L’Oriente ha sempre tenuto molto più in considerazione l’inconscio e le parti della mente meno accessibili. In Occidente invece la società ha dato molta più importanza alla mente cosciente, all’aspetto razionale. Si è trascurata l’importanza di dare ascolto all’inconscio. Negli ultimi decenni però anche in Occidente la crescita personale e i temi legati alle zone più profonde della nostra psiche ha acquisito importanza.
L’inconscio è un enorme serbatoio di memorie dimenticate, aspetti repressi della nostra personalità e comunicazione con dimensioni invisibili. Chi più chi meno, siamo tutti in contatto con il nostro inconscio ma lo stile di vita predominante non gli dà molta importanza.
L’inconscio sembra a molte persone un territorio riservato agli artisti e agli psicologi. Il mondo misterioso dell’irrazionale sembra appartenere solo agli individui che vivono fuori dalle norme sociali: che non hanno i piedi piantati per terra.
La realtà invece è che l’inconscio comprende il 95% del nostro essere. Appena il 5% appartiene la mente razionale e il suo potere è molto, molto inferiore. Per quanto possiamo fare una vita fatta di cose pratiche e lavori razionali, per quanto possiamo pianificare in maniera logica tutti gli aspetti della nostra esistenza, è la grande corrente dell’inconscio che dirige i nostri destini. Questo aspetto è stato compreso in Oriente da millenni, e per questo lì troviamo ogni tipo di scuola e disciplina che riguarda la dimensione interiore.
L’inconscio crea la realtà esteriore

Molti non sono disposti ad ammetterlo: daranno la colpa al mondo esterno, al partner, alla crisi, alla competizione, e a mille altre cose esteriori. Ma con un’auto analisi più approfondita, tecniche di meditazione e maggior contatto con se stessi ci si rende conto che la maggior parte degli eventi che si manifestano nella nostra vita sono frutto del lavoro continuo dell’inconscio. Un lavoro che dura 24 ore su 24 per tutta la vita.
L’inconscio è la parte di noi che ci connette a remote esperienze dimenticate ma di cui abbiamo elaborato, senza rendersene conto, l’utilità. Quando ci si presenta una nuova situazione con emozioni ed eventi dello stesso tipo è il nostro inconscio che ci dice come agire, e lo facciamo in maniera automatica, proprio come quando abbiamo imparato a guidare la macchina o a camminare.
Nell’inconscio c’è il 95% delle percezioni del momento presente, del qui e ora. Quello che noi percepiamo attraverso i sensi, pensiamo, sentiamo non è altro che una piccola parte. Se riusciamo a radicare noi stessi per un po’ di tempo nel momento presente, dimenticando i pensieri, il passato e il futuro su cui immaginiamo in continuazione, allora ci rendiamo conto della potenza dell’inconscio.
L’esperienza del momento presente appare allora ricchissima, e per qualche istante riusciamo a percepire il mondo come quando eravamo bambini, senza il filtro della mente razionale. Un filtro che inizia il suo processo di separazione dell’individuo dalla realtà con l’apprendimento del linguaggio e cresce in maniera significativa con la formazione scolastica. L’università e il mondo del lavoro di solito rappresentano la separazione definitiva con questa magia della realtà.
L’inconscio collettivo

Ma l’inconscio non siamo solo noi, comprende anche un inconscio collettivo. La mente che ci portiamo dietro si è formata nel corso dei secoli e dei millenni. Si porta con sé l’intera esperienza dell’umanità, degli animali, degli uccelli, delle piante. In qualche modo l’inconscio collettivo conosce tutte queste esperienze, è una dimensione di noi stessi che non è solo nostra ma universale.
L’inconscio comprende, secondo le teorie della fisica quantistica, tutte le potenzialità presenti e future che non si sono concretizzato ma sono in uno stato potenziale. Entrare in contatto con il proprio inconscio può avere un valore enorme per affinare il nostro intuito e guardare oltre la realtà contingente. Riuscire cioè a cogliere le potenzialità dei mondi che non si sono concretizzato, o che forse semplicemente vivono in altre dimensioni parallele alla nostra.
Non esisto quindi solo per quello che sono o che penso di essere ora. Esistono tanti altri io, che hanno fatto scelte differenti. Quello che magari ha scelto di vivere all’estero, quello che ha scelto un’altra professione o un altro partner, un io che si è formato convinzioni molto lontane da quelle che abbiamo… Ogni scelta è una potenziale porta su un altra dimensione. Se accadono determinate condizioni si concretizza un mondo, altrimenti si realizzerà una sua altra potenzialità.
