Chicago: I Film che Svelano l’Anima della Città del Vento

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Ecco una selezione curata di film indipendenti che incarnano perfettamente l’anima complessa e multiforme di Chicago, andando oltre le cartoline patinate di Hollywood. Questa guida definitiva ai migliori film ambientati a Chicago si allontana deliberatamente dai blockbuster per esplorare le narrazioni crude, intime e politicamente cariche che definiscono il vero cinema della Città del Vento.

Quando il cinema mainstream pensa a Chicago, vede un palcoscenico. Vede i canyon d’acciaio del Loop dove i supereroi si scontrano, le facciate di lusso della Gold Coast per le commedie romantiche e le strade del centro da paralizzare per inseguimenti mozzafiato. È una città-sfondo, magnifica ma spesso intercambiabile, un set monumentale per storie universali. Ma questa è solo una frazione della verità. La vera Chicago cinematografica, quella che pulsa di vita, contraddizioni e un’energia inconfondibile, si trova altrove: nei film indipendenti e underground che da decenni ne esplorano i quartieri, le comunità e le cicatrici.

Esiste una dicotomia fondamentale nel modo in cui la settima arte ha ritratto questa metropoli del Midwest. Da un lato, c’è la Chicago dei grandi studios, una vetrina architettonica la cui identità è legata a luoghi iconici come la Willis Tower, l’Art Institute o Union Station. È una visione verticale, imponente, che guarda la città dall’alto. Dall’altro lato, c’è la Chicago del cinema indipendente, una visione orizzontale, che si muove a livello della strada. Per necessità economica e per scelta artistica, questi registi di Chicago puntano le loro macchine da presa lontano dal centro turistico, verso la vasta distesa di quartieri che costituiscono il cuore pulsante della città: le case popolari di Cabrini-Green, le strade intrise di musica del South Side, i negozi di dischi di Wicker Park.

Questo non è un semplice cambio di location, ma un radicale cambio di prospettiva. Il cinema indipendente non usa Chicago come sfondo, ma la tratta come un personaggio complesso e attivo. Le sue storie sono radicate nella specificità dei suoi luoghi, nella tensione delle sue divisioni razziali e di classe, nella resilienza delle sue comunità operaie e nella vibrante creatività delle sue scene artistiche. Per capire veramente Chicago attraverso il cinema, bisogna abbandonare i grattacieli e scendere nei suoi quartieri, ascoltare le sue voci autentiche e guardare le storie di Chicago che Hollywood non ha mai avuto il coraggio o l’interesse di raccontare. Questo viaggio ci porterà attraverso il realismo crudo dei suoi pionieri, la coscienza sociale dei suoi documentaristi, le ansie intime della sua scena mumblecore e le diverse prospettive dei suoi narratori contemporanei, svelando un ritratto della città molto più ricco, complesso e vero.

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Movimento I: Pionieri del Realismo Urbano e del Culto Sotterraneo

Le radici dell’identità cinematografica indipendente di Chicago affondano in un terreno fertile di dissenso sociale e audacia artistica. I film di questa prima ondata hanno stabilito un precedente, dimostrando un impegno precoce nel catturare l’energia grezza della città, le sue tensioni latenti e le voci dei suoi emarginati. Realizzati con budget irrisori e uno spirito da guerriglia, questi lavori hanno volutamente operato al di fuori del sistema degli studios, forgiando un linguaggio visivo che era tanto crudo e diretto quanto la città stessa.

Medium Cool (1969)

Un cameraman televisivo emotivamente distaccato, John Cassellis, si ritrova a coprire le proteste che circondano la Democratic National Convention del 1968 a Chicago. Mentre la città esplode in un caos di violenza e dissenso, il suo scudo di neutralità professionale inizia a incrinarsi. L’incontro con una madre single e suo figlio, provenienti dagli Appalachi, lo costringe a confrontarsi con la responsabilità etica del suo lavoro, trascinandolo nel cuore pulsante degli eventi che sta documentando.

Capolavoro seminale del cinema politico americano, Medium Cool è più di un film ambientato a Chicago: è un film fatto di Chicago, nel momento della sua più violenta combustione. Il regista e direttore della fotografia Haskell Wexler, finanziando la produzione con la sua H & J Pictures, compie un atto rivoluzionario, dissolvendo il confine tra finzione e documentario. La narrazione non si limita a usare le proteste del ’68 come sfondo; le assorbe, permettendo al caos reale delle strade di invadere la storia e travolgere i personaggi. Chicago diventa così un antagonista attivo e imprevedibile, una forza della natura politica che mette a nudo l’illusione dell’oggettività mediatica. È un pezzo di cinema indipendente fondamentale che cattura la città non come un luogo, ma come un evento storico in divenire.

Cooley High (1975)

Ambientato nel 1964, il film segue le vicende di Preach e Cochise, due migliori amici all’ultimo anno della Cooley Vocational High School. Tra sogni di borse di studio per il basket, feste, primi amori e bravate giovanili, i due ragazzi navigano le gioie e i pericoli della vita nel quartiere di Cabrini-Green. Un incontro casuale con due piccoli criminali li trascina in una situazione più grande di loro, mettendo alla prova la loro amicizia e cambiando per sempre il corso delle loro vite.

