I Film che Svelano l’Anima Nascosta di Venezia

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Ecco una selezione curata di film indipendenti che incarnano perfettamente la Venezia cinematografica che pulsa oltre l’immagine da cartolina. Dimenticate le corse in gondola sotto il sole e le piazze affollate di turisti. Questa è un’immersione in un’altra città: una Venezia crepuscolare, spesso invernale, avvolta nella nebbia e nel silenzio, un labirinto di pietra e acqua che diventa specchio dell’anima per registi indipendenti e visionari.

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Questi cineasti non usano la città come semplice sfondo, ma la eleggono a protagonista, un’entità complessa e contraddittoria. La sua bellezza sublime e la sua inesorabile decadenza diventano una potente allegoria per esplorare i temi universali del desiderio, della mortalità, della follia e della perdita. I suoi canali diventano arterie di un corpo malato, le sue calli vicoli ciechi della psiche, i suoi palazzi sontuosi gusci vuoti che nascondono segreti inconfessabili.

Questa guida è un viaggio attraverso il cinema d’autore e underground che ha saputo cogliere l’essenza più profonda e perturbante della Serenissima. È un itinerario per chi cerca i migliori film ambientati a Venezia non per la loro patina romantica, ma per la loro capacità di usare l’iconografia della città per raccontare verità scomode sull’esistenza umana. Preparatevi a scoprire una Venezia che non avete mai visto, un luogo dell’anima tanto magnifico quanto terrificante.

Morte a Venezia (1971)

Il compositore Gustav von Aschenbach, in convalescenza a Venezia, sviluppa un’ossessione per la bellezza androgina di un giovane ragazzo polacco di nome Tadzio. Mentre la sua infatuazione cresce, una silenziosa epidemia di colera inizia a serpeggiare per la città, tenuta nascosta dalle autorità per non danneggiare il turismo.

Luchino Visconti non filma semplicemente Venezia; la usa come un palcoscenico barocco per la disintegrazione di un uomo. L’opulento Grand Hôtel des Bains del Lido è una gabbia dorata dove l’ordine intellettuale di Aschenbach si scontra con il caos della passione. La città stessa, con la sua magnificenza che affonda lentamente nella laguna e l’odore dolciastro della malattia che si mescola alla salsedine, diventa la metafora perfetta della sua decadenza fisica e morale. La fotografia di Pasqualino De Santis cattura una città malata, febbricitante sotto il vento di scirocco, la cui bellezza mortifera seduce e condanna il protagonista.

A Venezia un dicembre rosso shocking (Don’t Look Now) (1973)

Una coppia inglese, John e Laura Baxter, si trasferisce a Venezia dopo la tragica morte per annegamento della loro bambina. Mentre John lavora al restauro di una chiesa, incontrano due anziane sorelle, una delle quali, cieca, afferma di poter “vedere” la loro figlia. John, scettico, inizia ad avere delle inquietanti premonizioni e a scorgere una misteriosa figura infantile vestita di rosso tra i vicoli della città.

Nicolas Roeg trasforma Venezia in un labirinto psicologico che riflette lo stato mentale frammentato di un uomo devastato dal lutto. Lontana da ogni cliché turistico, la sua è una Venezia invernale, desolata, avvolta da una nebbia umida che confonde i contorni tra reale e soprannaturale. I canali non sono vie romantiche, ma presagi di morte, specchi d’acqua che ricordano costantemente la tragedia. La città, con le sue calli identiche e i suoi angoli ciechi, diventa l’architettura stessa del dolore e della premonizione, un luogo dove il passato non è mai morto e il futuro è una trappola inevitabile.

Pane e tulipani (2000)

Durante una gita in pullman, la casalinga pescarese Rosalba viene dimenticata in un autogrill. Invece di aspettare che il marito e i figli tornino a prenderla, decide impulsivamente di fare l’autostop e realizzare un piccolo sogno: visitare Venezia. Quella che doveva essere una breve fuga si trasforma in una nuova vita, grazie all’incontro con personaggi eccentrici e gentili che le faranno riscoprire se stessa.