L’inconscio quindi rappresenta il 95% del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro, e possiamo considerarlo il regista del film della vita. Ma allora perché nella società occidentale e così sottovalutato, e la maggior parte delle potenzialità scoperte rappresentano solo storie fantasiose? Perché senza la nascita e il rafforzamento continuo di una mente logica e della nostra parte cosciente razionale l’individuo non si può integrare nella società, non può far parte di nessun gruppo, associazione, scuola o famiglia.
Inconscio e regole sociali
L’inconscio è un’esperienza di profondità individuale e non può integrarsi con le strutture sociali e le regole: è anarchia allo stato puro. Ma è un’anarchia che può rivelarci il vero flusso delle cose. Molte persone non sono disposti ad avventurarsi nel ignoto dell’inconscio: questo significherebbe restare sempre più soli e non poter appartenere ai gruppi e alle associazioni. L’inconscio è una forza che ci porta alla verità ma che rende impossibile seguire le regole esterne. Il prezzo da pagare può essere quindi l’isolamento e la solitudine.
L’inconscio a che fare con l’ignoto e l’inconoscibile e questo fa paura. La sua potenza è che quello che è noto oggi ieri era sconosciuto, È stato possibile conoscerlo addentrandosi nel inconoscibile. La scienza crede che l’esistenza possa essere interpretata ad ogni livello, ma c’è una parte dell’ignoto che non può essere spiegata con nessun punto di vista scientifico.
Molti artisti infatti non sono integrati con le regole sociali e sentono il problema della solitudine e dell’emarginazione, del conflitto tra società e individuo. La logica dell’uomo creativo è proprio quella di restare continuamente a contatto con il proprio inconscio e le correnti più inconoscibili del suo animo. Tutto questo lo trasporta inesorabilmente lontano dalla esteriorità e dalle sue regole, dalla superficialità dei gruppi sociali. L’uomo creativo sente inesorabilmente che appartiene solo a se stesso e che può trovare quello che cerca solo nella propria mente.
Inconscio e verità individuale

Questo momento però, prima o poi arriva per tutti. Si può rimandare per molti anni questa discesa nelle profondità di se stessi ma prima o poi arriva il momento che la superficialità del mondo esterno non ci basta più. Dopo aver rimandato per tanto tempo saremo costretti a confrontarci con il nostro inconscio, la forza che in qualche modo ha plasmato la nostra vita. Saremo costretti ad andare a cercare quella verità su noi stessi anche se ci siamo occupati tutta la vita di cose semplici e pratiche.
Ma si può vivere allora solo nel mondo dell’inconscio? Moltissimi artisti lo hanno fatto ma sono finiti per avere grossi problemi. Le potenzialità dell’inconscio infatti hanno bisogno di un contenitore razionale dentro le quali possono essere raccontate. Senza questo contenitore si rischia la frammentazione e la follia. Un io frammentato esplode in tanti pezzettini e perde il contatto con la realtà: è quello che è successo a tanti artisti. Tanti altri invece hanno avuto fortuna anche nel mondo esteriore e nella società: sono riusciti ad integrare inconscio e coscienza, mondo razionale e irrazionale, intuizione e logica, mistero e concretezza.
E sicuramente questa la vera strada da percorrere per sfruttare la ricchezza dell’ inconscio personale e collettivo, come spiegato dai maestri della psicologia Freud e Jung. Comprendere che la maggior parte di noi è formata da questi sconfinati mondi irrazionali ma non trascurare o negare le regole e la logica, che ci consentono di trarre davvero profitto da essi. Senza una logica e una narrazione razionale e coerente i tesori sommersi dell’inconscio non vengono portati a galla.
Cinema e inconscio
Il cinema e l’inconscio hanno un legame strettissimo e indissolubile. Comunicano con noi con lo stesso mezzo: le immagini. Da molti punti di vista il cinema sembra nato proprio per sondare gli spazi dell’ignoto, dell’inconoscibile e dell’inconscio. Tra tutte le arti e quella che funziona in maniera più simile alla nostra mente: produce immagini in movimento. Il cinema è un mezzo straordinario per il cineasta e per il pubblico per entrare in contatto con quella parte di noi sommersa nelle profondità del nostro essere.
