Mario Monicelli è nato a Roma il 16 maggio 1915. Scrittore, regista e sceneggiatore italiano, Monicelli è stato tra i più famosi registi italiani. Insieme a Dino Risi e Luigi Comencini, uno dei principali registi della commedia all’italiana, che contribuì a farsi conoscere all’estero con film come come Guardie e ladri, I soliti ignoti, La grande guerra, L’armata Brancaleone e Amici miei.
Sei volte candidato all’Oscar (due volte per la sceneggiatura originale, quattro volte per il miglior film internazionale) e vincitore di numerosi premi cinematografici. Nel 1991 ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
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La giovinezza di Mario Monicelli
Mario Monicelli nasce a Roma il 16 maggio 1915 da una famiglia di Ostiglia. Suo padre, Tomaso Monicelli, era un giornalista, direttore del Resto del Carlino oltre che di Avanti! , critico teatrale e drammaturgo. Monicelli era inoltre legato alla famiglia Mondadori: la sorella del padre, infatti, era la compagna di Arnoldo Mondadori e lo stesso Monicelli afferma di essere stato amico di Alberto e Giorgio Mondadori.
Monicelli trascorse la sua giovinezza a Roma, poi si trasferì con i suoi familiari a Viareggio. Frequentò il ginnasio e due anni di liceo a Prato, presso il Convitto Nazionale Cicognini. Si stabilì poi a Milano, dove terminò il 3° liceo e iniziò anche gli studi universitari. A Milano Monicelli frequentò Riccardo Freda, Remo Cantoni, Alberto Lattuada, Alberto Mondadori e Vittorio Sereni; insieme avviarono, con il supporto dell’editore Mondadori, il giornale Camminare, in cui Monicelli si occupò di recensioni cinematografiche. Monicelli raccontava esattamente come, nelle sue critiche, fosse estremamente spietato sul cinema italiano, mentre adorava i film francesi e americani. Forse lo faceva per una forma velata di antifascismo.
In seguito, Monicelli tornò in Toscana, dove concluse le sue ricerche universitarie, laureandosi presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa. Incuriosito dal mondo della celluloide. Nel 1934 gira il suo “primissimo esperimento cinematografico”, ovvero il cortometraggio Revealing heart, ispirato all’omonimo lavoro di Edgar Allan Poe, insieme ad Alberto Mondadori e Alberto Lattuada, con quest’ultimo nel ruolo di scenografo. Il film è stato bollato come un esempio di “cinema paranoico”.
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Gli inizi di Mario Monicelli nel cinema
Aiuta Alberto Mondadori a realizzare il suo primo lungometraggio, I ragazzi della via Pal (1935), basato sul romanzo ungherese di Ferenc Molnár, inoltre realizzato nell’ambito del Cineguf milanese. Il film è stato inviato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, vince il primo premio e dà l’opportunità di realizzare un film professionale. Monicelli poté così evitare le numerose fasi di formazione specialistica e fu mandato, insieme a Mondadori, a lavorare nella produzione di Gustav Machatý Ballerine, avvenuta a Tirrenia.
Si avvicina al mondo del cinema grazie al rapporto con Giacomo Forzano, fondatore a Tirrenia degli studi cinematografici Pisorno, un mix dei nomi delle città Pisa e Livorno, che Mussolini intendeva realizzare. Negli ultimi anni in Monicelli prende forma quel certo spirito toscano che sarà determinante per la poetica cinematografica delle commedie del regista: molte battute di Amici miei sono episodi che in realtà fanno parte della sua giovinezza.
Subito dopo Monicelli trova lavoro, sempre come assistente, in Augusto Genina Lo squadrone bianco. In seguito interpreterà lo stesso ruolo di aiutante in diversi film, tra cui Corrado D’Errico dei fratelli Castiglioni; sul set conobbe Giacomo Gentilomo, con il quale ha realizzato 2 film, La granduchessa si diverte e Cortocircuito, nel quale ha ricoperto formalmente per la prima volta l’incarico di assistente alla regia oltre che co-sceneggiatore.