Silvio Soldini ci regala una delle rappresentazioni più autentiche e vitali della città, una Venezia quotidiana, lontana dai flussi turistici. La macchina da presa si addentra nei sestieri popolari, tra panni stesi, mercati rionali e osterie frequentate da veneziani. Questa non è la città-museo, ma un luogo vivo, un organismo pulsante che accoglie Rosalba e le offre una seconda possibilità. La fotografia luminosa e le inquadrature ampie segnano il passaggio da una vita domestica claustrofobica a una ritrovata libertà, dimostrando come la vera magia di Venezia non risieda nei suoi monumenti, ma nella sua capacità di essere un luogo di rinascita.

Atlantide (2021)

Daniele è un giovane di Sant’Erasmo, un’isola ai margini della laguna veneta. Vive ai margini del suo stesso gruppo di coetanei, ossessionati dal culto del “barchino”, motoscafi truccati per sfrecciare a velocità folli tra i canali. Il suo sogno di possedere il barchino più veloce per ottenere rispetto si scontra con una realtà di alienazione e con il degrado sociale e ambientale che corrode la sua generazione.

Yuri Ancarani firma un’opera ipnotica e radicale, a metà tra documentario e finzione, che svela una Venezia marginale e sconosciuta. Lontano da San Marco, il film esplora la sottocultura giovanile della laguna, un mondo fatto di motori, musica trap e un nichilismo disperato. La laguna non è un paesaggio da contemplare, ma un’arena psichedelica dove si consuma un rito di iniziazione maschile violento e destinato al fallimento. Atlantide è un potente ritratto della Venezia contemporanea, una città fantasma che affonda non solo nell’acqua, ma anche nell’incuria e nella perdita di identità.

Giallo a Venezia (1979)

Una coppia viene trovata brutalmente assassinata lungo un canale. L’ispettore De Paul inizia a indagare, scoprendo un torbido mondo di depravazione sessuale, orge e uso di droghe che coinvolge le vittime. Mentre cerca di ricostruire le loro ultime ore, un misterioso assassino continua a colpire con una ferocia inaudita, lasciando una scia di cadaveri orribilmente mutilati.

Questo film di Mario Landi è forse l’esempio più estremo di come il cinema di genere abbia utilizzato Venezia, spogliandola di ogni romanticismo per trasformarla in un teatro di squallore e violenza. La fotografia sgrana la bellezza della città, mostrandone solo gli angoli più sordidi, i canali fangosi e gli interni claustrofobici. La decadenza non è più una metafora estetica, ma una condizione fisica e morale. In questo film cult, la città lagunare diventa un inferno umido e piovoso, un luogo perfetto per un giallo che spinge al limite la rappresentazione della perversione e del gore.

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Senso (1954)

Nella Venezia del 1866, durante gli ultimi mesi dell’occupazione austriaca, la contessa Livia Serpieri, sostenitrice della causa italiana, si innamora perdutamente di Franz Mahler, un affascinante ma cinico tenente dell’esercito nemico. Travolta da una passione autodistruttiva, Livia tradirà i suoi ideali politici e la sua stessa famiglia, in un vortice di gelosia e degradazione che corre parallelo al crollo di un’intera epoca.

Luchino Visconti dirige un melodramma sontuoso, un affresco storico in Technicolor dove la decadenza di una classe sociale si specchia nell’opulenza dei palazzi veneziani. La scena iniziale al Teatro La Fenice è emblematica: il dramma sul palco si riversa nella vita reale, innescando la tragedia. Venezia non è solo lo sfondo del Risorgimento, ma il simbolo di un mondo aristocratico magnifico e corrotto, destinato a crollare. La passione della protagonista consuma lei stessa e i suoi principi, così come la guerra e il tempo consumano la bellezza della città.

The Comfort of Strangers (Cortesie per gli ospiti) (1990)

Una coppia inglese, Colin e Mary, è in vacanza a Venezia per tentare di riaccendere la loro relazione in crisi. Smarriti nel labirinto di calli, incontrano un enigmatico e affascinante uomo del posto, Robert, che li invita nella sua sontuosa casa. Lì conoscono sua moglie Caroline, e vengono lentamente irretiti in un gioco psicologico perverso e pericoloso, dove l’ospitalità si trasforma in una trappola mortale.