Il surrealismo ha riaffermato l’importanza dell’inconscio e dell’irrazionale nei film e nell’arte. L’espressionismo ha esplorato il lato oscuro della nostra psiche e le sue paure. L’impressionismo ha raccontato storie soggettive dove la percezione del mondo era quella interiore dell’artista. Molti movimenti di avanguardia non sono stati altro che tentativi di riaffermare la forza degli aspetti inconsci della vita.
Molti registi lo hanno fatto esplorando le loro paure più irrazionali, altri dando più importanza alle parti più luminose. Ma il fatto che il cinema fantastico si sia affermato molto di più nella storia del cinema del reale è la prova che al pubblico piace, attraverso un film, mettersi in contatto con il suo mondo irrazionale e sconosciuto.
Ecco alcuni film che ci consentono di esplorare le profondità dell’inconscio.
Un Chien Andalou (1929)
Un Chien Andalou (1929) rimane un testo fondamentale per comprendere la rappresentazione cinematografica dell’inconscio. Questo cortometraggio muto rinuncia a qualsiasi parvenza di trama convenzionale, presentando invece una serie di immagini oniriche e spesso scioccanti che seguono una logica interamente propria. La scena iconica di apertura, che raffigura il taglio di un occhio con un rasoio, funge da metafora viscerale per penetrare la superficie della realtà e accedere all’inconscio. Nel corso del film, si susseguono sequenze apparentemente non correlate, popolati da immagini inquietanti come formiche che strisciano da una mano e un uomo che trascina pianoforti carichi di asini morti. Queste scene, pur sfidando l’interpretazione razionale, risuonano con il linguaggio simbolico dei sogni, dove condensazione e spostamento spesso combinano elementi disparati in potenti metafore visive. La priorità di Un Chien Andalou all’impatto viscerale rispetto alla coerenza narrativa ha stabilito un approccio radicale al fare cinema, uno che coinvolge direttamente l’inconscio dello spettatore a un livello primordiale.
L’Age d’Or (1930)
L’Age d’Or (1930), un’altra collaborazione tra Buñuel e Dalí, ha ulteriormente approfondito l’esplorazione surrealista dell’inconscio affrontando direttamente le norme sociali e i desideri repressi. Questo film presenta una serie di vignette che descrivono la frustrante e spesso violenta ricerca dell’amore erotico, costantemente interrotta dai vincoli e dalle ipocrisie della società borghese e delle istituzioni religiose. Il contenuto controverso del film, che include immagini blasfeme e la rappresentazione di impulsi primordiali in conflitto con le convenzioni sociali, si allinea con i concetti freudiani dell’id e delle forze sociali che cercano di reprimerlo. Sfogliando le aspettative del pubblico riguardo al decoro e alla progressione narrativa, L’Age d’Or puntava a provocare una reazione viscerale e a esporre i desideri spesso non riconosciuti che guidano il comportamento umano.
Spellbound (1945)
Spellbound (1945) rappresenta un impegno più diretto con i temi psicoanalitici. Il film si concentra su una psichiatra che si innamora del nuovo direttore dell’istituto mentale, per poi scoprire che lui soffre di amnesia e di un ricordo traumatico represso. La psicoanalisi diventa la forza trainante centrale della narrazione, mentre la psichiatra tenta di svelare l’inconscio del suo amante attraverso l’ipnosi e l’interpretazione dei sogni. Notoriamente, Hitchcock coinvolse Salvador Dalí per progettare le sequenze oniriche del film, enfatizzando ulteriormente il collegamento con il Surrealismo e il linguaggio visivo dell’inconscio. Queste sequenze, piene di immagini simboliche, mirano a sbloccare il trauma represso del protagonista, evidenziando l’esplorazione esplicita dei concetti psicoanalitici del film.
Psycho (1960)
Psycho (1960), probabilmente una delle opere più iconiche di Hitchcock, esplora la psiche frammentata di Norman Bates, un personaggio le cui azioni sono profondamente radicate in impulsi inconsci. Il film esplora temi complessi come quello edipico e il potere distruttivo della sessualità repressa e dell’ossessione materna. La facciata apparentemente normale di Norman maschera un mondo interiore profondamente disturbato, in cui i confini tra la sua identità e quella della madre defunta sono pericolosamente confusi. Psycho ha toccato ansie profondamente radicate riguardo all’oscurità nascosta all’interno di individui apparentemente ordinari, dimostrando come i conflitti inconsci possano manifestarsi in modi terrificanti.