Spesso descritto come una versione afroamericana di American Graffiti, Cooley High è un’opera di culto essenziale che offre un ritratto tenero e agrodolce della gioventù nera di Chicago. Prodotto dalla American International Pictures, uno studio indipendente noto per il cinema di genere a basso costo, il film di Michael Schultz fu un successo sorprendente. La sua forza risiede nell’autenticità con cui rappresenta la vita a Cabrini-Green, evitando i cliché sensazionalistici per concentrarsi sull’umanità, l’umorismo e il cameratismo dei suoi protagonisti. È una delle prime storie di Chicago a dare voce e dignità a una comunità spesso ignorata o demonizzata, stabilendo un modello per il cinema afroamericano a venire.

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Stony Island (1978)

Nel South Side di Chicago, un giovane musicista bianco di nome Kevin si unisce a un gruppo di talentuosi musicisti afroamericani per formare una band R&B. Il loro obiettivo è quello di sfondare e rendere omaggio a una leggenda locale del sax ormai in declino. Tra prove improvvisate, sogni di gloria e le sfide quotidiane di un quartiere difficile, il gruppo deve superare le divisioni razziali e personali per creare qualcosa di unico e potente, un suono che rappresenti la vera anima della loro città.

Il film d’esordio di Andrew Davis, futuro regista de Il Fuggitivo, è una lettera d’amore a basso budget (meno di 380.000 dollari) alla scena musicale del South Side di Chicago. Ispirato dalle esperienze del fratello del regista, Stony Island fu rifiutato dai grandi studios prima di trovare una distribuzione indipendente con World Northal. Il film cattura un momento specifico e vibrante della storia culturale della città, utilizzando il ricco paesaggio sonoro del R&B e del soul come collante per una storia di speranza e collaborazione interrazziale. Chicago qui non è solo uno sfondo, ma un ecosistema musicale vivo, un luogo dove le barriere sociali possono essere abbattute, almeno temporaneamente, dal potere unificante della musica.

The Killing Floor (1984)

Frank Custer, un mezzadro nero del Mississippi, si trasferisce a Chicago durante la Prima Guerra Mondiale in cerca di una vita migliore, trovando lavoro nei mattatoi della città. Lì, si scontra con condizioni di lavoro brutali e profonde tensioni razziali, abilmente sfruttate dai padroni per dividere la forza lavoro. Nonostante la diffidenza, Frank si unisce al tentativo di creare un sindacato interrazziale, un’impresa pericolosa che lo porterà al centro dei violenti disordini razziali di Chicago del 1919.

Prodotto dalla compagnia indipendente Public Forum Productions per la serie American Playhouse della PBS, The Killing Floor è un’opera potente e storicamente rigorosa che riporta alla luce un capitolo cruciale e spesso dimenticato della storia di Chicago. Diretto da Bill Duke, il film utilizza i famigerati Union Stock Yards non solo come ambientazione, ma come simbolo della potenza industriale della città e dei conflitti brutali su cui è stata costruita. È un esempio fondamentale di cinema indipendente con una forte coscienza politica, che scava nel passato di Chicago per illuminare le radici profonde delle sue lotte operaie e razziali, temi che risuonano ancora oggi.

Henry: Portrait of a Serial Killer (1986)

Henry, un vagabondo dal passato oscuro, si stabilisce in un appartamento di Chicago con il suo ex compagno di cella, Otis. Insieme, intraprendono una serie di omicidi casuali e privi di movente, documentando a volte le loro gesta con una videocamera. La situazione si complica quando la sorella di Otis, Becky, arriva in città in cerca di rifugio e sviluppa un’attrazione per Henry, ignara della sua vera natura. La sua presenza introduce un elemento di instabilità in un equilibrio già precario, spingendo la violenza verso un’escalation inevitabile.

Girato in 16mm con un budget di appena 110.000 dollari dalla locale Maljack Productions, Henry è un punto di riferimento del cinema horror indipendente, un’opera tanto disturbante quanto influente. Il regista John McNaughton evita qualsiasi sensazionalismo, presentando la violenza in modo freddo e documentaristico. La sua Chicago è un paesaggio desolato e anonimo, un labirinto di strade sporche, appartamenti squallidi e bar malfamati, privo di qualsiasi punto di riferimento iconico. Questa rappresentazione della città come un luogo freddo e indifferente funge da specchio perfetto per la psiche vuota del protagonista, rendendo il film un esempio agghiacciante di geografia psicologica, dove l’ambiente urbano riflette il deserto morale dei suoi abitanti.

Movimento II: La Coscienza della Città – Il Documentario di Kartemquin Films

Nessuna istituzione ha definito il cinema indipendente di Chicago più di Kartemquin Films. Fondata nel 1966, questa “powerhouse del documentario” ha agito per oltre mezzo secolo come la coscienza critica della città. Il loro approccio non è quello del giornalismo distaccato; è un impegno a lungo termine, un’immersione profonda nelle vite di persone reali per raccontare storie di giustizia sociale, disuguaglianza e resilienza.

Lo stile distintivo di Kartemquin – il cinema vérité longitudinale, che segue i suoi soggetti per anni – non è una mera scelta estetica, ma una risposta metodologica diretta alla natura sistemica e complessa dei problemi di Chicago. Questioni come la povertà generazionale, la violenza endemica o la segregazione scolastica non possono essere comprese in un’istantanea. Richiedono pazienza, fiducia e la volontà di mostrare il lento e faticoso scorrere del tempo, l’accumulo di piccole vittorie e sconfitte schiaccianti. In questo senso, le crisi croniche della città hanno plasmato la forma stessa del cinema di Kartemquin, costringendolo a sviluppare un linguaggio capace di rendere giustizia alla loro complessità.