Paul Schrader, su sceneggiatura di Harold Pinter, trasforma il sogno romantico veneziano in un incubo a occhi aperti. La città, bagnata da una luce ambrata e seducente, diventa uno spazio di minaccia psicologica. Le sue calli non portano da nessuna parte, simboleggiando lo stallo emotivo della coppia. La bellezza dei palazzi e l’eleganza dei loro ospiti nascondono una violenza latente e una perversione mortifera. Schrader segue la tradizione letteraria che vede Venezia non come culla dell’amore, ma come “città della morte”, un luogo dove il desiderio conduce alla distruzione.

Nosferatu a Venezia (1988)

Il professor Catalano si reca a Venezia per indagare sulla possibile presenza del vampiro Nosferatu, la cui ultima apparizione risale al carnevale del 1786. Durante una seduta spiritica, il vampiro viene risvegliato dal suo sonno secolare e torna a vagare per la città, portando con sé una scia di morte e seduzione. La sua esistenza tormentata cerca una fine, che crede di poter trovare nell’amore di una donna vergine.

Nonostante la sua produzione travagliata, questo sequel apocrifo del capolavoro di Herzog è un film di culto che reinventa il mito del vampiro in chiave gotica e decadente. La performance febbrile di Klaus Kinski, che si rifiutò di indossare il trucco prostetico, ci regala un Nosferatu inedito, più umano e tormentato. La fotografia sontuosa di Antonio Nardi cattura una Venezia spettrale, onirica, un perfetto sepolcro d’acqua per una creatura immortale stanca di vivere. La città diventa un’estensione dell’anima del vampiro: antica, bellissima e in rovina.

Chi l’ha vista morire? (1972)

Lo scultore Franco Serpieri si trova a Venezia con la sua piccola figlia Roberta. Un giorno, la bambina scompare misteriosamente per poi essere ritrovata annegata in un canale, vittima di un serial killer di bambini. Mentre la polizia brancola nel buio, Franco inizia una sua disperata indagine personale, addentrandosi in un mondo di segreti e perversioni nascosto dietro la facciata rispettabile della città.

Aldo Lado firma uno dei migliori gialli italiani degli anni ’70, trasformando Venezia in un labirinto mortale. La città lagunare, con i suoi canali nebbiosi e i suoi vicoli bui, diventa un personaggio minaccioso, un luogo dove ogni angolo può nascondere l’orrore. L’inquietante colonna sonora di Ennio Morricone, con il suo coro di voci bianche, crea un contrasto agghiacciante tra l’innocenza infantile e la brutalità degli omicidi. Lado sfrutta magistralmente l’architettura cittadina per generare una suspense quasi insostenibile.

Anonimo Veneziano (1970)

Un musicista del Teatro La Fenice, scopertosi malato terminale, invita a Venezia la moglie da cui è separato da anni. Per un’intera giornata i due vagano per la città, ripercorrendo i luoghi del loro amore e confrontandosi con i ricordi, i rimpianti e le parole non dette. È il loro ultimo, struggente incontro, un addio alla vita e a un amore mai del tutto finito.

Enrico Maria Salerno, al suo esordio alla regia, dipinge un ritratto malinconico e crepuscolare di Venezia. Lontana dalla folla, la città autunnale, con i suoi colori spenti e la sua atmosfera silenziosa, diventa la perfetta cassa di risonanza del dramma dei protagonisti. Ogni campo, ogni ponte, ogni scorcio della Giudecca o di zone meno note, è intriso di memoria e nostalgia. La città, come il protagonista, è in agonia, e la sua bellezza decadente accompagna con struggente poesia il conto alla rovescia verso la fine. La celebre colonna sonora di Stelvio Cipriani suggella l’atmosfera indimenticabile del film.

Io sono Li (2011)

Shun Li, un’immigrata cinese, viene mandata a lavorare come barista in un’osteria di Chioggia, la “piccola Venezia”. Lì, in un mondo chiuso e maschile di pescatori, stringe un’inaspettata e poetica amicizia con Bepi, un vecchio pescatore di origini slave soprannominato “il Poeta”. Il loro legame, fatto di silenzi e poesie, si scontra con i pregiudizi di entrambe le loro comunità.

