Il cinema carcerario è un genere potente, che ha definito l’immaginario collettivo. Ci ha regalato storie indimenticabili di fughe eroiche, come in Fuga da Alcatraz, o profonde meditazioni sulla speranza e la redenzione, come in Le ali della libertà. Questi capolavori hanno usato la prigione come un palcoscenico per il grande dramma umano, per scontri manichei tra il bene e il male e per storie di redenzione.
Ma oltre al muro di cinta, la prigione è anche un territorio più aspro e complesso. Esiste uno sguardo che cessa di usare la prigione come un mero sfondo per diventare un crogiolo, un microcosmo dove la condizione umana viene sezionata con precisione chirurgica. Le sbarre, in questi film, non delimitano solo uno spazio fisico, ma anche psicologico, sociale e politico.
Questa guida è un percorso che unisce le grandi storie di redenzione che hanno definito il genere alle più crude visioni underground. Opere che usano la cella come un laboratorio per esplorare i limiti del corpo e della psiche, e per interrogarsi sulla natura della libertà. Un’esplorazione della detenzione che cerca una verità più profonda e, spesso, più inquietante.
Prigioni della Mente e della Carne: Il Corpo come Campo di Battaglia
Questa sezione esplora opere in cui il corpo diventa il principale veicolo di espressione, resistenza e sofferenza. Non si tratta di una semplice rappresentazione della violenza, ma di un’analisi di come i registi utilizzino la fisicità per esplorare il tormento psicologico, la sfida politica e la decostruzione dell’identità in condizioni estreme. Qui, l’esperienza carceraria si manifesta nella sua forma più viscerale e corporale.
Hunger
Basato sullo sciopero della fame irlandese del 1981, il folgorante esordio di Steve McQueen narra le ultime settimane di vita di Bobby Sands (Michael Fassbender), membro dell’IRA detenuto nel carcere di Maze. Il film documenta le proteste “no-wash” e le condizioni brutali della prigione, prima di concentrarsi sull’atto finale di sfida politica di Sands: lasciarsi morire di fame per ottenere lo status di prigioniero politico.
L’analisi di McQueen è formalista, quasi pittorica nel suo approccio all’abiezione e alla sofferenza. La celebre scena di 17 minuti in piano sequenza, un dialogo tra Sands e un prete, costituisce il cuore filosofico di un film altrimenti scarno di parole. McQueen trasforma il corpo in un oggetto politico e in un luogo di lotta spirituale, evitando la polemica per creare una riflessione universale sul potere della convinzione e sul significato del sacrificio. Il corpo non è più un semplice involucro, ma l’ultimo, estremo campo di battaglia.
Bronson
Il biopic iper-stilizzato di Nicolas Winding Refn su Michael Peterson, diventato “il prigioniero più violento della Gran Bretagna” con il nome di Charles Bronson (un monumentale Tom Hardy). Il film abbandona la narrazione tradizionale a favore di una serie di vignette surreali e teatrali, in cui Bronson mette in scena la propria vita per un pubblico, sia reale che immaginario, trasformando la sua esistenza in una performance artistica.
Refn utilizza la teatralità per decostruire il genere carcerario. La prigione non è un luogo di punizione, ma il palcoscenico di Bronson; il suo corpo non è solo uno strumento di violenza, ma il medium della sua arte. Con influenze kubrickiane, il film sovverte le convenzioni presentando il protagonista non come vittima o eroe, ma come un artista del caos, un uomo che trova la vera libertà solo nel confinamento assoluto che gli permette di perfezionare il suo personaggio.
A Prayer Before Dawn
Basato sulla storia vera di Billy Moore (Joe Cole), un pugile britannico incarcerato in una delle prigioni più brutali della Thailandia. Per sopravvivere, si unisce alla squadra di boxe Muay Thai del carcere, combattendo per una possibilità di libertà. Il film è girato in una vera prigione thailandese con un cast che include ex detenuti, conferendo all’opera un realismo quasi documentaristico.