Sotto lo pseudonimo di Michele Badiek, nel 1937, dirige il film amatoriale Pioggia d’estate. Il film, in cui Monicelli aveva l’incarico di regista e sceneggiatore, vedeva la partecipazione dei suoi familiari, amici e concittadini. Fu un’esperienza importante per la sua formazione dove ha imparato a “scrivere per il cinema, a girare, a dirigere gli attori, e a capire che quanto organizzava quotidianamente non corrispondeva affatto alla realtà concreta. Nel frattempo fu anche assistente dell’attrice spagnola María Mercader, fidanzata di Vittorio De Sica. Monicelli fu inviato l’anno successivo a Napoli per partire per la guerra in Africa. Egli riuscì a evitare l’imbarco fino a quando l’8 settembre si tolse l’uniforme e fuggì a Roma, dove continuò a nascondersi nei mesi seguenti.
Nel lavoro semi-autobiografico L’arte della commedia, Monicelli racconta di aver continuato ad essere nell’esercito dal 1940 al 1943, cercando di impedire il suo trasferimento, temendo di essere inviato prima in Russia e poi in Africa, fino a quando i militari non si sono ritirati; a quel punto partì per Roma. Continuò a nascondersi fino all’estate del 1944. A Roma visitò spesso l’Osteria Fratelli Menghi, noto punto d’incontro di pittori, registi, sceneggiatori, scrittori e poeti tra gli anni Quaranta e Settanta.
Tra le occasioni che hanno segnato la sua vita una è stata senza dubbio il suicidio del padre, Tomaso Monicelli, cronista popolare e scrittore antifascista, avvenuto nel 1946. Di ciò disse: “Ho capito il suo gesto. Era stato ingiustamente tagliato fuori dal suo lavoro, anche dopo che la guerra era finita, e sentiva di non avere assolutamente più niente da fare qui. Se la vita smette di essere dignitosa non ne vale la pena, la vita non vale sempre la pena di essere vissuta.. Ho trovato io il corpo di mio padre. Verso le 6 del mattino ho sentito uno sparo di rivoltella, mi sono alzato e aprii la porta del bagno. Tra l’altro un bagno estremamente piccolo”.
I primi film di Mario Monicelli
Nel 1945 Monicelli è assistente di Pietro Germi per il film Il testimone. Ne L’arte della commedia Monicelli racconta che tra lui e Germi si era instaurato un legame profondo; ha precisato: “Penso di essere uno dei pochi veri amici con cui aveva confidenza”. Di questo legame Monicelli raccontò di due episodi. Quando Germi entrò in un periodo di crisi dopo la morte della moglie, chiamò Monicelli per dirigere il film che stava preparando (Signore & Signori, 1966), informandolo che avrebbe potuto non dirigerlo più; A Monicelli piacque molto, ma lo rifiutò e spinse Germi a fare il suo film. L’altro episodio fu quando Germi, incapace di fare il film Amici miei per malattia, chiamò Monicelli per sostituirlo.
Nel 1946 Monicelli fu scelto, insieme a Steno, da Riccardo Freda per la sceneggiatura del film Aquila nera. Il film ebbe molto successo e la coppia Monicelli-Steno fu chiamata per creare le battute per il film Come persi la guerra di Carlo Borghesio, prodotto da Luigi Rovere; da quel film Monicelli e Steno firmarono una serie di sceneggiature cinematografiche. La collaborazione con Steno, che durerà fino al 1953, creerà sicuramente alcuni dei più affascinanti film post-guerra.
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Guardie e ladri
Tra questi c’è Guardie e ladri (1951) con Totò, film che al Festival di Cannes ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura. Fu prodotto da Dino De Laurentiis e da Carlo Ponti e interpretato da Totò e Aldo Fabrizi. Il film, che si è inserisce nell’esistente corrente neorealista, ed è uno dei lavori più vitali nati dalla collaborazione creativa tra i registi Monicelli e Steno, nonché tra i migliori film con Totò.
Ferdinando Esposito è un piccolo truffatore che cerca di sostenere i suoi familiari con le sue truffe. Con il suo compagno, Amilcare fa credere di aver trovato una vecchia moneta nel Foro Romano e inganna il signor Locuzzo, un viaggiatore americano che, purtroppo per Esposito, è il capo di stato di un comitato di beneficenza americano. Durante una diffusione di alcuni pacchi regalo a cui partecipa anche Esposito, il signor Locuzzo lo identifica e lo denuncia.