Andrea Segre racconta una storia di immigrazione e incontro con una sensibilità rara, utilizzando la laguna di Chioggia come spazio metaforico. L’acqua e la nebbia, che avvolgono ogni cosa con i loro toni grigi, riflettono l’isolamento e la malinconia dei protagonisti. La laguna è descritta come “femmina, calma e misteriosa”, un luogo di sospensione dove due solitudini possono incontrarsi. Il film mostra una Venezia del lavoro e della vita reale, un luogo di frontiera dove culture diverse si sfiorano, si scontrano e, a volte, si riconoscono.

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Il canale degli angeli (1934)

In una Venezia in piena trasformazione industriale, un operaio rimane vittima di un incidente sul lavoro. Durante la sua convalescenza, la moglie Anna si innamora del capitano di una nave. Il loro figlio piccolo assiste a questo amore nascente e, sconvolto, si ammala. La vicenda mette in crisi il fragile equilibrio familiare, sullo sfondo di una città che sta cambiando volto.

Unico lungometraggio di finzione del pioniere del cinema italiano Francesco Pasinetti, questo film è un documento preziosissimo. Anticipando di quasi un decennio il Neorealismo, Pasinetti mostra una Venezia inedita, non retorica, vissuta dai suoi abitanti e dai suoi lavoratori. Le immagini di stampo documentaristico dei cantieri e delle navi che scavano nuovi canali offrono uno spaccato della modernizzazione che mette in discussione non solo il paesaggio, ma anche la struttura sociale e familiare tradizionale. Un’opera fondamentale per comprendere un’altra storia del cinema veneziano.

Ritratto di borghesia in nero (1978)

Nella Venezia del 1938, alla vigilia della guerra, il giovane studente di musica Mattia viene introdotto nei salotti dell’alta borghesia. Lì si innamora della sua insegnante di pianoforte, Carla, dando inizio a una torbida relazione che scatena una spirale di ricatti, tradimenti e delitti. Dietro la facciata di rispettabilità si nasconde un mondo di corruzione morale, ambizione e potere.

Tonino Cervi adatta una novella di Peyrefitte trasferendo l’azione da Parigi a Venezia, e la scelta non è casuale. La tortuosità delle calli veneziane diventa il corrispettivo fisico della tortuosità dei sentimenti dei personaggi. Il film è girato quasi interamente in interni sontuosi e soffocanti, che rappresentano la prigione dorata di una classe sociale in piena decadenza morale. La città esterna appare solo a sprazzi, spesso di notte o avvolta nel nero dei funerali, a simboleggiare come il marcio interiore stia per dilagare anche all’esterno, con l’avvento del fascismo e della guerra.

Le ali dell’amore (The Wings of the Dove) (1997)

Londra, inizio Novecento. Kate Croy, per non perdere la sua posizione sociale, convince il suo amante spiantato, il giornalista Merton Densher, a sedurre una ricca ereditiera americana, Milly Theale, malata terminale e in viaggio in Europa. Il piano è che Merton la sposi, erediti la sua fortuna e possa finalmente vivere con Kate. Il trio si ritrova a Venezia, dove il piano diabolico si scontra con sentimenti inaspettati.

In questo adattamento del romanzo di Henry James, Venezia diventa il palcoscenico finale dove la manipolazione e il desiderio si scontrano con la morte. La città, con la sua bellezza struggente, amplifica la dimensione tragica della storia. Non è un luogo di liberazione, ma lo scenario lussuoso in cui la corruzione morale dei protagonisti viene a galla. L’atmosfera romantica della Serenissima è avvelenata dal calcolo e dall’inganno, rendendo la decadenza fisica di Milly un riflesso della bancarotta etica di Kate e Merton.

Summertime (Tempo d’estate) (1955)

Jane Hudson, una segretaria americana di mezza età non più giovanissima, arriva a Venezia per la vacanza che ha sempre sognato. Sola e piena di insicurezze, vaga per la città sentendosi un’osservatrice esterna della vita e dell’amore. L’incontro con Renato, un affascinante antiquario veneziano, le apre le porte di una storia d’amore tanto intensa quanto effimera, che la costringerà a confrontarsi con la sua solitudine.