The Last Pullman Car (1983)

Nel 1981, i lavoratori dello storico stabilimento Pullman di Chicago si trovano ad affrontare la chiusura della fabbrica, un evento che minaccia non solo i loro posti di lavoro ma anche il futuro dell’industria ferroviaria americana. Il documentario segue la loro lotta, intrecciando le loro storie personali con un secolo di storia aziendale, sindacale e politica. La narrazione ripercorre l’eredità di George Pullman, dalla creazione della sua città aziendale modello fino al declino di un impero industriale un tempo considerato eterno.

Questo documentario di Kartemquin è un pezzo essenziale di storia operaia e di cinema indipendente di Chicago. Il film va oltre la cronaca di una singola vertenza sindacale per contestualizzarla all’interno della più ampia traiettoria del capitalismo industriale americano. Utilizzando l’iconica azienda Pullman come lente, i registi Gordon Quinn e Jerry Blumenthal esplorano il declino della manifattura, l’erosione dei diritti dei lavoratori e il costo umano del progresso economico. È un ritratto toccante e politicamente acuto di una comunità che lotta per la propria dignità di fronte a forze economiche soverchianti, un tema ricorrente nella storia della Chicago operaia.

Hoop Dreams (1994)

Girato nell’arco di cinque anni, questo epico documentario segue le vite di due adolescenti afroamericani di Chicago, William Gates e Arthur Agee, mentre inseguono il loro sogno di diventare giocatori di basket professionisti. Reclutati da una prestigiosa scuola superiore prevalentemente bianca, i due ragazzi e le loro famiglie affrontano un percorso irto di ostacoli: infortuni, pressioni accademiche, difficoltà economiche e le dure realtà della vita nei loro quartieri. Il film documenta le loro speranze, i loro trionfi e le loro profonde delusioni.

Hoop Dreams è semplicemente uno dei più grandi documentari mai realizzati e un’opera fondamentale per comprendere la Chicago contemporanea. Prodotto da Kartemquin e distribuito dall’etichetta indipendente Fine Line Features, il film di Steve James trascende il genere sportivo per diventare un’analisi devastante e intima di razza, classe e istruzione in America. La sua struttura longitudinale permette di mostrare in modo ineguagliabile come le barriere sistemiche e le disuguaglianze di opportunità modellino le vite dei due protagonisti. Chicago non è solo uno sfondo, ma un labirinto sociale che i ragazzi devono navigare, un luogo di sogni e, più spesso, di promesse infrante.

The Interrupters (2011)

Il film segue per un anno il lavoro di tre “interruttori di violenza” dell’organizzazione CeaseFire a Chicago. Questi uomini e donne, molti dei quali con un passato di violenza, si immergono nelle comunità più a rischio della città per mediare conflitti prima che sfocino in sparatorie. Dal prevenire ritorsioni al consolare famiglie in lutto, il documentario offre un accesso senza precedenti alla prima linea della lotta contro la violenza urbana, mostrando il coraggio, la fatica e la complessità del loro lavoro quotidiano.

Realizzato da Steve James in collaborazione con Kartemquin e Rise Films, The Interrupters offre una prospettiva cruda e necessaria sulla violenza armata a Chicago, allontanandosi dalle statistiche per concentrarsi sulle persone. Il film è un potente esempio di cinema vérité che mostra la violenza non come un problema astratto, ma come un ciclo di traumi che si perpetua a livello di comunità. Invece di una città di mostri, emerge il ritratto di un luogo popolato da individui complessi che combattono una guerra dal basso per la pace, offrendo un barlume di speranza e un modello alternativo di giustizia.

’63 Boycott (2017)

Il 22 ottobre 1963, oltre 250.000 studenti boicottarono le scuole pubbliche di Chicago per protestare contro la segregazione razziale de facto imposta dal sovrintendente Benjamin Willis. Questo cortometraggio documentario combina filmati in 16mm inediti, girati all’epoca dai fondatori di Kartemquin, con le testimonianze odierne di coloro che parteciparono a quella storica marcia. Il film ricostruisce una delle più grandi manifestazioni per i diritti civili del nord degli Stati Uniti, collegandola alle lotte contemporanee per l’equità nell’istruzione.

‘63 Boycott è un atto di archeologia cinematografica e di attivismo della memoria. Salvando dall’oblio questo evento cruciale della storia di Chicago, Kartemquin non si limita a un’operazione nostalgica, ma crea un ponte diretto tra passato e presente. Il documentario dimostra come le questioni al centro della protesta del 1963 – scuole sottofinanziate, segregazione e disprezzo per le comunità nere – siano ancora dolorosamente attuali. È un’opera concisa e potente che incarna la missione di Kartemquin: usare il cinema per illuminare la storia e ispirare l’azione nel presente.

Minding the Gap (2018)

Tre giovani amici di Rockford, Illinois, una città della Rust Belt vicina a Chicago, trovano rifugio dalle loro famiglie disfunzionali e dalla precarietà economica nello skateboarding. Il regista Bing Liu, uno dei tre, punta la macchina da presa su se stesso e sui suoi amici Keire e Zack mentre affrontano le sfide dell’età adulta: paternità, lavoro e il confronto con i traumi di un’infanzia segnata dalla violenza domestica. Lo skate diventa così il filo conduttore per esplorare la mascolinità, l’amicizia e la difficoltà di spezzare i cicli di abusi.

