Primo film della trilogia in ordine di uscita, Yumurta introduce i temi della memoria, della colpa e del difficile rapporto con le proprie radici. Il ritorno a casa obbliga Yusuf a confrontarsi con tutto ciò da cui era fuggito. Il titolo stesso, “Uovo”, è un chiaro riferimento al legame materno e all’origine della vita, rendendo il film una riflessione sulle origini e sugli obblighi che ci legano al nostro passato. Kaplanoğlu inizia la sua esplorazione a ritroso partendo da un uomo adulto la cui apparente realizzazione nasconde un profondo senso di sradicamento, suggerendo che per capire il presente sia necessario tornare all’inizio.
Mustang (2015)
In un remoto villaggio turco, la vita di cinque sorelle orfane viene stravolta quando, dopo aver giocato innocentemente con dei ragazzi sulla spiaggia, vengono accusate di comportamento osceno. I loro tutori conservatori le rinchiudono in casa, trasformando la loro abitazione in una “fabbrica di mogli” dove vengono preparate per matrimoni combinati. Unite da una passione comune per la libertà, le sorelle trovano modi sempre più audaci per ribellarsi.
Candidato all’Oscar e opera prima di Deniz Gamze Ergüven, Mustang è un racconto viscerale, potente e carico di emozione sulla resilienza femminile. Il film è una critica sferzante e senza compromessi all’oppressione patriarcale, un tema spesso latente nel cinema turco ma qui affrontato con una forza dirompente. La fotografia, luminosa e fluida nei rari momenti di libertà e claustrofobica durante la prigionia, rispecchia perfettamente il viaggio emotivo delle ragazze. Mustang è una contro-narrazione vitale nel panorama cinematografico turco, spesso dominato da prospettive maschili, e si impone come un inno universale alla sorellanza e al desiderio indomabile di libertà.
Güneşe Yolculuk (Journey to the Sun) (1999)
Mehmet, un giovane proveniente dalla Turchia occidentale, stringe una profonda amicizia con Berzan, un curdo, nelle periferie di Istanbul. Quando Mehmet viene scambiato per curdo e arrestato ingiustamente, la sua vita va in pezzi. La sua lealtà verso l’amico lo spingerà a intraprendere un viaggio pericoloso verso est per riportare il corpo di Berzan al suo villaggio natale, sfidando la burocrazia e il pregiudizio.
Opera coraggiosa e anticipatrice di Yeşim Ustaoğlu, questo film affronta la delicata questione curda con una sensibilità rara. Güneşe Yolculuk utilizza la potente storia di un’amicizia per criticare il razzismo sistemico e l’oppressione statale in Turchia. Lo stile quasi documentaristico conferisce al racconto una forza cruda e concreta, trasformando una vicenda personale in una potente dichiarazione politica. È un film che dà voce a chi è stato a lungo messo a tacere, esplorando temi come l’identità, l’appartenenza e la solidarietà umana in un contesto di profonda ingiustizia sociale.
Pandora’nın Kutusu (Pandora’s Box) (2008)
Tre fratelli di mezza età, che vivono vite separate e alienate a Istanbul, sono costretti a riunirsi e a tornare nel loro villaggio natale quando la loro anziana madre scompare. Dopo averla ritrovata, la portano con sé in città, scoprendo che soffre di Alzheimer. La sua presenza riapre vecchi conflitti e li costringe a confrontarsi con il vuoto delle loro esistenze borghesi.
Pandora’nın Kutusu è un profondo studio sulla disfunzione familiare, la perdita della memoria e l’alienazione della vita moderna. La malattia della madre agisce come un catalizzatore che apre il “vaso di Pandora” dei rancori familiari, rivelando l’incapacità dei figli di connettersi tra loro e con le proprie radici. Il film critica una società che, nella sua corsa verso la modernità, ha perso il contatto con la “Madre Natura”, con i suoi ritmi e i suoi valori. L’inaspettato legame che si crea tra l’anziana nonna e il nipote ribelle offre un barlume di speranza, un ponte tra generazioni che sembra indicare una possibile via d’uscita dall’isolamento emotivo.
Sivas (2014)
Aslan, un bambino di undici anni che vive in un desolato villaggio anatolico, trova un potente cane da combattimento di nome Sivas, ferito e abbandonato dopo uno scontro. Il bambino salva il cane e sviluppa con lui un forte legame, iniziando a farlo partecipare ai brutali combattimenti locali. Per Aslan, il successo del cane diventa un modo per affermarsi, guadagnare rispetto e impressionare una compagna di scuola.