Vertigo (1958)
In “La donna che visse due volte” (1958), Hitchcock esplora i desideri ossessivi e l’instabilità psicologica di Scottie Ferguson, un ex detective della polizia tormentato dall’acrofobia e da un trauma passato. Il film affronta temi di feticismo, la natura inaffidabile della percezione e i tentativi disperati del protagonista di ricreare un amore perduto. Attraverso tecniche di ripresa disorientanti, sequenze oniriche e l’uso di motivi visivi, Hitchcock immerge il pubblico nello stato psicologico sempre più distorto di Scottie, riflettendo le sue fissazioni inconsce e le linee sfumate tra realtà e illusione. “La donna che visse due volte” utilizza magistralmente il linguaggio cinematografico per esternare il tumulto interiore del protagonista, dimostrando il potere della narrazione visiva di trasmettere la complessità dell’inconscio.
I film di Hitchcock, anche quando non abbracciano esplicitamente la teoria psicoanalitica, impiegano frequentemente suggerimenti visivi e prospettive soggettive per immergere il pubblico negli stati psicologici dei suoi personaggi. Questo uso strategico delle tecniche cinematografiche esternalizza efficacemente le loro ansie e i loro desideri inconsci, creando un’esperienza di visione profonda e spesso inquietante.
Wild Strawberries (1957)
Ingmar Bergman, il celebre regista svedese, ha spesso utilizzato sogni, incubi e dialoghi introspettivi per esplorare la vita interiore dei suoi personaggi. Il posto delle fragole (1957) è un esempio emblematico della sua esplorazione del subconscio. Il film segue un anziano professore in viaggio per ricevere una laurea honoris causa, durante il quale è tormentato da sogni vividi e ricordi che lo costringono ad affrontare i rimpianti del passato e la sua freddezza emotiva. Bergman utilizza magistralmente queste sequenze oniriche come mezzo narrativo, intrecciandole abilmente nel viaggio del protagonista per rivelare i suoi desideri inconsci e il bagaglio emotivo che ha portato con sé per tutta la vita. La natura introspettiva del film e il suo focus sul paesaggio interiore del protagonista creano un’esperienza cinematografica commovente e profondamente risonante.
Persona (1966)
In Persona (1966), Bergman approfondisce la relazione enigmatica e spesso inquietante tra un’attrice che improvvisamente è diventata muta e la sua loquace infermiera. Il film utilizza tecniche sperimentali, sfumando i confini tra le identità delle due donne e suggerendo una connessione più profonda, forse inconscia. Attraverso i suoi intensi primissimi piani, immagini frammentate e narrativa ambigua, Persona esplora la natura fluida dell’identità e le forze inconsce che potrebbero unire individui apparentemente disparati.
Solaris (1972)
Andrei Tarkovsky, il venerato regista russo, era noto per il suo uso di immagini oniriche, simbolismo potente e un ritmo deliberato e lento per creare un senso di immersione nei mondi interiori dei suoi personaggi. Solaris (1972) serve come un’esplorazione profonda della memoria, della perdita e delle inquietanti manifestazioni dell’inconscio in un’ambientazione di fantascienza. Il film si concentra su uno psicologo inviato a una stazione spaziale in orbita attorno al pianeta Solaris, un’entità misteriosa capace di materializzare i pensieri e i ricordi più intimi dell’equipaggio della stazione. Tarkovsky utilizza il genere della fantascienza come una struttura per esplorare temi profondamente umani di colpa, desiderio e l’opprimente potere dell’inconscio di plasmare la realtà. Il pianeta Solaris agisce come un catalizzatore, portando alla luce le emozioni e i desideri repressi dei personaggi, sfumando i confini tra la realtà obiettiva e gli stati interiori soggettivi.
Mulholland Drive (2001)
David Lynch si erge come un maestro contemporaneo del surrealismo, impiegando costantemente narrazioni non lineari, logica onirica e immagini spesso inquietanti per rappresentare l’enigmatico paesaggio dell’inconscio. Mulholland Drive (2001) esemplifica la sua complessa esplorazione dei sogni, dell’identità e dei desideri repressi all’interno del mondo seducente e spesso sinistro di Hollywood. Le realtà mutevoli del film, il simbolismo ambiguo e la struttura onirica sondano i desideri, le paure e la natura costruita del sé del protagonista. L’uso magistrale di Lynch dell’atmosfera e delle immagini inquietanti crea un’esperienza cinematografica che rispecchia la natura fluida e spesso illogica dei sogni e dell’inconscio.