David Lean firma una struggente lettera d’amore a Venezia, catturandone la magia in un Technicolor radioso. Ma al di là della bellezza visiva, il film è una profonda riflessione sulla solitudine e sul desiderio. Venezia non è solo lo sfondo di una storia romantica, ma il catalizzatore dell’esperienza emotiva di Jane. La sua bellezza quasi dolorosa accentua il senso di malinconia della protagonista, rendendo il suo breve incontro amoroso un’esperienza agrodolce che la cambierà per sempre. Un classico che unisce sensibilità d’autore e fascino popolare.

Eva (1962)

Tyvian, uno scrittore gallese che ha raggiunto la fama spacciando per suo un manoscritto del fratello defunto, arriva a Venezia per la presentazione del film tratto dal suo libro. Lì incontra e si ossessiona per Eva, una prostituta d’alto bordo cinica e crudele. Inizia così un rapporto masochistico di sottomissione e umiliazione, che porterà Tyvian alla completa rovina economica e psicologica.

Il regista americano Joseph Losey, in esilio in Europa, dirige un’opera spietata e glaciale. La sua Venezia è fredda, quasi ostile, priva di ogni calore. I canali e i palazzi diventano lo scenario indifferente di una discesa agli inferi. Il film, girato in un bianco e nero espressionista da Gianni Di Venanzo, nega ogni romanticismo alla città, usandola come un deserto emotivo in cui si consuma la distruzione di un uomo. Un’opera radicale che anticipa i temi che Losey svilupperà nei suoi capolavori successivi.

Solamente nero (1978)

Stefano, un professore universitario, torna per un periodo di riposo sull’isola della laguna veneta dove è nato e dove vive suo fratello prete. Il suo arrivo coincide con una serie di delitti efferati che sconvolgono la quiete della piccola comunità. Indagando, Stefano scopre un intreccio di segreti, ipocrisie e follia che si nascondono dietro la facciata perbene dell’isola.

Antonio Bido, dopo Il gatto dagli occhi di giada, dirige un altro giallo teso e atmosferico. Sebbene l’ambientazione sia un’isola della laguna (riconoscibile come Murano), il film cattura perfettamente l’inquietudine del paesaggio veneziano. Le atmosfere lugubri e nebbiose, i canali silenziosi e i segreti che la comunità cerca di seppellire creano un forte senso di angoscia. Molti critici lo considerano un debitore de La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati, trasferendo l’orrore della provincia padana all’ambiente altrettanto isolato e misterioso della laguna.

Nero veneziano (1978)

I giovani fratelli Mark e Christine, rimasti orfani, si trasferiscono a Venezia nella pensione degli zii sull’isola della Giudecca. Mark, che è cieco, è tormentato da visioni spaventose in cui un uomo misterioso compie atti diabolici. Quando una serie di morti inspiegabili inizia a colpire la sua famiglia, i suoi incubi sembrano diventare realtà, suggerendo una cospirazione satanica.

Ugo Liberatore dirige un horror gotico e surreale, intriso di un’atmosfera morbosamente decadente. L’ambientazione alla Giudecca, separata dal cuore turistico di Venezia, crea un mondo a parte, un microcosmo isolato dove il male può attecchire. La fotografia di Alfio Contini avvolge la città in un “velo mortuario”, esaltandone la bellezza spettrale. La laguna diventa una barriera che separa non solo la terraferma, ma anche il bene dal male, la luce dalle tenebre, in un film che fa dell’ambiguità e dell’inquietudine la sua cifra stilistica.

Anima persa (1977)

Il giovane Tino si trasferisce a Venezia per studiare, ospite in un antico e decadente palazzo degli zii. Presto si accorge che dalla soffitta provengono strani e inquietanti rumori. Scoprirà che lì vive recluso da anni un altro zio, il fratello del padrone di casa, ritenuto pazzo. Tino inizia a indagare sui segreti della famiglia, portando alla luce una verità sconvolgente e mostruosa.