Vincitore del Premio Speciale della Giuria a Venezia, Sivas è un racconto di formazione crudo e senza sconti. Il film utilizza il mondo dei combattimenti tra cani come una potente metafora della cultura maschilista e della mascolinità tossica che permea la regione. La relazione tra il bambino e il cane non è una favola sentimentale, ma un rapido e brutale apprendistato alle dure realtà del mondo adulto. Il regista Kaan Müjdeci offre uno sguardo documentaristico su una pratica violenta, trasformandola in un’analisi antropologica di una società dove la forza e la dominazione sono gli unici valori riconosciuti.
Tepenin Ardı (Beyond the Hill) (2012)
In una remota valle dell’Anatolia, un anziano e solitario proprietario terriero, Faik, si riunisce con il figlio e i nipoti. La vita della famiglia è dominata dalla lotta paranoica di Faik contro un gruppo di nomadi che, a suo dire, vivono “oltre la collina” e minacciano la sua proprietà. Tuttavia, questi nemici non vengono mai mostrati, sollevando il dubbio che possano essere solo una proiezione delle paure dell’uomo.
L’opera prima di Emin Alper è un thriller psicologico magistrale sulla paranoia e sulla costruzione del “nemico”. Il film gioca costantemente con l’ambiguità: i nomadi, sempre presenti nei discorsi ma assenti dalla scena, diventano una potente allegoria della tendenza umana a creare un “altro” per rafforzare l’identità del proprio gruppo e giustificare la propria aggressività. Tepenin Ardı è una favola politica tesa e inquietante, che non solo critica la società turca, ma riflette in modo universale su come la realtà stessa possa essere una finzione costruita sulla paura e sul bisogno di un nemico invisibile.
Abluka (Frenzy) (2015)
In una Istanbul attanagliata dalla violenza politica, Kadir viene rilasciato di prigione a condizione di lavorare come informatore, setacciando i rifiuti alla ricerca di materiali per fabbricare bombe. Si ricongiunge con il fratello minore, Ahmet, che lavora per il comune sterminando cani randagi. Mentre la paranoia cresce, Kadir inizia a sospettare del fratello, e le loro vite precipitano in una spirale di follia claustrofobica.
Il secondo film di Alper è un thriller politico distopico e avvincente. Il regista crea un’atmosfera soffocante di paranoia che funge da critica alla polarizzazione politica della Turchia contemporanea. Il mondo chiuso e ossessivo dei due fratelli diventa un microcosmo di una società repressiva dove chiunque può essere una minaccia. La storia, pur essendo radicata nel contesto turco, assume una valenza universale, raccontando la disintegrazione psicologica in società instabili e dominate dalla paura. È un’opera potente e visivamente impressionante, che conferma Alper come una delle voci più importanti del cinema turco moderno.
Sarmaşık (Ivy) (2015)
L’equipaggio di una nave da carico rimane bloccato al largo delle coste egiziane dopo il fallimento dell’armatore. Con i passaporti confiscati, sei uomini sono costretti a rimanere a bordo a tempo indeterminato. Man mano che le provviste si esauriscono e l’isolamento si fa sentire, la nave si trasforma in una pentola a pressione di mascolinità tossica, dove piccoli conflitti degenerano in una terrificante lotta per la sopravvivenza.
Thriller psicologico astuto e terrificante, Sarmaşık utilizza la sua unica location con un’efficacia straordinaria. La nave diventa un’allegoria delle lotte di potere e della polarizzazione politica all’interno della Turchia stessa. Il personaggio di “Kürt”, un curdo che sceglie il silenzio come forma di resistenza, diventa il catalizzatore delle ansie dell’equipaggio, rappresentando le tensioni irrisolte legate all’identità curda nella coscienza nazionale. Il film di Tolga Karaçelik è un viaggio claustrofobico nella follia, un racconto senza tempo sulla disintegrazione dell’ordine sociale quando gli uomini sono lasciati a sé stessi.
Sonbahar (Autumn) (2008)
Dopo dieci anni di prigione come prigioniero politico, Yusuf viene rilasciato per motivi di salute. Torna nel suo villaggio natale sul Mar Nero, ma trova un mondo che non riconosce più: il padre è morto, la sorella si è trasferita e il villaggio è popolato solo da anziani. In questo paesaggio autunnale e malinconico, l’incontro con Eka, una giovane prostituta georgiana, rappresenta un ultimo, disperato tentativo di aggrapparsi alla vita.
Opera prima di Özcan Alper, Sonbahar è uno dei film più sublimi e struggenti del cinema turco moderno. È un poema visivo di una bellezza malinconica, che racconta la storia di due anime ai margini che cercano un senso alle loro vite. Il film ritrae la natura agrodolce dell’amore e, allo stesso tempo, svela la violenza del panorama politico turco della fine degli anni ’90. Il paesaggio autunnale, con i suoi colori spenti e la sua atmosfera di decadenza, riflette perfettamente lo stato d’animo di Yusuf, un uomo il cui spirito è stato spezzato ma che cerca ancora un barlume di calore prima dell’arrivo dell’inverno finale.