La qualità immersiva del film è amplificata dalla scelta deliberata di non sottotitolare gran parte dei dialoghi in thailandese, proiettando lo spettatore nella stessa prospettiva disorientata e alienata di Moore. Qui il corpo è sia fonte di vulnerabilità (la dipendenza, la violenza subita) sia unica via di salvezza (la disciplina della Muay Thai). La violenza del ring diventa una forma di comunicazione brutale e un modo per rivendicare la propria identità in un mondo che lo ha privato di tutto.
Das Experiment
Thriller tedesco basato sul famigerato esperimento carcerario di Stanford del 1971. Un gruppo di volontari viene diviso in “guardie” e “prigionieri” per uno studio di due settimane. La simulazione sfugge rapidamente di mano quando le guardie diventano sadiche e i prigionieri vengono psicologicamente annientati, mostrando la fragilità del comportamento civilizzato.
Il film utilizza un ambiente controllato per dimostrare che la “prigione” è prima di tutto uno stato mentale che può essere indotto artificialmente. È una critica feroce alla natura corruttiva del potere. L’orrore non nasce da una criminalità preesistente, ma dalla terrificante facilità con cui persone comuni possono assumere ruoli di brutale oppressione quando viene data loro un’uniforme e un briciolo di autorità. Il corpo diventa la testimonianza del collasso psicologico.
Una visione curata da un regista, non da un algoritmo
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The Stanford Prison Experiment
La versione americana in forma di docudrama dello stesso esperimento del 1971, che aderisce più fedelmente agli eventi reali rispetto al suo predecessore tedesco. Il film documenta meticolosamente il rapido deterioramento psicologico dei partecipanti sotto la supervisione del Dr. Philip Zimbardo, offrendo una cronaca agghiacciante di come un’indagine accademica si sia trasformata in un incubo.
A differenza della tensione da thriller di Das Experiment, questo film adotta uno stile clinico e osservazionale. L’orrore non risiede solo nella violenza, ma nell’autenticità e nel focus sugli architetti accademici dell’esperimento, implicando non solo le “guardie” ma anche lo sguardo scientifico distaccato che ha permesso che l’abuso continuasse. È un’agghiacciante disamina dell’etica del potere, sia all’interno delle celle finte che nella stanza di osservazione.
Gerarchie della Violenza: Sopravvivenza e Ascesa al Potere
Questi film sono oscuri studi sociologici. Esaminano la prigione non come un luogo di caos, ma come una società altamente strutturata con codici, economie, linguaggi e dinamiche di potere proprie. Il focus è sul viaggio del protagonista per navigare e, in alcuni casi, dominare questo mondo parallelo, dove la sopravvivenza dipende dalla comprensione e manipolazione di nuove, brutali regole sociali.
Un prophète (A Prophet)
Il capolavoro di Jacques Audiard segue Malik El Djebena (Tahar Rahim), un giovane franco-algerino analfabeta che entra in una brutale prigione francese. Costretto a servire un boss della mafia corsa, impara a leggere, scrivere e a navigare nelle complesse gerarchie razziali e criminali, costruendo lentamente il proprio impero dall’interno delle mura.
Il film si configura come un oscuro bildungsroman, un romanzo di formazione carcerario. Il viaggio di Malik non è solo una questione di sopravvivenza, ma di apprendimento dei linguaggi (letterali e figurati) del potere. La genialità del film risiede nella sua dettagliata rappresentazione di questa società-ombra, un ecosistema con le sue regole spietate. Gli elementi sottilmente soprannaturali, come il fantasma della sua prima vittima, manifestano il costo psicologico della sua inesorabile ascesa.