Dino Risi cambia l’ambientazione del romanzo originale di Giovanni Arpino da Torino a Venezia, e la scelta è perfetta. La città diventa spettrale, “irrequietamente cupa”, e il palazzo nobiliare un organismo malato che nasconde la follia. Più che un thriller, è un film di fantasmi, dove il passato infesta il presente. La fotografia livida di Tonino Delli Colli rende Venezia un luogo funereo, trasformando il dramma psicologico in un vero e proprio racconto dell’orrore gotico.

Il terrorista (1963)

Venezia, inverno 1943. Un gruppo di partigiani, guidati da un ingegnere idealista e intransigente, cerca di organizzare la lotta armata contro i nazifascisti. Le loro azioni si scontrano però con le divisioni interne al Comitato di Liberazione Nazionale, le paure della popolazione e i dubbi morali sulla violenza. Il protagonista si troverà sempre più isolato nella sua lotta.

Gianfranco De Bosio realizza un film sulla Resistenza anomalo e coraggioso, privo di ogni retorica celebrativa. La sua Venezia invernale, grigia, nebbiosa e respingente, è l’esatto contrario dell’iconografia cittadina e riflette perfettamente l’atmosfera di clandestinità, sospetto e dramma morale dei protagonisti. Le calli deserte e i campielli vuoti diventano lo scenario di pedinamenti e incontri segreti, in un universo claustrofobico che esprime l’asprezza e la solitudine della lotta partigiana. Un’opera fondamentale, con un grande Gian Maria Volonté.

Yuppi du (1975)

Felice è un uomo povero che vive a Venezia con la figlia, nel ricordo della moglie Silvia, che crede suicida. La sua vita viene sconvolta quando Silvia, in realtà fuggita a Milano per sposare un uomo ricco, ritorna. Felice si trova a dover scegliere tra il suo amore passato e la felicità presente, in un mondo che contrappone la semplicità della vita popolare alla vacuità della società borghese.

Opera anomala e inclassificabile, Yuppi du è un musical ecologista e anticapitalista diretto e interpretato da un Adriano Celentano in stato di grazia. La sua Venezia non ha nulla di realistico: è un palcoscenico surreale e fiabesco, un luogo dell’anima dove i personaggi comunicano cantando e danzando. Il film è un esperimento creativo libero e vitale, che usa la città in modo totalmente personale e anti-convenzionale, trasformandola in un teatro per la sua personalissima allegoria sociale. Un cult assoluto.

Padrona del suo destino (Dangerous Beauty) (1998)

Nella Venezia del XVI secolo, la giovane Veronica Franco, non potendo sposare l’uomo che ama a causa del suo basso ceto sociale, viene spinta dalla madre a diventare una cortigiana. Grazie alla sua intelligenza, cultura e bellezza, diventa una delle donne più potenti e influenti della città, poetessa acclamata e consigliera di uomini di stato, fino a quando la peste e l’Inquisizione non minacceranno la sua posizione.

Sebbene sia una produzione americana, il film racconta una storia profondamente veneziana, quella della cortigiana e poetessa Veronica Franco. La Venezia rinascimentale è rappresentata come un palcoscenico magnifico e contraddittorio: un centro di cultura, arte e libertà di pensiero, ma anche una società patriarcale dove l’unica via per l’affermazione intellettuale di una donna era legata alla vendita del proprio corpo. Il film esplora questo paradosso, mostrando una città tanto splendida quanto spietata.

La venexiana (1986)

Venezia, XVI secolo. Due nobildonne, la vedova Angela e la giovane sposa Valeria, sono consumate da un desiderio inappagato. Entrambe posano gli occhi su Jules, un giovane e aitante straniero appena giunto in città. Utilizzando le loro serve come intermediarie, le due donne ingaggiano una sottile ma spietata competizione per riuscire ad attirare il giovane nel proprio letto e trascorrere con lui una notte di passione.

Tratto da un’anonima commedia teatrale del Cinquecento, il film di Mauro Bolognini è un’opera raffinata e carica di erotismo. La Venezia del film è un luogo quasi interamente femminile, un labirinto di interni sontuosi, alcove e giardini segreti dove si consuma la brama delle protagoniste. La fotografia di Giuseppe Lanci e le musiche di Ennio Morricone creano un’atmosfera sospesa e sensuale, in cui la città diventa un teatro della seduzione, un luogo dove la frustrazione sentimentale alimenta un desiderio quasi predatorio.