Sebbene ambientato a Rockford, Minding the Gap è un prodotto dell’ethos di Kartemquin Films, che ha prodotto il film, e rappresenta un’evoluzione del loro modello verso uno spazio più intimo e autobiografico. Nominato all’Oscar e distribuito da Hulu, il documentario di Bing Liu è un’opera di una vulnerabilità e onestà sconvolgenti. Estende la critica sociale tipica di Kartemquin al microcosmo delle relazioni personali, mostrando come le forze economiche e i traumi familiari si intreccino per modellare il destino dei giovani uomini in una regione in declino. È uno dei documentari più acclamati del decennio.

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Unapologetic (2020)

Dopo l’uccisione di due persone di colore da parte della polizia di Chicago, le giovani attiviste e organizzatrici abolizioniste Janaé e Bella intensificano la loro lotta per la giustizia. Il documentario segue da vicino il loro percorso all’interno del movimento Black Lives Matter, mostrando il loro lavoro per creare una comunità politica guidata da donne nere e queer. Dalle proteste di strada alle strategie politiche, il film offre uno sguardo intimo e potente su una nuova generazione di leader che sta ridefinendo il concetto di attivismo nella città.

Diretto da Ashley O’Shay e prodotto da Kartemquin, Unapologetic è una continuazione vitale e contemporanea della missione dello studio. Il film cattura con urgenza l’energia di un movimento storico, mettendo in primo piano le voci e le prospettive del femminismo nero. Questa non è la Chicago delle istituzioni o dei leader politici tradizionali; è una città vista attraverso gli occhi di chi lavora ai margini per smantellare sistemi oppressivi e immaginare un futuro radicalmente diverso. È un documento essenziale sull’attivismo del XXI secolo e sul ruolo centrale di Chicago in esso.

City So Real (2020)

Questa miniserie documentaria in cinque parti offre un ritratto panoramico e sfaccettato di Chicago durante un periodo di profonda trasformazione. Iniziando con la storica e caotica elezione a sindaco del 2019, la serie esplora le tensioni politiche, sociali e razziali della città. Il racconto si estende poi fino all’estate del 2020, documentando l’impatto della pandemia di COVID-19 e le proteste di massa seguite all’omicidio di George Floyd, mostrando come questi eventi abbiano esacerbato le divisioni esistenti e acceso nuove speranze.

Diretta da Steve James e prodotta da Kartemquin e Participant, City So Real è un’opera monumentale che cattura la complessità della Chicago contemporanea come pochi altri film. La sua struttura polifonica, che dà voce a un’ampia gamma di cittadini, dai candidati sindaco agli attivisti, dai barbieri ai baristi, crea un mosaico vibrante e contraddittorio. È un’istantanea epica di una città a un bivio, che lotta con il suo passato di corruzione e segregazione mentre cerca disperatamente di definire il proprio futuro.

In the Game (2015)

In una scuola superiore pubblica del South Side di Chicago, a maggioranza ispanica, la squadra di calcio femminile della Kelly High School lotta per il successo dentro e fuori dal campo. Il documentario segue le vite di quattro giocatrici durante i loro anni di liceo, evidenziando le sfide che affrontano: povertà, mancanza di risorse, pressioni familiari e le difficoltà di essere giovani donne di colore in un sistema educativo iniquo. Sotto la guida della loro tenace allenatrice, le ragazze trovano nella squadra una fonte di sostegno e un’ancora di salvezza.

Diretto da Maria Finitzo per Kartemquin, In the Game offre una prospettiva cruciale e spesso trascurata sulla vita a Chicago. Utilizzando il microcosmo di una squadra sportiva, il film illumina le barriere sistemiche che le studentesse latine devono superare per perseguire l’istruzione superiore. È un ritratto toccante di resilienza e solidarietà femminile, che mostra come lo sport possa diventare uno strumento di emancipazione e un catalizzatore per costruire un futuro migliore, anche quando il campo di gioco è tutt’altro che equo.

Movimento III: Intimità e Alienazione – La Scena Mumblecore di Chicago

A metà degli anni 2000, il cinema indipendente di Chicago subì una trasformazione significativa. L’attenzione si spostò dalle grandi narrazioni sociali e dagli spazi pubblici – le strade, le fabbriche, le piazze delle proteste – verso l’interno, negli spazi privati di appartamenti, bar e camere da letto. Questo cambiamento fu guidato dal movimento mumblecore e dal suo principale esponente a Chicago, il prolifico regista Joe Swanberg. Armati di telecamere digitali a basso costo e di un’etica fai-da-te, questi registi abbandonarono le trame convenzionali per concentrarsi su dialoghi iper-naturalistici, spesso improvvisati, che esploravano le ansie relazionali, professionali ed esistenziali di giovani urbani.

Questa transizione dal pubblico al privato ha ridefinito la geografia cinematografica della città. Chicago non era più il palcoscenico di lotte sistemiche, ma il contenitore di drammi psicologici intimi. Il conflitto non era più contro “il sistema”, ma contro l’indecisione personale, la precarietà emotiva e la difficoltà di comunicare. Il risultato è un corpus di film che, pur nella loro piccola scala, offrono un ritratto acuto e riconoscibile di una specifica sensibilità generazionale.

Kissing on the Mouth (2005)

Il film d’esordio di Joe Swanberg è un’immersione cruda e senza filtri nella vita di Ellen, una neolaureata che naviga in un limbo post-universitario fatto di relazioni sessuali confuse e mancanza di direzione. Il suo rapporto con l’ex ragazzo e le tensioni con il suo coinquilino geloso creano un’atmosfera di disagio e incertezza. Il film mescola scene di sesso esplicito con conversazioni naturalistiche, offrendo un ritratto non idealizzato delle difficoltà emotive e relazionali dei ventenni.