Starred Up
Un adolescente violento, Eric Love (Jack O’Connell), viene trasferito (“starred up“) in un carcere per adulti, dove si ritrova detenuto con il padre che non vedeva da tempo, Neville (Ben Mendelsohn), altrettanto pericoloso. Il film esplora la loro relazione esplosiva all’interno del brutale ecosistema carcerario, un ambiente che funge da catalizzatore per un confronto inevitabile.
La prigione diventa una pentola a pressione per una dinamica familiare tossica, una decostruzione cruda della mascolinità e della violenza ereditata. Le rigide gerarchie del carcere costringono a un confronto tra padre e figlio che sarebbe impossibile all’esterno. Le sessioni di terapia di gruppo, guidate da un volontario, offrono una fragile speranza di spezzare il ciclo di traumi che li lega, mostrando come persino nel luogo più disperato possa esistere una possibilità di cambiamento.
Animal Factory
Diretto da Steve Buscemi e basato sul romanzo dell’ex detenuto Edward Bunker, il film segue un giovane incensurato (Edward Furlong) che viene preso sotto l’ala protettrice di un esperto e influente detenuto, Earl Copen (Willem Dafoe). È uno sguardo realistico sul mentorato e sulla protezione necessari per sopravvivere in un ambiente ostile, dove l’intelligenza conta quanto la forza.
L’autenticità del film, derivata dalle esperienze dirette di Bunker, lo distingue. Invece di concentrarsi sulla violenza esplosiva, Animal Factory enfatizza gli aspetti strategici e intellettuali della sopravvivenza carceraria. Earl Copen non è solo un criminale, ma un re-filosofo del suo dominio. Il film esplora la creazione di famiglie surrogate e di legami intellettuali come meccanismo di difesa contro la brutalità disumanizzante del sistema.
R
Un film danese che segue un giovane, Rune, al suo ingresso in una delle prigioni più dure della Danimarca. Deve imparare rapidamente le regole non scritte della sopravvivenza, che includono il traffico di droga all’interno del carcere e la formazione di una pericolosa alleanza con un detenuto musulmano, Rachid, sfidando le rigide stratificazioni razziali.
Con uno stile crudo e documentaristico, il film si concentra sulla meticolosa rappresentazione dell’economia interna della prigione. La “R” del titolo simboleggia la riduzione del protagonista a una mera lettera, un ingranaggio della macchina carceraria. È un procedurale della sopravvivenza, che mostra come si impara a operare in un sistema dove un singolo errore può essere fatale. Una potente dichiarazione sulla disumanizzazione e sulle misure disperate adottate per riconquistare un briciolo di potere.
Chopper
Il film d’esordio di Andrew Dominik è un biopic brutalmente comico su Mark “Chopper” Read (Eric Bana), uno dei criminali più famosi d’Australia. Il film esplora la sua vita dentro e fuori dal carcere, concentrandosi sul suo talento per l’auto-mitizzazione e sulla linea sottile tra i suoi atti violenti e le storie che racconta su di essi, diventando una leggenda nel suo stesso tempo.
Mentre condivide un DNA con Bronson, l’analisi qui si concentra sul potere della narrazione. Il vero potere di Chopper all’interno della gerarchia carceraria non deriva solo dalla violenza, ma dalla sua capacità di controllare la propria leggenda. Il film gioca brillantemente con un narratore inaffidabile, mostrando come un uomo possa diventare un mito all’interno del sistema chiuso di una prigione, un luogo affamato di storie. La performance trasformativa di Bana è centrale in questa esplorazione della violenza come forma di narrazione.
La Fuga come Atto Esistenziale: L’Evasione nel Cinema d’Autore
Questa sezione si allontana dal tradizionale film di evasione carico d’azione. Qui, l’attenzione si sposta sul processo, sulla pianificazione meticolosa e sulla disciplina quasi spirituale della fuga. Nelle mani di autori come Bresson e Becker, l’atto di liberarsi diventa una profonda dichiarazione esistenziale sulla volontà umana, la pazienza e la vera natura della libertà, trasformando un genere in una forma di meditazione cinematografica.