Eraserhead (1977)
Eraserhead (1977), il film d’esordio di Lynch, è un viaggio da incubo e profondamente personale nelle ansie legate alla genitorialità, al degrado industriale e al grottesco. I suoi crudi visuals in bianco e nero, il design sonoro inquietante e l’immaginario bizzarro creano un’atmosfera opprimente che incarna paure subconscie e ansie primordiali. Eraserhead si distingue come un’esperienza cinematografica viscerale e indimenticabile, attingendo direttamente alle immagini disturbanti che possono emergere dalle profondità dell’inconscio.
Lost Highway (1997)
Lynch esplora ulteriormente identità fratturate e realtà oniriche in Lost Highway (1997). Quest’opera diventa sempre più astratta, superando i confini della narrazione tradizionale e immergendo completamente lo spettatore nella logica disorientante e spesso terrificante dell’inconscio. La narrazione non lineare, gli eventi surreali e il simbolismo ambiguo in questo film rispecchiano direttamente la natura frammentata ed elusiva del pensiero inconscio.
Inland Empire (2006)
Lynch esplora ulteriormente identità fratturate e realtà oniriche in Inland Empire (2006). Quest’ultima opera diventa sempre più astratta, spingendo i confini della narrazione tradizionale e immergendo completamente lo spettatore nella logica disorientante e spesso terrificante dell’inconscio. La narrazione non lineare, gli eventi surreali e il simbolismo ambiguo in questo film rispecchiano direttamente la natura frammentata ed elusiva del pensiero inconscio.
El Topo (1970)
Alejandro Jodorowsky, il regista cileno-francese, è rinomato per il suo uso di immagini surreali e spesso scioccanti, simbolismo spirituale e narrazioni ritualistiche per esplorare temi di trasformazione e il subconscio. El Topo (1970) si addentra in viaggi psichedelici e spirituali attraverso il paesaggio spesso trasgressivo dell’inconscio. I film di Jodorowsky sono intensamente simbolici, mirati a provocare un risveglio viscerale e spirituale nello spettatore coinvolgendo direttamente le profondità nascoste della mente. Il suo uso di sequenze oniriche, immagini bizzarre e narrazioni allegoriche crea un’esperienza cinematografica che supera il pensiero razionale e attinge a livelli psicologici e spirituali più profondi.
The Holy Mountain (1973)
Alejandro Jodorowsky, il regista cileno-francese, è rinomato per il suo uso di immagini surreali e spesso scioccanti, simbolismo spirituale e narrazioni ritualistiche per esplorare temi di trasformazione e subcosciente. La montagna sacra (1973) si immerge in viaggi psichedelici e spirituali attraverso il paesaggio, spesso trasgressivo, dell’inconscio. I film di Jodorowsky sono intensamente simbolici, mirando a provocare un risveglio viscerale e spirituale nello spettatore coinvolgendo direttamente le profondità nascoste della mente. Il suo uso di sequenze oniriche, immagini bizzarre e narrazioni allegoriche crea un’esperienza cinematografica che supera il pensiero razionale e si collega a livelli psicologici e spirituali più profondi.
Santa Sangre (1989)
Santa Sangre (1989) è un altro esempio dell’unica miscela di surrealismo e esplorazione psicologica di Jodorowsky. Questo film combina elementi di horror, melodramma e bizzarro per esplorare temi di trauma, ossessione e le oscure correnti sotterranee delle relazioni familiari. L’immaginario inquietante del film e lo stato psicologico frammentato del protagonista riflettono vividamente il contenuto distorto e spesso inquietante dell’inconscio.
Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004)
Se Mi Lasci Ti Cancello (2004) esplora l’intricato rapporto tra memoria, amore e il tentativo subconscio di cancellare esperienze indesiderate. Il film di Michel Gondry visualizza splendidamente il paesaggio frammentato e carico di emozioni della memoria mentre un uomo si sottopone a una procedura per cancellare dalla sua mente la sua ex fidanzata. L’uso innovativo degli effetti visivi e della narrazione non lineare del film riflette direttamente la natura soggettiva e spesso caotica della memoria e dell’inconscio, sollevando profonde domande sull’identità e sul significato delle nostre esperienze.