Ne L’arte della commedia Monicelli precisa che la collaborazione con Steno si interrompe proprio durante la realizzazione dei film Le infedeli e Totò e le donne. Entrambi i film dovevano essere sceneggiati e diretti a quattro mani da Steno e da Monicelli, eppure in realtà Monicelli si è occupato solo di Le infedeli per il fatto che era stanco di fare solo film comici; Steno invece si occupò di Totò e le donne. Monicelli fu sceneggiatore insieme a Federico Fellini, Pietro Germi: In nome della legge (scritto con Pinelli, Germi e Giuseppe Mangione).
I capolavori di Mario Monicelli
Nella filmografia di Mario Monicelli, tra alti e bassi, ci sono sicuramente alcuni capolavori cinematografici riconosciuti a livello internazionale. Maestro soprattutto nel genera della commedia, Monicelli però raggiunge la sua vetta artistica con un film drammatico e tragico, anche se dotato ancora degli elementi della commedia all’italiana: Un borghese piccolo piccolo. Allo stesso livello sono altri suoi film come Una vita difficile e altri. Vediamo quali.
Padri e figli
Nel 1957 Monicelli vinse il premio come miglior regista al Festival Internazionale del Cinema di Berlino con Padri e figli. 4 famiglie e i loro guai, accomunate da un filo comune: i legami con un membro di una quinta famiglia, Ines Santarelli, un’infermiera che li incontra per scopi professionali o per parentela. Il vedovo Vincenzo Corallo è titolare di una consolidata sartoria al servizio della grande borghesia romana, insieme al figlio Carlo. La secondogenita Marcella, derubata durante la crescita dell’affetto della madre prematuramente scomparsa, si ritrova a dover gestire 2 padri, quello attuale e il fratello maggiore, che poco o niente capiscono le sue difficoltà adolescenziali e del suo primo amore, un ragazzo un po’ più grande di lei.
I soliti ignoti
Considerato il “punto di riferimento” della sua filmografia fu I soliti ignoti (1958), film che diede inizio al genere “Commedia all’ italiana”. I soliti ignoti, di cui Monicelli fu sceneggiatore insieme a Age e Scarpelli e Suso Cecchi D’Amico, ribaltarono per la prima volta la dialettica delle guardie e dei ladri con cui Monicelli stesso aveva creato la rappresentazione del rapporto tra autorità e libertà, tra giustizia finta e sopravvivenza reale dei più umili. Con I soliti ignoti Monicelli abbandonò di conseguenza la dialettica antagonistica tra poliziotti e trasgressori della legge, rappresentando solo il lato mite, sconcertante di un gruppo di potenziali ladri destinati al fallimento.
Cosimo e il vecchio “Capannelle”, 2 ladri romani, tentano di rubare un veicolo ma vengono presi dai poliziotti: il primo viene arrestato mentre il vecchio riesce a scappare. Trattenuto nel carcere di Regina Coeli, Cosimo ottiene da un prigioniero l’idea per un colpo facile da realizzare al Monte di Pietà; consiglia quindi a Capannelle di scoprire un agnello, termine dialettale criminale per suggerire qualcuno che, per un’accusa, prende la pena al posto di un’altro.
La grande guerra
L’anno successivo fu la volta di La grande guerra (1959 ), che vinse il Leone d’Oro ex aequo con Roberto Rossellini con Il Generale Della Rovere e ottenne una candidatura all’ Oscar per il miglior film in lingua straniera. La grande guerra, lontana dagli stereotipi senza tempo della commedia, passa da un estremo del registro tragicomico a vari altri, affrontando un argomento doloroso e complesso come la prima guerra mondiale, ed è inoltre impreziosita dalle memorabili interpretazioni di Alberto Sordi e Vittorio Gassman.
Il romano Oreste Jacovacci e il milanese Giovanni Busacca si incontrano durante la chiamata alle armi. Entrambi si ritrovano al fronte: dopo la rabbia iniziale di Giovanni, finiscono per offrirsi consolazione reciproca ed essere amici. Di personalità totalmente diversa, sono uniti dalla necessità di evitare ogni rischio per uscire illesi dalla guerra. Dopo aver sperimentato innumerevoli sorprese durante gli addestramenti, le battaglie e i rari momenti di congedo, fanno parte della sconfitta di Caporetto e vengono impiegati come corrieri, un lavoro davvero pericoloso.