A Man Escaped (Un condamné à mort s’est échappé)
Il capolavoro minimalista di Robert Bresson, basato sulla storia vera della fuga di un combattente della Resistenza francese da una prigione nazista. Il film segue, con dettagli minuziosi, gli sforzi metodici del protagonista Fontaine per smantellare la sua cella e preparare la sua fuga, usando solo il suo ingegno e oggetti semplici come un cucchiaio affilato.
Lo stile ascetico di Bresson, con l’uso di attori non professionisti (“modelli”), l’enfasi sul sonoro e l’attenzione ossessiva su mani e oggetti, trasforma la fuga. Non è un’avventura elettrizzante, ma un lavoro, una preghiera in movimento. È un film sulla fede: in se stessi, nella provvidenza (quella “mano invisibile sopra la prigione” citata dal regista) e nel potere trasformativo di un’azione paziente e concentrata.
Le Trou (The Hole)
L’ultimo film di Jacques Becker, anch’esso basato su una storia vera, descrive quattro compagni di cella che stanno meticolosamente pianificando una fuga quando un nuovo prigioniero viene inaspettatamente aggiunto alla loro cella. Devono decidere se fidarsi di lui e affidargli le loro vite. Il film è rinomato per il suo intenso realismo e per le lunghe, ininterrotte riprese del lavoro fisico della fuga.
Mentre il film di Bresson è un viaggio solitario e spirituale, quello di Becker è un’analisi delle tensioni del collettivo. È uno studio sulla fiducia, la paranoia e le dinamiche di gruppo sotto pressione. Il realismo è così intenso da sembrare un documentario, con i suoni dello scalpellare il cemento e del respiro affannoso che creano una suspense quasi insopportabile. Il “buco” è sia un percorso letterale verso la libertà sia un abisso metaforico di sfiducia.
The Escapist
Un ergastolano, Frank Perry (Brian Cox), apprende che sua figlia è gravemente malata e decide di evadere dopo 14 anni di comportamento modello. Assembla una squadra eterogenea per un’evasione. Il film alterna la fase di pianificazione e la fuga stessa, costruendo la tensione verso una conclusione sorprendente e metafisica che ridefinisce il significato stesso della fuga.
Questo film si presenta come un erede moderno del genere procedurale di Le Trou, ma con una svolta cruciale. Utilizza i tropi familiari del genere — l’assemblaggio della squadra, il superamento degli ostacoli — per cullare lo spettatore, prima di rivelare la sua vera natura di meditazione sul rimpianto, la mortalità e l’idea della fuga come un atto finale di coscienza piuttosto che un evento puramente fisico.
Contro il Sistema: Storie di Ingiustizia, Rivolta e Falsa Detenzione
Questa sezione raccoglie film che sono atti d’accusa diretti contro i sistemi carcerari e giudiziari. Esplorano condanne ingiuste, prigionia politica, corruzione sistemica e i momenti in cui gli oppressi si ribellano ai loro carcerieri. Sono opere che utilizzano la narrazione carceraria come un potente strumento di commento sociale e politico, mettendo in discussione le fondamenta stesse della giustizia.
The Thin Blue Line
Il documentario rivoluzionario di Errol Morris indaga sul caso di Randall Dale Adams, un uomo condannato a morte per un omicidio che non ha commesso. Attraverso una serie di interviste stilizzate e ricostruzioni cinematografiche, Morris decostruisce la narrazione ufficiale e alla fine ottiene una confessione dal vero assassino, portando alla scarcerazione di Adams.
Questo film ha cambiato la forma del documentario. Le tecniche innovative di Morris — l’inquietante colonna sonora di Philip Glass, le ricostruzioni cinematografiche, le interviste dirette in camera — non sono solo vezzi stilistici, ma strumenti di indagine. Il film sfida l’idea stessa di verità oggettiva, mostrando come la memoria sia fallibile e come le narrazioni possano essere costruite per servire uno scopo. Non ha solo documentato un’ingiustizia, l’ha attivamente corretta.