Considerato uno dei testi fondanti del movimento mumblecore, Kissing on the Mouth è stato autoprodotto da Swanberg con un cast minimo che fungeva anche da troupe. La sua estetica lo-fi e la sua onestà brutale hanno stabilito le coordinate per gran parte del suo lavoro successivo. Il film cattura un senso di alienazione e di deriva che, pur essendo universale, si radica in un contesto urbano anonimo che riflette lo stato interiore dei personaggi. È un punto di partenza essenziale per comprendere la rivoluzione a basso budget che ha ridefinito una parte del cinema indipendente americano.

LOL (2006)

Tre giovani uomini di Chicago lottano per trovare un equilibrio tra le loro vite online e le loro interazioni nel mondo reale. Alex, Tim e Chris usano computer e cellulari per comunicare, ma questi strumenti sembrano creare più distanza che connessione. Tra relazioni a distanza mediate da schermi, incomprensioni via email e l’ansia dei social media, i tre protagonisti si trovano sempre più isolati, incapaci di decifrare i segnali contrastanti della comunicazione moderna e di stabilire legami autentici.

Il secondo lungometraggio di Swanberg, distribuito dalla Benten Films, è un’analisi preveggente e acuta dell’impatto della tecnologia sulle relazioni umane. Realizzato ben prima che l’alienazione digitale diventasse un tema mainstream, LOL cattura l’alba di un’era in cui l’intimità è sempre più filtrata da uno schermo. La Chicago del film funge da sfondo quasi indifferente per personaggi che sono più connessi ai loro dispositivi che alla città che li circonda, un ritratto malinconico e ironico di una generazione che impara a “ridere ad alta voce” in silenzio, da sola, davanti a un computer.

Hannah Takes the Stairs (2007)

Hannah, una giovane stagista in una casa di produzione di Chicago, si trova sentimentalmente alla deriva. Dopo aver rotto con il suo fidanzato Mike, inizia a flirtare con due suoi colleghi, Matt e Paul, scatenando una catena di insicurezze e riallineamenti emotivi all’interno del loro piccolo gruppo di amici e collaboratori. Incerta su ciò che vuole veramente, Hannah naviga le sue relazioni con una miscela di curiosità e passività, lasciando una scia di cuori infranti e confusi.

Distribuito da IFC Films, Hannah Takes the Stairs è forse il film che meglio definisce l’estetica e le tematiche del mumblecore. Diretto da Swanberg e co-scritto dalla sua protagonista, Greta Gerwig, che qui ha trovato il suo primo ruolo importante, il film è un’immersione totale nell’indecisione articolata e nell’ansia privilegiata di un gruppo di giovani creativi di Chicago. Con un cast che include altre figure chiave del movimento come Mark Duplass e Andrew Bujalski, il film è un ritratto generazionale preciso, a tratti frustrante ma innegabilmente autentico, di un mondo in cui si parla molto ma si decide poco.

Drinking Buddies (2013)

Kate e Luke lavorano insieme in un birrificio artigianale di Chicago e condividono un’amicizia fatta di flirt e bevute. Il problema è che entrambi sono già impegnati in relazioni serie: lei con Chris, lui con Jill. Quando le due coppie trascorrono un weekend insieme in una casa sul lago, le linee tra amicizia e attrazione romantica diventano pericolosamente sfocate. La tensione latente tra Kate e Luke minaccia di far crollare l’equilibrio delle loro vite, costringendoli a confrontarsi con ciò che vogliono veramente.

Con Drinking Buddies, Joe Swanberg si avvicina al mainstream, lavorando con attori professionisti come Olivia Wilde e Anna Kendrick, ma senza abbandonare il suo metodo basato sull’improvvisazione. Il film è un brillante esempio di come l’estetica mumblecore possa essere applicata a una premessa più convenzionale. L’ambientazione in un vero birrificio di Chicago è fondamentale: la cultura locale della birra artigianale non è solo uno sfondo, ma un elemento integrante del mondo sociale del film, un luogo di lavoro e di svago che favorisce la convivialità e l’ambiguità emotiva.

Happy Christmas (2014)

Dopo una recente rottura, l’irresponsabile Jenny si trasferisce a Chicago per le vacanze di Natale, andando a vivere nel seminterrato della casa di suo fratello maggiore Jeff, un giovane regista che vive con la moglie Kelly e il loro figlio di due anni. L’arrivo di Jenny sconvolge la routine domestica della coppia, ma la sua energia caotica spinge anche Kelly a riconsiderare la propria vita e le proprie ambizioni creative, messe in secondo piano dalla maternità.

Girato nella vera casa di Joe Swanberg a Chicago con un budget di soli 70.000 dollari, Happy Christmas segna un ritorno alle radici micro-budget del regista, pur mantenendo un cast di alto profilo con Anna Kendrick e Lena Dunham. Il film è un ritratto intimo, divertente e toccante della famiglia, della responsabilità e dell’immaturità. Lo spazio domestico diventa il palcoscenico principale, trasformando una tipica casa di Chicago nel microcosmo in cui si esplorano le dinamiche familiari, il sacrificio e la difficile ricerca di un equilibrio tra vita personale e aspirazioni artistiche.