Paprika (2006)
Il capolavoro animato di Satoshi Kon, Paprika (2006), offre una rappresentazione vivace e immaginativa dei sogni e dei confini sfocati tra realtà e inconscio. Il film segue un team di scienziati che ha sviluppato un dispositivo che permette loro di entrare nei sogni delle persone, portando a una serie di eventi fantastici e spesso inquietanti quando il dispositivo viene rubato. L’animazione di Kon consente una rappresentazione letterale e visivamente sorprendente del mondo dei sogni e della sua potente influenza sulla realtà di veglia, creando un’esplorazione concettualmente ricca dei potenziali pericoli e meraviglie dell’inconscio.
Come True (2020)
Come True (2020) presenta un’esplorazione atmosferica e inquietante degli incubi condivisi e dell’inconscio collettivo. Questo film indipendente segue una adolescente in fuga che partecipa a uno studio sul sonno, solo per trovarsi intrappolata in un mondo da incubo che sembra essere collegato ai sogni degli altri. Il film attinge alle ansie contemporanee e all’affascinante possibilità di esperienze inconsce condivise, creando una narrativa visivamente sorprendente e stimolante sugli aspetti più oscuri del mondo interiore.
Repulsion (1965)
Repulsion di Roman Polanski (1965) offre una rappresentazione claustrofobica e profondamente inquietante della discesa nella follia di una giovane donna e l’esteriorizzazione terrificante delle sue paure interiori. Ambientato principalmente all’interno di un appartamento, il film utilizza una prospettiva soggettiva per trasmettere potentemente lo stato mentale deteriorante della protagonista e le manifestazioni sempre più da incubo delle sue ansie inconsce. L’atmosfera oppressiva del film e il suo focus sull’isolamento della protagonista riflettono direttamente la disintegrazione della sua mente conscia e l’emergere di paure profondamente represse.
The Science of Sleep (2006)
Michel Gondry torna a esplorare i confini permeabili tra sogni e vita da svegli in L’arte del sogno (2006). Questo film capriccioso e visivamente inventivo riflette il mondo interiore di un giovane uomo che lotta per distinguere tra i suoi sogni e la realtà. Gondry utilizza il suo caratteristico stile immaginativo per creare un’esplorazione leggera ma comunque approfondita della natura creativa e, a volte, caotica dell’inconscio, dove le linee tra il tangibile e l’immaginato si confondono costantemente.
Dementia

In una notte interminabile e buia nella vastità di Los Angeles, una donna si trova sola, preda delle sue paure più profonde e radicate nel suo inconscio inquieto. “Dementia” è un’opera cinematografica sperimentale che, nel corso degli anni, si è trasformata in un vero e proprio cult. Questo film è una sapiente combinazione di horror, noir e cinema espressionista, nato da un incubo vissuto dalla segretaria del regista. Un elemento distintivo del film è il suo linguaggio visivo unico, che fa propria la potenza e la suggestione delle immagini e dei simboli, rivolgendosi direttamente alla parte più irrazionale e onirica della nostra mente, quella che risponde non alle parole, ma alle visioni e alle sensazioni più viscerali.
Le mani dell’altro

Un celebre pianista, di nome Orlac, si trova a fronteggiare una situazione complicata a causa di un terribile incidente ferroviario che lo priva dell’uso delle sue preziose mani, strumenti essenziali per il suo talento musicale. Costretto a ricorrere a un complesso e delicato intervento chirurgico, Orlac riceve un trapianto molto particolare: le nuove mani appartenevano a un noto assassino. Questo evento drammatico dà avvio a una profonda riflessione non solo per il protagonista ma anche per lo spettatore. Il film esplora magistralmente le zone più oscure e recondite della psiche umana, quelle che spesso abbiamo difficoltà ad accettare e che tendiamo a celare nel nostro inconscio. “Le mani dell’altro”, uno dei capolavori assoluti del cinema espressionista, mette in scena, come nessun’altra avanguardia artistica, le paure più arcane dell’inconscio collettivo e dell’irrazionale, portando sul grande schermo un’analisi penetrante e inquietante della doppia personalità. La pellicola suggerisce inoltre quanto possano diventare distruttive le energie del nostro inconscio se non incanalate verso la creatività e la trasformazione personale, mettendo in risalto il sottile confine tra genialità e follia.