I compagni
Monicelli è stato nel 1963 l’autore del film I compagni, che ottenne la 2a candidatura all’Oscar, quella per la migliore sceneggiatura. I compagni, film sui retroscena del sindacalismo e sugli operai, è poco noto al pubblico ma molto apprezzato dalla critica cinematografica (con Marcello Mastroianni, Renato Salvatori e Annie Girardot).
Torino, fine Ottocento. In uno stabilimento di produzione di tessuti, l’ennesimo grave incidente spinge i lavoratori a richiedere condizioni di lavoro migliori. Quando la loro richiesta di ridurre al minimo le ore di lavoro da quattordici a tredici viene completamente ignorata, decidono di fare un gesto dimostrativo, come la sirena di fine turno con un’ora di anticipo, il che tuttavia comporta una penalità per tutti.
Totò e Carolina
4 anni dopo Monicelli inverte i ruoli: in Totò e Carolina (1955) Totò non è più un poliziotto ma un ladro, e la censura dell’epoca non prese bene l’ironia sulla polizia: il film ebbe tagli spesso pesanti, così come, sebbene ai giorni nostri il duplicato originale sia stato effettivamente recuperato, resta da trasmettere nella versione censurata e inquinata da un titolo pazzesco imposto dalla censura dell’epoca, denigratorio nei confronti di Totò.
Durante un’irruzione della polizia a Villa Borghese, il rappresentante Antonio Caccavallo, vedovo con un figlio e un papà a carico, arresta Carolina insieme a numerose prostutute. In realtà, la ragazza è appena scappata di casa per il fatto che era incinta. Caccavallo l’aveva trovata vicino al luogo della retata e aveva preso iniziativa. Il poliziotto è così obbligato dal Commissario a riportare Carolina nel suo paese d’origine ed a riconsegnarla ai suoi cari, che si scandalizzeranno per la sua imprevista gravidanza.
La ragazza con la pistola
Tra i vari altri notevoli film meritevoli di menzione La ragazza con la pistola (1968), terza nomination all’Oscar.
Assunta Patané, una giovane siciliana segretamente innamorata di Vincenzo Macaluso, viene rapita e portata anche lei in una fattoria, dove entrambi trascorrono una notte d’amore. La mattina seguente l’uomo fugge in Scozia per evitare il matrimonio. Caduta in disgrazia, la donna è costretta a cercare di trovarlo per trovare rimedio alla vergogna sociale. Arrivata nel Regno Unito, Vincenzo viene a sapere del suo arrivo e fugge. Oltre a inseguirlo, la ragazza è costretta a fare numerosi lavori per mantenersi.
Romanzo popolare
Giulio Basletti è un operaio metalmeccanico milanese, scapolo, appassionato attivista sindacale e anche milanese. Rivede Vincenzina dopo 17 anni, figlia di un suo collega conosciuto nell’avellinese e di cui fu padrino al Battesimo, di cui presto si innamorò e la sposò, dando alla luce un bambino. A seguito di uno scontro con la polizia durante una manifestazione in piazza, il rappresentante Giovanni Pizzullo della divisione “Celere” viene colpito da un manufatto. Avendo determinato il colpevole in Salvatore Armetta, amico di Giulio, molto probabilmente si recherà a casa sua nel tentativo di trattenerlo, scoprendo l’opposizione di tutti i vicini di casa e, soprattutto, di Giulio che tutela l’amico con la sua puntuale dialettica. Qualche tempo dopo, Armetta incontra ancora una volta Giovanni, che nel frattempo ha addirittura dimenticato quello che è successo, e grazie alla loro tipica passione calcistica finiscono per diventare amici.
Amici miei
La regia cinematografica spettava a Pietro Germi, che non ebbe alcuna possibilità di realizzarlo a causa di una malattia. I titoli di testa del film, infatti, rendevano omaggio allo sceneggiatore con le parole “un film di Pietro Germi” e poco dopo appariva la scrtitta “con la regia di Mario Monicelli”.
