Nata a Bruxelles nel 1950 Chantal Akerman è una delle migliori registe donne di tutti i tempi. Nasce da genitori ebrei emigrati dalla Polonia. I nonni materni e sua madre furono deportati ad Auschwitz. Decide di dedicarsi al cinema dopo essere rimasta folgorata dal film Il bandito alle 11 di Jean-Luc Godard nel 1965 e dopo un corso di studi presso la scuola di cinema di Bruxelles nel 1971 si trasferisce negli Stati Uniti, a New York.
Chantal Akerman negli Stati Uniti
Negli Stati Uniti realizza il suo primo cortometraggio Saute ma ville, una tragedia in stile burlesque realizzata a 18 anni che racconta di una giovane donna che fa esplodere il forno di casa e finisce per distruggere l’intera città. Il film riceve attenzione dalla critica ed l’apprezzamento del regista belga André Delvaux. Già da questo lavoro si capisce l’interesse per un cinema molto sperimentale e innovativo, al di fuori delle regole e di qualsiasi classificazione industriale.
I film di Chantal Akerman sono totalmente personali e intimi, un viaggio nell’interiorità. Film che giocano continuamente sul concetto di confine, sfuggono continuamente ad ogni classificazione e ad ogni genere, mescolando stili e soluzioni visive molto diverse tra loro. Un interesse dimostrato dagli esordi e dei primi anni della sua attività cinematografica.
Grande appassionata della Nouvelle Vague e dell’avanguardia americana dei registi Michael Snow, Andy Warhol, Jonas Mekas, Chantal Akerman crea il proprio cinema in base a criteri personali, dove l’assenza di azione, la sospensione del movimento, la sperimentazione temporale si mescolano a tematiche che diventano ricorrenti. Il suo cinema è autobiografico, a tratti narcisistico, fatto di riflessioni su temi religiosi, sulla femminilità e sulla memoria.
Negli Stati Uniti realizza nel 1972 il cortometraggio La chambre. Nel 1973 un incompleto documentario sugli adolescenti che vivono nei centri sociali, Hanging Out Yonkers, mostrato incompiuto al pubblico nel 2007 in occasione di una retrospettiva integrale sull’autrice belga al Centro Pompidou di Parigi.
Sfoglia i documentari sul canale
I primi film di Chantal Akerman
Nel suo primo lungometraggio Hotel Monterey, nel 1972, fissa attraverso la messa in scena del tempo e dello spazio un percorso emotivo dentro un luogo deserto, senza presenza umana. Realizza il film completamente da sola, dalla regia alla sceneggiatura e alla produzione.
Altri luoghi chiusi tornano in Je, tu, il, elle, dove la protagonista è la stessa Chantal Akerman nel ruolo di una giovane volontariamente reclusa che abbandona il suo ego, proprio come il suo appartamento completamente vuoto, per poi confrontarsi con lui, un camionista, e lei, una ragazza con la quale fa l’amore.
Jean Dielman
Le inquadrature fisse e la dilatazione del tempo assumono risvolti drammatico in Jean Dielman, 23 – Quai du Commerce, 1080 Bruxelles. È un film realizzato con il contributo del Ministero della Cultura della Comunità francese del Belgio. In questo film evita di rivelare il dramma in tutta la sua brutalità per fare in modo che esploda lentamente sotto i nostri occhi, seguendo la logica di un tempo insopportabile. Film su 3 giorni della vita di una giovane donna maniaco-depressiva che vive sola con il figlio e si prostituisce.
I gesti quotidiani della donna come pelare le patate, fare le pulizie, leggere una lettera, filmati in tempo reale e trasformati in rituali coatti, si caricano paradossalmente di presenze invisibili, accentuate dalla presenza di Delphine Seyrig nella parte della protagonista. Le distanze e le azione non hanno più senso in un’opera ipnotica come Jean Dielman, accolta da pubblico e critica ora in maniera fredda, ora tiepida, ora entusiasta a seconda della prospettiva della nazionalità di chi la guarda. Il contenuto del film è ancora oggi oggetto di studio di dibattito per la letteratura femminista.
Inizia a guardare i film con una prova gratuita
Gli altri film di Chantal Akerman
Dopo un’opera tanto radicale è difficile realizzare altri progetti su uno spazio chiuso. Chantal Akerman gira News from Home, un lavoro di esplorazione dell’esilio mentale. La voce della regista si impone qui nel significato più letterale, unico corpo del film, ossessionata ora dal vuoto e dei piani fissi di una New York spazialmente conclusa. La Akerman legge le lettere della madre spedite durante il viaggio negli Stati Uniti, fino al piano sequenza finale che annuncia il ritorno.
Torna alla fiction sospesa tra viaggio e migrazione con Anna, alter ego di Chantal Akerman, una cineasta che circola tra Parigi e Bruxelles e la Germania per mostrare i propri film in Le rendez-vous d’Anna.
Ancora una volta il testo ma soprattutto la presenza sempre più marcata del viaggio dei personaggi creano una particolare forma di riflessione statica che canalizza l’emozione dei personaggi. La solitudine e il destino dell’io di Anna è anche la componente essenziale dei personaggi che si intrecciano in un passo di danza amoroso in cui il tempo pare sospeso. La danza fa la sua comparsa nell’universo della regista nel corso di tre sequenze, unici ricorsi musicali in un deserto sonoro e vocale.
Ricompare poi in un film documentario dedicato alla coreografa Pina Bausch, Un jour Pina a demandé, ma soprattutto in Golden eighties rivisitazione della commedia musicale che gioca ancora sui circuiti amorosi e la solitudine. Poi ritornare sul tema della sua identità ebraica. Il ritmo alla coreografia, la musica e la moltiplicazione dei punti di vista si esaltano in uno stile realistico ben pianificato.
Sfoglia i documentari sul canale
Abbandonando il dinamismo della danza Chantal Akerman torna sul valore teatrale dell’immagine e la parola diventa protagonista del film Food Family and philosophy, parole cariche di magia che affrontano il tema dell’identità ebraica, già presente nelle opere precedenti. E’ una riflessione sul suo destino di esilio di famiglia, di tradizione, di affetti, di storie. Chantal Akerman ritrova i tormenti del dramma in interni claustrofobici in Nuit et jour, per poi tornare al tema del viaggio perenne in D’est.
Prefigurata da molti film precedenti si consuma qui una radicale frattura stilistica: i piani fissi frontali e prolungati vengono ad aggiungersi a movimenti senza fine in cui l’inquadratura appare sempre come l’unico confine presente. Il cuore del film è il problema dell’inquadratura al cui interno le persone si rivelano sul filo dei piani sequenza.
Tra film e arte moderna
Sfuggendo di nuovo alle classificazioni tra il cinema e le altre arti, la regista inserisce D’est nel progetto di una installazione, e propone un’esposizione all’interno di una mostra in una galleria d’arte contemporanea da Minneapolis a Parigi. Poi si dedica alla rivisitazione di un genere con Un divano a New York, una commedia leggera che esplora ancora l’idea di confine.
Torna con un personale documentario che sfiora la fiction con Sud, inchiesta su un delitto razzista e sulla sofferenza quotidiana negli Stati del Sud dell’America. Poi realizza un adattamento da Proust con La Captive. Altro film installazione è De l’autre coté, penultima regia prima di Demain on déménage. Al di là del pretesto narrativo dell’immigrazione messicana clandestina è una riflessione connaturata all’intera opera dell’autrice sull’idea di confine.