Çoğunluk (Majority) (2010)
Mertkan, un giovane di Istanbul, conduce una vita vuota e senza scopo, lavorando nell’impresa edile del padre e passando le serate con gli amici. La sua esistenza apatica viene scossa dall’incontro con Gül, una ragazza curda di umili origini. Per la prima volta, Mertkan sembra trovare un barlume di autenticità, ma la relazione si scontra con il razzismo e l’autoritarismo del padre, che si oppone fermamente a qualsiasi legame con “quella gente”.
L’opera prima di Seren Yüce è una critica potente e sottile della società patriarcale e della mentalità della “maggioranza” turca. Il film tratta la sua storia morale con grande finezza, costruendo una risonanza emotiva attraverso la straordinaria interpretazione di Bartu Küçükçağlayan nel ruolo di Mertkan. Il personaggio incarna l’inerzia di una generazione cresciuta all’ombra di padri autoritari, incapace di sviluppare un pensiero critico o di ribellarsi. Çoğunluk è un ritratto agghiacciante di come il pregiudizio e il conformismo vengano trasmessi di padre in figlio, soffocando ogni possibilità di cambiamento e di vera connessione umana.
Kosmos (Cosmos) (2010)
Un uomo misterioso di nome Kosmos arriva in una città di confine innevata e isolata, salvando un bambino dall’annegamento. Acclamato come un miracolante, Kosmos è una figura bizzarra: sembra non mangiare né dormire, si arrampica sugli alberi come un animale e cerca l’amore in modo primordiale. Inizialmente accolto, viene poi respinto dalla comunità quando i suoi “miracoli” si rivelano ambigui e la sua natura imprevedibile.
Il lavoro di Reha Erdem è un’allegoria audace e visivamente spettacolare, un viaggio cinematografico profondamente fantasioso. Il film pone domande senza offrire risposte facili: Kosmos è un messia, un ciarlatano, un visitatore da un altro mondo o un folle sacro? La sua presenza sconvolge l’ordine della piccola comunità, mettendo a nudo le sue speranze, le sue paure e le sue ipocrisie. Sebbene a tratti denso e criptico, Kosmos è un’opera affascinante che sfida lo spettatore, un esempio di cinema d’autore che non teme di avventurarsi in territori sconosciuti e di esplorare i confini tra fede, follia e mistero.
Kelebeğin Rüyası (The Butterfly’s Dream) (2013)
Nella Turchia degli anni ’40, due giovani poeti, Rüştü e Muzaffer, malati di tubercolosi, cercano di sopravvivere in una città mineraria, aggrappandosi alla poesia e all’amore. Entrambi si innamorano della stessa ragazza, la figlia di un ricco uomo d’affari, e fanno una scommessa: chiunque dei due riuscirà a conquistarla con i propri versi avrà vinto. La loro vita, segnata dalla malattia e dalla povertà, è un’ode all’idealismo e alla fragilità dei sogni.
Scritto e diretto da Yılmaz Erdoğan, questo film è un’opera sontuosa e commovente che celebra il potere della poesia in un mondo grigio e opprimente. È un omaggio all’amicizia, alla competizione artistica e all’amore come ultima ancora di salvezza. Erdoğan, poeta egli stesso, riesce a bilanciare l’umorismo e la tragedia, criticando una società che romanticizza gli artisti ma li lascia morire di stenti. I versi scritti su pezzi di carta e recitati in taverne fumose diventano atti di ribellione contro un destino avverso, in un film che crede fermamente che la bellezza possa fiorire anche nelle circostanze più disperate.
Takva (A Man’s Fear of God) (2006)
Muharrem è un uomo umile e profondamente devoto che vive un’esistenza solitaria, scandita dalla preghiera e dall’astinenza. La sua straordinaria fede attira l’attenzione dei leader di un potente e ricco gruppo religioso di Istanbul, che gli offrono un lavoro come esattore degli affitti delle loro numerose proprietà. Improvvisamente proiettato nel mondo moderno, Muharrem si trova a dover affrontare tentazioni, ipocrisie e il peso del potere.
Takva è un’intrigante e lenta meditazione sulla fede, la modernità e la fragilità umana. Il film esplora il conflitto interiore di un uomo la cui pace spirituale viene sconvolta dal contatto con il denaro e gli interessi mondani. La performance di Erkan Can nel ruolo di Muharrem è un ritratto straordinario di un uomo comune sopraffatto da un compito più grande di lui. Il film non offre giudizi facili, ma mostra come sia difficile bilanciare gli ideali della religione con i desideri e le contraddizioni della natura umana. È un’opera che pone domande profonde sulla spiritualità nel mondo contemporaneo, senza mai menzionare la parola “terrorismo”, ma concentrandosi sulla lotta interiore di un singolo uomo.