Haxan

Stregoneria, profanazione di tombe, atrocità delle torture e le inquietanti figure delle streghe si intrecciano in questo film leggendario. Oggi, questo capolavoro appare decisamente all’avanguardia, superando in originalità la maggior parte delle produzioni horror e fantasy contemporanee. Il regista svedese Benjamin Christensen ci narra, attraverso il suo capolavoro Haxan, come gli aspetti dell’inconscio, rifiutati dalla ragione dell’uomo, possano scivolare nella follia. Questi elementi dell’animo, se non integrati, possono persino essere malinterpretati come manifestazioni di forze demoniache da coloro che non vedono oltre la superficie delle cose. Christensen, con una maestria narrativa e visiva ammirevole, esplora i confini tra razionalità e superstizione, rivelando come l’ignoranza possa alimentare le paure più oscure e dare vita a miti di forze oscure.
Il gabinetto del dottor Caligari

Il gabinetto del dottor Caligari è considerato il più grande film dell’orrore espressionista, scritto e girato con un linguaggio simbolico che esplora a fondo l’inconscio umano. Questa straordinaria opera cinematografica è ambientata in un piccolo paese, dove il personaggio di Caligari, un imbonitore enigmatico, attira l’attenzione delle folle alle fiere esibendo il suo bizzarro fenomeno: un sonnambulo che giace in una bara. Il dottore afferma che questo sonnambulo ha poteri soprannaturali, riuscendo a conoscere eventi passati e a predire ciò che avverrà in futuro, una capacità che incute timore e reverenza tra gli spettatori. Il film è un’esemplare rappresentazione dell’incoscio collettivo, resa palpabile attraverso scenografie surreali dove si annidano atmosfere oniriche, paesaggi distorti che somigliano a un sogno, e dialoghi rarefatti che incoraggiano profonde riflessioni. Con i suoi personaggi dalle doppie personalità, il film indaga il lato nascosto dell’animo umano, rivelando come il sonnambulo incarna quella parte di noi che va oltre la superficie e la maschera imposta dalle convenzioni sociali.
Il sogno di Omero

Quali sono le immagine oniriche di chi vive senza vedere? Il sogno di Omero è un documentario onirico sui sogni di 5 persone cieche dalla nascita che hanno stabilito una forte relazione con il proprio inconscio con l’abitudine di ricordarsi e raccontare i propri sogni attraverso un registratore vocale. Appunti orali che ognuno di loro registra ogni giorno al proprio risveglio e che compongono la voce narrante del film.
The shout

I poteri paranormali dell’inconscio sono raccontati in questo cortometraggio dove un giovane aspirante scienziato fa un sogno condiviso con la propria donna e incontra un misterioso personaggio che afferma di avere la facoltà di uccidere con la forza del suo urlo.
Il testamento di un poeta

Il testamento di un poeta rappresenta l’apice della carriera cinematografica del poeta e cineasta Jean Cocteau, un’opera che s’impone come il suo lavoro conclusivo e definitivo. Lungo tutta la sua carriera, Cocteau ha perseguito un percorso intenso di esplorazione poetica e visiva, scegliendo di esprimere le sue visioni attraverso una fusione di immagini oniriche e parole poetiche. Il film racchiude questa ricerca sotto forma di una narrazione intrisa di simbolismo, dove le ambientazioni surreali sono abitate da personaggi enigmatici e profondamente evocativi. Questi personaggi, veri e propri archetipi di anime perdute, sono rappresentazioni che simboleggiano il ciclo perpetuo di morte e resurrezione, temi centrali nella poetica di Cocteau. Il cast è composto da amici fidati del regista, artisti che si sono prestati gratuitamente al progetto, dimostrando un forte spirito di collaborazione e un legame indissolubile con l’artista stesso. Il film, dunque, non è soltanto una riflessione sulla creatività e sulla ricerca di un’illuminazione artistica, ma si pone come una profonda indagine filosofica sul connubio tra arte e vita, sulla ricerca incessante di un significato ultimo dell’esistenza che trascenda il semplice atto creativo.
Altin in città

Ad Altin, un giovane immigrato albanese che risiede in città, è stato offerto un impiego in una piccola macelleria locale. Anche se lavora con dedizione, la sua vera aspirazione è quella di emergere come uno scrittore di fama internazionale. Il film che racconta la sua storia è impreziosito da una continua alternanza di momenti onirici che si intrecciano con la realtà quotidiana. Nei sogni di Altin si manifestano intimi segnali del suo inconscio tormentato, che cerca di lanciare un avvertimento sull’insoddisfazione e le incognite della sua esistenza attuale. L’opera esplora il suo legame con le radici culturali e la madre, il desiderio di successo e notorietà, e il timore opprimente di perdere ogni punto fermo nella sua vita. Questo film riesce a fondere un linguaggio narrativo realistico con straordinarie sequenze visionarie e oniriche, offrendo una visione singolare della storia. Tra i momenti memorabili, si distingue un finale surreale e indimenticabile che incapsula il viaggio immaginativo e introspettivo di Altin.