Unexpected (2015)

Samantha, un’insegnante di una scuola superiore del centro di Chicago, scopre di essere incinta proprio mentre la sua scuola sta per essere chiusa definitivamente. Nello stesso periodo, viene a sapere che anche una delle sue studentesse più promettenti, Jasmine, è incinta. Le due donne, provenienti da contesti sociali ed economici molto diversi, sviluppano un’amicizia inaspettata mentre navigano insieme le incertezze e le paure della gravidanza, confrontandosi con le difficili scelte che il futuro riserva loro.

Diretto da Kris Swanberg e presentato al Sundance Film Festival, Unexpected offre una prospettiva matura e incentrata sulle donne, che unisce le preoccupazioni sociali tipiche del cinema di Kartemquin con lo stile naturalistico e intimo del mumblecore. Il film esplora con sensibilità temi come la maternità, la classe sociale e le disparità di opportunità a Chicago, utilizzando la gravidanza parallela delle due protagoniste come veicolo per un’analisi toccante delle diverse strade che la vita può prendere a seconda del proprio punto di partenza.

I Used to Go Here (2020)

Kate, una scrittrice trentacinquenne il cui primo romanzo è stato un flop, si ritrova improvvisamente single e con il tour promozionale cancellato. In piena crisi, riceve un invito inaspettato dal suo ex professore preferito per tenere un discorso alla sua vecchia università in Illinois. Il ritorno al campus la catapulta in un vortice di nostalgia, facendola legare con un gruppo di studenti che la vedono come un’icona di successo. Presto, Kate si ritrova a rivivere i suoi giorni da studentessa, tra feste, drammi e decisioni discutibili.

Diretto da Kris Rey (precedentemente Swanberg) e prodotto, tra gli altri, dal gruppo comico The Lonely Island, I Used to Go Here è una commedia arguta e malinconica sul divario tra le ambizioni giovanili e la realtà dell’età adulta. Pur essendo ambientato in un campus fittizio, il film cattura perfettamente la sensazione di tornare in un luogo del proprio passato – in questo caso, un’università che evoca l’atmosfera di Chicago e dei suoi dintorni – e trovarlo contemporaneamente familiare e irrimediabilmente estraneo. È un’esplorazione divertente e toccante del desiderio di tornare indietro e della necessità di andare avanti.

Movimento IV: Nuove Voci e Prospettive Contemporanee

L’attuale panorama del cinema indipendente di Chicago è un ecosistema vibrante e multiforme, popolato da una nuova generazione di registi che raccontano storie audaci e diversificate. Questi film recenti sfuggono a facili categorizzazioni, spaziando tra generi e comunità per riflettere la complessa realtà della città.

Questa fioritura non è casuale, ma è il frutto di un’infrastruttura locale che si è rafforzata nel tempo. Organizzazioni come Chicago Filmmakers, il Chicago Underground Film Festival (CUFF), Full Spectrum Features e l’Independent Film Alliance Chicago hanno creato un ambiente di supporto fondamentale. Fornendo risorse, formazione e una rete di contatti, queste istituzioni agiscono come un contrappeso alle pressioni commerciali di Hollywood, permettendo la nascita di film culturalmente vitali anche se commercialmente rischiosi. È grazie a questo ecosistema che storie su lottatrici lesbiche pakistano-americane, adolescenti musulmane in cerca della propria identità o commedie oneste sulla salute mentale possono essere realizzate, arricchendo il tessuto cinematografico della città.

Love Jones (1997)

Darius, un giovane poeta e aspirante romanziere, e Nina, una fotografa di talento, si incontrano in un locale di spoken word nel quartiere di Wicker Park a Chicago. Tra i due scatta un’immediata e intensa attrazione, ma entrambi sono restii a definirla “amore”. La loro relazione si sviluppa tra conversazioni profonde, serate jazz e le sfide poste dai rispettivi ex e dalle ambizioni di carriera. Il film esplora la domanda se la loro connessione sia solo un’infatuazione passeggera o qualcosa di più profondo: un “love jones”.

Prodotto da New Line Cinema durante la sua fase più indipendente, Love Jones è diventato un classico di culto per la sua rappresentazione sofisticata e autentica della borghesia intellettuale e artistica afroamericana di Chicago. A differenza di molti film dell’epoca, che si concentravano su storie di criminalità e difficoltà, l’opera di Theodore Witcher celebra uno spazio di amore, creatività e dibattito intellettuale. I quartieri del North Side diventano un’ambientazione accogliente per una storia d’amore matura, offrendo una rappresentazione rara e preziosa della vita nera urbana.

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Chicago Cab (1997)

È la vigilia di Natale a Chicago, e un tassista solitario affronta una giornata interminabile e gelida al volante della sua auto. Durante il suo turno, una processione di passeggeri bizzarri, disperati, violenti e talvolta commoventi entra ed esce dal suo taxi. Dal predicatore al tossicodipendente, dalla coppia di innamorati alla donna appena aggredita, ogni corsa diventa una vignetta sulla condizione umana. Il tassista, un osservatore silenzioso, assorbe le storie e le angosce della città, finendo per essere profondamente segnato da questa odissea urbana.

Conosciuto anche come Hellcab e basato su un’opera teatrale, questo film indipendente è un ritratto episodico e grintoso dell’anima di Chicago. Con un cast corale che include molti attori legati alla città come John C. Reilly e Laurie Metcalf, il film utilizza il taxi come un confessionale mobile, un microcosmo perfetto per esplorare la diversità e la solitudine della metropoli. Lontano dai monumenti e dal glamour, Chicago Cab ci mostra una città fatta di incontri fugaci e di disperazione silenziosa, vista attraverso il parabrezza di un uomo della classe operaia.

