Intervista a Michelangelo Gregori

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Il regista dell’apprezzatissimo documentario “Una risata ci salverà”, in concorso ad Indiecinema Film Festival, ci racconta la genesi di tale lavoro

La serata in programma giovedì 23 maggio al Circolo ARCI Arcobaleno di Roma ospiterà alcuni lavori, molto attesi, in concorso alla terza edizione di Indiecinema Film Festival. Tra questi vi è il documentario Una risata ci salverà di Michelangelo Gregori. Un’avvincente indagine sul rapporto tra comicità e religione, cui hanno partecipato diversi stand-up comedian di successo come pure Piergiorgio Odifreddi, Moni Ovadia, il compianto giornalista Sergio Staino e il cineasta Alessandro Aronadio. Di tutto questo abbiamo parlato più approfonditamente con l’autore del documentario!

La genesi di un progetto cinematografico ricco e stratificato

L’incipit del tuo documentario fa riferimento al Mito, alla cultura classica, per poi proporre in modo alquanto creativo e, volendo, iconoclasta, riferimenti a una cultura religiosa più recente (volendo definirla così), che ha spesso esibito una condotta severa, finanche aggressiva, nei confronti del riso e della satira. Cosa puoi dirci a riguardo, Michelangelo?

È esattamente questo il punto ed è la costruzione iniziale che ho voluto dare nell’incipit, andando a prendere un grande classico cinematografico Il Settimo Sigillo di Bergman, che è stato in Italia un autore tra i più censurati e modificati, con alterazioni del montaggio e adulterazione dei dialoghi fino alla completa cancellazione di questi quando la fede in Dio veniva investita dal dubbio o dalla negazione. Così ho voluto ricostruire in chiave satirica l’iconica sfida a scacchi, che diviene una partita al gioco da tavola Jenus di Nazareth, modificando il cavaliere e la morte in quella che è l’iconografia classica di Gesù e un uomo pieno di dubbi. Come nella pellicola del ’57, al posto di un passo della bibbia, mi sembrava interessante principiare con un antico papiro che narra la creazione del mondo grazie ad un dio che ride.

Partendo proprio dall’inizio del progetto, come è venuta l’idea di dedicare a questi argomenti un documentario? E cosa pensi, a livello personale, di un tema come la censura?

L’idea è nata nel tempo, sono sempre stato appassionato di umorismo, comicità e satira e volevo raccontare qualcosa che non era mai stato veramente tentato prima. Mi si diceva tra gli addetti ai lavori che non avrebbe funzionato, oppure che per parlare di satira e religione bastava pensare a “Don Camillo” di Guareschi. Poi c’è stato Charlie Hebdo e tutte le battaglie prima a spada tratta, poi rinnegate da alcuni e dimenticate velocemente da altri, ed ho capito che era il tempo di parlarne seriamente. Certo, ci sono voluti 4 anni e un concetto di auto-produzione per i motivi di cui sopra e per avere la libertà mentale, e narrativa, di non dovermi per forza schierare o essere appunto censurato o modificato, perché la peggiore delle censure è quella “bianca” come la definisce Antonio Rezza ed è la censura a priori che impedisce ad un opera di essere concepita e realizzata.

Come si inserisce questo lavoro nella tua carriera di regista ed attore?

Per ora è stata la mia fatica più grande, come dicevo dal giorno della prima intervista sono passati 4 anni (con una pandemia nel mezzo) prima che riuscissi a concluderlo, e una parte del mio cervello in questo lasso di tempo è stata sempre focalizzata sul progetto, anche quando facevo altro, quindi c’è stato davvero il rischio che potesse poi sfuggirmi tutto di mano, non è stato semplice nemmeno per chi mi sta intorno, la mia compagna soprattutto, ma alla fine credo di poter dire che questa fatica immensa è stata ripagata ed è diventato seppur di nicchia, un bel biglietto da visita per tutto il mio lavoro.

I personaggi coinvolti e i possibili modelli cinefili

Come sono stati arruolati i personaggi di vari ambiti professionali ed artistici (giornalismo, spettacolo, pubblicità, filosofia, ricerca antropologica) che offrono il loro contributo alla discussione, in “Una risata ci salverà”?

Ho studiato tanto, avevo una lista ti tantissime persone che si occupano del tema e ho cercato di contattarle nella maniera più semplice: via mail o social. Quelli che hanno voluto darmi retta lo hanno fatto con una meravigliosa disponibilità, ricordo ad esempio il compianto Sergio Staino che rispose ad una lunghissima mail di presentazione semplicemente con: “dimmi dove e quando”! Oppure quando mi organizzavo con Piergiorgio Odifreddi che mi esortò “dovresti far parlare Moni Ovadia” “è nella mia lista, attendo risposta alla mail” “faccio prima a darti il numero di telefono”.