Celda 211 (Cell 211)
Un giovane secondino, Juan Oliver (Alberto Ammann), rimane intrappolato in una violenta rivolta carceraria il suo primo giorno di lavoro. Per sopravvivere, deve fingersi un prigioniero, guadagnandosi la fiducia del carismatico leader della rivolta, Malamadre (Luis Tosar). Man mano che la situazione degenera, il confine tra guardia e prigioniero inizia a svanire in modo terrificante.
Un thriller ad alta tensione con un’acuta critica politica. Il film utilizza la sua premessa per criticare un sistema corrotto e incompetente. La trasformazione di Juan è un potente commento su come le istituzioni possano fallire, costringendo gli individui a compromessi morali impossibili. La rivolta carceraria diventa una metafora di una società sull’orlo del collasso, dove le autorità ufficiali sono tanto pericolose quanto i detenuti che dovrebbero controllare.
Short Eyes
Basato sull’opera teatrale dell’ex detenuto Miguel Piñero, il film è ambientato in un centro di detenzione di New York. Quando un uomo bianco della classe media accusato di molestie su minori (un “short eyes”, nel gergo carcerario) viene gettato nel braccio, si scatena il brutale codice di giustizia interno della prigione, gestito dagli stessi detenuti.
Il film si distingue per la sua potenza cruda e teatrale e per il suo sguardo impietoso sulle gerarchie morali all’interno della popolazione carceraria. È un’opera sul fallimento del sistema giudiziario ufficiale, che costringe i prigionieri a crearne uno proprio, spesso più spietato. Esplora temi complessi di razza, ipocrisia e natura del peccato in un mondo dove il crimine “peggiore” non è giudicato dallo Stato, ma dai propri simili.
Brawl in Cell Block 99
Dopo aver perso il lavoro, un ex pugile di nome Bradley Thomas (Vince Vaughn) si dà al traffico di droga. Quando un affare va storto, finisce in prigione, dove viene ricattato da un cartello e costretto a commettere atti di estrema violenza per proteggere la moglie rapita. La sua discesa nei gironi infernali del sistema carcerario è inarrestabile.
Il film di S. Craig Zahler è una discesa brutale e iper-stilizzata in una visione infernale del sistema carcerario. Unisce un’estetica da grindhouse a un protagonista sorprendentemente stoico, quasi mitico. La violenza è metodica e spaccaossa, e il film funge da critica a un sistema così corrotto che l’unica via per la giustizia è attraverso una violenza personale e apocalittica. La performance di Vaughn è centrale, trasformandolo in un anti-eroe moderno.
Sguardi dal Mondo: Prospettive Internazionali sulla Detenzione
Questa sezione mette in luce la natura globale del film carcerario, mostrando come culture e cinematografie nazionali diverse utilizzino l’ambientazione per riflettere le proprie ansie sociali, storie politiche e realtà culturali. La prigione diventa una lente attraverso cui osservare l’anima di una nazione, rivelando verità scomode e specifiche di ogni contesto.
Carandiru
Basato sulle memorie di un medico che lavorava nel famigerato penitenziario di Carandiru in Brasile, il film descrive la vita di vari detenuti nella struttura irrimediabilmente sovraffollata, culminando nel massacro reale del 1992, in cui la polizia uccise 111 prigionieri. Un evento che ha segnato la storia del paese.
L’approccio episodico e umanista del regista Hector Babenco dà un volto e una storia alle statistiche, umanizzando i detenuti prima dell’esplosione finale della violenza di stato. La prigione è rappresentata come una città autogestita, un microcosmo delle profonde disuguaglianze della società brasiliana. Il film è una potente accusa all’abbandono da parte dello stato e alla sua brutalità, mostrando come il sistema stesso generi il mostro che pretende di contenere.