Carnevale di anime

Carnevale di anime è un film horror di culto che merita assolutamente di essere visto per la sua atmosfera unica e la narrazione intrigante. La pellicola inizia con un tragico incidente automobilistico in cui Mary Henry è l’unica sopravvissuta, mentre tutti i suoi amici perdono la vita. Sopravvissuta al disastro, Maria cerca di ricominciare trasferendosi in un’altra città, dove trova lavoro come organista presso una chiesa locale. Vicino a questo luogo di culto, però, sorge un enigmatico padiglione sulle rive di un lago che sembra esercitare su di lei un’irresistibile attrazione. Mentre cerca di adattarsi alla sua nuova vita, Mary è tormentata da inquietanti apparizioni di una figura spettrale, la cui presenza è resa ancora più intensa e suggestiva dal fatto che è interpretata dallo stesso regista del film. Queste visioni diventano sempre più oppressive, conducendo la protagonista in un mondo surreale e onirico che sembra esistere solo nel suo subconscio. Il film è particolarmente rinomato per la sua atmosfera sospesa ed irreale, caratterizzata da una continua tensione tra la realtà e l’immaginazione. Questa straordinaria opera cinematografica non solo ha affascinato e terrorizzato il pubblico, ma ha anche lasciato un’impronta duratura influenzando cineasti come David Lynch. La capacità del regista di tessere un racconto così denso di simbolismi e mistero rende Carnevale di anime non solo un’esperienza visiva unica ma anche un viaggio nell’inquietudine interiore della protagonista. Un capolavoro che continua a essere celebrato per la sua originalità e il suo potere evocativo, immergendo gli spettatori in un universo dove la linea tra il reale e il surreale è magistralmente labile.
Il sangue di un poeta

L’intera opera di Jean Cocteau rappresenta una profonda e intima immersione nei meandri dell’inconscio attraverso l’uso magistrale della poesia e dell’immaginazione. La sua prima opera cinematografica, Il sangue di un poeta, segna un punto di svolta dove la poesia si sublima in forma di cinema. Jean Cocteau è uno di quei pochi cineasti di grande rarità che utilizzano il cinema non solo come mezzo di narrazione, ma come un vero e proprio strumento di espressione artistica personale e autentica. Questo film, che solo in parte può essere etichettato come surrealista, si presenta come un racconto in cui il regista non si limita a raccontare una storia, ma si mette in gioco personalmente, riflettendo profondamente sulle sue intuizioni. Esplora un mondo segreto e inafferrabile che lascerà una traccia indelebile in tutta la sua carriera creativa, caratterizzandola con visioni e sensazioni che sfidano la conoscenza ordinaria e l’esperienza comune. In ogni suo lavoro, Cocteau riesce a trascendere i confini della percezione convenzionale, offrendo allo spettatore un viaggio unico e inaspettato nel mondo del subconscio e dell’estetica visionaria.
Alla conquista del polo

In questo straordinario capolavoro cinematografico di George Melies, l’esperienza si trasforma in un viaggio epico verso terre lontane, proprio come avviene in molte altre delle sue opere cinematografiche. Tuttavia, queste terre inesplorate e apparentemente esotiche diventano simboli della discesa nell’abisso profondo dell’inconscio umano. Qui, in un ambiente fantastico e surreale, è possibile sperimentare l’imprevisto e l’inconcepibile, incluso l’apparizione improvvisa di creature mostruose. Queste figure enigmatiche non sono solo mere ombre o illusioni; rappresentano paure e desideri nascosti nell’oscurità interiore. In particolare, la scena che presenta il gigantesco mostro di ghiaccio è iconica; essa non è solo una dimostrazione magistrale delle capacità tecniche di Melies, ma un momento fondamentale che si erge tra le scene più impressionanti della grande storia del cinema mondiale. È una sequenza che deve essere vista per apprezzarne appieno l’impatto visivo ed emotivo e per capire meglio la potenza simbolica racchiusa in questo viaggio attraverso il regno dell’inconscio.