La mano dello straniero (1954)

Il piccolo Roger arriva a Venezia per incontrare il padre, un maggiore dei servizi segreti britannici, ma l’uomo scompare misteriosamente. Convinto che sia stato rapito, il bambino inizia a cercarlo da solo, addentrandosi in una città che non conosce. Con l’aiuto di una governante e di un impiegato d’albergo, si troverà coinvolto in un intrigo di spionaggio internazionale sullo sfondo della Guerra Fredda.

Basato su un soggetto di Graham Greene e diretto da Mario Soldati, questo thriller italo-britannico ricorda le atmosfere de Il terzo uomo, trasferendole però nel contesto unico di Venezia. La città, con i suoi canali nebbiosi e i suoi angoli bui, diventa un luogo di mistero e pericolo, visto attraverso lo sguardo spaventato ma determinato di un bambino. È una Venezia insolita, un crocevia di spie e agenti segreti dove la bellezza dei luoghi fa da contrappunto a una trama piena di tensione.

Il boia di Venezia (1963)

Nella Venezia del XVII secolo, il crudele inquisitore Guarnieri spadroneggia sulla città. Il suo più grande nemico è Sandrigo, figlio del Doge, che si oppone alla sua tirannia. Per liberarsi di lui, Guarnieri lo fa accusare ingiustamente di un crimine e lo condanna a morte. L’esecuzione viene affidata al boia, un uomo mascherato che in realtà è il vero padre di Sandrigo, ignaro dell’identità del condannato.

Questo film d’avventura in costume, o swashbuckler, è un classico esempio del cinema di genere italiano che attingeva a piene mani dall’immaginario storico della Serenissima. Pur senza grandi pretese autoriali, Il boia di Venezia utilizza efficacemente l’iconografia del potere veneziano – il Consiglio dei Dieci, l’Inquisizione, i palazzi del potere – per costruire una narrazione popolare fatta di intrighi, duelli e colpi di scena. Un tuffo nella Venezia più romanzesca e avventurosa.

Paganini Horror (1989)

Una rock band tutta al femminile, per rilanciare la propria carriera, acquista da un misterioso individuo uno spartito inedito del violinista Niccolò Paganini. Decidono di registrarlo e di girare un videoclip nella villa che fu del compositore, un’antica casa a Venezia. Ma la musica risveglia lo spirito demoniaco di Paganini, che inizia a sterminare uno a uno i membri della band e la loro troupe.

Luigi Cozzi dirige un horror bizzarro e affascinante, un cult del cinema di genere italiano di fine anni ’80. Sebbene gran parte dell’azione si svolga all’interno della villa maledetta, sacrificando il paesaggio veneziano, la città funge da cornice gotica perfetta per questa storia faustiana. La commistione tra l’iconografia del musicista diabolico, le atmosfere horror e l’estetica rock anni ’80 rende il film un’opera unica nel suo genere, un piccolo gioiello di creatività underground.

The Go-Between (Messaggero d’amore) (1971)

Nell’estate del 1900, il giovane Leo viene invitato a trascorrere le vacanze nella tenuta di campagna di un ricco compagno di scuola. Lì, si trova a fare da involontario messaggero per la sorella maggiore del suo amico, Marian, e un fittavolo locale, Ted, che vivono una relazione clandestina e proibita. L’esperienza segnerà per sempre la sua percezione dell’amore e del mondo adulto.

Questo capolavoro di Joseph Losey, su sceneggiatura di Harold Pinter, pur non essendo ambientato a Venezia, è un tassello fondamentale per comprendere il lavoro di due autori che hanno esplorato a fondo le psicologie contorte e le atmosfere opprimenti anche nella città lagunare (Eva per Losey, The Comfort of Strangers per Pinter). Il film analizza i temi della divisione di classe, del desiderio proibito e della perdita dell’innocenza con una maestria che illumina il loro approccio narrativo, rendendolo un perfetto controcanto tematico ai loro lavori veneziani.

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Immagine di Fabio Del Greco

Fabio Del Greco

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