Animals (2014)

Jude e Bobbie sono una coppia di giovani amanti che vivono ai margini della società di Chicago, intrappolati in un ciclo di dipendenza da eroina. La loro esistenza è un susseguirsi di piccole truffe e raggiri per procurarsi la dose successiva, il tutto mascherato da un’illusione di amore bohémien. Vivono nella loro auto scassata, sognando una vita normale che sembra sempre più irraggiungibile. Quando la realtà della loro situazione diventa insostenibile, la loro relazione viene messa a dura prova, costringendoli a scegliere tra l’amore e la sopravvivenza.

Scritto e interpretato dal nativo di Chicago David Dastmalchian, Animals è un dramma indipendente crudo e senza compromessi. Il film crea un contrasto potente tra l’ambientazione, che include luoghi apparentemente idilliaci come il Lincoln Park Zoo, e le vite disperate e parassitarie dei suoi protagonisti. Questa Chicago è una città di sofferenza nascosta, dove la lotta per la sopravvivenza si svolge appena fuori dalla vista della maggioranza benestante. È un ritratto straziante della dipendenza, che mostra come anche nei luoghi più belli della città possano esistere vite consumate dall’oscurità.

Princess Cyd (2017)

La sedicenne Cyd, atletica e sicura di sé, lascia la sua casa nel South Carolina per trascorrere l’estate a Chicago con sua zia Miranda, una nota scrittrice. Le due donne sono molto diverse: Cyd è esplosiva e focalizzata sul corpo, mentre Miranda è cerebrale e introversa. Durante il suo soggiorno, Cyd esplora la sua sessualità nascente, innamorandosi di una barista di nome Katie, e allo stesso tempo spinge sua zia ad aprirsi e a riconnettersi con il mondo. Il loro rapporto si trasforma in un delicato scambio di prospettive sulla vita, la fede e il desiderio.

Scritto e diretto dal regista di Chicago Stephen Cone, Princess Cyd è un film di formazione sensibile e luminoso. L’ambientazione estiva di Chicago, con le sue strade alberate e i suoi caffè accoglienti, diventa lo sfondo perfetto per un racconto di risveglio intellettuale e sessuale. Lontano dal dramma urlato, il film si concentra sulle conversazioni intime e sui piccoli momenti di scoperta, creando uno spazio gentile per esplorare temi complessi come la spiritualità, l’arte e la natura fluida del desiderio. È un ritratto delicato e affermativo della crescita personale.

Signature Move (2017)

Zaynab, un’avvocatessa trentenne pakistano-americana, vive a Chicago e si prende cura della madre, vedova e ossessionata dal trovare un marito per la figlia. La vita di Zaynab prende una svolta inaspettata quando si innamora di Alma, una donna messicano-americana vivace e sicura di sé. Mentre cerca di tenere nascosta la sua relazione alla madre tradizionalista, Zaynab scopre una nuova passione e un modo per sfogare le sue frustrazioni: il wrestling professionistico, insegnatole da un’ex lottatrice.

Prodotto dalla rivista culturale locale Newcity e da Full Spectrum Features, Signature Move è una commedia romantica vibrante e originale che potrebbe nascere solo da una scena indipendente sana e diversificata. Il film abbatte gli stereotipi con umorismo e calore, utilizzando Chicago come una tela multiculturale dove identità diverse si incontrano e si scontrano, dal ring di wrestling al soggiorno di casa. È una celebrazione gioiosa dell’amore, della famiglia e della ricerca del proprio posto nel mondo, profondamente radicata nella realtà eterogenea della città.

Slice (2018)

In una bizzarra cittadina chiamata Kingfisher, i fattorini delle pizze di Perfect Pizza Base iniziano a essere uccisi in modi macabri. Gli omicidi riaccendono le tensioni tra gli abitanti umani e la popolazione di fantasmi che risiede in un quartiere spettrale locale. Quando un fattorino licenziato, un lupo mannaro di nome Dax, diventa il principale sospettato, deve unire le forze con la sua ex ragazza Astrid per scagionare il suo nome e scoprire il vero colpevole, svelando una cospirazione che coinvolge streghe e un portale per l’inferno situato sotto la pizzeria.

Prodotto dalla casa di produzione indipendente A24 e diretto da Austin Vesely, collaboratore di lunga data di Chance the Rapper (che recita nel film), Slice è una commedia horror stravagante e piena di stile. Sebbene ambientato in una città fittizia, il film è intriso dell’energia creativa della nuova generazione di artisti di Chicago. È un’opera postmoderna e giocosa che mescola generi e toni, creando una versione surreale della periferia di Chicago dove il soprannaturale è all’ordine del giorno. Un film di culto che riflette un approccio fresco e irriverente al cinema.

Hala (2019)

Hala è un’adolescente pakistano-americana che vive con la sua famiglia in una tranquilla periferia di Chicago. Cerca di bilanciare la sua vita da tipica teenager americana, con la passione per lo skateboard e una cotta per un compagno di classe, con i doveri e le aspettative della sua educazione musulmana. Mentre esplora la sua nascente sessualità, scopre un segreto che minaccia di sgretolare il matrimonio apparentemente perfetto dei suoi genitori, costringendola a un difficile percorso di auto-scoperta e a confrontarsi con le complesse verità della sua famiglia.