Come in numerosi altri film di Monicelli, il tema principale di Amici miei è l’amicizia, vista da un punto di vista piuttosto amaro. Racconta la storia di quattro buoni amici di mezza età a Firenze che organizzano insieme ancora scherzi (chiamati zingarate, “mascalzone gitana”) nel continuo tentativo di prolungare gli anni dell’infanzia per tutta la loro vita adulta.
Il conte Mascetti (Ugo Tognazzi) è un povero che non ha mezzi per mantenere i suoi familiari, ma non rinuncia comunque ai piaceri della vita nobile. Perozzi (Philippe Noiret) è un giornalista tormentato dall’incessante disapprovazione della moglie e del figlio. Melandri (Gastone Moschin) è un progettista per la conservazione dei monumenti della città di Firenze, il cui obiettivo principale è trovare la donna adatta. Necchi (Duilio Del Prete) è il proprietario di un bar e di una sala da biliardo dove gli amici generalmente organizzano le loro zingarate.
Caro Michele
Caro Michele ha fatto guadagnare a Monicelli l’Orso d’argento al Festival di Berlino nel 1976. Michele è un ventitreenne nel 1970. La storia di lui, quella di alcuni membri della famiglia e anche di diversi colleghi, viene raccontata dalle lettere che la mamma, il fratello e anche un ex amante gli mandano ai numerosi indirizzi in cui il ragazzo vive nel corso dei mesi. Michele è un ragazzo apprezzato dal suo papà e poco dalla sua mamma, che lo ha sempre considerato inconcludente, anche se, come lei stessa confessa, non lo conosce davvero.
Film a episodi
Negli anni Sessanta Monicelli si dedicò anche a film aneddotici: Boccaccio ’70 (1962), Alta infedeltà (1964) e Capriccio all’italiana (1968), anche se l’episodio da lui diretto in Boccaccio ’70 fu tagliato dal produttore Carlo Ponti , scatenando la protesta dei registi italiani che decisero di boicottare il Festival di Cannes del 1962, che avrebbe dovuto essere inaugurato proprio da questo film.
L’armata Brancaleone
In L’armata Brancaleone (1966) Monicelli presenta un racconto tragicomico medioevale. Il film viene selezionato al Festival di Cannes.
XI secolo. Durante l’incursione di un esercito di barbari teutonici in una città dell’Italia centrale, un ragazzo di nome Taccone, lo scudiero Mangoldo e il robusto Pecoro entrano in possesso di una pergamena, scritta da Ottone I il Grande, strappandola a un cavaliere. Il notaio ebreo Zefirino Abacuc, che porta sempre con sé un baule, controlla la carta che decide, al suo legittimo proprietario, la signoria del feudo di Aurocastro in Puglia nonché il giuramento di liberare questo feudo dal “pericolo nero che viene dal mare”. I quattro si mettono alla ricerca di un cavaliere che li guidi nell’impresa.
Vogliamo i colonnelli
Nel 1973 il film Vogliamo i colonnelli viene selezionato al Festival di Cannes.
Milano: un ordigno esplosivo fa crollare la Madonnina del duomo di Milano, provocando un’ondata di indignazione in tutta la nazione oltre che all’estero. L’assalto è stato organizzato da estremisti conservatori per colpa della sinistra, ma l’on. Giuseppe Tritoni, che appartiene al complotto, finisce per rompere con il suo partito politico. La “Grande Destra” resta in realtà la ricerca di un progetto di inserimento proprio nel sistema, realizzandosi come la celebrazione che desidera “la libertà nell’ordine e anche l’ordine nella libertà”.
La fine della commedia all’italiana
Il film successivo, girato nel pieno degli anni di piombo, è un capolavoro: racconta il dramma tratto da un lavoro dello scrittore Vincenzo Cerami: Un borghese piccolo piccolo (1977) è un lavoro profondamente significativo, internazionale rispetto alle commedie tragicomiche di precedenti e successivi opere.
Giovanni Vivaldi è un umile impiegato alle soglie della pensione. La sua vita è divisa tra lavoro e famiglia. Con la moglie confida un pronto inserimento nel mondo del lavoro per il loro unico figlio Mario, contabile neolaureato, ragazzo non brillantissimo in cui permane una particolare ingenuità, pur aderendo alla meschina morale borghese. Giovanni si umilia nei confronti dei suoi superiori e pur essendo un cattolico convinto, si iscrive in una loggia massonica per acquisire amicizie e favoritismi, ottenendo in anticipo la copia dell’esame del bando ministeriale. La mattina dell’esame però c’è una rapina in banca in cui Mario viene colpito a morte.