Più specificamente, rispetto alle singole interviste, come si è sviluppato il rapporto con Alessandro Aronadio, regista che stimiamo particolarmente?

Vidi Io c’è di Alessandro Aronadio al cinema, era il film perfetto per il mio documentario, gli scrissi ricordandogli un aneddoto, e cioè che circa 20 anni prima in un festival sul lago di Bracciano eravamo entrambi in concorso in un festival (non ci incontrammo) ma io ricordavo ancora benissimo la scena di un suo corto con una ragazza asiatica bellissima in riva al mare mezza nuda; da quel ricordo iniziammo a parlare e mi fece conoscere il suo film Orecchie del quale rimasi estasiato, tanto che ha interceduto con la produzione e sono riuscito a inserire nel documentario una piccola ma significativa scena.

Quali sono i tuoi modelli nel cinema documentario? Pensi anche tu, come noialtri, che i documentari oggi come oggi possano offrire particolari spunti creativi, nel momento della loro realizzazione, restituendo poi allo spettatore un percorso narrativo persino più avvincente, rispetto a tanto cinema di finzione?

Per la verità diciamo che non ho vissuto i miei modelli di documentario ma sono sempre rimasto affascinato dai reportage di Sergio Zavoli, Pier Paolo Pasolini e il modo di fare di Silvano Agosti. Quest’ultimo sono felice di dire che ha visto il documentario ed ha speso parole bellissime nei suoi confronti. Il modo divulgativo che ho scelto, ecco perché mi dicevano che non avrebbe funzionato, era quello di far sedere l’intervistato e fargli domande con la telecamera di fronte…non si usa più e proprio per questo motivo ha funzionato, ci voleva soltanto l’abilità di rendere tutto fluido con montaggio e sotto testo cinematografico, che non appesantisse la mole di informazioni che arrivano, ma alleggerisse creando però nuova attenzione. Dunque ogni lavoro è a se stante, quando la logica è costruire qualcosa che vorresti vedere e che non ti stancheresti di vedere o rivedere, senza pensare tanto a strategie di vendita per settori di interesse, hai la libertà di poter far funzionare le cose.

Questioni produttive e distributive…

Vista anche la delicatezza del tema, è stato difficile riuscire a farsi produrre un film del genere? E più in generale, domanda che ad Indiecinema facciamo un po’ a tutti, cosa pensi da autore degli spazi produttivi e distributivi che l’Italia offre al cinema indipendente?

Farsi produrre un opera del genere non è difficile, credimi, è impossibile, già quando dici: voglio parlare di satira e religione insieme, stop, sorgono mille problemi. Una produzione che punta all’intrattenimento dice subito “STOP! Non è vendibile”, anche realtà indipendenti che comunque devono cercare fondi e fare del product placement seppur piccolo tentennano. Sai, si parla anche di indirizzo che vuoi prendere, possono dirti che non è questo il modo di lavorare, perché se prenderai dei fondi da un organizzazione legata alla religione o fatta di ateisti, dovrai per forza modificare qualche concetto per potere essere sul quel filone di idea. Io ho preso la mia professionalità e la mia libertà e mi sono fatto prestare quella di tutti coloro che hanno creduto nell’idea, dai protagonisti ai musicisti, da chi l’ha sottotitolato al montatore. Ci sono però realtà che partono dal basso che grazie a questo documentario ho scoperto e che funzionano molto bene, come OpenDDB o Produzioni dal Basso.

Per finire, che circolazione sta avendo il tuo film, tra festival ed altri canali?

Dall’anno scorso sta andando oltre le più rosee aspettative, partendo dai festival con oltre 50 selezioni ufficiali e 27 premi vinti in tutto il mondo, a partire dal primo come “miglior documentario” all’Apulia Web Fest a Settembre dello scorso anno. E’ importante per me che sia proiettato nei festival e che si faccia conoscere poi proprio grazie a OpenDDB di Bologna (Distribuzioni dal Basso) è possibile vederlo on demand dalla rete o richiederlo per cineforum o cinema presso Una risata ci salverà – Openddb:
una realtà distributiva che parte proprio dal basso e che sta dando altrettante soddisfazioni, in questo mese di maggio moltissime; siamo partiti dal cineforum della storica associazione GRIDAS di Scampia, fino alla prima al cinema di Viterbo, siamo in concorso all’Est Film Festival e da voi all’Indiecinema e a fine mese a Siracusa per il Post CinemaFilm Fest. Credo davvero che più la gente lo vede e più se ne interessa, e spargere la voce per questi lavori sottotraccia è importantissimo perché proprio come diceva Silvano Agosti, non è tanto che te lo censurino, possono fare molto di peggio: possono IGNORARLO e farlo ignorare portandolo nell’oblio!

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Stefano Coccia

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