Presentato al Sundance e acquisito da Apple TV+, Hala è un film di formazione intimo e splendidamente osservato dalla regista Minhal Baig. Il film offre un ritratto sfumato e personale dell’esperienza degli immigrati di prima generazione, esplorando il conflitto interiore tra due culture. L’ambientazione suburbana di Chicago fornisce il contesto per una storia universale di crescita, in cui la lotta per definire la propria identità si svolge tra i corridoi del liceo e le mura domestiche, dove tradizione e modernità si scontrano.

Saint Frances (2019)

Bridget, una trentaquattrenne senza una direzione precisa, accetta un lavoro estivo come tata per la piccola e precoce Frances. La sua nuova responsabilità arriva in un momento complicato: ha appena avuto un aborto e sta ancora affrontando le conseguenze fisiche ed emotive della sua decisione. Mentre si prende cura di Frances, Bridget stringe un legame inaspettato con la bambina e con i suoi genitori, una coppia di lesbiche che affronta le proprie sfide. L’estate si trasforma in un percorso di crescita e accettazione.

Scritto e interpretato da Kelly O’Sullivan, Saint Frances è una commedia drammatica acclamata dalla critica, un gioiello del cinema indipendente di Chicago. Distribuito da Oscilloscope, il film affronta temi come l’aborto, la depressione post-partum e la maternità con un’onestà, un umorismo e un calore rinfrescanti. Ambientato in una soleggiata Evanston, sobborgo a nord di Chicago, il film racconta una storia profondamente femminile e moderna, che celebra la complessità delle relazioni umane e la possibilità di trovare una famiglia nei luoghi più inaspettati.

We Grown Now (2023)

Nell’autunno del 1992, Malik e Eric, due ragazzini di dieci anni, sono migliori amici e vicini di casa nel complesso residenziale di Cabrini-Green a Chicago. La loro infanzia è un mondo di avventure immaginarie e scoperte, un’oasi di gioia in un ambiente segnato dalla povertà e dalla violenza. Quando una tragedia improvvisa colpisce la loro comunità, il loro legame viene messo alla prova e le loro famiglie sono costrette a prendere decisioni difficili sul loro futuro, minacciando di separarli per sempre.

We Grown Now rivisita l’iconico e ormai demolito complesso di Cabrini-Green con uno sguardo lirico e poetico, attraverso gli occhi dei suoi protagonisti più giovani. Il film di Minhal Baig, prodotto da Participant, evita la narrazione sensazionalistica per concentrarsi sulla magia e la resilienza dell’amicizia infantile. È un ritratto toccante di un luogo e di un’epoca specifici della storia di Chicago, che cattura la bellezza e il dolore di crescere in un mondo che sta per scomparire.

The Year Between (2022)

Clemence, una studentessa universitaria, torna a vivere nel seminterrato della casa dei suoi genitori in un sobborgo di Chicago dopo aver ricevuto una diagnosi di disturbo bipolare. Il suo ritorno forzato crea scompiglio nella già tesa dinamica familiare, con una madre iper-ansiosa, un padre stoico (interpretato da Steve Buscemi) e due fratelli più piccoli che non sanno come relazionarsi con lei. Con un umorismo nero e un’onestà brutale, Clemence cerca di navigare la sua nuova realtà, mettendo a dura prova la pazienza di tutti coloro che la circondano.

Scritto, diretto e interpretato da Alex Heller e prodotto da Full Spectrum Features, The Year Between è una commedia drammatica coraggiosa e dolorosamente autentica sulla salute mentale. Il film utilizza l’ambiente claustrofobico della casa suburbana per esplorare la realtà disordinata, scomoda e spesso esilarante della convivenza con una malattia mentale. È un’opera profondamente personale che rifiuta facili sentimentalismi, offrendo invece un ritratto crudo e spiritoso delle complessità dei legami familiari di fronte a una crisi.

Conclusione: La Città Come Personaggio Infinito

Attraverso questi trenta film, emerge un ritratto collettivo di Chicago che è infinitamente più complesso e stratificato di qualsiasi blockbuster potrebbe mai sperare di catturare. Abbiamo viaggiato dalle strade infuocate delle proteste del ’68 alla quiete soleggiata di un’estate di scoperta sessuale; dai corridoi delle scuole sottofinanziate del South Side agli appartamenti angusti dove si consumano le ansie dei millennial; dai mattatoi dell’inizio del XX secolo ai locali di spoken word degli anni ’90.

Questa odissea cinematografica dimostra che la vera Chicago non è un monolite d’acciaio e vetro, ma un mosaico di comunità, un campo di battaglia per la giustizia sociale e un rifugio per l’intimità. È un luogo di brutale conflitto e di tenera solidarietà, di fallimento sistemico e di resilienza dal basso, di lotta pubblica e di angoscia privata. Per vedere veramente Chicago sullo schermo, bisogna guardare oltre i grattacieli e abbracciare il lavoro stimolante, diversificato e vitale dei suoi cineasti indipendenti.

La più grande risorsa cinematografica della città è la sua inesauribile complessità. È una metropoli che resiste a definizioni semplicistiche, un personaggio che offre infinite storie da raccontare. Finché Chicago continuerà a coltivare narratori indipendenti con il coraggio e la visione di catturare le sue innumerevoli contraddizioni, il suo racconto sul grande schermo non sarà mai veramente concluso.

Immagine di Fabio Del Greco

Fabio Del Greco

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