Güneşi Gördüm (I Saw the Sun) (2009)
Una famiglia curda viene sradicata dal proprio villaggio nel sud-est della Turchia a causa del conflitto armato. Costretti a disperdersi, alcuni membri si trasferiscono a Istanbul, dove lottano per adattarsi a una vita urbana che non comprendono, mentre altri intraprendono un pericoloso viaggio come rifugiati verso la Norvegia. Il film segue i loro destini paralleli, esplorando il dolore dello sradicamento e la ricerca di una nuova casa.
Diretto da Mahsun Kırmızıgül, Güneşi Gördüm è un dramma corale emotivamente travolgente e politicamente carico. Il film affronta con coraggio le complesse realtà del conflitto curdo e le sue devastanti conseguenze umane. Raccontando la storia da più prospettive, il film mette in luce le diverse sfide affrontate dai membri della famiglia: la lotta contro il pregiudizio a Istanbul, le difficoltà dell’integrazione e i pericoli del viaggio verso l’Europa. È un’opera potente che dà un volto umano a una tragedia politica, esplorando i temi universali della famiglia, dell’identità e della speranza di fronte a una disperazione schiacciante.
Anons (The Announcement) (2017)
Nella notte del 22 maggio 1963, un gruppo di ufficiali militari scontenti pianifica un colpo di stato per rovesciare il governo di Ankara. La loro missione è raggiungere la radio nazionale di Istanbul e trasmettere l’annuncio del golpe al paese. Tuttavia, una serie di ostacoli imprevisti e incontri surreali trasforma la loro operazione meticolosamente pianificata in una farsa tragicomica.
Basato su eventi reali, il film di Mahmut Fazıl Coşkun è una satira politica acuta e una commedia dell’assurdo che commenta con ironia l’instabile passato politico della Turchia. Con uno stile visivo rigoroso e un umorismo impassibile, il film mette in scena l’inettitudine dei cospiratori, evidenziando il divario tra le loro grandi ambizioni e la caotica realtà. Anons è un’opera originale e intelligente, che utilizza l’umorismo nero per riflettere sulla natura ciclica dei colpi di stato e sull’assurdità del potere, annunciando il suo regista come un grande talento del cinema contemporaneo.
Gişe Memuru (Toll Booth) (2010)
Kenan è un casellante di 35 anni, silenzioso e solitario, la cui vita si divide tra una casa soffocante con un padre autoritario e la monotonia del suo cubicolo di lavoro. Tormentato da fantasie e visioni surreali che interrompono la sua routine, Kenan lotta per mantenere un contatto con la realtà, mentre il suo passato traumatico riemerge lentamente, offrendo una chiave per comprendere il suo strano comportamento.
Opera prima di Tolga Karaçelik (regista di Sarmaşık), Gişe Memuru è uno studio del personaggio sottile e una parabola moderna. Il film utilizza motivi visivi e sonori ricorrenti per creare un percorso a ritroso nel passato smantellato di Kenan, esplorando il trauma e l’alienazione con un tocco di umorismo nero e surrealismo. La performance di Serkan Ercan nel ruolo di Kenan è straordinaria nel catturare la lotta interiore di un uomo intrappolato tra la realtà e le proiezioni della sua mente. È un debutto affascinante che preannuncia la maestria del regista nel creare atmosfere claustrofobiche e indagare le profondità della psiche umana.
Bizim Büyük Çaresizliğimiz (Our Grand Despair) (2011)
La pacifica convivenza di Ender e Çetin, due amici trentenni e scapoli, viene interrotta quando accettano di ospitare Nihal, la sorella di un loro amico, rimasta orfana dopo un tragico incidente. La presenza della ragazza, inizialmente chiusa nel suo dolore, porta nuova vita nella loro casa, ma presto entrambi gli uomini si innamorano di lei, mettendo a dura prova la loro profonda amicizia e creando un delicato triangolo emotivo.
Tratto da un acclamato romanzo di Barış Bıçakçı, il film di Seyfi Teoman è un ritratto toccante e malinconico di un complesso legame maschile e di un amore platonico. Ambientato in una Ankara splendidamente fotografata, il film esplora con grazia e sensibilità i momenti di estasi e di tristezza che caratterizzano questa insolita convivenza. Lontano dai cliché, Bizim Büyük Çaresizliğimiz è una riflessione matura sull’amicizia, la responsabilità e la natura sfuggente della felicità, un’opera che affascina per la sua delicatezza e la sua profonda umanità.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
In questo video ti spiego la nostra visione