Il marchese del Grillo
Il marchese del Grillo (1981), che si avvale anche di una straordinaria interpretazione di Alberto Sordi. Il marchese del Grillo gli fece vincere l’Orso d’argento come miglior regista al Festival di Berlino del 1982.
Roma papale, 1809. Il marchese Onofrio del Grillo, nobile romano alla corte di papa Pio VII, trascorre le sue giornate, che iniziano sempre in tarda mattinata (con i domestici della residenza reale tenuti a non emettere alcun tipo di suono fino a quando si alza), in una pigrizia più totale, visitando spesso le taverne, coltivando storie d’amore clandestine con gente comune e mantenendo una prospettiva ribelle agli occhi della madre e della parentela convenzionale, tirannica e anche bigotta.
Speriamo che sia femmina
Negli anni Ottanta e Novanta lo sguardo del regista cambia ancora una volta: dallo sciovinismo maschile di Amici miei all’esaltazione del femminile racchiusa nella lavoro Speriamo che sia femmina (1985), con cui tornò ad ottenere grandi onorificenze dalla critica cinematografica e anche dal pubblico.
Una gruppo di donne risiede in un casale nella campagna toscana. Elena, una signora ragionevole ed energica, gestisce la fattoria, mentre la pratica e intelligente cameriera Fosca è la vera divinità tutelare della casa, che offre servizio a tutti. Fosca si occupa di 2 bambine, la figlia Immacolata e anche la nipote di Elena, Martina che è figlia di Claudia, famosa attrice residente a Roma, che per narcisismo e necessità di lavoro ha abbandonato la bambina lasciandola alla sorella Elena.
Parenti serpenti
Il successivo Parenti serpenti (1991) presenta i membri di una famiglia attraverso i conflitti tra generazioni, che culminano in un finale straziante e sbalorditivo.
La festa sta per essere celebrata. A Sulmona quattro ragazzi, insieme alle rispettive famiglie, si incontrano nella casa dei loro genitori: Saverio, sergente sostituto dei carabinieri fuori servizio attualmente affetto da una lieve demenza senile, e anche Trieste, ancora energica e anche vivace. Il nucleo familiare è composto dai seguenti personaggi: Lina, una donna nevrotica che lavora nella biblioteca comunale di Teramo, il marito Michele, geometra dello stesso comune, cacciatore, tifoso della squadra del Pescara e democristiano e il figlio Mauro; Milena, casalinga entusiasta dei quiz televisivi, depressa per la sua sterilità, e il coniuge Filippo, importante maresciallo dell’Aeronautica Militare a Roma.
Cari fottutissimi amici
Nel 1994 realizza il grottesco Cari fottutissimi amici, con protagonista il genovese Paolo Villaggio. Il film, proposto al Festival di Berlino nello stesso anno, vince l’Orso d’argento.
Toscana, agosto 1944. Le operazioni di guerra si sono trasferite ancora più a nord e, in mezzo alla devastazione, un anziano ex pugile genovese raduna un gruppo di giovani con l’obiettivo di costituire una compagnia itinerante di spettacoli di pugilato, per racimolare un po’ di denaro. Lungo la strada, si unisce loro un uomo di colore americano, evaso da un campo di prigionia e anche lui con aspirazioni da disertore, un precedente complice, l’ex fidanzata di un comunista e anche un cane. Tra feste di liberazione, riunioni improvvisate, contadini armati e matrimoni partigiani, il gruppo cercherà infine di tornare a Firenze.
Monicelli si dedicò anche al teatro, sia in prosa che in versi, soprattutto negli anni Ottanta. Per la tv realizzò il cortometraggio Conoscete veramente Mangiafuoco? (1981), con Vittorio Gassman, La moglie ingenua e il marito malato (1989) e Come quando fuori piove (2000), mentre come documentario realizzò Un amico magico: il maestro Nino Rota (1999) e anche diversi film collettivi. Monicelli saltuariamente si è prestato come attore: L’allegro marciapiede dei delitti (1979), Sotto il sole della Toscana (2003), SoloMetro (2007).