On the Job
Un thriller neo-noir filippino ispirato a uno scandalo di vita reale. Due prigionieri vengono regolarmente e segretamente rilasciati per lavorare come sicari per politici corrotti e funzionari di alto rango, mentre due agenti delle forze dell’ordine cercano di svelare la cospirazione. Una premessa scioccante che rivela un sistema marcio fino al midollo.
Questo film presenta una visione unicamente cinica del sistema carcerario. Qui, la prigione non è un luogo di reclusione, ma un bacino di risorse per i potenti. Con uno stile che ricorda Michael Mann, il film offre una critica bruciante a una società in cui i confini tra legge, crimine e politica si sono completamente dissolti. Le mura della prigione sono permeabili, ma solo a beneficio della corruzione.
Nordvest (Northwest)
Un dramma social-realista danese su un diciottenne ladruncolo in un quartiere multiculturale di Copenaghen che viene trascinato in un mondo criminale più serio quando inizia a lavorare per un boss rivale, scatenando una violenta guerra per il territorio. Il suo quartiere diventa la sua prigione, un labirinto da cui è impossibile fuggire.
Sebbene non sia strettamente un film carcerario per tutta la sua durata, Nordvest esplora l’idea del quartiere come prigione. Il protagonista è intrappolato dal suo ambiente, dalle sue limitate opportunità e dai codici violenti della strada. Lo stile a mano, quasi da Dogma 95, crea un senso di immediatezza e claustrofobia. È un film sulle forze sociali ed economiche che creano i criminali, mostrando che le prigioni più efficaci sono a volte quelle senza muri visibili.
Head-On (Gegen die Wand)
Un dramma tedesco-turco crudo e intenso di Fatih Akın. Un uomo autodistruttivo e una giovane donna, entrambi di origine turca ad Amburgo, contraggono un matrimonio di convenienza per sfuggire alle rispettive “prigioni”: lui dal suo nichilismo, lei dalla sua famiglia opprimente. Il loro accordo si trasforma in una violenta e passionale storia d’amore.
Questo film esplora la prigione dell’identità culturale e della tradizione familiare. Il matrimonio è un tentativo di fuga, ma i protagonisti si ritrovano in una nuova prigione di dipendenza emotiva. Quando Cahit viene letteralmente mandato in prigione per aver ucciso uno degli amanti di Sibel, il carcere fisico esternalizza le prigioni interiori contro cui hanno lottato per tutto il tempo. Uno sguardo potente sull’esperienza dell’immigrazione e sulla lotta per la libertà personale contro le aspettative culturali.
The Secret of the Grain (La graine et le mulet)
Un anziano operaio navale franco-arabo in una città portuale del sud della Francia viene licenziato e decide di inseguire il suo sogno di aprire un ristorante di couscous su una barca. Il film segue le lotte e le gioie della sua tentacolare e complicata famiglia mentre cercano di aiutarlo a navigare nella burocrazia e nei loro stessi conflitti interni.
Questo è un film sulla prigione dell’emarginazione sociale ed economica. Il protagonista, Slimane, è intrappolato dalla sua età, dal suo status di immigrato e da un sistema burocratico progettato per escluderlo. Il suo sogno del ristorante è un tentativo di costruire un’imbarcazione di libertà per la sua famiglia. Lo stile naturalistico e immersivo del film crea un potente senso di una comunità che lotta contro muri invisibili di pregiudizio e difficoltà economiche.
Muri Invisibili: Voci e Volti Inaspettati della Prigionia
La sezione finale espande la definizione stessa di film carcerario. Include storie che sfidano le convenzioni del genere concentrandosi sull’esperienza post-carceraria, sulle lotte specifiche delle donne detenute e su forme metaforiche di reclusione come la dipendenza, la vita di gang e l’alienazione sociale. Questi film rivelano che le prigioni più durature sono spesso quelle che ci portiamo dentro o quelle costruite dalla società stessa.
