C’era una volta il West o forse c’è ancora.
Sontuoso omaggio allo spaghetti western, Oro e piombo ha nella sua atipica eroina uno dei punti di forza. Sergio Leone, uno dei grandi maestri della cinematografia mondiale. Ma anche sublimi artigiani che masticavano cinema con competenza ed ardore unici, al pari degli interpreti e delle maestranze che ne concretizzavano poi le felici intuizioni sul set: Sergio Corbucci, Giulio Questi, Sergio Sollima, Duccio Tessari, solo per citare alcuni dei cineasti di maggior spessore.
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Lo spaghetti western è stato un sogno autarchico
Fatto di paesaggi polverosi e di abili maestranze, di italica creatività e di un intelligente impegno produttivo, di ammirazione per il buon cinema d’oltreoceano e di slanci immaginifici, tesi a riprodurre ed opportunamente modificare gli stilemi del genere. Ma soprattutto è uno dei filoni cui possiamo guardare con maggior rimpianto. Poiché è stato tra le colonne portanti di quell’industria cinematografica italiana un tempo florida.
E se dell’horror e del thriller alla Dario Argento, grazie alla buona volontà di qualche isolato film-maker, ogni tanto si riesce a intravvedere qualche valido clone, molto più difficile – anche in virtù delle maggiori incombenze a livello produttivo – è vedere un italiano che riesca ad approcciare il western con successo o comunque con risultati apprezzabili. Almeno fino ad ora…
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Oro e piombo, il ritorno dello spaghetti western
Lo scorso 17 dicembre, in una cornice molto curata, ha avuto luogo presso l’ex caserma Guido Reni quell’evento che ha permesso al pubblico capitolino di confrontarsi finalmente con Oro e Piombo, film indipendente western di Emiliano Ferrera che ha fatto parlare di sé sin da quando è stata avviata la produzione.
Già, perché non capitava da tempo di veder ricreare un intero villaggio western alle porte di Roma, tanto per dire; e di veder nascere un progetto cinematografico indipendente all’insegna dei costumi d’epoca, di un’attenzione certosina per la riproduzione delle armi da fuoco e per la ricostruzione di ambienti come il saloon o la classica chiesetta in legno dei villaggi di frontiera, del fascino senza tempo di altri archetipi quali possono essere quei paesaggi brulli attraversati da coloni e pistoleri a cavallo.
Insomma, una confezione d’altri tempi, allestita con artigianalità e con genuina passione per quel cinema che trapelano da ogni inquadratura. In certi casi la cura formale è già indice di qualità. Nel caso poi di Oro e Piombo vi è anche una storia avvincente da seguire.
Quello cui si assiste è un racconto cinematografico indubbiamente denso, movimentato, magari un po’ troppo compresso nelle sue linee guida (affiora infatti l’impressione che le parabole di alcuni personaggi potessero essere sviluppate di più, del resto l’idea iniziale degli autori era indirizzata – e potrebbe anche reindirizzarsi – verso un intreccio di natura seriale), che riesce a coniugare il citazionismo di fondo, dato anche dallo sguardo affettuoso nei confronti dei classici di Sergio Leone, con l’emergere di alcuni elementi innovativi, pepati, in linea coi tempi. Su tutti il fatto che a muovere gli eventi sia un’eroina tanto bella quanto letale, la Clare Peralta magnificamente interpretata da Yassmin Pucci.
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Una donna decisa, tra rudi pistoleri
Ebbene sì, tralasciando figure dall’aura leggendaria come Calamity Jane, la mitologia western è stata quasi sempre avara di gloria per il genere femminile. I tempi sembrerebbero maturi per un parziale cambiamento di rotta. Senza eccedere in direzione di una prospettiva neo-femminista che poteva risultare parimenti forzata, artificiosa, è comunque bello che in questo film indie si dia spazio a questa eroina atipica, quasi una Clint Eastwood in gonnella, che riserverà parecchie sorprese nella spregiudicata corsa all’oro destinata a travolgere innumerevoli altri personaggi.
I ruvidi duelli, l’attenzione maniacale per l’ambientazione e certi sviluppi narrativi rimandano, come abbiamo rimarcato più volte, allo stile così marcato ed eloquente di Sergio Leone, ma nel piglio avventuroso non mancano potenziali trasfigurazioni di western americani, ad esempio L’oro di Mackenna; o anche personaggi che possono far pensare alla cornice crepuscolare dei film di Sam Peckinpah, come quel cowboy dall’aria più fragile, sensibile, che in questo film western pare quasi il contraltare (look compreso) dell’indimenticabile cantastorie mirabilmente impersonato da Bob Dylan in Pat Garrett e Billy Kid.
Stefano Coccia