Monicelli negli anni 2000
Monicelli ha interpretato lo stile e i contenuti della Commedia all’italiana. Il suo attore preferito è stato Alberto Sordi, che ha trasformato subito in una star ne La Grande Guerra e anche in Un borghese piccolo piccolo, ma ha anche avuto il merito di trovare le straordinarie capacità comiche di 2 attori drammatici, Vittorio Gassman in I soliti ignoti e Monica Vitti in La ragazza con la pistola. Il sorriso amaro che accompagna sempre le sue storie, l’ironia con cui ama delineare i personaggi perdenti, hanno costantemente identificato il suo lavoro. Probabilmente non è un caso che molti critici cinematografici considerino I soliti ignoti la prima vera commedia italiana, e Un borghese piccolo piccolo il lavoro che, con la sua drammatizzazione, chiude il ciclo di questo genere cinematografico.
Con l’avanzare dell’età Monicelli diminuì lentamente la sua attività senza però mai interromperla, grazie ad una forma fisica e psicologica costantemente buona. A riprova di ciò, all’età di 91 anni è tornato al cinema con un film inedito, Le rose del deserto (2006). In occasione del suo lancio, in un incontro con Gigi Marzullo, confidava di non essere preoccupato per la morte, ma di temere notevolmente il momento in cui avrebbe smesso di lavorare, poiché si sarebbe estremamente annoiato.
In un incontro del 2008 dichiarò di aver definitivamente abbandonato l’attività di regista con il cortometraggio documentario Vicino al Colosseo… c’è Monti. Nonostante ciò, nel 2010 realizza La nuova armata Brancaleone, breve film di protesta contro i tagli alla cultura e all’istruzione. Nello stesso anno prende parte alla produzione del cortometraggio L’ultimo zingarata, omaggio al suo film Amici miei.
Il pensiero di Monicelli
La sua ultima compagna è stata Chiara Rapaccini, conosciuta quando lui aveva 59 anni e anche lei 19. Hanno avuto una figlia, Rosa, quando lei aveva 34 anni e lui 74. Nel 2007 ha dichiarato che viveva solo, che non sentiva la mancanza dei bambini e dei nipoti, di essere elettore di Rifondazione Comunista e di aver pianto per l’ultima volta alla morte del suo papà, mentre in un’intervista ha rivelato, in particolare, il motivo per cui viveva da solo a 92 anni:
“Rimanere in vita il più a lungo possibile. L’amore delle donne, dei propri cari, delle figlie, delle mogli, delle amanti, è davvero pericoloso. La donna è un’infermiera dell’anima, e se ha un vecchio vicino è sempre pronta a interpretare ogni suo desiderio, a portargli ciò di cui ha bisogno. Così piano piano questo vecchio non fa più niente, rimane su una poltrona, non si sposta più e finisce per essere un vecchio rincoglionito. Se, invece, al vecchio è richiesto di fare le cose da solo, rifare il letto, uscire, accendere il fornello, spogliarsi, ha 10 anni di vita in più.
In un’intervista televisiva assume posizioni cupe e molto critiche nei confronti della società moderna: “La speranza è un trucco, è una brutta parola, non va detta. La speranza è una trappola creata dai padroni, quelli che ti dicono “Stai zitto, smetti di parlare, prega che avrai sicuramente il tuo riscatto, la tua ricompensa nell’aldilà, quindi ora stai buono, vai a casa.” […] Mai avere speranza, la speranza è una trappola inventata da chi comanda.”
“Quello che in realtà non è mai esistito in Italia è un grande sciopero, una grande rivoluzione, una rivoluzione che non è mai avvenuta in Italia… In Inghilterra, c’era in Francia, in Russia, in Germania, un po’ ovunque tranne che in Italia, quindi ci vuole qualcosa che riscatti genuinamente questi individui che in realtà sono sempre stati assoggettati, anzi sono servi di tutti da 300 anni.
Monicelli, ormai gravemente malato, ha deciso di togliersi la vita gettandosi dalla finestra della stanza che occupava in urologia, al 5° piano dell’Ospedale San Giovanni Addolorata, dove fu ricoverato. Dopo le commemorazioni civili svoltesi nella sua casa romana nel Rione Monti e alla Casa del Cinema, il suo corpo è stato cremato.