I’ve Loved You So Long (Il y a longtemps que je t’aime)
Una donna (Kristin Scott Thomas) viene rilasciata dopo 15 anni di prigione per un crimine sconvolgente. Si trasferisce dalla famiglia della sorella minore e tenta lentamente e dolorosamente di reintegrarsi in una società che l’ha etichettata come un mostro, mentre le ragioni del suo crimine rimangono un mistero.
Questo è un film sulla “seconda condanna”: la prigione dello stigma sociale e del trauma personale che inizia dopo il rilascio. La performance magistrale e contenuta di Scott Thomas trasmette un mondo di dolore dietro una facciata chiusa. Il film sostiene che la vera libertà non è solo lasciare una cella, ma trovare il perdono e riconnettersi con l’intimità umana, un processo forse più arduo della detenzione stessa.
Apart
Un documentario che segue tre madri in uno stato del Midwest americano che tornano a casa dal carcere dopo essere state incarcerate per reati legati alla droga. Il film segue le loro lotte per ricostruire le loro vite e riconnettersi con i loro figli, tra la crisi degli oppioidi e le barriere sistemiche che ostacolano il loro reinserimento.
Questo documentario offre un ritratto intimo e umanizzante di una fascia demografica spesso ridotta a statistiche. È uno sguardo potente sulla natura ciclica dell’incarcerazione, della povertà e della dipendenza, in particolare per le donne. Il film critica un sistema che privilegia la punizione rispetto alla riabilitazione e mostra le immense sfide della maternità dietro le sbarre e oltre, un tema raramente esplorato con tale sensibilità.
Oslo, August 31st
Un tossicodipendente in via di recupero ottiene un permesso di un giorno dal suo centro di riabilitazione per un colloquio di lavoro. In 24 ore a Oslo, affronta amici, famiglia e i fantasmi del suo passato, riflettendo se un ritorno alla vita sia possibile o desiderabile. La città diventa un labirinto di ricordi e opportunità mancate.
Questo film è l’esplorazione definitiva della prigione psicologica. Anders è fisicamente libero per un giorno, ma è completamente intrappolato dal suo passato, dalla sua dipendenza e da un profondo senso di alienazione. Il regista Joachim Trier crea magistralmente un ritratto della depressione e della dipendenza come le celle più ineluttabili, dove le sbarre sono fatte di memoria e rimpianto.
Fish Tank
Una quindicenne instabile, Mia, vive in un desolante complesso residenziale dell’Essex. La sua vita è un ciclo di litigi, vagabondaggi e sessioni solitarie di danza hip-hop. Un barlume di speranza appare con il nuovo, carismatico fidanzato della madre, ma la realtà si rivela presto più complessa e dolorosa di quanto immaginato.
La “vasca per i pesci” del titolo è il complesso residenziale, una prigione di classe sociale e opportunità limitate. Lo stile crudo e poetico-realista di Andrea Arnold cattura la claustrofobia del mondo di Mia. È una prigioniera del suo ambiente, e la sua energia esplosiva è il suo costante e disperato tentativo di liberarsi, di rompere il vetro che la circonda.
Sin Nombre
Una ragazza honduregna che cerca di immigrare negli Stati Uniti incontra un giovane membro di una gang messicana che sta cercando di fuggire dalla sua vita violenta. I loro destini si intrecciano nel pericoloso viaggio verso nord, in cima ai treni merci, un percorso noto come “La Bestia”.
Questo film ritrae la vita di gang come una prigione assoluta. L’appartenenza alla Mara Salvatrucha è una condanna a vita. Il viaggio del protagonista non è solo una migrazione, ma un tentativo di fuga da un’istituzione rigida e mortale come qualsiasi penitenziario di stato. Il film illustra potentemente che per molti la scelta è tra la prigione della vita di gang e la pericolosa scommessa per la libertà.
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